La Santa Chiesa è confortata dalla promessa divina di essere immortale, ma ciò non vuol dire che non possa attraversare periodi di crisi estremamente difficili. Tali crisi sono permesse dalla Provvidenza per mostrare agli uomini che a sostenerla non sono i mezzi umani ma la forza della Grazia.
Cosa sia la "lotta per le investiture".
Quando si formò il feudalesimo, nella confusione
generata dalla caduta dell'Impero Romano e dalle invasioni barbariche, la
Chiesa, grazie alla generosità dei fedeli, era una istituzione molto ricca. I
vescovi e gli abati erano, in molti casi, signori di grandi domini territoriali.
Perciò, nei momenti di pericolo, molte persone anziché rifugiarsi presso qualche
grande signore secolare, cercavano la protezione della Chiesa, nella persona di
un vescovo o di un abate. Sorsero allora i cosiddetti "feudi
ecclesiastici".
All'interno della struttura giuridica del feudalesimo, il feudo ecclesiastico godeva di una situazione privilegiata, in cui il potere spirituale e quello temporale erano esercitati da una stessa persona. Nel prendere possesso dell'incarico, il vescovo-signore feudale riceveva infatti una doppia investitura.
La prima era l'investitura spirituale che gli conferiva l'autorità episcopale, e che era data dal Papa mediante la consegna del bastone pastorale e dell'anello episcopale. Seguiva l'investitura temporale, che gli attribuiva il governo del feudo e che era data dal Re, con la consegna dello scettro, simbolo del potere temporale.
Questa singolare situazione favorì, soprattutto in Germania, il verificarsi di abusi.
Gli imperatori del Sacro Impero cominciarono a considerarsi in diritto di conferire al vescovo-signore feudale entrambe le investiture, quella spirituale e quella temporale.
L'abuso di potere è evidente. Infatti l'investitura spirituale conferisce l'autorità episcopale e può essere data solo dal Papa. In più, molto spesso, gli Imperatori favorivano la nomina di persone indegne dell'incarico, o addirittura vendevano le cariche a chi offriva di più. Ovviamente, questa situazione provocò degli scontri tra Papato e Impero, noti come "lotta per le investiture". Ma dietro alla questione, c'era un problema dottrinale di importanza capitale, a chi spetta la supremazia in campo spirituale: al Papa o all'Imperatore? E a chi spetta nel campo temporale? Questo era il problema di fondo.
Il movimento riformista.
I momenti di grande catastrofe sono anche quelli di grande Grazia. Nel clima di confusione del X secolo, sorge l'ordine di Cluny, dei benedettini cistercensi, vera anima del medioevo, il quale inizia un movimento di riforma che porterà la Chiesa e la Civiltà Cristiana agli splendori del suo apogeo nei secoli XII e XIII.
Dalla riforma di Cluny, emerge la figura luminosa di colui che fu, forse, il maggior Papa di tutti i tempi: il monaco Ildebrando, eletto Papa con il nome di Gregorio VII.
L'impegno di S. Gregorio VII nella "lotta per le investiture".
Prima di salire al trono pontificio, il monaco
Ildebrando era stato collaboratore e consigliere di 6 Papi: Gregorio VI, S.
Leone IX, Vittore II, Stefano IX, Nicola II e Alessandro II; creato cardinale da
Papa S. Leone IX, era stato il principale ispiratore delle misure adottate da
quei Papi contro gli abusi che si erano diffusi nella Chiesa.
Nel 1073, quando rimase vacante la Sede Pontificia, il popolo percorse le strade al grido: "Ildebrando Papa". I cardinali ratificarono immediatamente l'acclamazione popolare. S. Gregorio VII, lottando su numerosi fronti, esercitò una grande influenza per la restaurazione della disciplina nella Chiesa.
Una delle lotte più difficili fu quella contro Enrico IV, Sacro Romano Imperatore, svoltasi allo scopo di difendere le legittime prerogative della Chiesa.
Fra le sue prime misure, vi è il decreto di scomunica di ogni "Imperatore, Re, Duca, Marchese, Conte, di ogni potere o persona laica, che pretendesse di conferire la investitura di vescovadi o di qualunque dignità ecclesiastica".
Enrico IV fu subito coinvolto dal decreto del Papa, a causa dei frequenti abusi commessi contro la Chiesa. Purtroppo, continuò a comportarsi come prima, nominando nuovi vescovi per Milano, per Spoleto, diocesi assai vicina a Roma, e mise inoltre in vendita la carica di Abate di Fulda, una delle più prestigiose abbazie tedesche. Il Papa gli scrisse, tentando di indurlo a rispettare le decisioni pontificie.
Enrico IV riunì a Worms un concilio, composto principalmente da vescovi simoniaci, cioè che avevano comprato la loro carica, il quale dichiarò S. Gregorio indegno di essere Papa. L'Imperatore inviò quindi al Papa una lettera che cominciava con la seguente intestazione: "Enrico, Re non per usurpazione, ma per pietoso ordine di Dio, a Ildebrando, non successore di S. Pietro, bensì falso monaco". Il documento terminava chiedendo al Papa di lasciare il soglio affinchè potesse essere eletto un Papa legittimo.
S. Gregorio VII, emessa la scomunica contro i vescovi che avevano appoggiato l'Imperatore, giunse purtroppo a lanciare sull'Imperatore lo stesso solenne anatema:
"Oh! Santo principe degli Apostoli, Pietro: inclinate
il vostro capo ed ascoltate me, che sono vostro servo e che avete nutrito fin
dall'infanzia e sostenuto contro gli empi fino ad oggi. E con voi, la mia
Signora e Madre di Dio e vostro fratello S. Paolo, mi siano testimoni che la
Vostra Santa Chiesa Romana mi affidò il suo timone contro la mia volontà, e che
io non sono salito al suo trono come un ladro. Meglio sarebbe stato per me il
finire la mia vita in esilio che il rubare la vostra Sede per il desiderio della
gloria temporale e per spirito mondano. E per questo credo che secondo il vostro
beneplacito, per grazia vostra e non per opera mia, il popolo cristiano, in
special modo a Voi affidato, mi obbedisca in vostra vece; e che per vostra
intercessione Dio mi abbia dato il potere di legare e slegare sia in terra che
in cielo".
"Pertanto, confidando in questo, per l'onore e la difesa della S. Chiesa, in nome di Dio Onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo, tolgo al Re Enrico, figlio dell'Imperatore Enrico, il governo di tutto l'impero tedesco e italiano, perché si è ribellato con inaudita superbia contro la vostra Chiesa. Esimo tutti i cristiani dall'obbligo del giuramento che gli hanno prestato e proibisco che lo servano in quanto Re, poiché conviene che chi attacca la dignità della Vostra Chiesa, perda la propria". "E poiché egli non si fa cura di obbedire come cristiano e non ritorna a Dio; anzi al contrario tratta con degli scomunicati, compie molti danni, disprezza le mie esortazioni, e, a causa del suo impegno nel dividere la Chiesa, egli stesso si è separato da Essa, io lo incateno, in Vostro nome, con le catene della maledizione, perchè i popoli sappiano e conoscano che voi siete Pietro e su questa pietra il Figlio del Dio vivo ha edificato la sua Chiesa, sulla quale non prevarranno le porte dell'inferno".
Quando l'anatema pontificio giunse alle orecchie del popolo, tutto l'orbe romano tremò di paura e in Germania la maggior parte dei Duchi e Signori si ribellò contro Enrico IV. Ciò significava che, se entro un anno egli non si fosse riconciliato col Papa, sarebbe stato destituito dalla sua carica, ed eletto un suo successore. Enrico IV, il monarca più potente dell'epoca, in abiti da penitente, col capo scoperto, accompagnato dalla moglie e un figlio piccolo, attraversò le Alpi in pieno inverno, per andare in Italia a chiedere perdono al Papa. Questi, temendo qualche tranello, aspettava l'Imperatore in una solida fortezza, circondata da tre file di mura: il castello di Canossa della Contessa Matilde di Toscana.
Per tre interi giorni l'Imperatore rimase davanti al castello nella neve, digiunando e sperando nel perdono del Papa, ma S. Gregorio VII, non convinto della sincerità di Enrico, restò inflessibile nella sua decisione. Infine, cedendo alle richieste di Sant'Ugo, Abate di Cluny, e della Contessa Matilde, decise di sospendere la pena.
Purtroppo, tornato in Germania, Enrico IV lasciò da parte le promesse di emendazione e riprese le pessime abitudini di prima. A seguito di ciò venne addirittura deposto in modo esplicito dal trono e sostituito con Rodolfo di Svezia, cosa che provocò una sanguinosa guerra civile.
Nuovamente scomunicato, Enrico IV assediò Roma, collocò sul soglio pontificio l'antipapa Clemente III e constrinse S. Gregorio VII a rifugiarsi a Castel Sant'Angelo, dove venne salvato dai normanni che dominavano il sud d'Italia; poco tempo dopo morì in Salerno, esclamando: "Io amai la giustizia ed odiai la iniquità; perciò muoio in esilio". Enrico ebbe una fine miserevole. Venne imprigionato ed obbligato ad abdicare da una rivolta guidata da suo figlio stesso. Ridotto in miseria, giunse a chiedere un posto di cantore nella cattedrale di Spira, per cercare di sopravvivere; non ottenne nemmeno questo e morì a Liegi in miseria.
Considerando le cose da un punto di vista
semplicemente umano, si può dire che S. Gregorio VII aveva fallito. Morendo in
esilio, con la città dominata da un antipapa e la Chiesa ancora minata dai
cattivi costumi e dalla ribellione dei preti contro i vescovi, non c'era
umanamente speranza di veder fruttificare l'albero della riforma che il
Pontefice aveva piantato. Ma le lacrime che egli aveva sparso nella sua agonia
di esiliato e la croce portata, avrebbero presto fecondato la terra sterile e
arida che rifiutava di produrre. Il passo più importante era stato fatto,
l'Imperatore aveva dovuto riconoscere la sovranità della Chiesa in materia
spirituale, ed i papi che gli succedettero seppero difendere i principi che
Gregorio aveva enunciato e per cui aveva lottato.
I signori temporali, da lì in avanti, avrebbero dovuto confrontarsi con una nave la cui rotta era stata definita, e i cui timonieri conoscevano.
Il secolo che succedette alla morte del Santo vide la fine della lotta che egli aveva iniziato e la vittoria della parte più sana della Chiesa.
Roma continuò a sovraintendere i destini della civiltà occidentale, e gli uomini seppero corrispondere all'appello ad una vita più cristiana lanciato dall'alto del soglio pontificio.
S. Gregorio non si lasciò affascinare neppure per un minuto dalle attrattive di una effimera gloria terrena e per questo Dio gli riservò una gloria eterna che può essere misurata attraverso i felici successi che nacquero dalla sua attività apostolica.
La soluzione del conflitto.
La lotta per le investiture non cessò con la morte di S. Gregorio VII: il Beato Urbano II, religioso di Cluny, la continuò con l'Imperatore Enrico V, figlio di Enrico IV.
Nel 1122, Papa Callisto II e l'Imperatore Enrico V, fecero pace. Col concordato di Worms rimase stabilito che i vescovi sarebbero stati eletti dal clero e dal popolo, senza l’ intervento imperiale e che al momento della presa di possesso delle terre avrebbero ricevuto l'investitura temporale dal monarca.