lunedì 11 giugno 2012
Quando il terrorismo tricolore colpì i soldati del Papa Re
Negli anni di piombo i terroristi erano rossi, durante il risorgimento erano tricolori. Nel rione Borgo, a pochi passi dal Vaticano, nell’edificio dove oggi vi è la Scuola Pontificia Pio IX, si trovava la Caserma Serristori che ospitava gli zuavi pontifici.
Il 22 ottobre 1867 il terrorismo risorgimentale fece esplodere la caserma, assassinando i giovani zuavi componenti della banda musicale e alcuni passanti, tra cui una bambina di sei anni. I due esecutori materiali furono arrestati e giustiziati, dopo che entrambi si erano riconciliati con Dio.
Secondo alcune fonti l’organizzatore dell’attento fu il bergamasco Francesco Cucchi, poi senatore del regno, inviato a Roma da Garibaldi nell’illusione di organizzare una sollevazione del popolo romano. Successivamente la cricca rivoluzionaria strumentalizzò la giustizia pontificia facendo nascere la leggenda nera del Pio IX papa forcaiolo.
Col presente comunicato rendiamo omaggio alle vittime dell’azione terroristica.
L’attentato terroristico alla caserma degli zuavi
“… Uno dei punti cardine di tutta l’insurrezione si fondava sulla distruzione della caserma degli zuavi nel quartiere Serristori a poca distanza dal Vaticano. Lo scopo fondamentale, ovviamente, era quello di colpire e fiaccare fisicamente e psicologicamente il corpo degli zuavi (…).
Facendo saltare in aria il loro quartier generale e con esso la maggior parte degli zuavi, si sarebbe inflitto un durissimo colpo alla forza fondamentale a cui si affidava l’estrema difesa della città (…). Una grande parte del fabbricato crollò. Ma per fortuna la maggior parte dei militari, per ragioni di servizio, era partita poco prima alla volta di Porta s. Paolo; rimasero sotto le macerie vari zuavi che facevano parte della banda musicale.
Le vittime furono:
Carmine Carletti di Olevano
Luigi Carrey di Arbois
Giuseppe Cesaroni di Roma
Fortunato Chiusaroli di Roma
Emilio Claude di Nancy
Federico Cornet di Namur
Alessio Desbordes d’Ilê de Oléron
Cesare Desideri di Roma
Federico De Dietfutr di Colmar
Giovanni Devorscek di Bologna
Luigi Flamini di Roma
Giovanni Lanni di Roma
Eduardo Larroque di Cahors
Michelangelo Mancini di Roma
Pietro Mancini di Roma
Stefano Melin di Moulins
Francesco Mirando di Portici
Antonio Partel di Vigo, Tirolo
Giacomo Poggi di Genova
Andrea Portauovo di Napoli
Edmondo Robinet di Saint-Pol-de-Leon
Nicola Silvestrelli di Roma
Oreste Soldati di Palestrina
Domenico Tartavini di Roma
Vittore Vichot di Parigi
un passante, Ferri Francesco e la figlia di sei anni, Rosa; dei feriti, tra i quali vi era la moglie di Ferri, alcuni morirono in seguito. (…)
(Fulvio Izzo, L’attentato del fermano Giuseppe Monti alla Caserma Serristori nella insurrezione romana del 1867, Maroni Editore, Ripatransone, 1994)
Mons. Gottardo Scotton descrive la Caserma Serristori
(…) Caserma Serristori sinistramente celebre, perché minata dai due infelici Monti e Tognetti. I morti zuavi furono 27, delle più nobili famiglie di Europa, ma sarebbero state centinaia, se provvidenzialmente i soldati non ci fossero trovati fuori.
E’ uno dei mezzi morali usati per la nostra liberazione dalla rivoluzione italiana, che raccolse i due disgraziati assassini, che però si pentirono del delitto e di propria volontà ne domandarono venia al reggimento, tra le pieghe della sua bandiera. Ma la rivoluzione italiana può menare trionfo, che la sua lezione non fu senza frutto. Le mine di quella caserma costarono 24 scudi; l’incendio di un palazzo del tempo della Comune di Parigi costava uno scudo soltanto, e oggi con cinquanta centesimi di dinamite si mette lo scompiglio in una intera città.
Ma allora Monti e Tognetti furono proclamati martiri ed eroi; oggi coloro che ne seguono le tracce sono malfattori e briganti! (…)
(Gottardo Scotton, Il pellegrino cattolico a Roma, Bassano 1895, pag. 46)
La prosa dei fiancheggiatori del terrorismo
(…) Una delle parti più importanti del piano d’insurrezione era certamente la mina della caserma Serristori. La caserma situata nel rione di Borgo, e a poca distanza dal palazzo del Vaticano, era occupata dagli zuavi pontifici.
Questo corpo è reclutato fra i clericali più fanatici e feroci, su tutti i punti del globo.
È un’accozzaglia di gente, di stirpi, e di lingue diverse, che non ha altro vincolo comune se non che l’accecamento e l’intolleranza religiosa. Sono i giannizzeri del potere temporale. (…)
(Gaetano Sanvittore, I misteri del processo Monti e Tognetti, 1869)
Fonte:
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza