Bandiera del Regno Lombardo-Veneto
La battaglia di Solferino e San Martino - anche ricordata come battaglia del 24 giugno 1859 - venne combattuta fra l'esercito austro-lombardo-veneto e quello franco-piemontese, ponendo fine alla seconda guerra di espansionismo Sabaudo. In realtà, si trattò di un insieme di battaglie distinte che si svilupparono autonomamente e quasi simultaneamente, su un fronte di oltre 20 km.
Fu la più grande battaglia dopo quella di Lipsia del 1813, avendovi preso parte, complessivamente, oltre 230.000 effettivi. Viene ricordata in tutto il mondo per aver ispirato ad Henry Dunant la creazione della Croce Rossa Internazionale.
Soldati Austro-Lombardo-Veneti
Dopo la nefasta sconfitta di Magenta, che aveva aperto le porte della Lombardia all'esercito invasore franco-piemontese , il feldmaresciallo Ferencz Gyulai, a capo dell'esercito Imperial-Regio , decise di ritirare le proprie truppe sulla sponda sinistra del fiume Mincio, all'interno del "Quadrilatero", ricalcando così la vincente strategia applicata durante la Campagna del 1848 dal suo predecessore Radetzky.
A Vienna, intanto, l'opinione pubblica, spaccata in due tra Partito Rivoluzionario , che complotto fin dall'inizio del conflitto, e il Partito Conservatore, sempre più indignato per l'andamento del conflitto e per la conduzione di Gyulai che, dopo essere arrivato a pochi chilometri da Torino, aveva dovuto abbandonare l'intera Lombardia. Dopo l'arrivo dell'armata francese, l'esercito Imperial-Regio aveva collezionato una serie di più o meno piccole sfortunate sconfitte, nonostante l'ottima e compatta composizione dell'Esercito , la migliore conoscenza del terreno e la maggiore facilità di approvvigionamento dovuta anche all'appoggio delle popolazioni .
Spinto dalle negative vicende del conflitto nel quale fu costretto ad entrare , Francesco Giuseppe, scese nel Lombardo-Veneto per assumere personalmente il comando delle operazioni militari e, valutata l'impostazione difensiva di Gyulai non confacente al prestigio dell'esercito asburgico, decise improvvisamente di prendere l'iniziativa, appoggiato dal parere del proprio Stato Maggiore.
Soldati dell'Imperial-Regio Esercito Austro-Lombardo-Veneto
La mattina del 23 giugno, l'imperatore Francesco Giuseppe diede ordine alle proprie truppe di puntare ad occidente, riguadagnando la riva destra del Mincio e tornando così a rimprendere le posizioni abbandonate pochi giorni prima. Tale manovra puntava ad attestare l'esercito Imperial-Regio sulle colline moreniche poste a sud del lago di Garda e, da tale posizione dominante la pianura, sferrare un attacco all'esercito franco-piemontese, sfruttando altresì il disordine in cui questo si sarebbe trovato nell'attraversare il Chiese, i cui ponti erano stati distrutti per ordine di Gyulai, nel corso della ritirata,e la popolazione altamente ostile verso gli invasori .Contrariamente alle supposizioni degli Imperial-Regio grazie all'efficienza del Genio francese, il grosso dell'esercito franco-piemontese aveva attraversato il Chiese già nella giornata del 22 giugno e si preparava ad avanzare speditamente verso il Mincio, confortato dai rapporti degli esploratori che, nei giorni precedenti, avevano verificato il ripiegamento dell'esercito Imperial-Regio e nella convinzione che la battaglia si sarebbe svolta sulle sponde di quel fiume, come appariva strategicamente favorevole per gli austro-lombardo-veneti .
Alle prime ore del 23 giugno, Napoleone III e Vittorio Emanuele II si erano incontrati sulle alture presso Lonato per discutere di un dispaccio inviato dall'imperatrice Eugenia che recava inquietanti notizie circa forti movimenti di truppe prussiane sul Reno. La lettera conteneva un pressante invito alla rapida conclusione della campagna d'Italia, affinché l'esercito francese potesse ritornare in Patria per difenderne i confini. Dopo un breve colloquio riservato, i sovrani tornarono ai rispettivi quartier generali. Bisogna sottolineare che Napoleone III aveva intenzione di ritirarsi dal conflitto già prima della consegna della lettera scritta dalla moglie. Infatti egli vide con i suoi occhi una forte ed inaspettata, per come gli avevano riferito la situazione, opposizione delle popolazioni lombarde e della valle del Mincio.
I numerosi avvistamenti reciproci e gli scontri delle pattuglie in ricognizione, avvenuti in tutta la giornata e fino alle ultime luci del 23 giugno, non mutarono le convinzioni delle contrapposte case militari, anzi venendo interpretate a conferma: gli austriaci pensarono di aver intercettato le prime avanguardie franco-sarde in esplorazione e i franco-piemontesi credettero d'aver preso contatto con l'attardata retroguardia Imperial-Regia , com'era già accaduto a Melegnano.
Così non era: poche ore prima dello scontro, infatti, i due eserciti si trovavano schierati frontalmente su due linee parallele e vicinissime, estese da nord a sud per oltre 20 km, totalmente ignari l'uno dell'altro.
Cavvalleria Ulani Imperial-Regi all'assalto delle postazioni dell'Esercito Francese
Secondo il piano prestabilito, all'alba del 24 giugno l'armata franco-piemontese mosse verso est, nell'intento di schierarsi lungo la sponda destra del Mincio. Come prima tappa mattutina, l'esercito francese avrebbe dovuto occupare i villaggi di Solferino, Cavriana, Medole e Guidizzolo, rispettivamente con il I corpo d'armata del generale d'Hilliers, il II corpo d'armata del generale Mac-Mahon, il III corpo d'armata del generale Canrobert ed il IV corpo d'armata del generale Niel, mentre alle quattro divisioni dell'esercito sardo era assegnato il compito di insediarsi a Pozzolengo.Fatti pochi chilometri, inevitabilmente, le colonne franco-piemontesi vennero a contatto, una dopo l'altra, con le truppe Imperial-Regie, fortemente attestate proprio a Solferino, Cavriana, Medole, Guidizzolo e Pozzolengo. Nel giro di poche ore, dalle 4 alle 7 del mattino, divamparono numerosi e feroci combattimenti, producendo un impatto generale, caotico e violentissimo che si protrasse per oltre 18 ore.
La totale assenza di preordinati piani di battaglia, il sostanziale equilibrio di forze e la feroce determinazione alla vittoria di entrambi gli schieramenti, specie i patriottici soldati lombardo-veneti nelle fila dell'esercito Imperial-Regio, furono le principali cause dell'enorme carneficina verificatasi.
Raggrupperemo la moltitudine di scontri nelle battaglie di Medole, Solferino e San Martino, che rappresentano, rispettivamente, il settore sud, centrale e nord dell'esteso fronte sul quale si combatté la grande battaglia di Solferino e San Martino.
Il generale francese Niel decise di dare immediatamente battaglia e schierò le sue forze sul confine est del territorio di Medole, così impedendo ai tre corpi d'armata Imperial-Regi, presenti a Guidizzolo, di dare manforte ai commilitoni della II armata, attestata sulle alture di Solferino e duramente attaccata dalle colonne francesi dei generali d'Hilliers e Mac-Mahon.
Le truppe di Niel, numericamente non molto inferiori e schierate su una linea di oltre 5 km, riuscirono a contenere fortunosamente i continui assalti del nemico con un alternarsi di azioni di difesa e parziali contrattacchi nei punti nevralgici di Crocevia, Quagliara, Casa Nuova, Baite e Rebecco.
I combattimenti, che si protrassero per 15 ore fino alla generale ritirata Imperial-Regia, causarono 14.279 perdite tra i contrapposti schieramenti.
Contemporaneamente il II Corpo d'Armata francese, comandato dal maresciallo Patrice de Mac-Mahon incontrava reparti austro-lomardo-veneti, posti a difesa del borgo di Ca' Morino, nel territorio a nord-est di Medole.
Le truppe Imperial-Regie, attestate sulle alture moreniche e forti di tre Corpi d'Armata posizionati a Solferino, Cavriana e Volta Mantovana, resistettero lungamente ed eroicamente al combinato assalto del I e del II Corpo d'Armata francese, tanto da costringere Napoleone III ad impegnare in battaglia anche la guardia imperiale.
Strappata Solferino al V Corpo d'Armata di Stadion nel primo pomeriggio, lo schieramento francese proseguì per conquistare Cavriana, dove incontrò una resistenza altrettanto tenace e motivata, operata dal I Corpo d'Armata austriaco del feldmaresciallo Clam-Gallas. L'entrata in combattimento di forze fresche, verso le ore 15, costituite dal III Corpo d'Armata francese del generale Canrobert, consentì agli invasori di occupare Cavriana poco prima delle 18.
Il primo reparto sardo-piemontese a prendere contatto con gli austro-lomardo-veneti fu la 29ª Compagnia Bersaglieri, guidata dal giovane tenente colonnello Raffaele Cadorna (colui che, 11 anni dopo, sarà il protagonista del "sacco di Roma" del 20 Settembre 1870) , che precedeva l'avanguardia della 5ª Divisione "Cucchiari", diretta a Pozzolengo. Si trattò della scintilla che diede inizio, alle 7 del mattino, ad un lungo e sanguinoso scontro per il controllo di Pozzolengo, combattuto principalmente nelle località di San Martino e Madonna della Scoperta.
La formazione austro-lomardo-veneta, in netta inferiorità numerica, era bene schierata su posizioni dominanti e allertata dal rombo delle artiglierie che da oltre due ore duellavano a Solferino. Il feldmaresciallo Benedek guidò i suoi uomini con grande abilità, riuscendo a mantenere saldamente le posizioni fino a tarda sera, quando le armate Imperial-Regie in ritirata da Solferino, Cavriana, Guidizzolo e Volta Mantovana, per ordine dello Stato Maggiore, avevano passato il Mincio. I Sardo-Piemontesi , trovandosi da soli a fronteggiare l'avversario, si comprirono di ridicolo subendo l'impetuosa difesa eroica degli Imperial-Regi , nonostante fossero in superiorità numerica.
Ufficiali Imperial-Regi prigionieri a Ca' Fattori (Medole), in seguito alla grande battaglia di Solferino e San Martino.
L'Imperatore Francesco Giuseppe fu costretto a cedere la Lombardia, eccetto Mantova, alla Francia che, come prevedeva l'armistizio e il successivo trattato di Pace di Zurigo, che non fu rispettato dai Savoia, la cedette a sua volta al Regno di Sardegna.
Testimone d'eccezione, come accennato all'inizio, della battaglia fu Henry Dunant ideatore, promulgatore e primo segretario della Croce Rossa.
Rapporto del quartier generale Imperial-Regio
28 giugno 1859
"L’imperiale regia armata aveva occupato, nel giorno 21 le posizioni ad essa assegnate dietro il Mincio. L’8° corpo d’armata si trovava all’estremità dell’ala destra fra Peschiera e Casa Nova; il 5° fra Brentina e Salionze; il 1° ed il 7° di riserva presso Quaderni e San Zenone di Mozzo; la riserva di cavalleria a Rosegaferro vicino a Villafranca, dove era stato trasferito sino al 20 giugno il quartier generale di S. M. l’Imperatore.
Della 1ª armata trovavasi il 3° corpo presso Pozzolo, il 9° in Goito e dintorni, l’11° giunto nel frattempo, era a Roverbella, la divisione di cavalleria, tenente maresciallo conte Zedwitz, presso Mozzecane.
L’esercito austriaco era dunque riunito coi rinforzi disponibili arrivati, e quindi posto in grado di poter eseguire contro un nemico tuttora preponderante, almeno con qualche prospettiva di successo, un vigoroso colpo offensivo.
Oltre a ciò, le recenti notizie ricevute intorno ai movimenti e presumibili intendimenti del nemico, facevano apparire come desiderabile che si sollecitasse possibilmente l’attacco.
Per conseguenza il 23 giugno fu destinato per passaggio del Mincio.
Il nemico si era per intanto limitato ad occupare fortemente la linea del Chiese senza seguire l’armata imperiale nella sua ritirata oltre il Mincio. Uno squadrone di ussari Imperatore ed uno di ulani delle Due Sicilie, con due cannoni, sotto il comando del maggiore Appel, del nominato reggimento d’ulani, incaricati di riconoscere gli alti piani fra li due fiumi, non incontrarono in nessun sito colonne considerevoli, ma singoli distaccamenti. Presso Chiodino e Castel Venzago, si venne a scaramucce, che finirono colla ritirata del nemico, e nelle quali perdemmo due ufficiali, cinque soldati e nove cavalli.
Anche da parte della prima armata furono spediti distaccamenti scorridori verso il Chiese, per altro essi non ritrovarono in nessun sito il nemico.
Nel mattino del giorno 23 cominciò l’avanzamento dell’esercito austriaco. L’estrema ala destra era formata dalla brigata Reichlin, del 6° corpo, la quale, arrivata da Roveredo, si spinse pel campo trincerato da Peschiera verso Ponti onde riunirsi colà coll’8° corpo, il quale passò il Mincio presso Salionze e raggiunse Pozzolengo senza incontrarvi resistenza.
Il 5° corpo d’armata eseguì il passaggio del fiume presso Valeggio, ed avanzò a Solferino. Il 1° corpo d’armata seguì il 5° e si spinse verso Cavriana.
Il 7° corpo d’armata e la divisione di cavalleria di riserva, tenente maresciallo conte Mensdorff, passarono il Mincio sopra un ponte di guerra presso Ferri, fra Massimbona e Pozzolo, e si spinsero, il primo fino a Foresto e la seconda ancora oltre Foresto fino alle Tezze presso Cavriana.
Tutte le truppe della seconda armata posta sotto il comando del generale di cavalleria conte Schlick, raggiunsero nel corso del pomeriggio i punti loro assegnati, senza incontrare il nemico, e nella sera furono stabiliti gli avamposti da Casa Zapaglio, Contrada Mescolaro e Madonna della Scoperta fino alle Grole. La prima armata, sotto il comando del generale d’artiglieria conte Wimpffen, formava l’ala sinistra dell’avanguardia; essa passò il Mincio presso Ferri, col 3° corpo d’armata, e presso Goito, col 9° ed 11° corpo, non che colla divisione di cavalleria, tenente maresciallo conte Zedwitz. Questa divisione di cavalleria, appoggiata da distaccamenti del 9° corpo d’armata, si avanzò fino a Medole; il 3° ed il 9° corpo d’armata si accamparono intorno a Guiddizzolo, e l’11° corpo, come riserva presso Castel Grimaldo.
Del 2° corpo d’armata, la divisione del tenente maresciallo conte Iallachich, fu spedita da Mantova a Marcaria per prendere parte alle operazioni dell’armata principale e poter operare per Castel Goffredo contro il fianco nemico.
Il comandante di corpo, tenente maresciallo principe Eduardo Liechtenstein, assunse personalmente il comando di quella divisione. Il 6° corpo d’armata aveva l’ordine di appoggiare, secondo le circostanze, l’ulteriore avanzamento dell’armata mediante distaccamenti inviati dal Tirolo meridionale.
Laonde, mentre il grosso dell’esercito austriaco aveva preso nella sera del 23 una posizione da Pozzolengo fino a Guiddizzolo, onde poi operare concentratamente nella direzione del Chiese, ed attaccare l’esercito nemico nelle sue posizioni principali presso Carpenedolo e Montechiaro, il nemico, o informato delle nostre intenzioni od eseguendo un piano già stabilito, aveva, nel frattempo, intrapreso ugualmente un avanzamento generale e raggiunto nel 23 con tutta l’armata Piemontese ed alcuni distaccamenti francesi (60 in 70 000 uomini) i luoghi di Esenta, Desenzano e Rivoltella, non che le posizioni di Castel Venzago e San Martino, mentre il grosso dell’esercito francese occupò fortemente Castiglione delle Stiviere, Carpenedolo e Montechiaro, ed avanzò alcuni distaccamenti verso Solferino e Medole.
I due eserciti si incontrarono.
Allo spuntar del giorno 24 il nemico intraprese, con forze imponenti, un attacco generale contro la linea delle posizioni austriache.
Sull’ala destra riuscì alle truppe dell’8° corpo, sotto il comando del tenente-maresciallo Benedeck, di far vigorosa resistenza fin da principio contro il violento urto dell’armata piemontese, e non solo di respingere decisamente il loro attacco, ma anche di spingersi innanzi fino a San Martino, di sostenere quella favorevole posizione e di mantener ivi il combattimento. Le truppe piemontesi furono respinte con considerevoli perdite fino a Rivoltella e Desenzano. Nel centro della posizione austriaca, la chiave della quale formavano le dominanti alture di Solferino, fu egualmente di buonissimo mattino attaccata violentemente, nella sua posizione avanzata, ed avvolta in vivo combattimento la brigata Bills, avanguardia del 5° corpo d’armata.
L’attacco nemico si sviluppò presto con importante superiorità di forze su tutta la line del 5° corpo d’armata.
Valorosamente con rara costanza le due brigate Bills e Puchner (fanti Kinsky e Culoz, 1° battaglione di Ogulini ed il 4° battaglione di cacciatori Imperatore) si mantennero in prima linea, respingendo ogni attacco colla baionetta e senza vacillare, fino alle ore 11, contro un nemico tre volte superiore, che conduceva sempre fresche riserve, e che portava nuove batterie al fuoco, e che da quasi 3000 passi di distanza lanciava con successo granate sul luogo di Solferino.
Peraltro, allorquando il nemico penetrò anche nella valle al nord di Solferino ed in Val di Quadri con una forte divisione di esercito, e per tal modo minacciava di oltrepassare la posizione delle suddette due brigate, non bastò nemmeno la resistenza delle brigate Koller e Gaal del 5° corpo d’armata, chiamate nel frattempo, per poter ristabilire con buon successo il combattimento, che fin dal mezzo giorno avea cominciato a prender piega sfavorevole.
Non essendo sostenute dal 1° corpo d’armata con sufficiente efficacia le truppe del 5° corpo, dopo che, ripetutamente respinte e di nuovo andando all’assalto colle riserve, avevano riprese le anteriori posizioni, furono finalmente forzate ad abbandonare le dominanti alture anteriori ed a ritirarsi, prima sulle cime del Monte Mezzano, e poscia, avanzandosi forti colonne nemiche sulla strada, che conduce da Castiglione per le Grole a Solferino, a sgombrare il luogo da Solferino, a limitarsi ad occupare il castello, il cimitero e la Rocca, e finalmente ad abbandonare anche quei siti dopo eroica resistenza.
Soltanto dopo il più sanguinoso combattimento, e dopo sacrifici immensi, il nemico strappar poté al valoroso reggimento Reischach quel punto dominante; reggimento, che pieno di abnegazione protesse e coprì la ritirata delle truppe del suo corpo e di quelle del 1° corpo d’armata, non senza soffrire le più rilevanti perdite. Le truppe del 5° corpo si ritirarono verso Mescolaro e Pozzolengo, quelle del 1° retrocedettero sino a Cavriana e da questo luogo verso Volta e Valeggio.
Il 7° corpo d’armata, avanzatosi intanto da Foresto, parte della pianura per San Cassiano verso Solferino, parte per le eminenze situate al sud di Cavriana, verso quest’ultimo luogo, non giunsero pur troppo più a tempo per impedire la perdita di Solferino, e per dare in su quel punto al combattimento piega favorevole. Invece eseguì con successo l’assunto di coprire, occupando Cavriana e le circostanti file di colline e sommità, la ritirata del centro, fino a che anche quell’ultimo luogo non poté più essere conservato, a fronte del nemico che spingevasi innanzi dalle alture dominanti di Solferino ed a fronte della forte artiglieria nemica. La divisione di cavalleria Mensdorff, composta di tre brigate, aveva nel mattino avanzato nella pianura per Val del Termine, onde guadagnare il terreno aperto ed atto alla cavalleria, fra Casa Moriana e San Cassiano, ed attaccò le batterie nemiche ed i corpi di cavalleria che stavano a cavaliere della strada. Trovossi però avvolta in un gagliardo fuoco incrociato nemico di quattro o cinque batterie, e dovette ritirarsi. Mentre il 7° corpo d’armata avanzava, quella divisione di cavalleria tentò di appoggiare colla propria artiglieria, i movimenti di questo corpo, ma non poté nulla fare atteso il fuoco del nemico, il quale aveva a sua disposizione un maggior numero di cannoni.
Sull’ala sinistra, i distaccamenti della prima armata, già spinti a Medole, nella sera del 23, cioè due battaglioni del reggimento di fanteria Arciduca Francesco Carlo, furono allo spuntare del giorno violentemente attaccati, e dopo ostinato combattimento, furono respinti verso Guiddizzolo.
Il nemico, che l’inseguiva, s’impadronì del villaggio di Rebecco, situato tra Guiddizzolo e Medole, e vi si stabilì con forze imponenti.
Il 9° ed il 3° corpo d’armata avanzò però da Guiddizzolo. L’ultimo, spintosi sulla strada maestra fino alla quagliara, non poté andar oltre quel punto, perché, malgrado ogni sforzo, non era riuscito al 9° corpo d’armata di sloggiare il nemico da Rebecco. Per molte ore durò il combattimento intorno a questo luogo ove venivano inviate al nemico di Medole sempre riserve fresche, mentre dal nostro lato fu disposto che l’11° corpo d’armata sopraggiunto nel frattempo da Castel Grimaldo adoperasse tosto la divisione Blomberg (brigate Dobrzensky e Host) per appoggiare il 9° corpo d’armata e la brigata Baltin a fine da coprire il 3° corpo d’armata. Il luogo di Rebecco fu più volte preso e perduto. Ripetute volte si fermò il combattimento, ma ogni volta fu ordinato di riprendere e si riprese l’offensiva. Ma, sebbene sostenute da energico attacco dal 3° corpo d’armata a Medole, le truppe del 9° e del 11° corpo d’armata, malgrado grandi sforzi e rilevanti perdite ottener non poterono successi durevoli. Così fu trattenuto anche l’avanzamento del 3° corpo, che con meravigliosa costanza resistette ai gagliardi e sempre più forti attacchi nemici.
Mancò l’appoggio indispensabile onde disimpegnare l’ala sinistra, e sempre aspettato, dalla divisione Zedwtz, giacché questa, in seguito al combattimento che aveva avuto luogo nel mattino presso Medole, era retroceduto fino a Ceresara e Goito. L’ordinato movimento di fianco di due brigate del 2° corpo d’armata, che esercitar potea influsso decisivo in fianco ed alle spalle del nemico, non venne del pari eseguito, giacché notizie che un corpo principale nemico marciasse da Cremona a Piadena (dove per certo si trovava la divisione d’Autemarre), fecero che quella divisione si fermasse presso il passaggio dell’Oglio a Marcaria. Per comando dell’Imperatore l’ala sinistra tentò un’altra volta, verso le 3 pom. di riprendere l’offensiva.
Dopo che la brigata Greschke, dell'11° corpo d’esercito, si era prima avanzata a Guiddizzolo, onde raccogliere le parti già scosse del proprio e del 9° corpo, furono fatte uscire le due ultime batterie di riserva protette da due battaglioni e da due divisioni di cavalleria, onde colpire la cavalleria nemica, mentre, sperando sempre di essere sostenute dalla cavalleria di riserva, le truppe dovevano unite scagliarsi un’altra volta sul nemico. Ma invano. Sempre gagliardamente strette sul fianco sinistro, quelle truppe nemmeno questa volta poterono ottenere favorevoli risultati.
Nel frattempo, anche Cavriana, dopo valorosa resistenza, era caduta in potere del nemico, dopo che due brigate del 7° corpo d’armata, incoraggiate dalla personale presenza di S. M. l’Imperatore si erano sostenute, in quel luogo e nelle sommità circostanti per lungo tempo e con varia vicenda, giacché l’ala sinistra di quel corpo sostenuto dalla divisione di cavalleria Mensdorff, avanzando per la terza volta, aveva fatto un ultimo tentativo onde difendersi contro la superiorità di forze irrompenti da San Cassiano e Cavriana.
Avendo così il centro retroceduto da Solferino a Cavriana, e non potendo l’ala sinistra più farsi strada, alle 4 pom. venne decisa la generale ritirata.
Essa fu protetta all’ala sinistra con grande bravura dei due battaglioni intatti del reggimento di fanteria Arciduca Giuseppe e dal prode 10° battaglione di cacciatori personalmente guidato dal comandante il corpo d’armata tenente feld-maresciallo Weigl, ed il luogo di Guiddizzolo non fu abbandonato che alle ore 10 pom. dopo che tutte le truppe avevano sgombrato quel luogo, dopo che erano stati trasportati i feriti e dopo che le batterie furono condotte al sicuro.
Al centro, la ritirata fu protetta con costanza e devozione dalle truppe del 7° corpo d’armata e si passò per Bosco Scuro dietro Cavriana combattendo nell’ordine migliore.
Dopo aver un violento temporale interrotto il combattimento d’ambe le parti per mezz’ora, il nemico tralasciò totalmente d’avanzarsi nel detto Bosco Scuro. Le brigate Brandenstein e Wussin (i valorosi reggimenti d’infanteria Arciduca Leopoldo ed Imperatore, il 19° battaglione di cacciatori ed un battaglione di Liccani) si ritirarono condotti dal tenente maresciallo principe d’Assia, bene ordinati, a Volta; punto questo, che raggiunsero verso le 8 pom. e che convenientemente occuparono onde coprire la ritirata del treno dell’esercito per le difficili gole di Borghetto e di Valeggio.
La brigata Gablenz della suddetta divisione tenne occupate con due battaglioni d’infanteria Grucher e col 3° battaglione dei cacciatori Imperatore le alture immediatamente in faccia a Cavriana, fino alle 10 pom. Si ritirò poscia dopo aver raccolto tutti i piccoli distaccamenti che retrocedevano, a tarda notte, a Volta, e soltanto allo spuntare del giorno passò il Mincio sul ponte di Ferri.
All’ala destra l’8° corpo d’armata si era mantenuto nelle più favorevoli condizioni di combattimento. Solo quando il 5° corpo d’armata intraprese la propria ritirata per Pozzolengo, anche il tenente maresciallo Benedeck ritornò a Salionze, dopo aver respinto due preponderanti attacchi nemici e dopo aver fatto 400 prigionieri. Pozzolengo rimase fino alle 10 pom. occupato da truppe dell’8° corpo d’armata. Così fu resa possibile la ritirata in ordine per parte del 5° e del 1° corpo. Anche in questo combattimento le imperiali truppe si batterono con mirabile valore. Superiore ad ogni elogio fu specialmente il contegno delle truppe del 5° e dell’8° corpo d’esercito, condotte con gran senno, operosità e abnegazione personale.
Il reggimento italiano di fanteria Wernhardt del 1° corpo d’armata, che si batté molto valorosamente, ha menzione onorevole nella circostanziata relazione del comandante dell’esercito. Nella cavalleria merita menzione onorevole principalmente il reggimento ussari Re di Prussia, che con raro ordine eseguì, in mezzo al fuoco il più gagliardo delle batterie nemiche, un attacco contro il reggimento francese dei cacciatori d’Africa, che recò danni rilevanti e fece molti prigionieri al nemico.
La nostra perdita, specialmente in ufficiali, è assai ragguardevole. In alcuni corpi di truppe arriva al quarto dello stato totale. Le perdite particolareggiate, con indicazione dei nomi furono pubblicate nella Gazzetta di Vienna. Ma anche il nemico, specialmente negli assalti a Cavriana ed a Solferino, ha sofferto perdite immense. Esso in nessun punto osò minimamente inquietare la ritirata delle nostre truppe. Nel centro, esso non penetrò oltre Cavriana. In ambedue le ali non poté guadagnare terreno sulle nostre truppe.
Dal lato nostro, presero parte al combattimento il 1°, 3°, 5°, 7°, 8°, 9° e 11° corpo d’esercito e con una brigata del 6° corpo. Da parte dei nemici, a detta dei prigionieri, stavano in battaglia cinque reggimenti di cavalleria e i corpi d’esercito di Niel e di Mac-Mahon, all’ala destra, in faccia all’ala sinistra degli austriaci; nel centro i corpi d’esercito di Canrobert e di Baraguey d’Hilliers e le guardie; finalmente tutto l’esercito piemontese all’ala sinistra: fu dunque in battaglia tutto l’esercito nemico.
L’esercito austriaco sta intiero anelante alla battaglia nelle posizioni ad esso assegnate dal suo duce supremo. Se anche questa volta, per la superiorità del nemico e pel concorso di contrarie circostanze gli fu tolta la palma della vittoria, e perciò incoraggiato e sollevato dalla coscienza non solo di aver dato all’orgoglioso assalitore ripetute prove del proprio valore e costanza, ma eziandio di avergli arrecato in questo scontro gravi perdite da avere essenzialmente scosso la sua forza, o di aver per tal modo, almeno in parte, contribuito a raggiungere il successo finale.
Quartier Generale Austriaco
Villafranca, 28 giugno 1859
(Evitiamo la pubblicazione dei rapporti Franco-Piemontesi di scarsa qualità e "gonfiati" in modo ridicolo. Se volete leggerli potete farlo qui: http://www.solferinoesanmartino.it/solferino/bollettino-francese)
Note aggiuntive:
Non si può peraltro dimenticare che gli eventi svoltisi sui colli di Solferino e di San Martino il 24 giugno 1859 furono da un punto di vista militare influenzati da:
- Presenza dell'Esercito Francese, straordinario strumento di guerra, composto principalmente da Tunisini , Algerini e veterani, temprati in decine di battaglie e dotati di armamenti moderni ed efficienti, come il fucile Minié mod. '59 ed il cannone La Hitte, entrambi a canna rigata.I 78.935 uomini, 9.162 cavalli e 240 cannoni che componevano le forze francesi impiegate nella grande battaglia, guidate da Napoleone III e da una casa militare formata da 41 ufficiali superiori, appartenevano ai primi quattro dei cinque corpi d'armata inviati in appoggio dei sardo-piemontesi , oltre alla Guardia imperiale. Senza di esso l'esercito sabaudo, che era afflitto da difetti che causarono i deludenti risultati nell'ambito degli scontri, non avrebbe vinto probbabilmente nessuna battaglia. Il primo e più rilevante difetto dell'esercito sardo-piemontese era determinato dalla consistente presenza di coscritti forzatamente arruolati per l'occasione, fortemente demotivati, ma anche digiuni del mestiere di soldato, oltre che male armati ed equipaggiati.
- L'Esercito Imperial-Regio dotato di armamenti moderni ed efficienti, oltre che inquadrato secondo una ferrea disciplina, aveva tuttavia il proprio tallone d'Achille nella "competizione interna" . Seguendo la gloriosa tradizione medievale, infatti, pur essendo l'intero esercito al comando dell'imperatore, molti dei suoi reparti erano guidati dai rispettivi comandanti. Tale peculiarità portava ad avere uno Stato Maggiore composto in buona parte da nobili d'alto lignaggio, ora uniti, ora divisi tra loro per ragioni di "gloria personale". I 119.783 uomini, 6.070 cavalli, 417 cannoni e 160 lanciarazzi delle forze Imperial-Regie impiegate, anche se non totalmente, nella battaglia, appartenevano a sette corpi d'armata. Se i loro rispettivi comandanti avessero lasciato perdere la propria ambizione personale per il bene della causa le cose sarebbe andate in maniera molto diversa.
- Il 5° Corpo dArmata francese, agli ordini del P"rincipe" Gerolamo Bonaparte - sbarcato a Livorno e risalite Garfagnana e Lunigiana - stava creando nella media valle del Po una minaccia sul fianco sinistro dell'Esercito Imperial-Regio.• La flotta francese, alla quale si erano uniti alcuni legni della scarsa Marina sarda, e che era all'ancora a Lussino, minacciava di porre d'assedio Venezia.
Il nome di Solferino e S. Martino oltre che per la battaglia testé riassunta, rimane nella storia per cinque motivi:
1. Vi si combatté l'ultima battaglia, nella quale a cavallo in mezzo ai combattimenti vi si trovarono, in un raggio di pochissimi chilometri, sei Capi di Stato: Francesco Giuseppe I d'Asburgo-Lorena,Ferdinando Massimiliano d'Asburgo-Lorena (Viceré del Lombardo-Veneto fino a poco tempo prima, e futuro Imperatore del Messico) , Francesco V d'Asburgo-Este, Ferdinando d'Asburgo-Lorena di Toscana( Figlio del Granduca Leopoldo II d'Asburgo-Lorena di Toscana che nel Luglio dello stesso anno abdicherà in suo favore così egli diventerà Granduca di Toscana con il nome di Ferdinando IV d'Asburgo-Lorena di Toscana ) , Napoleone III e Vittorio Emanuele II di Savoia-Carignano.
2. Nell'Armata francese assai numerosi, per la prima volta nell'Europa moderna, vi furono combattenti di colore, la cui presenza ebbe la funzione di "carne da macello" utile per vincere la guerra. 3. L'Esercito Imperial-Regio, comandato da Francesco Giuseppe, combatté mosso dalla lealtà dinastica e in difesa del principio di legittimità e della vera patria.
4. Infine, ed è il fatto di maggiore rilievo per la storia del l'umanità, quell'evento segnò la nascita della Croce Rossa. Fu invero il vedere i caduti calpestati e mal sepolti, i feriti affidati più alla pietà delle popolazioni che all'efficienza dei servizi sanitari che ispirò ad Henry Dunant l'idea che portò alla creazione della Croce Rossa e che valse al suo fondatore il primo Premio Nobel per la pace.
Video in onore dei veri eroi della battaglia di Solferino e San Martino.
Fonti:
Wikipedia
Epistolario Imperiale di Francesco Giuseppe I d'Asburgo-Lorena
Carteggio del quartier Generale Imperial-regio
Scritto da :
Redazione A.L.I.