giovedì 31 gennaio 2013

L’americanismo come religione civile (quarta parte)


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Continuiamo la pubblicazione, in sette parti, la relazione L’americanismo come religione civile: teoria, miti, prassi, frutti del prof. John Rao (Università di St. John, New York), che si è tenuta presso il santuario di Madonna di Strada a Fanna (Pordenone, 23 agosto 2012) al XL convegno annuale degli “Amici di Instaurare”.
Grassetti, corsivi, sottolineati e “titoletti” sono a cura della redazione di Radio Spada

Roma e l’Americanismo.
Roma non salutò la nascita del sistema americano come se esso fornisse una risposta universale ai tumulti politici e sociali. Tuttavia, il papato era troppo distolto dai problemi europei, dalla rivoluzione radicale alle Guerre Culturali liberali e al modernismo teologico, per mettere al centro delle sue preoccupazioni considerazioni a lungo termine su ciò che stava accadendo negli Stati Uniti…
[Tuttavia] i critici di ciò che allora si chiamava “americanismo” non mancavano… [e] iniziarono un’accurata analisi sostanziale del messaggio di questo pragmatico “sistema per soppiantare tutti gli altri sistemi”, esprimendo serie preoccupazioni sulle sue conseguenze materialistiche… Convinto… che stava accadendo qualcosa di spiacevole, e che l’orientamento “pragmatico” e anti-intellettuale dell’“American Way” rendeva difficile ai suoi sostenitori capire i possibili errori dogmatici, Papa Leone XIII condannò ciò che veniva sostanzialmente identificata come una “possibile eresia” in due encicliche: Longinquina Oceani (1895) e Testem benevolentiae (1899).
Tuttavia, il lavoro di questa prima ondata di critiche fu interrotto dell’ingresso degli Stati Uniti nella prima guerra mondiale… Il periodo isolazionista tra le due guerre fu caratterizzato da un’intensa educazione alla religione civile americana… Quando l’America sicura di sé del secondo dopoguerra fu pronta a diffondere il messaggio americanista in modo coerente e autorevole, i credenti si unirono con entusiasmo nella proclamazione dei benefici dell’americanismo, sottolineando il suo valore cattolico, oltre che laico. Per imitazione, gli stessi credenti propagandarono l’“American Way” come l’unica difesa possibile contro il comunismo ateo, e, quindi, come l’ovvio baluardo della Chiesa universale.
Ma la libertà e l’ordine che i cattolici americani avevano ottenuto attraverso la religione civile nazionale erano stati, ancora una volta, una “libertà” e un “ordine” basati peculiarmente e in modo spesso decisamente contraddittorio sull’illuminismo moderato calvinista e sugli elementi whig materialisti, che formano e influenzano reciprocamente la cultura americana. Sotto la loro guida congiunta, un cattolico scopriva che la sua libertà era duplice.
Da un lato, era la libertà individualista radicale che… “suonava cristiana” perché era ancora molto spesso elogiata con il linguaggio biblico protestante. D’altro lato, era una libertà che non poteva disturbare l’ordine naturalista pragmatico voluto dai pensatori illuministi moderati e dai grossi proprietari, una libertà che evitava il “pensiero conflittuale” e “rendeva integrale” chi la praticava ad una concezione puramente materialistica della vita.

Tale libertà distrusse la libertà delle comunità. Ogni tentativo da parte della Chiesa di utilizzare la propria libertà per mantenere un’autorità sociale cattolica divenne un vero e proprio attacco alla libertà. Vera libertà significava solo concedere ai singoli credenti comuni la libertà di indebolire le strutture ecclesiastiche, di moltiplicare le fazioni all’interno della Chiesa e di impedirle di avere qualsiasi serio impatto nella sfera pubblica. Ma una Chiesa che agiva “pragmaticamente” in questo tipo di società libera, era destinato a diventare nient’altro che l’impotente ramo cattolico della più ampia “Chiesa” americanista.
 Inoltre, anche la libertà dei singoli cattolici era spiritualmente e intellettualmente impoverita e limitata. Ciò era dovuto al fatto che la loro libertà personale di pensiero era stata separata dalla loro libertà personale di azione. L’americanismo dice agli uomini che possono pensare ciò che vogliono, ma non agire di conseguenza, in quanto un’azione basata sul pensiero potrebbe ingenerare divisioni in un mondo, come il nostro, che è caratterizzato da una diversità inevitabile e crescente.
 

 [Fine quarta parte]


Fonte:

http://radiospada.org/

Legge 194: No all’infamia, no alla cultura della morte

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La battaglia della bioetica cattolica si gioca su diversi piani. Il primo e più importante è anzitutto di ordine culturale: “Sullo sfondo c’è una profonda crisi della cultura, che ingenera scetticismo sui fondamenti stessi del sapere e dell’etica e rende sempre più difficile cogliere con chiarezza il senso dell’uomo, dei suoi diritti e dei suoi doveri. […] Tutto ciò spiega, almeno in parte, come il valore della vita possa oggi subire una specie di «eclissi», per quanto la coscienza non cessi di additarlo quale valore sacro e intangibile, come dimostra il fatto stesso che si tende a coprire alcuni delitti contro la vita nascente o terminale con locuzioni di tipo sanitario, che distolgono lo sguardo dal fatto che è in gioco il diritto all’esistenza di una concreta persona umana” (B. Giovanni Paolo II, Enc. Evangelium Vitae, n. 11).
Il secondo esprime il passaggio dalla teoria alla prassi, dalla law in books alla law in action, ed è il piano della concreta iniziativa giuridica. Su tale piano operano l’Associazione NO194 e l’omonimo Comitato referendario, il cui obiettivo finale è l’abrogazione della legge 194/78 nella sua quasi interezza, tramite la proposizione di due quesiti referendari, uno “massimale” ed uno “minimale” in via subordinata. Lo strumento del referendum popolare costituisce, in questo caso, un raro esempio di democrazia al servizio del diritto naturale, invece che della sua negazione e perversione: “il valore della democrazia sta o cade con i valori che essa incarna e promuove: fondamentali e imprescindibili sono certamente la dignità di ogni persona umana, il rispetto dei suoi diritti intangibili e inalienabili, nonché l’assunzione del «bene comune» come fine e criterio regolativo della vita politica. Alla base di questi valori non possono esservi provvisorie e mutevoli «maggioranze» di opinione, ma solo il riconoscimento di una legge morale obiettiva che, in quanto «legge naturale» iscritta nel cuore dell’uomo, è punto di riferimento normativo della stessa legge civile. Quando, per un tragico oscuramento della coscienza collettiva, lo scetticismo giungesse a porre in dubbio persino i principi fondamentali della legge morale, lo stesso ordinamento democratico sarebbe scosso nelle sue fondamenta, riducendosi a un puro meccanismo di regolazione empirica dei diversi e contrapposti interessi” (B. Giovanni Paolo II, Enc. Evangelium Vitae, n. 70).
A questo scopo ultimo, non dissimilmente dai “colleghi” abolizionisti d’oltreoceano (http://abolishhumanabortion.com/) l’Associazione NO194 affianca attività collaterali di sensibilizzazione e pacifica protesta e preghiera, come le “12 ore per la vita”. Il tutto, unitamente alle informazioni e alla modulistica per aderire e sostenere il progetto, è reperibile sull’omonimo sito (http://no194.org/).
 
 
a cura di Ilaria Pisa
 
Fonte:
 
 

LA NECESSITA’ DEL BATTESIMO PER I NEONATI

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Non mancano ai giorni nostri, all’interno del mondo cattolico e non, voci che si levano contro la pratica di battezzare i neonati definendola contraria alla libera volontà dei bambini in questione di ricevere tale Sacramento. Vediamo ora cosa afferma la dottrina cattolica a tal riguardo:
“Necessità del Battesimo anche per i bambini
La conoscenza di tutte queste verità è senza dubbio utilissima ai fedeli. Ma nessun insegnamento è più necessario di questo: che la legge del Battesimo è prescritta dal Signore per tutti gli uomini. I quali, se non rinascono a Dio con la grazia del Battesimo, sono procreati dai loro genitori, siano questi fedeli o no, per la miseria e la morte eterna. Molto spesso i Pastori dovranno commentare la sentenza evangelica: Chi non rinascerà per acqua e Spirito santo, non può entrare nel regno di Dio (Jn 3,5).

L’universale e autorevole sentenza dei Padri dimostra che questa legge va applicata non solo agli adulti, ma anche ai fanciulli
, e che la Chiesa ha ricevuto simile interpretazione dalla tradizione apostolica. Come si potrebbe credere del resto che nostro Signor Gesù Cristo abbia voluto negare il sacramento e la grazia del Battesimo a quei bambini, di cui disse un giorno: Lasciate i fanciulli, e non impedite loro di venire a me; che di tali è il regno dei cieli? (Mt 19,14); e che abbracciava, benediva, accarezzava? (Mc 10,16). Inoltre, quando leggiamo che Paolo battezzo un’intera famiglia, apparisce chiaro che anche i fanciulli di quella furono bagnati al fonte della salvezza (1Co 1,16 Ac 16,33).
Inoltre la circoncisione, simbolo del Battesimo, raccomanda fortemente tale consuetudine. E noto infatti che i fanciulli solevano essere circoncisi nell’ottavo giorno dalla nascita. Nessun dubbio che se la materiale circoncisione, con l’eliminazione di un elemento corporeo, giovava ai bambini, ai medesimi dovrà recare giovamento il Battesimo, che è la circoncisione di Gesù Cristo, non operata da mano di uomo (Col 2,11).
Finalmente, se è vero, come proclama l’Apostolo, che la morte ha esteso il suo regno a causa della colpa di un solo individuo, a più forte ragione coloro che ricevono l’abbondanza della grazia, dei doni e della giustizia, devono regnare nella vita, per opera di un solo, Gesù Cristo (Rm 5,17). Orbene: poiché a causa del peccato di Adamo i bambini contraggono la colpa originale, a più forte ragione, per i meriti di nostro Signor Gesù Cristo, potranno essi conseguire la grazia e la giustizia, per regnare nella vita; cosa però impossibile senza il Battesimo.
Perciò i Pastori insegneranno che i bambini devono assolutamente essere battezzati. Poi, adagio adagio, la puerizia dovrà essere educata alla vera pietà, inculcandole i precetti della religione cristiana. Poiché disse il Savio: Quando l’adolescente abbia preso la sua via, non se ne allontanerà più, neppure da vecchio (Pr 22,6). E non è lecito porre in dubbio che i bambini battezzati ricevano realmente i sacramenti della fede. Se ancora non credono con adesione positiva del loro intelletto, si fanno forti però della fede dei genitori, se questi sono credenti; se non lo sono, supplisce, per usare le parole di S. Agostino, la fede della Chiesa, ossia della società universale dei santi (Lett. a Bonif. XCVIII,5). In verità possiamo dire che essi sono offerti al Battesimo da tutti coloro che bramano di offrirli, e per la carità dei quali entrano a far parte della comunione dello Spirito santo.
Occorre esortare costantemente i fedeli perché portino i loro figli, non appena possono farlo senza pericolo, alla chiesa e li facciano battezzare con la solenne cerimonia. Si pensi che ai piccoli non è lasciata alcuna possibilità di guadagnare la salvezza, se non è loro impartito il Battesimo.Quanto grave dunque è la colpa di coloro che li lasciano privi di questa grazia più del necessario, mentre la debolezza dell’età li espone a innumerevoli pericoli di morte.
 
(Tratto dal Catechismo Tridentino, punto 177 del capitolo “Il Battesimo”)
Similmente, il Catechismo Maggiore di San Pio X afferma che:

“561. Quando si devono portare alla chiesa i bambini perché siano battezzati?

I bambini si devono portare alla chiesa perché siano battezzati, il più presto possibile.

562. Perché si deve avere tanta premura per far ricevere il Battesimo ai bambini?

Si deve avere somma premura per far battezzare i bambini, perché essi per la loro tenera età sono esposti a molti pericoli di morire, e non possono salvarsi senza il Battesimo.

563. Peccano adunque i padri e le madri che per la loro negligenza lasciano morire i loro figliuoli senza Battesimo, o lo differiscono?

Si, i padri e le madri che per la loro negligenza, lasciano morire i figliuoli senza battesimo, peccano gravemente, perché privano i loro figliuoli dell’ eterna vita; e peccano pure gravemente col differirne a lungo il Battesimo, perché li espongono al pericolo di morire, senza averlo ricevuto.
Mentre l’attuale Catechismo della Chiesa Cattolica dichiara:
1250 Poiché nascono con una natura umana decaduta e contaminata dal peccato originale, anche i bambini hanno bisogno della nuova nascita nel Battesimo [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1514] per essere liberati dal potere delle tenebre e trasferiti nel regno della libertà dei figli di Dio, [Cf Col 1,12-14 ] alla quale tutti gli uomini sono chiamati. La pura gratuità della grazia della salvezza si manifesta in modo tutto particolare nel Battesimo dei bambini. La Chiesa e i genitori priverebbero quindi il bambino della grazia inestimabile di diventare figlio di Dio se non gli conferissero il Battesimo poco dopo la nascita [Cf Codice di Diritto Canonico, 867; Corpus Canonum Ecclesiarum Orientalium, 681; 686, 1.]
[…]
1257 Il Signore stesso afferma che il Battesimo è necessario per la salvezza [Cf  Gv 3,5 ]. […]La Chiesa non conosce altro mezzo all’infuori del Battesimo per assicurare l’ingresso nella beatitudine eterna; perciò si guarda dal trascurare la missione ricevuta dal Signore di far rinascere “dall’acqua e dallo Spirito” tutti coloro che possono essere battezzati.[…]”
Un cattolico quindi deve rigettare con forza le false opinioni di coloro che si oppongono al Battesimo dei bambini affermando che dovranno essere loro a volerlo ricevere in età più avanzata.
 
A cura di Federico
 
Fonte:
 

Un improbabile Carlista

Luigi Filippo, Duca d'Orleans
 

Relata Melchor Ferrer  [1] un curioso aneddoto degli ultimi giorni della Restaurata Monarchia di Francia. Nel Marzo del 1830 , pochi mesi prima della Rivoluzione di Luglio, in Spagna Ferdinando VII emanava un illegale pragmatica Sanzione  che pretendeva di dare la preferenza nella successione ad una figlia che il re poteva avere (che tuttavia non aveva ancora) rispetto all'Infante Carlos Maria Isidoro, fratello del Re ed erede presunto. In quel tempo i diritti di Don Carlos incontrarono un difensore inaspettato nel Duca d'Orleans, Luigi Filippo III, più tardi conosciuto come il "re dei francesi", dopo aver usurpato un Trono il quale, in qualità di "Luogotenente Generale del Regno", aveva il dovere di esaltare  al giovane nipote del Re, di soli dieci anni (Enrico V).
Luigi Filippo , Principe del Sangue,  figlio di quel Filippo Egalitè  che votò per la morte di Luigi XVI , membro del club giacobino, fu per breve tempo un Carlista.

Carlos Maria Isidoro di Borbone , futuro Carlos V (r. 1833-1845)
 
 
 

 
Come è possibile? Scrivi Ferrer sui  sovrani europei che inizialmente si opposero alla Prammatica Sanzione:
 
Questi furono i re di Francia, Napoli e Sardegna. I tre avevano un interesse a mantenere il diritto di successione di Filippo V: In primo luogo, perché questa si basava sulla legge di Filippo V in base all'ordine europeo fondato a Utrecht, che eleminava, allo stesso tempo, la pretesa del ramo spagnolo alla Corona di Francia. Così ho compreso la scelta del Duca d'Orleans. A questo proposito,  Cos e Duran dicono : <<"Il Duca di Broglie non doveva fare altro che presentare le diverse note che, in quanto alla pragmatica, Luigi Filippo si era integrato al ministro di Carlo X, nel quale manteneva i diritti di un Re del quale più tardi sarebbe stato carceriere. A questo proposito, troviamo nel "Quotidienne" questo pezzo delle memorie del Principe di Polignac:
 
 "All'epoca nella quale si trattava la questione della successione spagnola, il signor Duca d'Orleans fece frequenti visite al Ministero degli Affari  Esteri. Diede diverse note come prova per dimostrare che Ferdinando VII non aveva il diritto di abolire  con un semplice decreto un ordine di successione riconosciuto dall' Europa e garantito dai soldati. Egli insistette  molto per convincere il Re a prendere misure per ripristinare in Spagna il precedente  stato delle cose . Il Duca d'Orleans credette, con certezza, che io non condividevo le sue opinioni,  tanto che un giorno mi disse: «"Non è solamente come  francese che  prendo vivo interesse per questo problema, ma anche come padre. Nel caso in cui (non ci vorrà molto tempo) ci trovassimo disgraziatamente nella  sfortuna di perdere il Duca di Bordeaux[2], senza figli maschi, la Corona ricadrebbe sul mio figlio primogenito, fin tanto che  la legge semi-salica viene mantenuta in Spagna: ma , se non ci fosse, la rinuncia fatta da Filippo V al Trono di Francia , per se e i suoi discendenti in linea maschile, sarebbe nulla; posto ché, in virtù di questa rinuncia, i discendenti maschi di tale Principe acquisiscano un diritto indiscutibile sulla Corona di Spagna. Ma se questo diritto sarà tolto, essi potranno con tutta evidenza rivendicare quello che li è concesso dalla legge Salica francese  nell'eredità di Luigi XIV. Mentre , come nipoti di questo Monarca, diventerebbero il ramo maggiore, passando davanti ai miei figli nel diritto di successione.»” [3]
 
 
 La protesta francese è stata fatta a nome di Carlo X dal suo rappresentante a Madrid.
[…]
La protesta francese fu , ed è , poco conosciuta. La rivoluzione di luglio del 1830 rovesciò il trono legittimo del Re Carlo X, e usurpando la Corona  il Duca d'Orleans del quale abbiamo visto prima le preoccupazioni nello scritto del  Polignac, come segno del trionfo del liberalismo, dimostrò di avere altri interessi da tutelare, piuttosto che difendere un diritto che aveva violato.
 
Il Duca d'Orleans acclamato dai Rivoluzionari
 
 
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[1] Melchor Ferrer, Domingo Tejera y José F. Acedo: Historia del Tradicionalismo Español, Volumen 2: El precarlismo: desde el pronunciamiento de Riego hasta la muerte de Fernando VII.
[2] Enrique, Conde de Chambord (1820-1883), nieto de Carlos X. Futuro Enrique V de Francia y Navarra.
[3] “Le droit legitime au trône d'Espagne” (Nota dell'originale)


Fonte:
 
 
Scritto, tradotto e adattato da:
 
Redazione A.L.T.A.
 
 
 

 
 

mercoledì 30 gennaio 2013

La Monarchia sacra Parte Sesta : La Monarchia sacra e il Papato : Il Papato nel secolo di ferro (900-962)

Papa Benedetto IV (Roma, ... – luglio 903)
 
 


L’incapacità degli ultimi sovrani carolingi e dei loro successori d’intervenire efficacemente nella penisola, lasciò la carica papale spesso in balia delle forze locali, aprendo la strada ad una serie di pontificati brevi e tumultuosi, dove spesso i pontefici erano espressione dell’aristocrazia romana al potere. Le due supreme autorità, in- fatti, periclitavano entrambe, l’una incapace di riprendere il proprio ruolo di guida suprema della cristianità davanti all’insorgere di molteplici principati territoriali, che agivano da sovrani semi-indipendenti, il papato assoggettato ai giochi ristretti delle varie fazioni, che si contendevano la supremazia dell’Urbe.

Nei primi decenni del secolo, benché il Pontificato si fosse legato e quasi dipendesse dai discendenti di Teofilatto, alleati per via matrimoniale con Alberico di Spoleto, che ne aveva sposato la figlia, Marozia (905 circa) i Papi non mancarono di tener alta l’idea della necessaria e concorde unione tra le due massime autorità. Questo spiega perché  Benedetto IV incoronò Imperatore nel 901 Ludovico III di Provenza (901-915), mentre il ravennate Giovanni X (915-928), artefice della strepitosa vittoria al Garigliano sui saraceni (agosto 915) sul finire di quel medesimo anno consacrò solennemente alla suprema carica Berengario I (26 novembre o 3 di- cembre). Dopo che questi fu assassinato a Verona (924), il Papa si rivolse al nuovo sovrano, Ugo di Provenza  (926-946), per incitarlo ad intervenire nell’Urbe. I due si incontrarono a Mantova nel 926, dove Giovanni X espose «la necessità della stretta collaborazione che doveva sussistere tra i due poteri e riconosceva l’indipendenza dell’auto- rità sovrana, la sua diretta derivazione da Dio; solo come uomo e credente e non come go- vernante il re è soggetto agli ecclesiastici»326. Caduto vittima di una congiura il Papa morì in carcere, forse soffocato, nel giugno 928. Marozia, l’energica figlia del nobile Teofilatto, divenne la padrona dell’Urbe, innalzando al soglio pontificale sue creature, tra cui il figlio Giovanni XI (931-936), ma quando volle sposarsi col Re d’Italia, Ugo di Provenza (926-946), fu rovesciata da una congiura capeggiata dal suo primogenito Alberico II (932-954), che divenne il nuovo signore della Città eterna (932). Nel ventennio in cui Alberico resse le sorti di Roma, designò direttamente i sommi pontefici che si susseguirono, tra i quali spiccano, comunque, alcuni degni successori di S. Pietro, come Leone VII (936-939), Marino II (942-946), Agapito II (946- 955). D’altra parte, il principe era animato da sinceri sentimenti religiosi, e favorì l’introduzione in Roma della riforma del clero promossa dai monaci di Cluny. Nell’agosto 954, poco prima di morire, Alberico fece giurare a clero e popolo, che alla morte di Papa Agapito, sarebbe stato prescelto suo figlio Ottaviano, il futuro Giovanni XII (956-964). Il nuovo Pontefice iniziò a regnare all’età di 16 anni!

La Monarchia sacra Parte Sesta : La Monarchia sacra e il Papato : Papato ed Impero nella seconda metà del secolo IX

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Papa Benedetto III (855-858)


Qualche anno dopo, succeduto a Lotario I il figlio Ludovico II (855-875), ad un tempo Imperatore e Re d’Italia, l’applicazione della Costituzione fu messa a dura prova alla morte di Papa S. Leone IV (847-855). L’elezione di Benedetto, cardinale di S. Cecilia, non venne ratificata dai messi imperiali. Il sovrano, allora, avanzò la candidatura di Anastasio. Tra varie vicissitudini, si stabilì che, per evitare lo sci- sma, dopo un digiuno di tre giorni, l’elezione sarebbe stata ripetuta. Benedetto III (855-858) fu di nuovo il prescelto, ottenendo infine la ratifica degli inviati imperiali e intronizzato. Alla morte di Benedetto (858) gli subentrò il grande e pio S. Nicolò I (858-867), eletto «in presenza e con il favore di Ludovico e dei suoi maggiorenti più che per scelta del clero». Mentre andava declinando il prestigio e l’autorità imperiale, tuttavia, durante gli ultimi decenni del secolo IX, i Pontefici romani cercarono di modificare a proprio vantaggio le condizioni delle designazioni papali, coll’intento di limitare quanto pos- sibile l’azione monarchica. Già Marino I (882-884) aveva promulgato una decretale che escludeva il messo imperiale dall’elezione del Pontefice. Adriano III (884-885) stabilì a sua volta che l’elezione pontificale avvenisse in completa autonomia dall’Impero e, quindi, senza la presenza di legati del sovrano, e che, alla morte di Carlo il Grosso, la corona dovesse passare di diritto ad un principe italico. Anche il Papato, tuttavia, in questo crepuscolo della dinastia carolingia subì il contraccolpo negativo della mancanza di un autorevole potere monarchico alleato alla Chiesa. Il venir meno infatti dell’azione imperiale in Roma, gettò nuovamente la città in preda ai disordini, e le lotte di fazione ripresero con virulenza sul finire del se- colo. Durante il pontificato di Stefano VI (896-897), che si era visto contrapporre dalla fazione rivale un antipapa (Bonifacio VI) e che morì strangolato (agosto 897), avvenne il celebre ‘sinodo col cadavere’. Si raccolse in S. Pietro un singolare tribunale che volle giudicare post mortem l’operato del defunto papa Formoso (891-896)! Il suo corpo fu riesumato, venne rivestito dei paramenti pontificali, mentre un diacono gli fu messo a fianco con l’incarico di rispondere alle domande dell’accusa. Poiché For- moso venne trovato colpevole di numerosi reati (ambizione, ostilità verso Giovanni VIII, spergiuro, irregolarità canoniche ecc.) le vesti dell’ex pontefice furono lacerate, gli vennero amputate le tre dita della mano benedicente, e i miseri resti, trascinati at- traverso le strade di Roma, furono gettati nel Tevere! Alla morte di Teodoro II (897) che aveva regnato per pochi giorni, ancora uno scisma: due prelati si contesero il soglio papale, Sergio e Giovanni IX, il quale riuscì a prevalere. Costui che regnò dall’898 al 900, trovò un valido alleato nell’Imperatore Lamberto di Spoleto (894-898). Venne, infatti, convocato a Ravenna nell’estate 898 un concilio che raccolse quasi cento vescovi. Tra le varie questioni che vi furono trattate, l’assemblea ritornò a discutere sull’annoso problema delle designazioni pa- pali ed in generale sui rapporti tra i due supremi poteri. Per quel che riguarda il primo punto, dopo il fallimentare esito dell’esercizio della libertà elettorale nelle nomine pontificali degli anni precedenti, venne rimessa in vigore la Costituzione dell’824 con la ratifica imperiale prima della consacrazione dell’eletto.

Perchè i Re devono evitare i matrimoni diseguali

 
José Antonio Manso de Velasco, Conte
di Superunda, Viceré del Perù.
 
 
 
E 'noto che Carlo III di Spagna , attraverso la pragmatica del 1776, escludeva dalla successione al Trono i figli dei membri della famiglia reale nati da matrimoni morganatici:
 
"Non succederanno  i discendenti di questi matrimoni in tali dignità, onori, titoli o beni provenienti dalla Corona [...] Nessuno di  questi discendenti di questi matrimoni misti può far uso dei cognomi e delle braccia della Casa  le cui proprietà sono privati​e. "
 
(legge IX, p. 12, titolo II del libro X delle ultime ricompilazione)
 
 
Perché? Perché questo sforzo da parte dei Re di contrarre matrimoni  solo con altre famiglie reali ?Era l'orgoglio di casta, la paura di "plebeizzare la monarchia"?  Un morboso fascino per l'endogamia? Oppure, per essere più indulgente, tali norme avevano un senso per la mentalità del tempo, mentre oggi sarebbero anacronistiche.
Perché, si sa, nella nostra società ha trionfato l'amore libero , ed è molto romantico vedere di tanto in tanto una Cenerentola nella quale le ragazze sono in grado di identificarsi.
Beh no. Questa usanza dei saggi Re , che  ancora una volta diressero tutta la loro vita privata per il buon governo dei loro stati, è (ancora) un obiettivo molto ragionevole. La seguente curiosità può aiutare a capire:
 
 
 
 Nel Regno della Corona di Castiglia che comprendeva l'America Spagnola, il Viceré ed i principali dignitari erano oggetti ad un esaustivo regolamento contenuto  nelle leggi delle indie, tanto per le loro relative funzioni quanto per la vita privata. Le proibizioni riguardanti la vita familiare dei Viceré erano particolarmente severe, quasi platonicamente, ricordando la famiglia che condannava gli ateniesi   per il Re-filosofo della loro città ideale. Filippo IV , per esempio, proibì senza eccezioni che il nuovo  Viceré del Perù e Nuova Spagna fosse accompagnato dai suoi figli alla destinazione prefissata perché , si ricordi, il suo mandato  poteva durare un decennio, anche se non era di consuetudine.  
 
Tra queste proibizioni troviamo i seguenti divieti:
 
"Che nessun  Viceré , Presidente, Magistrato, Sindaco , o Avvocato , o loro figli e figlie, si sposi nei loro distretti, pena la perdita dei loro uffici"
 
(Legge 82 , titolo XVI del libro II delle leggi delle indie, 1680) (Recopilación de Leyes de las Indias de 1680)
 
 
 
 
I Viceré non potevano sposarsi con una donna del territorio soggetto alla loro giurisdizione, durante la loro carica . Ne potevano avere figli! Perché? Perché è  " opportuno per la corretta amministrazione della nostra giustizia [...] che restino privi di parentela e di legami familiari in quei  territori". Il  Viceré non è solo il Capitano Generale e Governatore dei suoi distretti, altresì è Presidente  della Real Udienza: Amministra la Giustizia.
 
E il  Viceré è il "Alter Nos" del Monarca, rappresenta la sua persona. Se amministra la giustizia , è perché fa il Re. La giustizia deve essere imparziale, e la tentazione del favoritismo non deve ostacolarla. Per questo il Re , come il  Viceré, non deve sposarsi con nessuna donna del suo Regno. Però a differenza del  Viceré , il posto di Re è per tutta la vita ed i suoi diritti interessano l'intero Regno. Non è una questione di classismo, e non è nemmeno il rimedio per volgere lo guardo  all'esterno del Regno. Perché ogni donna all'interno del Regno, salvo che appartenga alla famiglia Reale ed elevata per nascita, anche se la prendesse come amante il Re resterebbe in una posizione privilegiata. Tanto meno l'avrebbe presa come sposa!
La ragione che sta dietro alle condizioni che il Viceré deve accettare per assumere tale carica, sono quelle  per le quali l'Infante accetta il fatto che sposandosi morganaticamente vedrà la sua discendenza esclusa dalla successione al Trono, è una cosa sola.
 
L'esempio sopra esposto, il quale spunto ci arriva direttamente dai Nostri amici Carlisti, dimostra come un vero Sovrano è soggetto a delle leggi rigide ma giuste pari ai diritti dei quali esso gode , egli è il primo a doverle rispettare. Queste leggi permettono un'ottima funzionalità della società intera negli Stati ad esso soggetti, evitando lotte di casta e arrivismi di sorta( tutte cose a cui ci hanno abituato le attuali "monarchie liberali/costituzionali).
 
 
 
 
Fonte:
 
 
 
Scritto , tradotto e adattato da:
 
Redazione A.L.T.A.
 
 
 
 
 

martedì 29 gennaio 2013

LA SOCIETA' TRADIZIONALE

Piramide che mostra l'ordinamento della Società Tradizionale in maniera semplificata:
Alla base c'è il popolo (operai, dipendenti, ecc...) e la borghesia (piccola-media-grande). Sopra c'è l'esercito e il Clero mentre in cima vi è la Chiesa Cattolica Apostolica Romana e il Sovrano (Re, Imperatore, ecc).


Ecco tre aggettivi che  qualificano particolarmente la Società Tradizionale : gerarchica, sacrale, organica.

- Gerarchica: al contrario di proporre una falsa libertà per mezzo del concetto satanico di "autorealizzazione", prettamente individualista e prometeico, essa si fonda sul rispetto delle distanze naturali che vi sono tra chi nella società è chiamato a svolgere ruoli differenti, cosicché il corpo cresce ben compaginato e connesso.


- Sacrale: non indica il fatto che il potere civile è sottoposto a quello ecclesiastico, ma che i vincoli di sangue e il diritto hanno carattere sacro e che il braccio secolare ha il compito di promuovere anche la salute spirituale del Popolo, oltre che quella materiale fine a sé stessa.


- Organica: alla società tradizionale è sconosciuto il concetto moderno di Stato, che lo rende un assoluto, unico creatore dell'etica e per conseguenza del diritto; invece, lo stato tradizionale è sussidiario: più organi, rappresentativi anche della più bassa plebe, garantiscono la libertà e la reale rappresentanza popolare, a differenza dei partiti ideologici, che rappresentano una classe politica. Il re come tutti i magistrati (=cariche pubbliche) sono vincolati con giuramento a rispettare le tradizioni e gli statuti dei vari organi della società civile e dunque il loro potere non è mai assoluto.



Di Redazione A.L.T.A.

La Civiltà Cattolica anno I, vol. I, Napoli 1850 pag. 53-73. R.P. Matteo Liberatore D.C.D.G. RAZIONALISMO POLITICO DELLA RIVOLUZIONE ITALIANA



Fu detto e corse per le bocche di molti, che la rivoluzione scoppiata ultimamente in Italia fosse e dovesse dirsi ideale. Cotal sentenza, dove resti priva di schiarimento, non dice nulla; conciossiachè, essendo proprio dell'uomo muoversi ad operare per conseguire un qualche fine preconcetto nel suo pensiero, potrà chiamarsi ideale qualunque impresa a cui egli volga l'animo e l'azione. Ma in buon punto viene a rimuovere questa incertezza il dottor massimo dell'italiano incivilimento col determinare il peculiar senso di quell'ambiguo pronunziato così scrivendo [1]: La rivoluzione odierna è ideale, perchè è la prima effettuazione politica dell'idea cristiana nella sua pienezza, che è quanto dire dell'idea cattolica. La rivoluzione ideale è dunque religiosa, perchè la religione è la somma ragione, e Iddio la prima idea anzi l'unica da cui ogni altra intellezione rampolla; ed essendo religiosa è eziandio cristiana e cattolica. Quella sostituzione ingegnosa di somma ragione al concetto di religione, e quella arguta inferenza dell'esser cattolica in quanto cristiana, e cristiana per questo stesso che religiosa, già rende il velo tanto sottile, che il trapassarvi dentro collo sguardo fia ormai leggiero ad ogni mediocre intendimento.
Tuttavia poichè una inchiesta accurata sull'indole delle preterite agitazioni italiane può riuscire a molto utile ammaestramento, io mi studierò di chiarire alquanto meglio il vero senso dell'idealità onde vanno fregiate. E togliendola dal gergo delle parole sotto cui giace nascosa: la presento nelle genuine sue forme, e secondo il suono del comune linguaggio. Dico adunque che l'italiana rivoluzione fu e potè dirsi ideale in questo senso, che intendea alla prima effettuazione politica dell'idea protestante nella sua pienezza, che è quanto dire del razionalismo, e che per conseguente fu anticristiana ed anticattolica.
Quando nomino rivoluzione italiana, io son lungi dall'avvolgere nella odiosità di tal nome tutti quelli che presero parte al movimento; ma intendo solamente dir di coloro che da prima la suscitarono, e poscia divenendone moderatori e tirandola ai loro disegni la magagnarono fino a spingerla nell'anarchia. Se dei primi io parlassi mi vedrei tosto sorgere incontro una numerosissima schiera di bene intenzionati e leali che agevolmente mi smentirebbero. E l'aver essi disertate quelle bandiere tosto che le videro fatte segnacolo di miscredenza, non li addimostra immeritevoli di richiamo sì grave? Se prestaronsi in sulle prime a chiedere e procurare alcun cambiamento nella cosa pubblica, ciò avvenne perchè si diede loro ad intendere non pretendersi altro che miglioramenti civili, cui non è meraviglia che ogni anima retta e grande vagheggi ed accolga fin dove è speranza che se ne vantaggi la patria. Laonde non possono esser ripresi se non di troppo buona fede, massime se si considerino le arti ipocrite che ad uccellarli vennero adoperate.
Adunque non sono essi, di cui io parlo; piuttosto essi sono a cui precipuamente intendo parlare. Imperocchè se si ritrassero dal far comunella coi perfidi agitatori, vi furono indotti a vero dire dagli orrori a cui credettero riuscir la rivolta non per indole propria, ma per abuso che ne facessero alcuni tristi. La più parte però di essi non ancora pienamente è convinta dell'elemento antireligioso che ne formava come il midollo ed era l'occulto principio onde sorgeano sì turpi effetti. Ma a trarli dall'inganno o almen dal dubbio in che sono gioverà forse alcun poco questo mio scritto, nel quale dimostrerò tre cose:
I. Che l'idea protestante nella sua pienezza sia il razionalismo.
II. Che di siffatto razionalismo la rivoluzione italiana nella maniera spiegata di sopra cercò la prima effettuazione politica.
III. Che quindi essa riuscì ad essere anticristiana ed anticattolica.

I.

Il razionalismo, quale che egli sia, si riassume in questa formola, che la sola ragione debba aversi da noi per fonte di ogni vero, tanto speculativo che pratico. Perchè fu detto ancora naturalismo, in quanto rinnega tutto che senta di soprannaturale; e deismo, laddove ammessa l'esistenza di Dio e la sua provvidenza, non rifiuti le idee religiose che scaturiscono dalla nuda ragione, ma sol rigetti le verità rivelate e i fatti trascendenti l'ordine di natura.
Ciò posto, ci potrebbe parere a prima giunta calunnioso ed ingiusto attribuirlo al protestantesimo in generale, potendo al più dirsene contaminata qualcuna delle tante sue sette, come verbigrazia i Sociniani, i quali trascorrendo oltre i confini segnati dalla riforma, rifiutarono ogni mistero, e si attennero al semplice lume della ragione. Ma i Luterani, i Calvinisti, i Zuingliani, gli Anabattisti, gli Anglicani, i Quacqueri, i Puritani, i Metodisti con tutto lo sterminato stuolo di confessioni diverse, che vengono significate dal comune nome di protestanti, come possono accagionarsi di razionalismo, quando pure ricevono la bibbia, ammettono la rivelazione, credono ai misteri ed ai prodigi operati da Cristo e dagli Apostoli? Al più potrebbe dirsi ch'esse gli spianarono la via, lo produssero per indiretto, in quanto scosso il giogo dell'autorità della Chiesa, solleticarono la ragione all'assoluta indipendenza da ogni estraneo principio. E così volendo l'autonomia sul credere, si passò a volere l'autonomia nel pensare; e l'umana intelligenza sconosciuto il legittimo giudice in fatto di verità rivelate, sconobbe in breve la stessa rivelazione, nè volle credere che a sè medesima. Ma tranne quest'unico riguardo, il razionalismo nel rimanente fu straniero alla Riforma; la quale se ribellossi all'oracolo della Chiesa, restò sommessa agli oracoli divini manifestati nelle Scritture in cui ripose l'unica regola della Fede.
Così argomenterebbe per certo chi in questo esame star volesse alle sole apparenze, nè penetrare più oltre della corteccia. Ma per poco che l'obbietto più attentamente si affisi, e la considerazione più intimamente vi si profondi, non può a meno che il protestantesimo non si rilevi non pur come l'occasione e la spinta, ma come l'effettivo principio, come la causa necessaria del razionalismo, che da lui in verità non si distingue se non come l'animale dall'embrione. Di fatti qual'è l'idea principe, quale il costitutivo essenziale dei protestantesimo? Non altro per fermo che il libero esame della ragione in fatto di credenza. Questo è lo spirito unico che avviva quelle membra, questo la radice comune onde pullulano quelle propaggini, questo l'elemento invariabile che le informa, questo il motivo per cui tutte al medesimo nome parteciparono.
Chi entra a vestigar l'essenza di un dato obbietto affin di distinguerla dagli aggiunti che la rivestono, dee certamente seguir questa norma e questo criterio. Dee cioè mirare a quel che varia e si tramuta senza che perisca e si annulli la cosa di che si tratta, e a quel che rimane sempre costante sotto le diverse forme che o nello stesso o in altri subbietti van succedendosi. Imperocchè egli è certo, che gli accidenti, i modi, le qualità avventizie possono scemare o crescere, andare o venire, ottimamente conciliandosi la loro mutazione con la medesimezza dell'essere fondamentale. Ma la sostanza, il fondo, la proprietà dominante convien che resti sempre la medesima, convien che si trovi e duri dovechè trovasi e finchè dura la cosa stessa. Ora il protestantesimo sussiste tuttora e fede ne fa il nome, il quale suona anche oggigiorno sulle lingue degli uomini. Nome, che quantunque si originasse da un accidente fortuito, in quanto se ne insignirono la prima volta quei principi alemanni e quelle città imperiali che protestarono contro i decreti della dieta di Spira, tuttavia rimase come appellazion distintiva di tutta la rivoluzione religiosa del secolo XVI e delle diverse fazioni che poscia ne pullularono. Eppure se ci facessimo a disaminare nel protestantesimo i parziali suoi dogmi, lo troveremmo tanto dissimile da quel che nacque, che più nol ravviseremmo per desso. Dippiù, il numero sterminato di sette ch'ei partorì fin da principio, furon tutte discrepantissime fra di loro: di talchè il semplice catalogo di tante opinioni diverse ed opposte è materia da formare un volume. Ora chieggo io: in tanta distinzione e contrarietà di credenze, che ci ha egli di comune, di permanente, di unisono? Una cosa sola: la libertà di discutere, di esaminare, di definire, di accogliere il dogma per senno proprio, non per altrui imposizione o magistero. So ben io che i pretesi riformatori non furono nella pratica fedeli alla massima che predicarono; e l'infelice Serveto da Calvino costretto ad espiare sul rogo la colpa di aver voluto anche egli godere la libertà di credere e d'insegnare a talento, fu una delle infinite vittime martoriate ed immolate dalla intolleranza spaventosa delle sette. Ma questo è proprio di tutti i ribelli: erger per sè il trono della tirannide sulle rovine dei potere legittimo che atterrarono. Per altro ciò nulla toglie alla universalità del principio dalle nuove sette introdotto: il libero esame della ragione, che fu il punto culminante a cui tutte mirarono, l'idea dominatrice da tutte abbracciata, la tesi comune in cui tutte accordaronsi a protestare contro l'autorevole tribunal della Chiesa.
Or chi non vede che in forza di un tal principio il vero carattere del protestantesimo si è di essere una piena rivolta della ragione contro la rivelazione, l'eresia, per antonomasia, val quanto dire nella sua più alta potenza, nel senso più ampio della parola? Le altre sette impugnarono questo o quel dogma; il protestantesimo gl'investe tutti in complesso investendo il sostegno a cui tutti si appoggiano, ed il principio onde tutti procedono. Il libero esame si travaglia e giudica intorno ai misteri, esso determina la materia da credersi; adunque l'obbietto della fede sarà frutto della ragione, da cui riceve la determinazione e la forma, non differirà veramente da una semplice opinione, da una veduta, più o meno ingegnosa dell'uomo. Importa poco che per ora si ritengano tuttavia le voci di dogma, di rivelazione, di credenza. Codeste parole spariranno tra poco, ovvero resteranno a significare il senso che alla libera ragione piacerà di loro concedere. Il seme del razionalismo è già piantato, esso ha già gittate le radici, presto o tardi dovran germinarne i rampolli. Stabilita una volta l'umana intelligenza qual giudicatrice ed arbitra suprema del vero, la rivelazione ha già perduta la propria indipendenza, è scaduta d'ogni dritto, essa non gode che di un essere precario, e all'altrui mercè sottoposto. Potremmo anzi dire che essa è spenta del tutto; perciocchè niente rileva che si lasci ancor sopravvivere tra gli sfinimenti e i singulti dell'agonia; dato che sia il colpo mortale, il delitto è consumato.
D'onde può raccogliersi la sola soddisfacente spiegazione del tanto dilatarsi che fece fin da principio la settentrionale eresia e del durare che fa tuttavia indomita ed ostinata. Il che, se mal non discerno, riverbererà nuova luce sull'assunto presomi a dimostrare.
Nè innanzi nè dopo pel volgere di tanti secoli surse mai altra setta che abbia al pari di questa afflitta la Chiesa, nè di cui siansi veduti progressi più rapidi o più durevoli. In un angolo della Sassonia si manifesta un uomo turbolento o baldanzoso che, ferito da meschina rivalità di mestiere, leva la voce contro i banditori e poi contra l'uso delle indulgenze. Da un errore trascorrendo in un altro, quasi per altrettanti anelli d'una stessa catena, sforma la più parte de' dogmi e della disciplina ecclesiastica, e finalmente rompendo in aperta ribellione, brugia pubblicamente in Wittemberga la bolla onde Leone X scomunicavalo. Rinnegata l'infallibile autorità della Chiesa, e attribuito alla ragione individuale il diritto d'interpretare e definir la Scrittura, leva alto il segnale della rivolta. Fu questa una scintilla che quasi appiccatasi in secco stame eccitò una pressochè universale conflagrazione. Da un capo all'altro invase la Germania, si dilatò nella Francia, nella Svizzera, nell'Inghilterra, dove un coronato lascivo col ferro e col fuoco spianavale il varco: e a grande stento potè francarsene la Spagna e l'Italia. Cessato il bollor primo, non per questo si spense, ma si sostenne; e dopo tre secoli continua ad imperversare ostinata ed indomabile? Qual fu la potente cagione di tanto effetto? Invano la cercheresti nella cupidigia de' principi alemanni, che sperarono arricchirsi delle spoglie del Clero; invano nel bisogno di riforma quanto ai costumi; invano nella torbida eloquenza de' novatori, e nell'ignoranza e nel fanatismo dei popoli che allora uscivano dalla barbarie. Queste e simiglianti cose sono in gran parte esagerate; ed esprimendo cause parziali, transitorie, variabili, non possono dare spiegazione ragionevole d'un fenomeno sì universale, sì uniforme, sì perseverante. Poterono bensì occasionare l'incendio ma non generarlo, essergli di fomento e di presidio, ma non di sola o primaria cagione. Se la causa dee almen pareggiare l'effetto, la vera causa di quell'incendio dovett'essere qualche cosa di universale e costante nell'uomo, che dalla qualità de' tempi ebbe destro di pronunziarsi ed agio a dispiegar le sue forze. Questa per quanto ti lambicchi la mente e ti travagli in discorsi, non troverai poter esser altro che l'orgoglio della ragione impaziente del giogo che la rivelazione imponevale, e vaga di reggersi da sè medesima. Or quest'orgoglio appunto il protestantesimo tolse a cliente e protesse con ogni lembo del suo variegato mantello. Quindi fu naturalissimo il trovar tanto ascolto e tanto favore presso ogni ordine di persone e in sì diversi paesi, poichè toccava un tasto assai largamente disteso e per ogni dove atto a rispondere. Le altre eresie svanirono o al manco si limitarono a confini assai stretti d'una terra o d'un popolo, perchè ebbero puntelli parziali forniti dalle circostanze delle persone e dei luoghi. Ma il protestantesimo che appoggiavasi ad un sostegno universale e perpetuo, dovea ricevere per questa parte una certa universalità e perseveranza indomabile. Esso non è perito, oso aggiungere non perirà giammai, in quanto immortale è nell'uomo la rea radice onde germoglia [2]. Di che di passata puoi osservare quanto poca filosofia mostrassero quegli scrittori, ed il Guizot segnatamente, i quali reputarono a debolezza de' missionarî cattolici il non aver conquisa e doma quell'idra a malgrado del tanto affaticarsi attorno che fecero e negli sforzi che raddoppiarono. Un tal rimprovero mostra il poco senno di chi lo fece, dacchè basta la più lieve considerazione a comprendere che tanto effetto non era possibile, secondo le leggi di natura, nè a Dio piacque operare sì universale prodigio. Ben fu opera meravigliosa e frutto di sforzi eroici l'averne arrestati i progressi e sgagliardite le forze, sicchè l'incendio scemasse invece di crescere, nè potesse più nuocere, se non a chi ci si gettasse dentro ad occhi veggenti.
Non dissimulerò che il protestantesimo benchè in forza de' suoi principi gettasse i semi del razionalismo, tuttavia per venire all'estremo di formarlo schietto ed esplicito avesse mestieri di un progresso, che nell'ordine delle idee si esegue mediante il discorso nell'ordine de' fatti mediante il tempo, e la successiva esplicazion degli eventi racchiusi prima della cagione. Ma ciò niente indebolisce la certezza della mia assertiva che il razionalismo sia l'idea protestante nella sua pienezza; imperocchè ad avverare siffatto pronunziato non è necessario che il semplice e pretto razionalismo si erigesse in sistema fin da principio: basta che colà venir si dovesse in forza di necessaria inferenza; e questo dopo il ragionato fin qui non pare che da uomo d'intelletto si possa recare in dubbio.

II.

Men forse evidente potrà sembrare ciò che asseverai in secondo luogo, cioè che di questa idea protestantica, la quale vedemmo altro non essere che il razionalismo, l'italiana rivolta intendesse farne la prima applicazione politica. Nondimeno a chiarircene basterebbe por mente alla qualità de' suoi operosi campioni, e alla cura grandissima che si diedero di rimuovere mano mano dalla civil società gli elementi cattolici che la informavano, per abbandonarla alle sole forze della ragione. E veramente chi essi furono questi campioni che si fecero corifei e capi del movimento? Mi si dica in buona fede, quai principî, quali massime professavano in fatto di religione? Io non accenno a veruno in particolare, benchè per la loro funesta celebrità i nomi di molti potrei qui ricordare, senza tema di rendermi odioso e maledico. Ma io mi fo legge di tacere affatto delle persone, e mi tengo sull'astratto e sul vago, bastandomi di corrispondere, senza bisogno di parole, colla privata coscienza di chi mi legge. Ad essa dunque volgendomi torno a chiedere, mi si dica senza orpelli e senza velo, che sorta di uomini e quanto cattolici furono generalmente in Italia gli antesignani della rivolta? Io non imiterò colui che parlando d'un'assemblea, che pur tra le italiane non era la più screditata, dicea che avrebbe voluto recarcisi a interrogar quella eletta di deputati: quanti tra essi avessero in quell'anno presa la Pasqua. Intendo bene non essermi lecito entrar nel segreto della privata morale, nè vorrò contrastare potersi trovar di coloro i quali difettino di pratiche religiose in qualità di privati, e nondimeno le caldeggino in altrui siccome saldi ed integri tuttavia nella purezza del credere. Ma anche limitandomi a ciò che è pubblica professione, o se meglio aggrada, alla sola parte teoretica del cattolicismo, non è egli vero che, salvo pochissime e molto onorevoli eccezioni, la grande schiera dei nostri rigeneratori era composta, parte di volteriani marci fin nelle viscere, val quanto dire di razionalisti nella forma più laida e più grossiera; parte di atei o panteisti o deisti; parte di uomini, direm così catoniani o foggiati sul tipo dei prischi tribuni della plebe, coperti all'esterno d'un velo di religione e fieri soltanto d'una moralità gentilesca; parte finalmente, a volerne la crema, di persone cattoliche di un nuovo conio, che vanno in estasi pel cattolicismo purchè serva di mezzo alla indipendenza e glorificazione d'Italia, facili per altro ad adorar Lutero o Maometto se possono sperarne meglio per le loro utopie. Tolga Dio (la gravezza dell'imputazione mi costringe a ripeterlo) che io voglia attribuire a tutti tanta empietà. Eranvi alcuni che per ispecchiata morale e fede sincera ispiravano non poca fiducia. Ma tranne questi, i quali furon sì pochi da potersi contare sulle dita, tutti gli altri la gran maggioranza, l'universalità, quasi dissi, non può querelarsi d'essere aggravata dai colori coi quali io l'ho dipinta.
E che quel ch'io dico sia vero ben nol nascose l'effetto, allorchè saliti costoro al potere ebbero in mano le sorti della Penisola. Allora poterono mostrarsi per quelli che erano e con tanto maggiore evidenza quanto più pubblici erano i consigli e le opere che vi recavano. Quale tra essi in qualunque luogo o tempo per questi due ultimi anni può lodarsi d'essere apparso riguardoso verso la religione e tenero dei suoi immortali interessi? Misurate d'un guardo dall'un estremo all'altro l'Italia, ricordate i singoli atti, i decreti, i conati, i progetti, le dicerie che o si scrissero nei dicasteri o si declamarono nelle assemblee. Potete voi recare un solo atto, una sola parola, da cui trasparissero sentimenti cattolici, obbedienza alla Chiesa, zelo perchè essa ripigliasse gl'imprescrittibili suoi diritti menomati e calpesti per tante parti?
Nè, credo, altri vorrà obbiettarmi le acclamazioni, gli evviva, che risuonarono pel nono Pio, e la tinta religiosa che volle darsi al movimento. Imperocchè, come dirò più sotto, quelle furono arti che miravano a troppo biechi ed ipocriti disegni, e su quegl'inizî giovavano mirabilmente allo scopo di santificar la rivolta agli occhi dei meno accorti e ingraziarla nell'animo di non pochi sinceri cattolici; i quali credendosi forse di fare ossequio a Dio concorressero senza saperlo a promuovere l'opera malaugurata. Ma senza ciò, questi medesimi infingimenti si dismiser ben presto, per cedere il luogo a manifestazioni e conati di tutt'altro genere, che molto prima di quel che pensavasi divulgaron l'arcano e fecero anche ai balordi palese la fraude delle simulazioni per l'innanzi adoperate.
L'aspra guerra pertanto che tosto mossero contro la religione ci è prova incontrastabile dello scopo a cui miravano i loro sforzi. Se si fosser tenuti in una via, dirò così, negativa, non altra inferenza si sarebbe potuto raccogliere, che l'esser dubbio a quai destini serbasser la Chiesa. Ma di tanta moderazione non furon capaci; e come prima ne ebber balìa, cominciarono mano mano ad orbarla dei suoi presidî, ad invaderne le appartenenze, a mancepparne l'azione, a soffocarne perfin le voci, pensando così di crollarla quando che fosse o almen costringerla a finire mutola e inonorata. E qual regione, quale città d'Italia non ricorda i suoi religiosi e le sue suore cacciate a furia di popolo, le insolenti prescrizioni fatte da persone laiche alle supreme autorità ecclesiastiche, le più orrende bestemmie contro i dogmi e le pratiche cattoliche lasciate impunemente correre sui giornali e sui fogli volanti, i Vescovi costretti ad esulare dalle diocesi senza permettersene o assicurarne il ritorno, i preti fedeli al lor ministero minacciati del carcere o del pugnale! Io non accenno neppur di volo ciò che avvenne in Roma e nello Stato Pontificio, chè è piaga troppo fetida, e non mi basterebbe l'animo di toccarla senza ribrezzo, nè vale la pena d'imbrattar queste carte col racconto di quei sacrileghi e nefandi eccessi. Questo solo basti segnalare generalmente: non esserci stata assemblea o governo nato da questi ultimi rivolgimenti che non abbia mostrato con leggi e fatti compiuti o tentati il suo animo ostile alla Chiesa; e queste ostilità dappertutto esser cresciute in ragione diretta della prevalenza che la fazione acquistava. E non avremo noi diritto d'inferire che dunque la rivoluzione italiana ebbe spirito e carattere non religioso e cattolico, ma razionalistico e protestante, e che in ciò solo può scorgersi l'espressione fedele della sua influenza?
Se non che il semplice sforzo di abbatter la Chiesa ed il Vangelo sarebbe stato l'effetto del razionalismo foggiato alla Volteriana; il quale sebbene quanto alla sostanza conviene con quello che vigoreggia oggigiorno, tuttavia molto se ne differenzia quanto alla forma. Nè di esso si cercò ora ed in Italia la prima applicazione sociale, essendosene in altro tempo e presso altra nazione già tolto un saggio, comunque anche appo noi se ne sentissero le ree influenze. Ma differente da quello si è il razionalismo di cui la rivoluzione italiana studiò la prima effettuazione politica; e perchè un tal concetto chiaro apparisca, mi convien risalire alquanto più alto.
Il razionalismo, figliato, come fu detto, dal protestantesimo, non tardò guari ad insinuarsi in tutte le parti della coltura civile. Fu come una zizzania che venne a mischiarsi al buon frumento che nasceva nel campo seminato dal cultore evangelico, volli dire nella novella società, che dal caos della barbarie usciva formata ed educata dalla Chiesa. Non ci fu appartenenza sociale che non ne venisse infestata, sia nelle arti, sia nelle scienze, sia nella politica; e il reo veleno si filtrò nelle cattedre, nei gabinetti, e fin talora nel tempio. Tuttavia ei sulle prime non apparve scopertamente; ma sempre usando astutissime arti, e mascherandosi cogli ornamenti or del pallio, or della toga, or della porpora, combattea la religione sotto finte di tutelare i diritti della scienza, di promuovere gl'interessi civili de' popoli, di sostenere le prerogative del potere. Il merito di averlo spogliato d'ogni straniera apparenza si ebbe a Voltaire e alla scuola filosofica che dietro gli tenne. Ei fu che lo propose semplice e schietto nella sua forma, ed annodandolo in turpe ma potente alleanza colle più vili passioni del cuore, baldo e procace il sospinse nell'arena a combattere la rivelazione, della quale tenne certo che trionferebbe. Ma gli sforzi giganteschi tornati invano mostrarono quanto fosse fallace quella speranza, e quanto inutil conato investir di fronte il Cristianesimo. Scaltriti adunque da questa pruova i valentuomini che vennero appresso pensarono doversi usare altro stile: ed in luogo di sospinger la rivelazione a cedere del campo, si consigliarono snaturarla, facendola come assorbire dalla ragione. Si foggiò quindi un novello razionalismo, di sembianze non ostili, ma pacifiche, il quale mentendo amistà invitasse la rivelazione a collegarsi seco in qualità di sorella, e fruire unitamente de' diritti che toccherebbero a ciascuna nella nuova ripartizione del paterno retaggio, e si dichiarasse non essere suo intendimento di contrastarne i titoli, ma di chiarirli. Sul qual proposito ricordi il lettore gl'insegnamenti dettati dal Cousin, accolti con cieco entusiasmo dalla sua scuola, e sonoramente ripetuti dal Thiers dalla tribuna nella francese assemblea; non avvertendo o fingendo di non avvertire non potere la religione senza snaturarsi incedere a paro con chi l'è essenzialmente soggetto. Questo secondo razionalismo, che potremmo dir trascendente, con finissimo infingimento si argomenta di riuscire alla meta medesima, a cui il primo con arti più ardimentose, ma meno ipocrite indarno aspirava. Imperocchè questo negava apertamente la divinità del Cristo, del Vangelo, della Chiesa; comechè si trovasse imbarazzato non poco a dar ragione della loro esistenza e del loro trionfo. Ma il moderno promettendo di lasciarli intatti, ed arrogatosi il dritto di poterli spiegare, li travisa per modo, da più non lasciarne che le semplici nomenclature; ed invocando dove i miti storici, e dove i simboli ideali, dove la spontaneità previa alla riflessione, e dove l'entusiasmo naturale dell'animo riduce la Fede a pura credenza istintiva, i misteri a idee vestite di sensibili forme e di poetico abbellimento, le profezie a estro della mente che esalti il cuore, i prodigî a fatti fisici ingranditi ed alterati da favolose giunte. Così la rivelazione in ogni sua parte vien ridotta a semplice appartenenza della natura.
Ora di sì fatto razionalismo trascendentale pare che la rivoluzione italiana cercasse per la prima di effettuare una compiuta applicazione politica, volgendo ad idee sociali tra i limiti della nuda ragione lo scopo, i dogmi, i precetti, il ministero, le ceremonie del cristianesimo. Non è già che la prima invenzione di codesta storpiatura si dovesse agli Italiani; poichè già innanzi se n'erano divulgati i principî in Francia, ed in Alemagna. Ma congegnarne come un sistema, e darci un pieno esplicamento, questo, che io sappia, non erasi tentato prima nè altrove. Codesta gloria sembra dovuta ai nostri rigeneratori, i quali con tale giuoco intesero un doppio scopo e prendevano, come dicono, ad una fava due colombi. Da una parte ottenevano di naturalizzare, dirò così, il cristianesimo: dall'altra facevan servire questo medesimo naturalismo di mezzo potente ad attuare le loro utopie sui novelli destini di questa bellissima tra le contrade del globo. La cosa è oggimai sì conta e palese, che mi renderei senza ragione increscevole se mi volessi troppo allargare a descriverla. Basterà che ne accenni alcuni capi. La religione secondo essi non era altro che la civiltà, e le sue leggi non altro intendevano che di procurare con successivo progresso l'affrancamento dei popoli. La missione di Cristo, il quale veniva regalato del nome di gran filosofo, si fu il predicare i dritti dell'uomo, la uguaglianza civile e predisporre le genti al futuro stato di compiuta emancipazione. Il Sacerdozio veniva riconosciuto, purchè per altro si atteggiasse delle idee del pregresso e riponendo il suo ministero nel promuovere l'incivilimento politico; in cambio del regno dei cieli, evangelizzasse ai popoli la beatitudine sociale, l'amor patrio alla foggia gentilesca, l'indipendenza nazionale, ed invece dei vizi li accendesse a combattere lo straniero. Il Vangelo era santo, ma i suoi insegnamenti dimoravano nell'odio dell'assolutismo, nel debito di stabilire la democrazia, di promuovere la felicita e la gloria d'Italia, aggiuntovi la promessa della salute eterna a chi profondesse a tal uopo vita e sostanza [3]. Quindi le voci più sacre torcevansi a senso profano e in profano uso si convertivano le più auguste cerimonie. Redenzione e riscatto, frasi dedicate a significare l'emancipazione dell'uman genere dalla servitù di Lucifero, non suonavano oggimai che l'affrancamento d'Italia dal dominio tedesco: il carcere subìto per cagione politica si addimandava battesimo, chi da quello veniva tramutato sulle galee era salutato del titolo di confessore, e del nome di martire veniva decorato se avesse avuto la sorte invidiata di finire sul campo per ferro inimico. Apostoli erano i banditori del novello evangelio, e nuova Chiesa si nomava la setta: la quale uscendo dalle tenebrose conventicole alla pubblicità dei circoli popolari, e delle dimostrazioni di piazza, si dicea passar dal buio delle catacombe alla luce del tempio. La croce fatta distintivo dei prodi guerrieri che propugnavano la santa causa, il pulpito convertito in bigoncia di politiche arringhe, le benedizioni sacerdotali unicamente implorate a consacrar armi e santificare bandiere, le azioni di grazie, le Messe di requie volte a santificare i tripudî delle sognate vittorie, o il compianto degli eroi che a prezzo del proprio sangue le comperavano. In breve uomini pei quali le più reverende ceremonie erano state o un gergo inintelligibile, o un oggetto di scherno, le studiarono e le praticarono fino al soverchio, quando poterono profanarle, e renderle espressione di fanatismo patriotico. Or non è questo un breve schizzo del catechismo e del rituale introdotto ed usato nell'ultima rivoluzione? Gran cosa che tuttavia non ci si vegga una fedele espressione di un prettissimo razionalismo, o naturalizzamento del cristianesimo eseguito sotto aspetto politico!!

III.

Se il preterito rivolgimento d'Italia mirava ad attuare negli ordini politici l'idea protestante del razionalismo, esso dovea essere per conseguente anticristiano ed anticattolico. Questo certamente non ha bisogno di pruova, ed io sprecherei inutilmente il tempo e l'inchiostro a trattenermici. Ma quel che non può facilmente essere stato inteso da tutti a prima giunta, voglio io qui dilucidare alcun poco, cioè come per effetto di questo vizio, il rivolgimento fu anticristiano in sommo grado, e fu anticattolico, cioè antiuniversale. Nemico più avverso alla religione rivelata, e nella lotta più indomito non si può immaginare del razionalismo. Non è da credere che egli datasse i suoi giorni dall'epoca di Lutero e degli altri antesignani della sedicente riforma. Allora fu che egli apparve in aperto aringo contro la rivelazione già in possesso dell'universo, rinnovellando l'antica guerra. Ma in rigor di sentenza esso nacque quasi ad un parto col genere umano, bevve nell'Eden le prime aure di vita, e conta gli anni medesimi che la colpa nel mondo. La prevaricazione del primo uomo a mirar sottilmente, fu un peccato di razionalismo, e una insurrezione dell'orgogliosa intelligenza contro la rivelazione che la scorgeva a suoi soprannaturali destini. Sarete altrettanti Dii, sapendo ogni cosa, sì il bene, che il male. Fu questa la lusinga onde venne solleticato il protoparente dell'umana progenie, e sperò potersi appropriare tutta intera la scienza, attingendo dal proprio fondo ogni cognizione di cui potesse aver uopo senza bisogno di superior magistero. E bene un'ombra di questo fatto pare ne rimanasse eziandio nelle tradizioni corrotte del paganesimo, in quanto il mito di Prometeo rapitore del fuoco celeste, acconcio ad avvivare l'argilla di umane forme atteggiata, sembra esprimere il primo uomo che agognò a una scienza non sua, e che credè poter convertire in cosa propria la fiamma del vero serbata in cielo e solo atta a chiarire e riscaldare l'umanità plasmata di fango. Quinci adunque sorse il guasto originario, che l'uomo credè poter bastare a sè stesso, ed aspirò a reggersi col proprio lume. Ondechè Iddio per giusta pena a suoi delirî abbandonandolo e alle native sue forze, permise che queste producessero i loro frutti, generando quella serie di corruzione e d'ignoranza che forma l'istoria del paganesimo.
Nè questo antichissimo avversario della rivelazione rimise giammai punto dell'accanito suo odio. Come prima da un angolo di Palestina, dove Iddio qual germe fecondo aveva serbata intatta la rivelata sua parola, mosse questa dal suo Verbo ringiovanita ed avvalorata di più poderose forze a riconquistare la terra tutta, le si fece incontanente incontro l'indomita orgogliosa ragione a tenerle fronte con quanto aveva di potenza nel gentilesimo. Sgagliardita questa per la sconfitta ricevuta colla conversione del mondo dopo tre secoli di battaglia, eccola ricominciare colle native sue armi una seconda guerra nelle eresie, le quali meritamente posson chiamarsi attacchi diversi della ragion ribellante e scuotente il freno della rivelazione. Senonchè le precedenti eresie sono da aversi in conto di semplici scaramucce, rispetto alla massima infra tutte, cioè dire il protestantesimo, in cui il razionalismo venne come a giornata campale attaccando la mischia su tutti i punti. Ciò era naturale che avvenisse in Europa, patria d'uomini più riflessivi, ed in tempo in cui atteso il vigore, a cui eran venute le lettere, le scienze, la civiltà, le forze della ragione per ogni verso si dispiegavano.
La fellonesca tenzone riuscì, e riuscirà sempre a gloria e trionfo della Chiesa, in quanto la mano che la sorregge le è pegno d'immortale esistenza. Ma ciò non toglie che la guerra più fiera non le venisse appunto da questo nemico, e che chiunque con esso collegasi e si assolda sotto le sue bandiere abbia ad aversi per contrario al cristianesimo nel senso più rigido della parola.
Resta da ultimo a toccar leggermente dell'altra rea qualità che dicemmo nascere dal razionalismo cioè di essere antiuniversale. L'universalità in fatto di associazione si ottiene per forza di aggregamento e di unione, sotto un principio comune, riducendo i molti all'unità che li signoreggi ed informi. Laonde richiede una forza unitiva che domini e stia al di sopra degl'individui, che vengono insieme rannodati. Ora il razionalismo per contrario è dissolvente di sua natura, perciocchè la ragione concretandosi solamente negl'individui, ne riveste il carattere e le tendenze. Talmente che, costituendo ella i molti e non l'uno, lasciata a sè stessa assai meglio che a congiungere riesce a disgregare. Hanno un bel fare i filosofi, quando si lusingano di ovviare a questo difetto ricorrendo all'universalità delle idee che somministri un principio unitivo delle intelligenze e volontà personali. L'idea comunque universale, in sè stessa è cosa logica ed astratta, che non ha vita nè forza reale, se non in virtù del subbietto che informa. Laonde se tal subbietto è la moltitudine disgregata dei singoli, l'unità attuosa informatrice delle parti manca onninamente, e sol si rinviene un'unità morta o moribonda, proveniente dal semplice giudizio dell'intelletto e dalla tendenza al bene astrattamente appreso, che è soggetta a venire alterata e guasta dal senso privato degl'individui, e dagli egoistici loro interessi. E ciò è tanto vero, che il razionalismo filosofico facendo un ultimo sforzo inventò il sistema della ragione impersonale, che parli e si riveli alle singole menti senza cessar d'esser una e la medesima a riguardo di tutte. In tal modo estimarono d'aver ridonata la perduta unità alle intelligenze ed all'operare degli uomini. Ma le finzioni, comechè peregrine e leggiadre, non hanno altro costrutto che di divertire leggiadramente le fantasie. Del resto l'aver dovuto ricorrere alle chimere, sempre più mostra l'impotenza della ragione a trovare in sè stessa la vera unità congregativa e quindi cattolica.
Che se una ripruova ne cerchiamo nel fatto, l'istoria è là per apprenderci che il razionalismo non seppe far altro che disgiungere e separare. Vuoi vederlo nel paganesimo? Guarda a quel che il razionalismo produsse nei popoli e nei filosofi. Nei primi distinzione di caste, di destini, di nazioni irreconciliabilmente nimiche, e una folla di masse gravitanti le une verso le altre non per unirsi insieme con amichevole accordo e in comunanza di diritti, ma per ischiacciarsi scambievolmente col loro peso, o per sbalzarsi di posto col loro urto. Nei secondi una spaventevole moltitudine di opinioni contraddittorie, e a vicenda dilacerantisi, che niun conforto recavano all'animo sbattuto dell'uomo, ma solo desolazione e tempesta. Vuoi vederlo novellamente nei felici successi che ottenne in tempi da noi meno lontani? Guarda alle infinite sette discrepanti infra loro, alle fazioni invelenite a vicenda e crudeli nell'odio, alle orride stragi che immersero prima la Germania e poi la Francia in un lago di sangue, al freddo egoismo che agghiacciò quasi universalmente il cuore e la mano. Ma che bisogno abbiamo noi d'andar cercando esempî remoti e stranieri? In mezzo a noi, a' nostri tempi, nei trionfi della rivolta di cui parliamo ne avemmo un saggio. E chi vide mai un individualismo sì pronunziato germogliare così tosto, una concorrenza cotanto ostile, una lotta sì distruttiva di privati ed opposti interessi? Si confessi schietta ed integra la verità. Ci fu mai tempo presso noi, in cui gli animi si videro più disuniti, più diffidenti, più tiranneggiati dall'ambizione e dalla cupidigia? Aveano un bel gridare con gote gonfie e con quanto ne aveano in gola: unione, fratellanza, interesse generale! Niun parea che li ascoltasse, non quei medesimi che sì strillavano. E non pure gl'individui, ma i popoli eziandio presi in complesso mostravano apertamente di tendere allo scioglimento reciproco. Sicilia si separava da Napoli, Venezia non volea far causa comune colla Lombardia, Genova si sollevava contro Torino, Livorno contro Firenze e dovemmo mirare il truce spettacolo di vedere città italiane bombardate e vinte da città italiane, e i fratelli trucidati dai propri fratelli! Auspicî veramente felici alla sospirata unità italiana! Che più? Gli stessi caporioni che altamente lamentavano questi eccessi nei popoli, non convenivano tra di loro, ma davan l'esempio della discordia; e chi anelava alla repubblica, chi alla monarchia costituzionale, altri alla costituente italiana, altri al semplice congresso delle parziali Potenze, questi alla confederazione dei singoli stati, quegli alla fusione di tutti in un sol corpo; e così via discorrendo si contrastavano, si accaneggiavano l'un contro l'altro, si laceravano, si disunivano, in questo solo concordi che sembrasser voler la universale confusione.
Nè di ciò vuole recarsi la colpa alle persone; questo a vero dire sarebbe ingiusto, in quanto gl'individui in sè stessi sono scusabili, siccome quelli che operavano starei per dire fatalmente. La colpa tutta, il vizio è del principio che gl'informava ed influiva nella intera nazione; nè la ragione provocata ad affrancarsi da ogni rispetto verso l'autorità cattolica avria potuto produrre diverso effetto. Si volle da' nostri rigeneratori non tanto un riordinamento civile, quanto una innovazion religiosa tendente ad introdurre in Italia l'idea protestantica del razionalismo sotto le forme di progresso sociale. Ebbene il razionalismo produsse i suoi frutti, e quei soli frutti che potea produrre; nè certo per colpa del terreno, il quale ricevuto un tal seme, non potea certamente dar fuori altra pianta. Solo potrebbe incolparsi che questi frutti sbucciarono troppo presto, ma ciò mostra anzi bontà ed energia del suolo in cui la pianta allignava, e ci valse un beneficio grandissimo cioè di essere ammoniti in tempo utile della velenosa pianta che li portava.
Imperocchè, non vale l'illudersi, questa divisione appunto partorita dal razionalismo, di cui la rivolta era bruttata fu la vera cagione della pochissima durata del suo trionfo. Invano si reputa quest'effetto alla prevalenza delle armi, al contrasto straniero, alle arti segrete della reazione, ai sussidî interni o esterni che venner meno. Codeste son ciance, che ad un occhio riflessivo non hanno alcun senso e solamente si recano in mezzo da' nostri piagnoni affine di palpar sè medesimi, e blandire ai proprî errori. Sussidî esterni non eran d'uopo, quando già i novatori trionfavano in tutta la Penisola; la forza era venuta nelle loro mani, e la pochissima che restava in altrui erasi resa o connivente o spettatrice oziosa; la reazione fu nulla a principio, fu debolissima in seguito, e se provò in alcun luogo, fu appresso la sconfitta della rivolta; l'assalto esterno non era temibile, dove ci fosse stata vera unione di cuore e di mente, senza divergenza o contrasto; chè niuna potenza può prevalere contro il sentimento e gli sforzi di tutto un popolo. Finalmente gl'interni presidî eran tutti a lor favore; essi avevano in balìa la stampa, essi il governo, essi le cittadine armi. I principi stessi, i cui interessi potevano sembrar compromessi, usarono fin da principio tanta morbidezza che ognuno l'avrebbe chiamata eccessiva. Le persone pie ed il clero, parte illusi dalle prime ipocrite mostre di religione stavano attoniti a riguardare senza apporre resistenza di sorta alcuna, e parte ancora travolti si associavano al movimento. Tutto sembrava prospero, tutto propizio per un concorso incredibile di circostanze. Qual cosa fu dunque che mutando in contrario le sorti rovesciò d'un colpo la gran macchina che sembrava dover durare ben lunga pezza? Risponderai: la divina Provvidenza. Sì certamente, la divina Provvidenza, la quale non volle permettere che la diletta Italia perdesse l'antica Fede e fosse gettata in braccio al turpe razionalismo per restarne disonorata di vergognoso adulterio. Ma la divina Provvidenza ha i mezzi onde opera; ed in mano sua sono mezzo potentissimo le abberrazioni medesime e le follie dei suoi nemici. La disunione fece sì che il razionalismo producesse tosto il suo effetto di disgregare, e le forze sparpagliate e contrarie generando debolezza tolsero all'edifizio ogni possibilità di tenersi in piedi. Vedemmo in certa guisa rinnovellato il prodigio di quaranta secoli addietro accaduto nelle pianure di Sennar. Uomini superbi credettero poter levare una fabbrica che contrastasse ai decreti del cielo. Scese il Signore e a sconcertare la folle impresa confuse le lingue. Cotal confusione costringendoli a separarsi, il gigantesco disegno si dileguò. Una simile confusione di lingue, un simile sperperamento vedemmo ancor noi, in tanto solo diverso, che quello fu prodotto immediatamente da Dio, questo mediante una causa da cui presto o tardi dovea generarsi. Ma nell'uno e nell'altro si manifesta lo stesso autore supremo, che dirige gli eventi e le cagioni al compimento de' suoi eterni consigli.
Che se il passato dee valer di scuola che ne ammaestri sull'avvenire, una considerazione spontaneamente si affaccia all'animo d'ogni buon italiano, il quale fermi alquanto il pensiero sulle cose fin qui ragionate. Essa è di avvertire il rischio gravissimo a che ci avventurammo di perdere il dono pregevolissimo della fede pel tristo guadagno di una libertà miscredente, che mostrò di buon ora di quai frutti fosse feconda; e ricordare quanto sia necessario recarci in guardia delle promesse e dell'ipocrite arti degli odierni raggiratori, per non lasciarci nuovamente cogliere al laccio con tanto danno sì proprio che della patria comune.



Il dottor massimo dell'italiano incivilimento altri non è che Vincenzo Gioberti: cfr. la sua Apologia del libro intitolato il Gesuita moderno, parte I, Brusselle e Livorno 1848, pag. 301-302.

NOTE:

[1] Apologia ecc. pag. 311.
[2] Quest'argomento mentre prova essere stato effetto naturale l'incremento e la durata del protestantesimo, di rimbalzo dimostra superiore al corso di natura la propagazione ed il mantenimento del cattolicismo. Il quale lungi dal sollecitare l'orgoglio della ragione lo rintuzza e l'annienta, siccome quello che è fondato sulla completa mancipazione di questa alla Fede. Ecco su tal proposito un passo sublime di S. Paolo. «Le armi di nostra milizia, egli dice, non sono carnali, ma potenti in Dio ad abbattere gli opposti baluardi, avendo noi missione di distruggere gli astuti consigli, ed ogni altezza che si sollevi contra la scienza di Dio, e di ridurre a servitù ogni intelletto in ossequio di Cristo, ed avendo armi onde punire qualunque disobbedienza, stantechè a perfetta obbedienza vi assoggettaste.» Arma militiae nostrae non carnalia sunt, sed potentia Deo ad destructionem munitionum, consilia destruentes et omnem altitudinem extollentem se adversus scientiam Dei, et in captivitatem redigentes omnem intellectum in obsequium Christi, in promptu habentes ulcisci omnem inobedientiam, cum impleta fuerit vestra obedientia. (2. Ad Cor. 10.)
[3] Questa perversion di dottrine professate dai gonfalonieri della rivoluzione non è più, come dissi, un mistero, ma un fatto noto, patente, irrecusabile. Nondimeno a chi tuttavia ne stesse in forse, potrebbe bastare per tutta pruova quello che nel n. 8. dell'Italia del popolo ne scrive lo stesso Mazzini rappresentante supremo della setta. Non potendo trascriver tutto, ne darò alquanti cenni indicando le pagine alle quali si riferiscono. Ei lamenta che da lungo tempo s'è operato divorzio fatale tra l'idea religiosa e l'idea politica (pag. 143). Questo divorzio sarà rimosso dalla sua fazione ch'egli chiama chiesa dei credenti (146). La rivoluzione è una missione altamente religiosa (148). E la ragione ne è chiara, perchè superiormente avea detto che la guerra che Dio ci intima al male e al peccato consiste nel combattere le ineguaglianze derivanti dalle forme sociali (135). E ben a ragione, attesochè siffatte ineguaglianze son conseguenze della colpa prima, e per riscattarci da queste Cristo volle morire (136). Non il papa è interprete della divina legge, ma chi è interprete migliore della divina legge è papa. Il giudice in ciò è il popolo, il quale è profeta di Dio. (135). L'autorità suprema nella Chiesa è il concilio, e questo concilio non è altro che la Costituente in quanto ha la sua applicazione nella vita religiosa (149). Delirî che ti moverebbero a riso, se i tumulti, gli spogliamenti, le stragi che han cagionato alla misera Italia non ti spremessero di viva forza le lagrime!