domenica 30 settembre 2012

Luci e ombre del Congresso di Vienna ( Parte 7°): La massoneria e il Congresso di Vienna

Ora, è giunto il momento di trattare l'argomento forse più delicato del Congresso di Vienna , l'opera della massoneria al suo interno, analizzando un documento che ci fornisce una panoramica sulla sua influenza durante il Congresso.




Pochi immaginano che durante i lavori del Congresso di Vienna ci sia stata una non indifferente presenza massonica, specialmente perchè di norma si pensa al Congresso di Vienna come ad una "riugnone" di menti conservatrici e fondamentalmente , e realmente, Cristiane e Tradizionaliste. La verità , purtroppo, è differente e ci presenta un gran numero di personaggi di spicco del Congresso affiliati alla setta e anche inviati da essa con precisi scopi.
Per iniziare a trattare questo argomento è saggio cominciare riportando un'estratto di ciò che scrisse la Civiltà Cattolica a riguardo (La Civiltà Cattolica, anno LIV, serie XVIII, vol. XII (fasc. 1283 25 novembre 1903) Roma 1903 pag. 513-535. R.P. Ilario Rinieri S.J.LA MASSONERIA, IL CONGRESSO DI VIENNA E LA S. SEDE):
(...) Il cardinal Consalvi, rappresentante della Santa Sede a Vienna, esponendo le disposizioni di animo dei sovrani quasi tutti, e di quasi tutti i ministri, che governavano i gabinetti europei, non le trovava avverse ai principii della rivoluzione. E notava quanto erano difettivi i sillogismi di quei potenti riformatori, i quali avevano dichiarato la guerra a Napoleone, come a colui che impersonava quella grande distruggitrice di troni e di altari, e poi essi stessi ne avevano lo spirito nelle loro anime, e di quello spirito volevano trasfondere l'influenza nell'opera della ricostituzione europea, alla quale andavano ad applicare il senno e la mano.
Coteste disposizioni si diedero a vedere, ed i ministri diplomatici le significarono chiaramente, come vedremo, nell'occasione di una famosa condanna, alla quale il Pontefice Pio VII applicò le sue sollecitudini di custode della fede e della morale del mondo, pochi mesi dopo la sua restituzione alla libertà ed al governo della Chiesa e di Roma: voglio dire della condanna delle sètte, ossia della massoneria che le compendia tutte.
Pio VII si contese con tutte le forze a distruggere la rivoluzione, che era stata la vera cagione dello sconvolgimento in cui tutta l'Europa era precipitata; egli era convinto, e per argomenti di ragione e per l'esperienza personale di 20 anni, che la marea rivoluzionaria doveva la sua origine a quelle acque, che nelle latebre massoniche avevano la fonte nativa; se dunque si voleva da senno tentare un'opera di vera ristaurazione, a quella fonte bisognava rivolgere la vista e la mano, e disseccarne addirittura la sorgente.
E ciò fece appunto Pio VII pubblicando l'editto contro la setta deiliberi muratori, e contro la costei propaggine, detta dei Carbonari[1], la quale già da qualche tempo aduggiava l'Italia sopratutto meridionale. In quell'editto dato e divulgato in Roma a' 15 di agosto 1814, si richiamavano le antiche condanne fulminate già da Clemente. XII nella Costituzione «In eminenti apostolatus specula» de' 27 aprile 1738, e da Benedetto XIV nella Costituzione «Provida romanorum pontificum»de' 18 maggio 1751; se ne rinnovavano la condanna e le pene negli Stati pontificii, e si proibiva strettamente ogni adunanza, ogni tolleranza, e qualsiasi connivenza massonica o carbonaresca [2].
L'importanza di questo atto pontificio viene rilevata dalle condizioni, in cui trovavasi allora la setta dei liberi muratori nell'Europa, e dalla profonda scossa onde si risentirono tutti i massoni o massoneggianti che erano vere legioni, le quali ne avevano bevuto lo spirito, poco montando che ne vestissero o no le insegne ed i ciondoli.
Dopo la celebrazione del famoso congresso di Ems (1782), e di quello di Parigi (15 febbraio 1785); dopo l'unione fatta tra gl'illuminati, i filosofi, ed i liberi muratori, la rivoluzione fu disegnata, condotta, ed eseguita nel modo che tutti sanno. Essa ottenne il proprio coronamento nel giorno 12 agosto 1792, quando Luigi XVI fu chiuso nella torre del Tempio, ed il programma massonico, svelato nelle tre parole,«libertà, fraternità, eguaglianza», fu diffuso come luce nuova in tutta la nazione. Nel qual giorno gli illuminati di quella luce, esclamarono: «Tutta la Francia non è se non una grande loggia! tutti i francesi sono liberi muratori! e l'universo intiero lo sarà tra breve ![3]» E veramente sino all'anno 1799 la massoneria regnò sovrana in Francia, di cui riempì di sangue le città e le strade, e sopra le condizioni sociali e proprietà pubbliche e private di tutta la nazione applicò la squadradel nivellamento.
Coll'istituzione del consolato e dell'impero, la massoneria che per una parte non aveva più gran cosa a desiderare, essendo riuscita nellaristaurazione del famoso tempio, e che per l'altra trovavasi di fronte il nuovo padrone dal braccio di ferro, cambiò sembianze e divenne napoleonica. Nel 1805 la Grande loggia scozzese diretta dal maresciallo Kellermann, e il Grande Oriente francese capitanato dal maresciallo Massena, si confusero in una; e per ordine di Napoleone fu data a Giuseppe Bonaparte la grande maestranza di tutta la massonica setta! Gioacchino Murat fu eletto gran maestro aggiunto, e l'arcicancelliere Cambacérès ne ebbe la suprema direzione effettiva. La massoneria per tal modo rifiorita si sparse cosi largamente, e così profondamente s'impiantò in tutti gli ordini imperiali della cittadinanza, che l'esercito, la magistratura, e la grande caterva degl'impiegati governativi componevano un vero labirinto di logge massoniche: nell'anno 1812, si contavano nel vasto impero francese 1429 logge, dipendenti dal Grande oriente di Francia! [4] E nell'anno 1809 già sessantanove reggimenti vi erano ascritti! Ora se si considera, che la massoneria è essenzialmente prolifica, è legittimo il dedurre che il numero dei proseliti fatti dagli ufficiali militanti in Italia, nella Spagna, e nella Germania sia divenuto incalcolabile[5].
Col rivestirla delle imperiali insegne, e tenerla aggiogata al cocchio imperiale, credeva Napoleone di aver sottomessa la gran setta, e di averla domesticata; ma il ministro di polizia, Savary duca di Rovigo, si accorse negli anni 1810-1812, che la massoneria avversava per istituzione il nuovo imperatore. Il perchè egli si apparecchiava di spegnerla nell'applicarle l'art. 291 del codice penale, che proibisce le losche associazioni, ma ne fu impedito dal Cambacérès e dallo stesso Napoleone[6], i quali si credevano di avere nelle file massoniche altrettante schiere devote.
Ma egli andò errato nel suo divisamento. Dall'anno 1809 all'anno 1813 una vasta e compatta associazione secreta, e massonica, si formò in tutta la Germania, con lo scopo di espellere dalle terre tedesche la dominazione forestiera, e di abbattere l'impero di Napoleone. Fu quella l'associazione, detta lega della virtù (Tugendbund); ebbe a fondatore il prussiano barone di Stein, e l'austriaco conte di Stadion, e tra breve contò nelle sue file un numero stragrande di tutti gli ordini e di tutte le condizioni, dal magistrato allo studente, dal guerriero al pacifico borghese. Questa associazione nel 1814 ebbe conseguito il suo fine; ma i germi massonici, gittati nel suo seno, dovevano germogliare più tardi, e portare ben altri frutti, oltre lo sterminio del potente nemico dell'Europa, pel quale era stata istituita [7].
In Italia un'altra associazione secreta era sorta per cura di Maria Carolina, esiliata in Palermo fino dal 1805. L'irosa regina, meditando dall'isola una discesa nelle Calabrie, aveva fatto leva di uomini, a ciò che in secreto si dedicassero alla cacciata di Murat dall'usurpato regno di Napoli, e compose cosi il primo nucleo dei carbonari. Carolina, antica massona, conosceva benissimo l'organizzazione di quei famosi giacobini, i quali nel 1794 avevano congiurato contro di lei, e per poco non le ebbero tolto il trono e la vita. Ora essa attese a rivolgere contro Murat quelle stesse forze, regolate nello stesso modo massonicamente, e le diresse al fine patriottico di espellere dall'Italia gli usurpatori e gli stranieri [8].
Se non che, costretta la stessa regina a fuggire dalla Sicilia e dall'Italia, la setta mutò in parte il suo fine: mantenne lo scopo di espellere lo straniero, ma vi aggiunse quello dell'unità italiana, della repubblica italica, od almeno e come primo requisito, la costituzione italica, ossia la modificazione e quindi la distruzione delle forme monarchiche nel governo della nazione [9].
In queste condizioni si trovavano le cose e gli animi in tutta l'Europa, quando Pio VII colpì la massoneria. In Francia lo spirito giacobinesco, o rivoluzionario, ardeva sotto la cenere; nella Germania le nuove aspirazioni all'unità germanica, e ad una confederazione repubblicana, ribollivano sordamente come in un volcano; in Italia gli elementi incomposti si agitavano come in attesa di una forza, che desse loro l'assetto e la forma, l'indipendenza e l'unità, la costituzione o la repubblica. Uno stesso spirito però in ogni dove dominava ogni cosa, lo spirito cioè della massoneria, o della rivoluzione che vale lo stesso.
Col condannare dunque la massoneria, Pio VII intendeva di colpire lo spirito stesso della rivoluzione; nè, per giungere ad una vera ristaurazione dei principii, onde popoli e sovrani dovevano essere rinnovellati per opera e merito del congresso di Vienna, eravi altra via più diretta, nè più efficace maniera di questa condanna, siccome quella che ricercava il male nella sua stessa radice.
Eppure la condanna dell'eresia massonica non incontrò l'approvazione dei sovrani e dei ministri, e sollevò incredibile scalpore nel campo della massoneria. Ma in quella vece ottenne il plauso di tutti i buoni.
Il cardinal Pacca, nell'inviare che fece a tutti i Nunzii apostolici l'editto che proscriveva le sètte neli Stati pontifici, soggiungeva (18 agosto 1814) :
«La Santità di N. S., ad oggetto di porre un argine ai progressi della setta dei così detti Framassoni, Carbonari, etc. ha ordinato che si pubblicasse tanto in Roma quanto in ogni città dello Stato pontificio l'editto, di cui a scanso di maggior spesa di posta accludo a V. S. un solo esemplare. Non so esprimerle con quale entusiasmo di giubilo sia stato accolto un tale editto dal buon popolo di Roma, che, non potendo contenere il suo contento per le provvide emanate misure, venne ad esternarlo nella giornata di ieri con maggiori applausi al S. Padre, all'occasione che sortì dal suo Palazzo per intervenire ad una pubblica missione[10]
E a lui da Vienna il Nunzio Mgr Severoli rispondeva, scrivendo in cifra (10 settembre) :
«Ho letto con infinito interesse l'editto pontificio contro la setta dei Frammassoni trasmessomi da V. Emza. Sebbene tutti i buoni tripudiino per questa ed altre simili misure, pure mi sono astenuto dal farlo inserire sinora nei fogli di Vienna, riservandomi a far ciò, quando ne vegga la necessità. È ben crudele, che si debba camminare con simili riguardi in un tempo, in cui quanto sia grande la satira contro di noi, V. Emza può rilevarlo dalla gazzetta di Vienna.»
Il Consalvi invece, sebbene approvasse l'editto in se stesso, ne trovò la pubblicazione forse importuna, per le ragioni che gli furono svolte dall'Humboldt, ministro prussiano, fratello dello scienziato di questo nome, ed amico del Consalvi e di Roma, per quanto possa esserlo un protestante comecchè onesto. Di una conferenza avuta con quel ministro, il Consalvi inviava la seguente relazione, a' 17 di settembre:
«Humboldt... mi disse che, nella confidenza che passava fra noi due, non poteva far a meno nel suo vivo interesse per noi, di osservare anche per nostra regola il suo dolore nel vedere che a Roma, diss'egli, si fanno delle operazioni che fanno un grandissimo danno alla nostra causa. - Io non parlo, disse, della cosa in se stessa, nè mi permetto di giudicare di quello che non mi appartiene. Quel che dico, è che certe cose sono almeno fatte a contratempo. - E qui entrando più particolarmente nel discorso mi disse, che più noi eravamo persuasi che i settarj ed altri nostri nemici sono introdotti in tutti i Gabinetti, ed influiscono in tutti gli affari, più avressimo dovuto guardarci dall'eccitarli contro di noi in questo momento.
« - Che male vi era, soggiunse, di aspettare tre mesi di più a fare l'editto contro i Frammassoni ed a ristabilire i Gesuiti? Tre mesi non sono tre anni. Potevate eseguire col fatto le leggi antiche contro i Framassoni, se così volevate; le quali col ristabilimento della primiera legislazione si trovavano già rimesse in vigore con tutto il resto, senza il bisogno di fare almeno nel momento un nuovo editto. Non potete credere quanto danno vi abbiano fatto, presso un numero grande di persone influenti, queste due operazioni fatte con tanta fretta; e così pure altre molte. - Fin qui Humboldt.
«Io non saprei negare a V. Eminenza, che anche il mio desiderio sarebbe stato, che fin dopo il Congresso non si fossero fatte cose éclatantes da urtare quelli, che purtroppo hanno tanta influenza negli affari. Per un tempo lungo non avrei pensato così, non convenendo in alcun conto una lunga dilazione in tali cose; ma trattandosi di tre o quattro mesi al più, avrei creduto che si potesse differire senza danno. Io venero però come devo le risoluzioni che si sono prese, e solo parlo di queste cose, perchè non si ignori, che hanno reso (questo non posso celarlo) assai più arduo l'esito di ciò che si brama.»
Così il Consalvi parlava dell'impressione, fatta negli animi dei grandi diplomatici, dall'editto che proibiva e condannava in Roma la setta massonica. Ora ci esprime in altri termini, quanto quell'editto riusci doloroso ai figli della Vedova :
«Ad ogni momento rivengono da tutte le parti a Mgr Nunzio ed a me le notizie le più dispiacenti, per le conseguenze, che a danno dei nostri affari risultano dal furore concepito dai Frammassoni pel noto editto, non meno qui in Germania, che in Inghilterra ed in Francia. Questa misura, considerata comunemente per non necessaria all'intento propostosi (a cui dicono che in casa nostra potevamo pervenire col fatto, senza bisogno di pronunziare almeno per ora un editto, che annunzia ai Frammassoni di tutto il mondo tanta guerra e tanto rigore), è riguardata da tutti, nell'attualità di questi momenti, come contrarissima ai nostri interessi, pel grande influsso di quelli che ne sono l'oggetto.
«Mi rincresce di scriver queste cose, ma bisogna che mi sia permesso di riferire istoricamente quello che accade, e che può servir di lume per conoscere in questi grandi momenti qual è la vera situazione delle cose nostre.»
Fin qui il Consalvi; a lui il provvedimento pontificio apparve alquanto inopportuno, per le difficoltà, che apportavagli al conseguimento della sua missione diplomatica, la quale esigeva le buone disposizioni degli arbitri delle prossime sorti europee. Ma con ragione il lettore cristiano ed onesto potrebbe chiedere, perchè ragione la condanna della massoneria riuscisse spiacevole a quei potenti?
La risposta ce la dà il Nunzio apostolico di Vienna, Monsignor Severoli: ed ha veramente dell'incredibile. Ed è, che quasi tutti i sovrani, adunati nel Congresso di Vienna, se se ne eccettua l'imperatore d'Austria, tutti erano ascritti alla setta massonica!
«Dev'esser noto, così il Nunzio scriveva in cifra al cardinal Pacca (27 decembre 1814), a Mgr. De Gregori il barone De la Sahla, sin da quando quell'insigne Prelato era nelle carceri di Vincenna [11].

Con questo titolo mi si è presentato la prima volta, e poi di tanto in tanto è ritornato da me per comunicarmi delle notizie interessanti, massimamente su i Frammassoni. Mi fo un dovere di acchiudere in questa mia le Memorie, che il sig. Barone mi distese sulla ricognizione e sul ricevimento dei suddetti settarj. Esse coincidono con quelle che io ebbi non ha molto da un Frammassone convertito. Unisco un infame libro perciò, che appartiene alla medesima setta[12]

Il Nunzio riferisce quindi quanto quel barone De la Sahla gli comunicò intorno alla fondazìone, ai riti di ricevimento, alla prolificazione, ed all'intendimento finale della setta massonica. Sono tutte cose conosciute, e che si trovano sottosopra in tutti gli autori serii, che si sono occupati di questo argomento, la cui portata capitale, per la storia degli avvenimenti del secolo passato e presente, non può essere sconosciuta se non da quegli uomini leggeri, i quali nei grandi sconvolgimenti storici non iscorgono se non la corteccia, e delle cause motrici, perchè sfuggono alla loro scienza fantastica, o si tacciono o si ridono : di cotesta gente basti aver dato di passata un cenno solo di disprezzo.
Non è però conosciuta la lista dei sovrani, ascritti alla massoneria, che da quel barone conoscitore esperto della estensione enorme di quella setta, fu svelata al Nunzio Apostolico, nella memoria scritta intorno alla massoneria, che gli ebbe confidato: è la seguente:
Liste des Souverains Maçons.
L'empereur de Russie (reçu à Berlin). Le grand Duc Constantin très zélé, et très savant maçon. Le roi de Prusse, et toute sa famille. Le roi de Bavière (il n'aime point les maçons). Le Prince Hardenberg aussi chef de la ligue germanique. Le baron Stein déteste les maçons, il est chef de la ligue de la vertu (Tugendbund) et protecteur de la société biblique. Le général prince de Blucher grand maître de la Loge à la croix de fer. Le roi de Suède (pour avoir l'ordre de Charles treize il faut être maçon). Le roi d'Angleterre et toute sa famille.
Con ciò viene spiegata l'affinità d'idee, che univa cotesti sovrani e ministri con la setta massonica; ed insieme si ha ragione del risentimento che essi provarono contro l'editto romano, il quale condannando la setta gittava un forte discredito sopra tutti coloro, che in qualsiasi maniera ne accoglievano lo spirito. È però cosa assai notabile, che tutti questi sovrani e ministri, aggregati alla massoneria, erano o scismatici o protestanti, alla riserva del solo re di Baviera. Il che è un segno dimostrativo della parentela genealogica, che unisce strettamente la massoneria al protestantesimo, come sorcoli al ceppo; siccome le qualità ereditate, tra le quali spicca l'odio al Papa ed alla chiesa cattolica, dimostrano in quella la sua provenienza atavica da questo.
Infatti nella catena delle eresie, delle quali la setta dei liberi muratori costituisce l'ultimo anello, si può stabilire la seguente genealogia: I manichei figliarono i patareni; i patareni diedero nascita agli albigesi; e gli albigesi ai luterani e agli ugonotti. I quali alla loro volta generarono i filosofi, gli illuminati, e i liberi muratori: e questi non più per generazione, ma per isdoppiamento segmentario produssero i giacobini, i carbonari, la giovine Italia. Da questa propagine, divenuta alla sua volta ceppaia, è risultato il liberalismo moderno, che ne è l'ultima fioritura; il quale ritrae di tutti i sopradetti progenitori le virtù ataviche, ma selette e maturate, e quasi finite e lucenti per opera progressiva di selezione, e di adattamento alle condizioni mutate dei tempi, dei fatti, e delle persone.
Da ciò provenne, fino dalla nascita della setta massonica, che la Chiesa cattolica rappresentata nella persona dei Pontefici, i quali col deposito della fede ricevettero pure da Gesù Cristo i mezzi più acconci di preservarla, ravvisò sempre mai nella massoneria un nemico nato della fede e della religione, e come tale la denunziò a tutto l'orbe cristiano. In questa maniera hanno operato tutti i Pontefici, salvo pochissime eccezioni, da Clemente XII (1738) a Leone XIII (1888): così i sovrani ed i popoli ne avessero ascoltato la voce!
A ragione dunque si lamentarono i massoni di quel colpo menato contro di loro, e si contesero strenuamente alla difesa ed al riparo. Per la prima cosa tennero nella stessa città di Vienna secrete adunanze, come abbiamo veduto più addietro. Ed a fine poi di velare con apparenze religiose i disegni settarii, e di tramutare cosi la pubblica opinione dei popoli e dei sovrani, e massimamente a fine di mantenere nell'inganno l'imperatore di Russia e il re prussiano, sparsero la notizia che Benedetto XIV, uno dei papi più colti e più conoscitori degli uomini e dei tempi del secolo XVIII, era stato libero muratore [13]; ed inoltre coprirono con gli emblemi religiosi una nuova associazione, prettamente massonica e protestante, alla quale dettero il nome di società biblica.
Delle società bibliche, nelle quali al principio protestantico andava congiunto l'elemento massonico, molti ragguagli inviava a Roma il Nunzio di Vienna. A' 26 di novembre cosi informavane il cardinal Pacca:
« ... Ella raccoglierà l'impegno, che vi è in Germania, di promuovere sempre più la società Biblica d'Inghilterra, già anche troppo promossa, e di mascherare così la frammasoneria con le sembianze di religione.
«Di religione in fatti senza mistero parlano ora i frammassoni, i quali al dir loro altro non cercano che di ristabilire tra le religioni la religione cattolica di Gesù Cristo. V. Emza ben vede, che dando essi alla religione che promuovono, il titolo di cattolica, non ad altro mirano, che a sorprendere la semplicità dei cattolici d'Allemagna, poichè in sostanza che siano essi lontani dal cattolicismo, ne fanno fede e le traduzioni da essi fatte e sparse della S. Bibbia, e la società che essi stringono con i biblici di Berlino, e di Londra.
«Ebbi jeri sera per un momento le massoniche decorazioni di costoro, le quali tutte spirano religione; e le vidde anche l'Emo Consalvi. Un pettorale di seta bianca, che sulla cima ha il mondo cinto da un serpe, sul cui collo appoggia e trionfa la S. Croce; ai due lati la corona di spine di G. C.. e il sacro calice, ma senza l'ostia, entrambi soprassegnati da lettere ebraiche; nel lembo una croce rossa, ed un pellicano che alimenta col sangue i figli; pende dal collo su questo gran pettorale una larga fascia da un canto rossa,e dall'altro nera, distinta da bianca croce, e da cui pendo un'altra croce, e un altro pellicano di bronzo in oro. Chi nella società si distingue, è di più decorato da una medaglia pendente da un nastro azzurro, e rappresentante sul campo azzurro un'arpa d'oro[14]
A' 3 di dicembre il Severoli annunziava l'immensa propagazione della società nel settentrione dell'Europa, ed in tutto l'Oriente:
«Certo è, che il male non può essere più universale. L'Inghilterra, la Prussia, la Russia, la Polonia, la Germania, le Indie sono inondate da simili società, che in origine non erano composte che da soli Quaqueri, ora lo sono di tutti i Franchi Massoni, e dei novatori. In Vienna non trovo ancora traccia di società eretta: ma che vi si pensi, possiamo inferirlo dal modo e dalla sollecitudine con cui ne parlano l'Osservatore e la Gazzetta patria, d'onde tolgo i documenti che ho trasmessi e trasmetterò a V. Emza...»
Ed inoltre fa sapere, che la setta si disponeva a far propaganda eziandio in Italia, come poi di fatto accadde. «Una persona, continua egli nella lettera citata de' 3 dicembre, che conversa con i Franchi Massoni, assicura che in gennaro si terrà in Roma un'adunanza diretta a regolare gli affari della setta, ed aggiunge, che un certo Serpieri, amico del Duca Cesarini, è incaricato ad occuparsene, affinchè l'adunanza abbia luogo non ostante i rigori del Governo[15]
Per siffatta maniera la setta dissimulava la sua entratura larghissima in tutti gli ordini della società europea, e, esternamente almeno, davasi a vedere colle mentite spoglie di cui ammantavasi religiosamente, per non condannata e come non tocca dall'editto pontificio. Ma quando insieme coll'editto che la prescriveva in Roma e negli Stati pontificii, la setta massonica ebbe notizia della venuta in Vienna del Pontefice Pio VII, diede mostra di vera paura, e credette seriamente che dentro al ridicolo tempio stesse per cadere non una qualche tegola del tetto, ma la stessa trave maestra del minacciato edifizio. È da udire il Nunzio Severoli, che così ne scriveva:
(27 agosto): «Non so esprimere a V. Emza, come la sola voce della venuta del S. P. in Vienna abbia fatto impallidire e turbare i Frammassoni e la falsa politica. Se la salute di N. S. potrà sostenere questo nuovo sacrificio, oso dire, che sarà ancora l'ultimo, e vedremmo ristaurate prodigiosamente le piaghe della Chiesa e dello stesso Stato.»
(29 agosto): «.... La Gazzetta di Vienna riporta l'articolo di Parigi, relativo al viaggio del S. Padre, per essere qui cogli altri monarchi al congresso. Se il S. P. avrà assai di robustezza per sostenere questo nuovo strapazzo, oh! che sconfitta per il diavolo! I Frammassoni si mostrano brutti, e non ne fanno mistero. Si adunano sul quid faciendum; e ciò solo per una voce, che almen per ora non ha fondamento. Che faranno mai se si verifichi? Tutti i buoni desiderano che si avveri. Il popolo poi è in un vero furore di allegrezza, per la speranza che ha di possedere il comun Padre.»

Tale si fu la portata dell'atto, con cui il Pontefice ed il sovrano di Roma, intento ed occupato a creare una vera ristaurazione negli Stati pontificii, ossia a distruggere il cattivo a fine di rialzare un nuovo edifizio, aveva frugato il male nella sua radice, ed a quella radice aveva scagliato la scure. Pio VII era logico nel suo provvedimento, ed insieme mostravasi pronto e deciso a far seguir le opere, che a quel consiglio fossero rispondenti.
Se non che un'altrettale logica, ed una pari determinazione nell'operare, mancarono nei sovrani europei: i quali, dopo aver vinto nei campi di battaglia e finalmente soperchiato la rivoluzione, che prima in abito giacobino e poscia in paludamento imperiale li aveva provocati, scherniti, e vinti in cento combattimenti sanguinosi e costosissimi, ora appunto non seppero profittare della vittoria. E non solamente non procurarono di proscrivere le massime della rivoluzione, e di sconfinarla addirittura dalla pubblica economia degli Stati, ma in quella vece le stesero la mano, l'accarezzarono, e le diedero accoglienza nel governo, nell'insegnamento, nella stessa cerchia individuale. E di più ancora i gabinetti delle potenze, dette alleate, raccomandarono e quasi imposero agli altri Stati l'uso della larghezza, del sistema liberale, delle forme costituzionali, od almeno, di norme governative che a quelle si accostassero da vicino.
Chi allora spiccava per concetti di moderato regime, anzi di vero liberalismo, era lo czar Alessandro. In Parigi, in Londra, ed ora in Vienna, egli si era alienato l'animo degli uomini serii, ed erasi lasciato subornare da persone di principii liberaleschi e settarii: basti dire che i suoi principali consiglieri erano il protestante massone De la Harpe [16], suo antico maestro, e il barone di Stein, grande riformatore prussiano, che concorse a fondare ed a spargere la celebre lega della virtù (Tugendbund)[17]. Egli sopratutto aveva imposto al governo francese provvisorio la carta costituzionale; erasi proclamato protettore dei napoleonidi decaduti; professava ammirazione per le istituzioni liberali; e fino dal 1813 avversava cordialmente il principe di Metternich [18]. Laonde fino dai 28 di giugno, quando l'imperatrice madre avevalo chiamato da Parigi a Pietroburgo, il Nunzio di Vienna cosi scrivevane a Roma:
«Io non stupirei se la condotta di S. M. con tutto ciò che di peggio esisteva in Parigi, avesse renduto ardito il partito francese di Pietroburgo, e destato il mal umore negli uomini saggi, amanti dell'antico ordine di cose. Certo è, che una è la voce da per tutto, che come non si dovea tanto liberalmentetrattare, come si è fatto, con una nazione fautrice di tutti i mali, così non dovea S. M. autorizzare ed onorare tanti birbanti, e prendersi cura della sorte loro o de' loro partitanti. Ciò che scrive dall'Olanda il Sig. Paolo Vandervrecken è una prova, che il partito de' giacobini protetti in Francia sarà anche là e da pertutto l'origine di sommi disordini[19]
Con ciò lo Czar Alessandro professava idee religiose assai spinte, le quali però più che di convincimento serio e ragionato sapevano di sentimentalismo: appunto in quel tempo aveva ascoltato la conversazione della celebre signora Krudner, vedova di un diplomatico russo, la quale poi divenne celebre spacciatrice di fanatismo.
Come l'imperatore russo, in politica ed in religione, pensava e regolavasi Federico Guglielmo di Prussia, il quale però era più moderato e più modesto. Ma il suo regno era allora un vero covo di sètte.
A tutti e due entrava certamente innanzi l'imperatore Francesco d'Austria, in quanto ad ortodossia e religiosità personale, ed a sentimenti d'inflessibile giustizia. Egli poi aveva inoltre il vantaggio di avere al suo fianco l'uomo allora più celebrato per accortezza e valore intellettuale, che vantasse la diplomazia di tutta l'Europa. Ma se era vero, che sovrano e ministro detestavano la setta massonica, e che sino dal 1801 il libero muratore era per decreto imperiale escluso dagl'impieghi governativi [20], tuttavia il sistema religioso onde l'impero governavasi, non era se non il frutto delle istituzioni di Giuseppe II, il quale avevale create con vero spirito massonico [21]. E d'altra parte i dicasteri governativi abbondavano in Vienna ed in Milano di aggregati apertamente o di nascosto alla massoneria [22].
A nessuno dunque di tutti questi sovrani e ministri potevano riuscire gradite le norme, onde la Sede Apostolica e il governo di Roma intendevano governare la Chiesa ed il principato romano, ed insieme presentare un esempio, secondo il quale giudicavano doversi ristaurare la morale e la politica cristiane presso tutti i governi di Europa.
Ma i governi non l'intesero; e mentre la tempesta rumoreggiava vicina, minacciando di travolgerli in una seconda fiumana, essi si facevano a rimproverare al Papa l'uso appunto di quelle provvidenze, le quali erano ordinate invece ad allontanare nuovi pericoli e danni da Roma, dall'Italia, e dall'Europa. Disapprovarono, come abbiamo visto, la condanna della massoneria; inoltre si querelarono della ripristinazione della Compagnia di Gesù; e videro di mal occhio la restituzione agli antichi possessori dei conventi non venduti.
Ma è da udire il cardinal Pacca, il quale risponde su questi aggravamenti, fattigli conoscere dal Consalvi, e dice di quelle verità massicce, come soleva fare quell'uomo inconcusso ch'egli era:
Pacca a Consalvi, 16 gennaio 1815. (Cifra). «Non tema V. Emza, che dispiacciano i rilievi, che fa sulle vie di fatto, che hanno potuto indebolire la di lei forza per accelerare la restituzione di quelle Provincie. Creda pure però V. E., che ancora senza i passi che si sono dati, la forbice settaria avrebbe tagliato i di lei capelli, perchè quanto più si era elevata la gloria del S. Padre, tanto più si sarebbe raddoppiata sempre la forza per atterrarla.
« Dimanderei qual male ha fatto ai Principi la ripristinazione dei Gesuiti, l'editto contro i frammassoni, e la riorganizzazione dei Conventi? I Gesuiti erano sospirati dal mondo cattolico, e la prova ne sono le ripristinazioni sollecite, che se ne sono fatte a gara (in) ogni dove perfino nella Francia, dove già vi sono sei case aperte, ed una di Noviziato.
«Dei Frammassoni poteva senza prostituzione di decoro tacere S. S.tà, subito che avevano preceduto coi loro editti i Principi secolari?[23]
«Finalmente circa i conventi, che male si è fatto, se si sono restituiti gli invenduti, e se si è prescritta la restituzione dei beni alienati nelle clausure, che si riducono a mere frazioni, con la promessa o di dare altri beni, o di compensarli in denaro? Non sono poi realmente tutti ripristinati, e qualche Religione che ne aveva trenta, non ne ha avuti che quattro o cinque.
«Diciamolo però con franchezza: è l'ateismo quello che ci fa guerra, e ce la farà coi frati e senza frati, finché Iddio col suo braccio potente non lo distrugga!»

Note:

[1] «... Resta proibito... di continuare, riassumere, ripristinare o istituire adunanze di così detti liberi muratori, o altre consimili sotto qualunque denominazione antica, moderna, o nuovamente immaginata sotto il nome dei cosi detti carbonari, i quali hanno sparso un preteso breve pontificio di approvazione, che porta seco i caratteri evidentissimi di falsità ». - Questa setta massonico-carbonaresca si pregiò sempre di spoglie e di simboli, che simulavano un'apparenza di cattolicismo, atta a far gabbo alla moltitudine degli aggregati appartenenti alle classi popolari. Scopo dei carbonari era di abbattere la tirannide : Gesù Cristo era per essi il tipo, che della tirannide era stato vittima; ed i tiranni, ossia i re, erano significati col nome di lupi, alla cui caccia si preparavano nelle vendite o baracche, dove gli aggregati, o buoni cugini, spacciavano il carbone, vale a dire la dottrina ed i mezzi atti ad esterminare i lupi. Come si vede, il carbonarismo è come calcato sopra la massoneria, il cui scopo era simboleggiato nell'arte e negli strumenti del fabbricare. Orloff-Duval,Mémoires historiques, politiques et littéraires sur le royaume de Naples (Paris, 1819), II, 421; Carte segrete della polizia austriaca in Italia. Ivi all'interrogazione: « qual'è il vero fine della società dei Carbonari ?», si risponde: « Il vero fine è la destruzione dei troni (I, 101)»; Helfert, Kaiser Franz I..., p. 120 segg.; Rinieri,Della vita e delle opere di Silvio Pellico, II, 3 segg. colle fonti ivi citate.
[2] Degli otto capi, ne' quali sono spiegate le pene, è notabile ilsettimo: «Specialmente vuole ed ordina S. S.tà, che gli edifizii, qualunque fossero, come palazzi, case, ville o altro luogo comunque murato o chiuso, in cui venissero ad adunarsi in conventicole indicate, o fattovi loggia nome usan dire; un tal locale, subito che se ne abbia in processo prova in ispecie, debba cedere a favore del fisco, riservando al proprietario del fondo, qualora si trovasse ignaro e non colpevole, il diritto di essere indennizzato a carico solidale del patrimonio de' complici». Il testo intiero stampato a Roma nella stamperia di Francesco e Felice Lazzarini (1814), è riferito quasi tutto dal Pistolesi, Vita di Pio VII, IV, 7 segg.
[3] Barruel, Memoires..., cit. da Ed. Em. Eckert, nell'opera magistrale, La Franc-maçonnerie dans sa véritable signification, trad. dal tedesco per l'abb. Gyr, II, 71
[4] Eckert, vol. cit, p. 156 segg.
[5] Fra gli ascritti alla massoneria, e graduati, si trovano i seguenti magni nomi. Dei francesi: Massena, Kellermann, De Lacépède, De la Tour d'Auvergne, de Beurnonville (generale), Pérignon (maresciallo), Miollis, Thiébault, Radet... (Eckert, op. Cit., II, 159).
Degli italiani si citano varie liste, cavate dagli archivi di Vienna e di Milano. Il Lemmi, nel La restaurazione austriaca (p. 297) cita: Alessandri Marco, De Breme, Caffarelli, Pietro Calepio, (De Kellermann), Luosi, Mejan, (Miollis); Franco Solfi, Antonio Smancini, Giacomo Luini, Borghi, Gambini, Canevari, Lodigiani, Andrea Appiani; Giovanni Demester «e altri numerosissimi ». L'Helfert nel Joachim Murat, seine letzen Kämpfe und sein Ende riferisce a pag. 279 una lista, in cui figurano: il vicerè Eugenio, il duca di Lodi Melzi d'Erli, i ministri Marescalchi, Vaccari, Fontanelli, il generale Pino, il poeta Vincenzo Monti, lo scrittore Pietro Verri. Il Rinieri nei «Bozzetti massonici», Una tenuta massonica nel palazzo di propaganda fide, ai soprariferiti aggiunge: Carlo Caprara, Testi, Giusti, Aldini, Petrocchi, Fenaroli, Pignatelli, duca di Monteleone, Giuseppe e Teodoro Lecchi, Zurlo, Filangieri ed altri (p. 813). Secondo l'Helfert, nel recente volume Kaiser Franz I von Österreich..., il principe Eugenio vicerè d'Italia era egli stesso gran maestro delle cinque logge, che si trovavano in Milano, p. 128.
[6] Vari autori hanno proposto il quesito: se Napoleone fu settario: Un tal Césuchet, che scriveva nel 1829, asserisce che Bonaparte si fece ascrivere alla massoneria nell'isola di Malta, quando per vero tradimento settario occupò quell'isola dei famosi cavalieri, (7-12 giugno 1798). L'abb. Gyr (nell'op. cit., II, 160, nota 1) dice: «On est généralement couvaincu que Napóléon ne s'est jamais fait initier». E questa opinione la credo quasi sicura, giacchè non conto per nulla i titoli di fratello, nè la sigla dei tre punti, datigli a tutto pasto dai massoni banchettanti nelle logge, come si può vedere nel Miroir de la vérité di Abraham, e nel Rinieri, Una tenuta massonica,... sopra citata. D'altra parte è cosa avverata, che Napoleone fu preso di mira dalla setta massonica dei Filadelfi, i quali più di una volta ne tramarono la morte; il famoso generale Mallet, che cospirò in Parigi nel 1812, e per poco non distrusse la potenza napoleonica già barcollante, apparteneva a quella setta, anzi allora ne era uno dei capi. Il supporre tutto romanzo, quanto raccontasi dei Filadelfi da Ch. Nodier nella Histoire des sociétés de l'armée et des conspirations militaires qui ont eu pour objet la destruction du gouvernement de Bonaparte (Paris, Gide Fils, 1815), non ha gran fondamento; sebbene così si asserisca in nota a p. 270-71 nel Quinze ans de haute police del Desmaret (Paris, 1900). Ivi a pag. seg. si fa menzione quasi ridicola dei Filadelfi, e si cita l'autorità del Fouché (Mémoires, I, 394). Ma sono troppi i ragguagli storici, che ci sono tramandati da autori, i quali erano dentro al secreto della cospirazione contro l'imperatore Bonaparte, ed hanno maggiore competenza che i poliziotti Desmaret e Fouché. Se ne parla assai nelle Mémoires d'une contemporaine(in 8 volumi, Paris 1828): nella Histoire des sociétés secrètes citata, pp. 11 segg., 39, 83, 164 segg., 190, 200, 248, 249; e sopratutto ne' tre curiosissimi volumi della Histoire des conspirations formées contre Napoléon Bonaparte, stampato alla macchia in Londra nel 1815. Tralascio gli autori posteriori, che ne hanno messo in luce con documenti la esistenza. Ved. Rinieri, op. Cit., e il II vol. su S. Pellico. Dell'appartenenza del Bonaparte alla setta massonica, un qualche dubbio può aversi dalle sue relazioni col Saliceti (1751-1809), il quale fu grande settario, come fu gran briccone: a Roma gli furono celebrati con gran pompa i funerali massonici! Questo dubbio mi è confermato assai dalle seguenti parole del Bourrienne: «Saliceti lui remit une fois trois mille francs en assignats pour prix de sa voiture que ses besoins l'avaient forcé à vendre (nel 1794, quando gli fu tolto il grado dal Comitato di salute pubblica). Je m'aperçus aisément quenotre jeune ami était initié, ou du moins cherchait à s'initier dans quelque intrigue politique. Je crois même m'étre aperçu que Saliceti l'avait lié par serment, et qu'il s'était engagé à ne rien dire de ce qui se tramait (Memoires, I, 71).» Le grandi birbanterie, commesse dal Saliceti in Italia nel 1796-1797, connivente o permettente il Bonaparte, aggiungono qualche peso al dubbio proposto. Cf. Bourrienne, op. cit., IV, 155.
[7] Quanto si riferisce a questo argomento, poco conosciuto in Italia, fu già svolto nel mio volume: I costituti del conte Confalonieri e il principe di Carignano (1902) a pag. 7, 17.

[8] Dell'essere l'organizzazione dei carbonari stata composta su quella della Società patriottica di Napoli (1794), la quale venne istituita sul modello del club giacobinodi Marsiglia, si trova provato con documenti nel Rinieri, Della rovina di una monarchia (1901) p. 467 segg.; e l'affinità stretta di origine e di forme e di fine, che corre fra il carbonarismo ed il Tugendbund, e fra queste associazioni e la comune madre, la massonica, è pure dimostrata nel vol. cit., I costituti del Confalonieri..., p. 16. Quindi la genesi della carboneria dai clubs dei giacobini, e l'identità del loro fine e del loro organismo, è per me un fatto, di molta importanza, acquistato alla storia. In quanto poi alla rivolta della setta contro Murat nel 1814, il fatto è conosciuto e riferito dagli storici contemporanei citati dal Coppi, VI, 101; G. Pepe, Memorie, I, 225 segg.; Weil, Le prince Eugène et Murat, IV, 454; V, 102-103. I quali convengono, che lo scopo delle mosse dei carbonari nelle province di Teramo era rivolto ad obbligare Murat a dare al paese le forme del regime costituzionale. Alquanto diversamente sono esposte le origini della carboneria, e le mosse de' suoi settarii contro Murat, da uno scrittore informatissimo, qual era il principe di Canosa. Il quale nei Pifferi di montagna(Faenza, 1822) dichiara fondatore della carboneria in Italia, un ufficiale francese appartenente alla setta massonica dei Charboniers, diretta contro la tirannide di Bonaparte, ed alla quale erano ascritti Ceracchi ed Arena. Egli profugo fondò in Capua nel 1810 la primabaracca o vendita, che si moltiplicò secretamente, e nel 1814 cospirò contro Murat (pag. 82 segg.). Nega avere la regina Carolina dato la mossa ai carbonari contro gli usurpatori del regno di Napoli; confessa però, che nella grande trama in cui Saliceti finse di cospirare contro Napoleone, per la repubblica, la regina prese parte (1809-1812); e non ne fu distolta se non per la risoluzione del Bentinck, che le tolse il potere, ed impose la costituzione alla Sicilia (p. 70-82).
[9] Vedi gli autori citati nella nota superiore, i quali tutti convengono in questo intendimento della carboneria. Le costei relazioni con Murat, che ne gastigò i seguaci severamente, e la proibì nel regno (aprile 1814), e poi ne invocò l'influenza e ne accolse le legioni nell'anno seguente, saranno svolte altrove.
[10] Nel popolo romano, e nei popoli degli Stati pontificii, i nomi di giacobino, di rivoluzionario, e di frammassone, erano nomi compiutamente sinonimi. Tanto che nell'insorgere in guerra nazionale, che fecero i popoli negli anni 1798-99 contro i giacobini, questi erano denominati frammassoni; e gl'insorgentidicevansi Sanfedisti, pigliando il nome dei combattenti per la fede, dalle bande del cardinale Ruffo.

[11] Ernesto Cristoforo-Augusto von der Sahla, nato in Dresda da nobile famiglia ed aggregatosi per tempo alla setta degli Illuminati, venne a Parigi nel primo mese del 1811 a fine di ammazzare Napoleone, che era stato il rovinatore della Germania. Armato di pistole, spiava il destro di fare il colpo, quando fu arrestato agli 11 di febbraio e condotto in carcere: non aveva se non 18 anni ! Napoleone lo fece chiudere nella carcere di Vincennes, ordinando di mettere la cosa in tacere: fu liberato dai Prussiani nel loro ingresso in Parigi 1814, Nel tempo deicento giorni volle ritentare il colpo contro Napoleone; aveva preparato una specie di palla fulminante, per gittarla contro il tiranno nell'andare che questi farebbe alla camera legislativa; ma caduto egli per un falso movimento, gli cadde di mano la palla, e ferì se medesimo. Pare che morisse indi a poco tempo. Desmaret, Quinze ans de haute police (Ediz. Garnier), p. 228; Duc de Rovigo, Mémoires, V. 99; Pasquier, Mémoires, I, 516.
[12] In questa lettera il Severoli ci dà alcune notizie intorno alla famiglia del celebre scultore Ceracchi, il quale fu uno dei più accaniti patriotti che osteggiarono Pio VI e concorsero alla rovina di Roma colla chiamata dei giacobini e la istituzione della repubblica nel 1798. Scontento del Bonaparte, dal quale i patriotti aspettavano premii e libertà sconfinata, il Ceracchi cospirò contro di lui insieme col côrso Arena (10 ottobre 1800), e a' 9 di gennaio 1801 fu giustiziato. La moglie, ritiratasi in Roma, chiedeva più tardi soccorsi al Papa, mentre due suoi figliuoli nel 1814 cospiravano contro il Papa nella città di Vienna. Di essi cosi scrive il Severoli nella lettera citata :« Avendo il suddetto Barone al suo servizio uno dei figli del famoso Ceracchi, mi confidò giorni sono le massime cattive di due di essi, di cui egli crede che abbiano sospette corrispondenze con Ancona e Roma. Del primogenito, mi disse, che aveva chiesto di divenire frammassone ; e dopo di avermi comunicato l'originale della supplica data dal Ceracchi a questo fine, me ne diede anche una copia, scritta dal medesimo, che, V. E. troverà in questo mio piego ». La lettera del Ceracchi non si è trovata.
[13] A' 2 di novembre il Nunzio inviava da Vienna la corrispondenza seguente:Extrait du Correspondant de l'Allemagne:«Un journal allemand assure pouvoir garantir la vérité de l'anecdote suivante:«Prospère Lambertini, nè à Bologne en Italie le 31 mars 1673, devenu dans la suite Pape sous le nom de Bénoit XIV le plus éclairé de tous les suprêmes Pontifes et le plus zélé à rendre son elergé plus instruit dans la vue d'avancer par lui les progrès des lumières, pour le bien de l'humanité, avait un valet de chambre qui était F. M. (frammassone). Trouvant dans cet homme une manière excellente de penser et d'agir, il s'entretenait souvent avec lui sur le but et les occupations des F. M. La suite de ces entretiens fut que le Pape se fit lui même initier dans cet ordre. Le discours que le Frère Tiepolo prononça à la réception du Pontife, se trouve avec le protocole des réceptions dans les mains des F. M. qui se donnent le nom d'Africains, par la raison que leurs recherches surtout historiques se dirigent toujours en premier lieu sur les antiquités égyptiennes.»Sulla quale tanto lepida, quanto grossolana ciarlataneria, il Pacca rispondeva indi a 10 giorni in questi termini :«Mi ha stomacato la nuova che si ha avuto il coraggio di pubblicare, risguardo alla S. M. di Benedetto XIV, nel giornale intitolato Extrait du Correspondant de l'Allemagne. Non è nuova questa velenosa impostura; ma sempre che si riproduce, sparge negl'ignoranti e ne' deboli una opinione dannosa. »La velenosa impostura, come la denomina il cardinal Pacca, nacque dalla stessa massoneria nell'anno 1751, dopoché appunto il S. P. Benedetto XIV ebbe fulminato la setta, e si adoperava con Carlo VI borbone, re di Napoli, a ciò che la sterminasse dal regno delle Due Sicilie. Per vendetta e per difesa, i liberi muratori fabbricarono allora quella calunnia. Vedi il carteggio tra Benedetto XIV e il re Carlo di Napoli pel Rinieri, Della rovina di una monarchia, p. 390; 601-614.
[14] Il simbolismo religioso, introdotto nelle sétte, con la compagnia della bibbia, velava stranamente i disegni settarii, e serviva a dar gabbo al vero intendimento settario per la sua introduzione e spargimento nelle moltitudini. È notabile la fioritura di questi simboli religiosi, apparsa quasi contemporaneamente nella carboneria italiana e nel biblico massonismo settentrionale. Da ciò deriva qualche fatto, non bene inteso dalla maggior parte degli scrittori; ed è l'uso apparente, che la setta faceva della bibbia, e del libro dell'Imitazione di Cristo. Questo libro soleva tenere in mano il duca di Lodi, e ne fece la lode regalandone un esemplare al conte Confalonieri; una copia di questo libro fu trovata nel letto di morte dell'ex abbate Gioberti, quando fu colpito da apoplessia. Checchè ne fosse degli uomini che se ne servivano, l'origine di darlo in mano alla gente settaria, certamente emanò dalla setta!
[15] A' 17 dicembre soggiungeva: «Ecco ciò che leggiamo di nuovo nellaGazzetta di Vienna al n. 335, 7 dicembre, riguardo alla società biblica di Pietroburgo:«Le Comité de la société biblique établie dans cette Capitale s'est assemblé le 21 octobre. Depuis les deux ans de son existence, il a fait distribuer 35.100 exemplaires de la bible en langues différentes. Les comités de la sous-division de la société ont fait imprimer 31.500 exemplaires. Le papier seul consumé dans cette entreprise a conté 90.000 roubles.» L'imperatore Alessandro era molto partigiano di cotesta società biblica, e spendeva forti somme per lo spaccio delle bibbie tradotte in volgare alla protestantica. Cf. Prokesch-Osten,Dèpêches inédites du chevalier de Gentz, I, 328. La società biblica, per opera di un emissario della setta, ebbe entratura in Milano indi a qualche anno; fu conosciuta da Federico Confalonieri, capo dei Federati lombardi, e figura nel costui processo. Vedi Rinieri, I costituti del conte Federico Confalonieri..., p. 119 segg.
[16] Federico Cesare De la Harpe, nato a Relle nella Svizzera (1754), dato come maestro da Caterina II ai granduchi Alessandro e Costantino, fu grande agitatore giacobino nel 1798; la sua influenza sullo Czar Alessandro concorse di molto per la indipendenza ed accrescimento territoriale della Svizzera nel Congresso. Non è da confonderlo col celebre letterato (Gian-Francesco) di questo nome.
[17] Il barone di Stein (1751-1831) fu uno degli uomini più benemeriti della Prussia. Impiegato nelle finanze fino al 1711, passò quindi in Russia, d'onde nel 1812 tornò nella sua patria con pienezza di poteri. Allora lavorò con altri all'insurrezione nazionale contro i francesi. Vedi Oncken, L'epoca della rivoluzione... e delle guerre d'indipendenza. II, 419, 811; Metternich, Mémoires, IV, 195.
[18] Il famoso Federico di Gentz così scriveva di lui, nella suaMemoria sul Congresso di Vienna:« L'Empereur de Russie est venu à Vienne, pour s'y faire admirer (ce qui est toujours la première de ses pensées), et puis pour diriger en personne les arrangements importants qui devaient fixer les limites et l'assiète future de tant d'Etats qui réclamaient leur part du butin immense que les succès contre l'ennemi commun avaient mis à la disposition des alliés » Metternich, Mémoires, II, 475. Sulle cause dell'avversione contro il principe di Metternich, vedi Prokesch Osten. Dépêches inédites du chevalier de Gentz, I, 60 segg. Il lettore farà la dovuta tara delle parole del Gentz, siccome di colui che era creatura del Metternich, e quindi avversario allo czar di Russia.
[19] Lettera a cifra Severoli a Pacca, 28 giugno 1814.
[20] Il decreto proibitivo è il seguente :« Poichè ha imparato l'esperienza, che sotto gl'immensi mali dell'ultima guerra le società segrete e fratellanze siano state una delle maggiori sorgenti, per le quali si sono sparse le pestifere massime: Così per l'ultimo mantenimento della quiete e sicurezza« S. M, l'Imperatore ha determinato che si ordini alli Supremi di Corte, che a tutti i sottopostiindividui di qualsivoglia grado o condizione sia chiesto un attestato di giuramento: che essi presentemente non sieno intrecciati in nessuna segreta società o fratellanza nè nell'interno né nell'esterno. E se vi fossero, di disciogliersi immediatamente, o al meno di non volere intromettersi nell'avvenire in qualsiasi società segreta, sotto qualunque titolo.« Vuole S. M. l'Imperatore che questa determinazione sia osservata con tutto rigore.« Starhemberg.« Vienna, li 25 aprile 1801.« Dall' I. R, Cancelleria del Supremo Maestro di Corte« Giorgio de Verlet. »
[21] Su Giuseppe II, e la sua massoneria, vedi Rinieri, Della rovina di una monarchia, p. 385.
[22] Oltre agli Aldini, ed ai Marescalchi, veri antichi massoni, accolti dall'Austria nel 1814, aveva pure trovato impiego il marchese Ghislieri, che era ministro austriaco in Roma nel 1800. Di lui cosi scriveva il Nunzio Severoli da Vienna nella sua cifra de' 14 luglio 1814;« Sino dall'anno 1806 il marchese Ghislieri fu ammesso nella setta de' frammassoni. Ricomparso egli dopo le sue note vicende qui in Vienna, ha subito, a differenza di tante virtuose persone che inutilmente chiedono pane da tanto tempo, avuto un impiego di Censore a Milano con 6 mila annui fiorini in carta di appannaggio, e dieci fiorini in argento al giorno, finchè dura il governo provvisorio.« Ciò ha dato motivo a tanti rispettabili, uomini di raccontare la storia del di lui ricevimento, che pur troppo è quella che si conobbe da alcuni che l'occultavano, sperando che il marchese nelle sue disgrazie avesse messo giudizio, e corretta la dominante sua leggerezza.« Da sé può immaginare V. E. il mio mal umore per simili aneddoti, e cosa io abbia detto al vedere perpetuata dopo ancora tanti trionfi della Chiesa la censura in mano ai laici, e a tali laici. Io mi restringo a significarle, che ho predicato e predico con tutti cioè coi Stadion, coi Metternich, coi ministri la necessità di restituire alla Chiesa e ai suoi ministri quella fiducia, che ci è stata tolta con inesprimibile danno della dottrina, della educazione, e del buon ordine pubblico: ma penso che effundo sermonem, ubi non est auditus. »Ed a' 23 dello stesso mese soggiungeva:« ... Invece un estensore de' progetti del principe di Metternich, uomo capacissimo e buon cristiano, non ha mai potuto ottenere impiego... forse perchè non è frammassone. »A' 17 agosto però osservava :« Quanto al marchese Ghislieri, di cui abbiamo parlato nei passati dispacci, è certissimo ch'egli cercò anni sono di riconciliarsi con la Chiesa. Se i frammassoni continuino ora ad averlo per loro, è un altro fatto. Il fatto è ch'egli è Censore. »Di questo marchese Ghislieri fa lunga menzione, esagerando forse troppo le tinte, il Cusani, Storia di Milano, VI, 201 segg.; VII, 76-80.
[23] Il re di Piemonte aveva proibito con forti pene ogni assembramento massonico, con decreto de' 10 giugno 1814. Lo stesso fecero Gioacchino Murat, contro i carbonari, il duca di Modena, l'imperatore d'Austria, e il granduca di Toscana, indi a poco tempo.


Da quanto riportato dalla Civiltà Cattolica si evince chiaramente che la presenza massonica al Congresso di Vienna era cosa conosciuta e combattuta nel medesimo istante da coloro che , sinceramente,  volevano la vera Restaurazione, con il Pontefice Pio VII in testa.


Fine VII Parte...

Fonti:

La Civiltà Cattolica, anno LIV, serie XVIII, vol. XII (fasc. 1283 25 novembre 1903) Roma 1903 pag. 513-535. R.P. Ilario Rinieri S.J.LA MASSONERIA, IL CONGRESSO DI VIENNA E LA S. SEDE.


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Il Principe dei Reazionari

La guerra all’ideale cristiano

 
 
L’ora che stiamo vivendo… è tutt’altro che esito di deterministiche evoluzioni sociali, quanto piuttosto frutto maturo di precisi assunti filosofici miranti a ridurre ogni trascendenza ad una dimensione meramente immanentista e antropocentrica. Quando Jean-Jacques Rousseau, novello apportatore di lumi, pretendeva di mostrare ai suoi simili “l’uomo in tutta la verità della natura”, invitandolo ad abbandonarsi agli istinti e al sentimento, si trovò coerentemente a dover dichiarare che “lo stato di riflessione è uno stato
contro natura, “che l’uomo che medita è un animale depravato”. (…)
Un programma specchiato nell’“Emilio”… dove il pensatore ginevrino aveva affrontato il problema pedagogico postulando una formazione del giovane “secondo natura”, vale a dire come processo spontaneo di apprendimento governato solamente dalla sua ragione, assolutamente svincolata da ogni rivelazione o norma trascendente, dove il ruolo dell’educatore fosse semplicemente passivo, limitato alla rimozione degli ostacoli che eventualmente si fossero frapposti al libero sviluppo del giovane che gli veniva affidato. Un po’ come lasciar crescere una pianta da frutto rigorosamente allo stato selvaggio, vigilando affinché non venga potata, concimata, vincolata ad un sostegno o liberata dalle erbacce che la soffocano sottraendole alimento. (…)
Una volta istituzionalizzato come vero ed efficace il noto assioma rousseauiano della bontà primitiva dell’uomo, era evidente che la Civiltà cristiana, e con essa, inscindibile, il pensiero ontologico che l’aveva fondata e sostenuta, dovevano essere catalogati fra le cause della corruzione dalle nuove dottrine e, in quanto tali, fieramente combattuti. (…)
E’ invero piuttosto agevole individuare alcune linee “operative” del più generale processo di inversione che ha condotto a chiamare bene ciò che è male e col nome di virtù il peccato, e viceversa. Senza tema di esaurire l’argomento ne presentiamo qualcuna:
– Si è operato in modo da distorcere o sopprimere ogni ideale potenzialmente ostile ai fini di controllo perseguiti, particolarmente quello religioso, come hanno insegnato ad abundantiam i regimi comunisti.
– Grandi risorse e ogni attenzione sono state dedicate alla soppressione dei meccanismi di controllo su se stessi, che si manifestano nel senso del dovere, nella pratica di una vita fondata sulla preghiera, per sostituirli con direttive di origine esterna, vale a dire con una presenza capillare di costrizioni stabilite dai novelli costumi e dalle leggi, che contribuisca ad esercitare una pressione costante in direzione di un’uniformità ideologica più perfetta possibile.
– Non si è persa l’occasione di gettare il disprezzo o il ridicolo sulla vera religione e sulla pratica degli atti ad essa conformi, alimentando con cura i sentimenti di rispetto umano e di timore di apparire diversi dal tipo umano oggi dominante, fino a conseguire lo strepitoso successo di una stretta vigilanza esercitata dal singolo sui suoi stessi pensieri sì che – gendarme di sé stesso – possa censurare, come gravemente fuori luogo e di cattivo gusto, la citazione dei novissimi o la semplice pronuncia di nomi come Gesù, destino eterno, ecc.
– Si è fatta leva sul gregarismo… per qualsiasi azione o decisione che il singolo intenda affrontare, presentando in luce negativa ogni iniziativa personale disgiunta da quella del gruppo. Si è inoltre puntato fortemente sulla manipolazione del senso comune – il noto “buon senso” – variando progressivamente verso il basso la soglia del pudore e della moralità, condizione quest’ultima indispensabile per introdurre ulteriori note di devianza e di abbrutimento nel singolo, ormai quasi sradicato dal
suo naturale humus cristiano.
– Si è imposto con progressività e determinazione implacabili un controllo esterno delle idee che si affacciano all’ingresso delle coscienze, scopo elettivo – manifestamente – dei mezzi di comunicazione di massa, destinati a formare la cosiddetta “opinione pubblica”. I reggitori sono infatti perfettamente al corrente che una persona fondata nella fede, dalla forte personalità spirituale, non è di massima permeabile a idee, proposte e pressioni dell’ambiente esterno che la possano far divergere dai suoi principi. L’esempio dei musulmani ai nostri giorni è paradigmatico: pur seguaci di una religione che non possiede di certo la Verità, per il solo fatto di aderire fortemente al loro credo, rappresentano un durissimo ostacolo all’avanzata della Repubblica Universale. Si immagini di converso lo splendore e la fioritura spirituale di un Occidente che, invece di annacquare progressivamente la propria fede in Cristo, si fosse strettamente arroccato entro le mura della Sua Verità totale.
I punti sopraelencati potrebbero venire condensati tutti nel seguente programma: non più ideali, e perciò non più idee forti, bensì sviluppo e coltivazione intensiva di coscienze deboli, da mantenere ben affollate con una moltitudine di idee ad alto contenuto dissipativo, vale a dire sensitive ed animalizzanti . Togliete l’ideale – infatti – e avrete tolto la tensione verso l’alto e la volontà, lasciando spazio a coscienzeintorpidite e annebbiate e ad atti conseguenti.
 
Fonte: Epiphanius, prefazione a Walter Salin, Il canto di Satana, Edizioni Stella, 2004, pp. 9-14.
 

Eroi del legittimismo: Antonio Molle Lazo




Il 10 Agosto 2012 si è svolta,  a  Peñaflor (Sevilla),  la ricorrenza del 76° anno dal  martirio di Antonio Molle Lazo , il cui nome gira intorno all'attualmente principale centro Tradizionalista e Carlista di Madrid.
Questo giovane glorioso nacque  ad Arcos de la Frontera, nella mattina di Venerdì 2 aprile 1915, in una famiglia carlista.
Educato nelle scuole dei Fratelli della Dottrina Cristiana portava sempre sul suo petto il Santo Scapolare. Requeté del Tercio de Nuestra Señora de la Merced, de Jerez de la Frontera, dove  visse da giovanissimo con i genitori,  trovò la morte santa e gloriosa il 10 agosto 1936, dopo aver subito sul suo corpo un grande tormento e  mutilazioni , mentre in opposizione alle bestemmie e insulti dei rossi, ha risposto gridando: Viva Cristo Re! Viva la Spagna!
Egli, attraverso il suo martirio , contribuì  al ricevimento di molti onori  da parte di altri Carlisti . Il suo corpo riposa nella Cappella di Cristo Re, nella chiesa di Nostra Signora del Carmen de Jerez.


Fonte:

http://mollelazo.blogspot.it

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sabato 29 settembre 2012

I falsi Luigi XVII apparsi nel secolo XIX (5): KARL WILHELM NAUNDORF - 1. LA VITA -


 
Fichier:Blason Famille Naundorff-de Bourbon sacre-coeur.svg
Blasone della famiglia Naundorff-di Borbone


Per i suoi seguaci Naundorf sarebbe stato Luigi XVII, nato a Versailles nel 1785, rinchiuso al Tempio, di lì evaso per poi riapparire in Prussia alla Restaurazione. Riuscì a sedurre un gran numero di persone, grazie alla distinzione dei modi e ad una certa somiglianza fisica con i Borboni.
Di lui si sa che il 19 novembre 1818 sposa in Prussia una donna protestante, Johanna Fridericke Einert, di soli quindici anni. Il matrimonio sarà allietato da nove figli, cinque dei quali maschi. Si sa anche che Naundorf esce dalla prigione di Altstadt il 3 maggio 1828, dopo aver scontato tre anni di carcere per emissione e spaccio di moneta falsa, condanna sulla quale torneremo fra un attimo.
Prima di quella data le notizie circa la sua esistenza sono alquanto vaghe e controverse, derivanti soprattutto dagli accertamenti effettuati dalla polizia prussiana, in margine alle dichiarazioni rese da Naundorf durante il processo per falsificazione della valuta che lo vide condannato. Occorre dire che la tesi dei seguaci del pretendente Naundorf riguardo al processo del 1824-26 è ch’egli sarebbe stato
condannato per motivi di persecuzione politica e non certamente per falso. Quanto ai suoi precedenti penali, essi affermano che sarebbero esistiti due Naundorf: uno pluripregiudicato, l’altro, l’aspirante Re di Francia, al quale la polizia prussiana aveva attribuito quel nome per infangarne l’immagine.
Ma torniamo al processo subìto da Naundorf in Prussia, alle sue dichiarazioni menzognere e ai riscontri della polizia del Brandeburgo25. Egli si diceva nato a Weimar, il 15 febbraio 1775, dall’orologiaio Gottfried Naundorf. Dopo un soggiorno in Svizzera e prima di giungere in Brandeburgo via Spandau, pretendeva di essersi stabilito come orologiaio a Berlino, nel 1810. In prime nozze avrebbe sposato una vedova, della quale dichiarava di non sapere nulla di preciso, se non ch’era deceduta dopo che lui aveva fissato la sua residenza a Spandau e che lei gli aveva confessato
sul letto di morte d’aver avuto un figlio dal suo precedente marito, un soldato di nome Sonnenfeld. Più tardi, man mano che procedeva nelle sue spiegazioni, questo soldato si trasforma in un orologiaio, tanto da divenire alla fine “orologiaio e soldato”. Naundorf aggiungeva di aver ottenuto nello stesso periodo un diritto di cittadinanza nella città di Berlino.
Le ricerche effettuate dalla polizia prussiana smentirono la maggior parte di questi dettagli biografici. Soli elementi corroborati dai fatti: l’esistenza a Berlino nel 1810 di una donna, che si presentava come sua moglie e la presenza, sempre a Berlino e in quello stesso tempo, di un orologiaio di nome Naundorf.

KARL WILHELM NAUNDORF
 

La nascita innanzitutto. A Berlino Naundorf aveva dichiarato in precedenza di essere nato ad Halle nel 1783. Ora dice di essere nato a Weimar, nel 1775: aveva già mentito una volta. Si cercano le tracce di un Naundorf nativo di Weimar in quell’anno, ma non lo si trova. Diceva il vero a Berlino?
Sua moglie, la prima, Christiana Hassert, era ella sì nativa di Halle. Si erano forse conosciuti in quella città durante la loro giovinezza? Nel 1810 la Hassert si presentava come sua moglie da lunga data. Il matrimonio o, quanto meno, le relazioni fra i due precedevano certamente di molto tempo quella data.
Privo di documenti a quell’epoca26, Naundorf era tollerato a Berlino solo come “residente straniero”, senza il minimo diritto politico. Egli non ottiene il suo diritto di cittadinanza che nel 1812 a Spandau, grazie alla semplice esibizione di un certificato di buona condotta concessogli dal direttore di polizia Lecoq (che si ritrova nelle sue Memorie) e dietro versamento di 6 talleri e 18 grossi.
I precedenti di Naundorf non erano dunque molto limpidi. Malgrado le prove che si accumulavano contro di lui, egli s’impunta per lunghi mesi sulla sua versione.
Aggiunge di essersi dato alla macchia e di essersi unito a una banda, che aveva combattuto l’occupazione napoleonica. Precisa anche di aver fatto parte di una rete di malviventi dalle ramificazioni tentacolari e di essere stato incaricato di smantellarla in cambio della sua liberazione.
Dal maggio del 1825 egli però cambia tattica. Abbandona definitivamente il suo vecchio curriculum e si presenta ora come “un Prìncipe di sangue”, nato a Parigi, senz’altra indicazione. Portato nella Svizzera tedesca, lì avrebbe perduto familiarità con la lingua materna, sarebbe stato rapito più volte e poi misteriosamente salvato durante numerosi viaggi all’estero. Avrebbe incontrato uno sconosciuto che gli avrebbe fornito documenti falsi a nome Naundorf e che l’avrebbe condotto innanzi al
Duca di Brunswick(*). Questi, riconoscendolo, lo avrebbe nominato immediatamente ufficiale. Dopo diverse battaglie contro i napoleonici, sarebbe stato fatto prigioniero dai francesi. Riuscito ad evadere, avrebbe deciso di assumere il nome Naundorf e d’insediarsi come orologiaio a Berlino.
È questa, come si comprende, la trama delle future Memorie del nostro pretendente.
Non aveva ancora gettato sul tappeto la questione Luigi XVII, certo. Può essere che Naundorf preferisse, per motivi strategici, passare per il momento sotto silenzio questa sua identità. Può anche essere ch’egli non avesse ancora pensato a questa possibilità.

 Karl Wilhelm
Ferdinand, Duca di Brunswick-Luneburg (1735-1806)


(*) Ammettendo che a proposito di questo incontro Naundorf dicesse il vero, per evidenti ragioni cronologiche, ben difficilmente potrebbe trattarsi del grande generale Karl Wilhelm Ferdinand, Duca di Brunswick-Luneburg (1735-1806) che il 25 luglio 1792, comandante supremo delle forze austro-prussiane in guerra con la Francia rivoluzionaria, aveva pubblicato il celebre manifesto che porta il suo nome. In esso s’incitavano i francesi a liberare il proprio Re, mettendo fine ai disordini rivoluzionari, pena la minaccia di un’azione militare su Parigi. È più probabile che Naundorf si riferisse a un suo presunto abboccamento con il figlio e successore del sopra menzionato generale, Friedrich Wilhelm (1771-1815). Anche quest’altro Duca di Brunswick fu acerrimo avversario della
dominazione napoleonica sugli Stati tedeschi, partecipò alla campagna militare del 1809 e fu a capo di formazioni combattenti popolari. Costretto a riparare in Inghilterra dopo la sfortunata battaglia di Wagram, fece ritorno a Brunswick nel 1813 per raccogliervi truppe fresche per la nuova coalizione antifrancese. Il 16 giugno 1815 rimase valorosamente ucciso sul campo nella battaglia di Quatre Bas, che precedette di poche ore quella decisiva di Waterloo.

Il 23 settembre di quello stesso anno (1825), Naundorf acconsentì a fornire qualche informazione in più. Questa volta sbrigliò un po’ troppo la lingua. Condannato per insolenza a 15 colpi di frusta, soltanto un’ascendenza principesca poteva permettergli di scampare a questo terribile castigo. Cercò allora di persuadere le autorità carcerarie di avere natali principeschi. Si ricordò opportunamente del suo nome di battesimo: "Ludewig Burbong"! Si sovvenne d’essere cresciuto in America, d’essere poi giunto in Francia e di essere stato “custodito prigioniero in una fortezza fino al 1809”! Il resto della sua deposizione non è che una piatta parafrasi di quanto già detto, ruotante attorno agli argomenti Brunswick-evasione-orologiaio.
L’elemento più importante recato dalle sue nuove dichiarazioni è l’apparizione del nome "Burbong-Bourbon", che, quanto meno foneticamente, lo riallaccia alla Famiglia Reale di Francia e lo salva intanto dalla sanzione disciplinare.
Dal quadro tracciato emerge che Naundorf fu probabilissimamente un disertore prussiano, svolgeremo meglio queste considerazioni più avanti, di nome Karl Benjamin Werg. Dopo aver disertato ed essersi dato per qualche tempo alla macchia, al tempo dell’occupazione napoleonica della Germania, desiderò rifarsi una vita con la conquista dei suoi anni giovanili, Christiana Hassert, che certamente con il soldato Werg aveva convissuto e che poi si faceva passare per sua moglie. Per
cancellare il passato di disertore egli si fa “prestare” l’identità di un bambino morto prematuramente nella città di Halle, di cui la Hassert era originaria. Quel bambino si chiamava Naundorf ed era figlio di un orologiaio. Il sotterfugio per qualche anno regge; i due migrano di città in città. Ma il mestiere d’orologiaio non rende i guadagni sperati. Ecco allora che Werg-Naundorf ripiomba nell’illegalità,
fabbricando e spacciando moneta falsa. Incastrato dalla giustizia, mente per camuffare i suoi trascorsi di disertore. Si radica in lui la folle idea d’inventarsi natali principeschi. Uscito di prigione diventa niente meno che Luigi XVII.


Luigi XVII di Francia
Luigi XVII di Borbone-Francia (Versailles, 27 marzo 1785Parigi, 8 giugno 1795)
 


Scarcerato, gli viene assegnato di risiedere in Slesia, a Crossen, oggi Krosno Ordrzanskie, sull’Oder, territorio tedesco passato alla Polonia dopo la Seconda Guerra Mondiale. Per potervi esercitare il suo mestiere di orologiaio, Naundorf domanda la cittadinanza di Crossen. Dietro l’uomo dall’apparenza piuttosto miserabile, si cela però (secondo i naundorfisti) un personaggio di primaria importanza, conosciuto dalle Autorità prussiane.
In Francia egli fa parlare per la prima volta di sé attraverso un comunicato, pubblicato sul Constitutionnel del 28 agosto 1831. Il giornale riproduceva un articolo apparso sulla Leipziger Zeitung dodici giorni prima: «Il figlio di Luigi XVI, Luigi Carlo di Francia, Duca di Normandia e, dopo la morte di suo fratello, Delfino di Francia, risiede a Crossen, presso Francoforte sull’Oder: egli ha scritto la sua vita e i suoi patimenti che sta per stampare sotto un nome di fantasia, considerate le circostanze presenti. Ci si può indirizzare al suo mandatario speciale, il Commissario di Giustizia di Crossen».
A quest’annunzio molti lettori si commossero e, detto fatto, scrissero al Prìncipe misterioso, che non osava ancora disvelarsi. Fra costoro, il Signor Albouys, un anziano giudice del tribunale di Cahors, dimessosi nel 1830 in reazione all’usurpatore del trono Luigi Filippo d’Orleans. Convinto legittimista e fervente sostenitore del ramo primogenito dei Borboni, Albouys era anche un tranquillo sognatore che viveva nella speranza che il Delfino fosse sopravvissuto alla prigionia del Tempio. Da Crossen la risposta non si fece attendere e fra i due s’intrecciarono fitti legami. Un giorno Albouys pregò il suo Prìncipe di venire a calpestare il suolo francese.

Luigi Filippo di Francia
Luigi Filippo Borbone-Orléans, duca d'Orléans (Parigi, 6 ottobre 1773Claremont House, 26 agosto 1850)
 

Naundorf gli domandò qualche aiuto economico per le spese di viaggio. Il magistrato, che non era molto ricco, si privò della somma di 150 franchi. Ebbe allora la sorpresa di venire a sapere di essere stato nominato “incaricato d’affari” del Delfino.
Nel luglio del 1832, lasciata la sua famiglia alla vigilanza della moglie, Naundorf lascia Crossen: se ne va a piedi, con quattro scudi in tasca per viatico. La moglie gli aveva già dato cinque figli (quattro dei quali rimasti in vita) ed era incinta di un sesto.
La coppia aveva infatti tre femmine (Amelia, Berta Giulia e Maria Antonietta) e due maschi (Carlo Edoardo e Luigi Carlo).
Il 18 ottobre 1832 Naundorf torna alla carica, mandando due lettere al suo nuovo “incaricato d’affari”, Albouys. Gli scrive di trovarsi a Ginevra da due mesi e di avere urgente bisogno di un piccolo anticipo di mille franchi. A Pasqua, assicurava, avrebbe rimborsato il suo creditore. Mille franchi non erano niente. Prima di cedere Albouys, che non aveva i mezzi economici per recarsi in Svizzera, ebbe almeno la presenza di spirito di domandare a un suo amico ginevrino, il Signor d'Aulnois, di svolgere sul posto una piccola indagine. La risposta dell’amico non lasciò margini d’ambiguità:
“È tutta un’incredibile frode”. Scoraggiato, Albouys, sta per lasciare tutto. Ma il suo spirito critico, ridestato per un istante, soccombe nuovamente a causa di una certa signorina Roth, sedotta anche lei dal Prìncipe di Crossen. Evita tuttavia di mandargli la somma richiesta, seguendo gli accorti consigli di Chateaubriand, che lo aveva invitato a conservare il suo denaro e a “diffidare dei bricconi”.
“Il 28 maggio 1833 il «Re» fa il suo ingresso a Parigi. Ormai si fa chiamare Baumann (il suo terzo pseudonimo in un anno) e prende alloggio in un albergo alla via di Saint-Honoré. In una nuova lettera indirizzata ad Albouys, adesso chiede niente meno che 1.800 franchi”. Il 6 giugno, Albouys, indispettito, decide di tagliare i ponti con il suo corrispondente. Gli rivolge una vigorosa reprimenda; si dichiara stanco di essere trattato come una vacca da mungere e come uno sciocco: deluso
dall’eterno ritornello di richieste di denaro e dalle mancate prove sull’autenticità del Delfino, che non arrivano mai. Conclusione: andasse dunque a cercare vitto e alloggio dal Prefetto di polizia, se proprio si trovava in difficoltà, come diceva.
Ben presto però Albouys si fa sopraffare dai rimorsi. E se si fosse ingannato? Abbandonare Luigi XVII alla sua sorte non sarebbe stato un crimine paragonabile a quello compiuto dai rivoluzionari? Decide allora di mandare sua cognata Carolina in cerca di notizie. Ma anche lei soggiace al fascino di Naundorf, tanto che finisce per alloggiarlo nella pensione di Rue de Buci, di cui era tenutario il marito, il fratello del magistrato. Il quale decide a questo punto di recarsi a Parigi di persona, il 1° di
agosto. Dal suo diario traspare la fascinazione ch’egli prova per Naundorf sin dal primo incontro: scrive che colui che ha di fronte “mostra i tratti di tutti membri della Famiglia Reale” e aggiunge ancora, senza essere sfiorato dal ridicolo, che, “cosa rimarchevole, egli assomiglia molto anche a Napoleone”! E, ancora, che “le prove morali erano più forti di quelle materiali”: evidentemente la sua ragione era ormai soggiogata dal sentimento.
Ma il vecchio magistrato resta dilaniato dai dubbi. Alla ricerca di prove materiali decisive, manda Carolina a Crossen, dove nel cassetto segreto di un mobile dovevano essere conservati documenti tali, così diceva Naundorf, da far tremare la Francia.
Carolina va, fa smontare il mobile dei segreti in mille pezzi, ma non vi trova nulla. La replica di Naundorf lascia basiti: s’egli le aveva fatto false confidenze era perché così doveva fare. Disgustati, gli Albouys abbandonano Naundorf, che stavolta è costretto a fare i bagagli dalla pensione di Rue de Buci.


Fichier:Naundorff1.jpg
KARL WILHELM NAUNDORF




La sera del 28 gennaio 1834, durante il suo soggiorno parigino, Naundorf subisce un attentato nei pressi di Palazzo Reale. Tornando da un pranzo fuori casa, mentre stava attraversando Place du Carrousel, è bruscamente assalito da tre individui, i quali, senza dirgli una parola, lo trafiggono in rapida successione con sei pugnalate. Una stilettata raggiunge la regione cardiaca, un’altra è fermata da una delle medaglie con l’effigie di Gesù Cristo, che pendono dal suo rosario: sotto la violenza
dei colpi il piccolo disco d’argento, pur assai spesso, si curva profondamente.
Naundorf si difende alla meglio ma, fiaccato dal sangue perduto, avrebbe certamente dovuto soccombere dinnanzi ai suoi aggressori, se il provvidenziale arrivo di un calesse non li avesse messi in fuga. Insomma si sarebbe trattato, stando ai suoi seguaci, di un autentico miracolo! Naturalmente gli sconosciuti aggressori non furono mai acciuffati. E, d’altra parte, nessun testimone aveva assistito al fatto di sangue. Naundorf fu accusato di essersi ferito da solo, per attirare su di sé l’attenzione del pubblico o, più verosimilmente, con la segreta speranza d’impietosire la Duchessa d'Angoulême, Madame Royale, che non lo voleva ricevere e si rifiutava anzi di riconoscere in Naundorf quel suo fratello (Luigi XVII) morto al Tempio. Proprio in quei giorni infatti Madame Royale veniva contattata a Praga da alcuni emissari di Naundorf. Tuttavia, al momento dell’esumazione della sua salma, il 27 novembre 1950, il dottor Hulst riserva un esame minuzioso allo scheletro del defunto, pervenendo alla conclusione che le lesioni riscontrate non potevano essere state provocate da lui stesso.
Il 13 febbraio 1835 Naundorf decide di scrivere direttamente alla “sorella”. Prende dunque carta e penna e scrive all’emissario Morel de Saint-Didier, suo nuovo “incaricato d’affari ” dopo la rottura con Albouys, per raccontargli la sua adolescenza, cercando di rendere quanto più credibile il suo racconto.
Inoltre ammonisce la “sorella” di essere “pronto a impugnare per falso l’atto del [suo] preteso decesso e di essere deciso a reclamare innanzi ai Tribunali il nome“ che gli apparteneva.
Prima di lasciare la Prussica, a causa delle minacce di un nuovo arresto, Naundorf aveva dato istruzioni alla moglie di fissare la propria residenza a Dresda, nel Reame di Sassonia, dove il preteso Luigi XVII sperava che moglie e figli sarebbero stati bene accolti: l’autentico figlio di Luigi XVI aveva infatti legami di parentela con la Casa Reale sassone. Nell’aprile del 1834 Johanna Fridericke e i suoi bambini s’installano a Dresda, dove l’anno successivo, a soli due anni d’età, una delle loro
figlie, Berta Giulia, muore. La famiglia Naundorf intrattiene frattanto rapporti con la Corte di Dresda, che la protegge. Nell’ottobre del 1836 il Re Federico Augusto II ammette il figlio maggiore Carlo Edoardo nella Scuola Reale dei Cadetti di Dresda, riservata a giovani appartenenti alla classe nobiliare. “Ed è proprio nel Palazzo Reale di Dresda, nella cappella privata del Re di Sassonia, che Johanna Fridericke Einert, moglie di Luigi XVII sotto il nome di Naundorf, abiura il protestantesimo e viene ricevuta nel seno della Chiesa Cattolica, assieme ai due figli maggiori, Amelia e Carlo Edoardo”.
Naturalmente da parte francese si moltiplicano le pressioni sulla Casa Reale sassone, affinché i Naundorf siano espulsi da Dresda: una richiesta che accomunava tanto i Borboni del ramo principale, esiliati a Hradschin, vicino Praga, quanto l’ambasciatore di Francia in Sassonia, che rappresentava gl’interessi di Luigi Filippo d’Orléans.
Così, il 23 agosto 1837 il governo sassone decide l’espulsione dei congiunti di Naundorf, differendone però l’esecuzione al marzo del 1838. Intanto diverse persone ch’ebbero a che fare con la corte di Luigi XVI, credono di ravvisare nel pretendente prussiano Sua Maestà Cristianissima Luigi XVII, Re di Francia e lo riconoscono come tale.
Il 17 luglio 1835, Naundorf aveva frattanto indirizzato una lettera alle Potenze straniere e al Governo francese, nella quale si proclamava il figlio sopravvissuto di Luigi XVI e il solo Re legittimo di Francia. Nella medesima missiva egli bollava solennemente come usurpatori del trono di Francia gli ex-Re Luigi XVIII e Carlo X, come pure i loro discendenti. Aggiungeva quindi: “Altro non domando che il nome mio e il godimento dei miei diritti civili. Nella mia qualità di Duca di Normandia, ultimo Delfino di Francia, mi accingo a reclamare innanzi ai Tribunali l’esercizio di questi diritti successori delle Loro Maestà Luigi XVI e Maria Antonietta, mio padre e mia madre”.


Luigi XVIII
Luigi XVIII di Borbone-Francia (Versailles, 17 novembre 1755Parigi, 16 settembre 1824) Re di Francia dal 1814 al 1824.
 
 
 
Carlo X
 Carlo X di Borbone-Francia, conte d'Artois (Versailles, 9 ottobre 1757Gorizia, 6 novembre 1836Re di Francia dal 1824 al 1830.
 
 

Il 13 giugno 1836 Naundorf, che seguitava risiedere a Parigi, ingiunge alla Duchessa d’Angoulême e al Conte di Artois (già Re Carlo X) di comparire innanzi alla Prima Camera del Tribunale Civile della Senna, per “constatare, dire e ordinare che l’atto di decesso di Luigi Carlo, Duca di Normandia, è nullo, atteso che il richiedente altri non è che il Duca stesso di Normandia”. Due giorni dopo, il 15 giugno 1836, Naundorf è tratto in arresto e imprigionato, senza che gliene vengano contestati i
motivi; tutte le sue carte gli vengono sequestrate (né gli saranno mai più restituite, restando a disposizione dell’amministrazione giudiziaria) e il 12 luglio viene espulso in Inghilterra, accompagnato alla frontiera da due gendarmi che viaggiano a sue spese, incaricati di vigilarlo.



File:Marie-Therese-Charlotte.jpg
Maria Teresa Carlotta di Borbone-Francia (Versailles, 19 dicembre 1778Frohsdorf, 19 ottobre 1851) Duchessa d'Angoulême, Delfina di Francia (ed anche per alcuni minuti nel 1830  Regina di Francia ), quindi in esilio Contessa di Marnes, nota anche come Madame Royale, figlia primogenita di Luigi XVI di Francia e di Maria Antonietta d'Asburgo-Lorena.
 
 

Intanto si apre un’indagine giudiziaria sul suo conto, condotta dal giudice istruttore Zangiacomi, il quale acquisisce la deposizione del Signor Jean Baptiste Jérôme Brémond, che dal 1788 al 10 agosto 1792 fu segretario particolare del Re Luigi XVI, con cui aveva dimestichezza quotidiana per ragioni di lavoro. Trasferitosi a Semsale, nel Cantone di Friburgo, in Svizzera, durante i torbidi rivoluzionari, vi aveva acquistata la nazionalità elvetica, mettendo in piedi un’impresa industriale. I Signori
di Brémond e di Montciel gestivano con cura e probità, d’intesa l’uno con l’altro, un capitale che il defunto Re Luigi XVI aveva affidato loro, incaricandoli di restituirlo un giorno a suo figlio, in caso di necessità.
Fu così che nel 1837 il Signore di Brémond ricevette una convocazione da parte del Tribunale Distrettuale di Vevey, per deporre su rogatoria del giudice istruttore Zangiacomi. Nella deposizione egli afferma di aver conosciuto il Duca di Normandia, avendolo incontrato molte volte fra il 1788 e il 10 agosto 1792, e conferma di averlo identificato senza esitazioni in Naundorf, allorché questi era venuto a rendergli visita a Semsale nel 1836, per chiedergli un consiglio circa la citazione che aveva in animo di depositare contro la Duchessa d’Angoulême. Al giudice istruttore Brémond dichiara di aver riconosciuto Luigi XVII in Naundorf da un particolare: “per il fatto ch’egli sapeva del nascondiglio realizzato da suo padre nel Palazzo delle Tuileries, nascondiglio che lui solo poteva conoscere”. In un paragrafo più avanti esamineremo quale attendibilità si debba conferire a questi riconoscimenti.
In quello stesso 1836 il Ministro dell’Interno di Prussia, il Conte von Rochow, fa stilare un rapporto su quello che la sua amministrazione sapeva a proposito di un tale Karl Wilhelm Naundorf. Esistevano (secondo i naundorfisti) due Naundorf: un individuo assai poco raccomandabile, che viveva ai margini delle leggi prussiane; l’altro, il sedicente Prìncipe, al quale i servizi segreti prussiani avrebbero imposto questo nome al solo scopo, in caso di bisogno, di creare confusione fra i due personaggi. Questa relazione il Ministro dell’Interno prussiano non la consegna alla magistratura, né agli avvocati che si occupano della causa pendente in Francia; la fa pervenire invece all’ambasciata prussiana a Parigi, con l’incarico di girarla al Governo francese. Intanto le carte sequestrate a Naundorf nel 1836 erano state rimesse al giudice istruttore Zangiacomi. Ma il dossier sarà ritrovato in seguito vuoto.
Pare che diversi importanti uomini politici francesi, fra i quali Georges Clémenceau, allorché fu Ministro dell’Interno, abbiano potuto esaminare questo dossier.
Vi è poi un altro dossier, la cui esistenza negli archivi prussiani è attestata nel periodo fra le due guerre mondiali: quello del Presidente Lecoq, già direttore della polizia a Berlino. In esso, secondo i seguaci di Naundorf, sarebbero contenute le prove formali dell’identità di Luigi XVII. Non si conosce che fine abbia fatto questo dossier dopo il 1945 ma, se scampato alla distruzione bellica, è verosimile che giaccia o negli archivi della famiglia imperiale degli Hohenzollern o in quelli sequestrati in Germania dopo la disfatta del 1945 e portati in Russia.
Espulso in Inghilterra dalla Francia nel luglio del 1836, Naundorf decide di fissarvi la residenza, tanto più che le autorità non gli creano difficoltà. A Camberwell il nostro esule fabbrica una nuova versione delle sue Memorie, sotto il titolo di Riassunto della storia delle sventure del Delfino, figlio di Luigi XVI. Durante il periodo inglese, dopo nuovi tentativi di approccio con la Famiglia Reale, Naundorf si rivolge con una petizione alla Camera dei Deputati di Francia e dichiara decaduto Luigi Filippo.
Il 16 novembre 1838, mentre si trovava in Inghilterra, Naundorf subisce un nuovo attentato, ad opera di un tal Désiré Roussel, un indigente cui aveva dato alloggio in casa sua per diversi giorni. L’aggressore gli scarica addosso due pistolettate, ferendolo gravemente. Naundorf, che dichiarerà poi di aver previsto l’attentato (ma non vi sono testimoni) interverrà in favore del reo per risparmiargli la forca. Fino al 1848 l’attentatore vivrà di una pensione erogatagli dai Borboni, sia del ramo
principale che orléanista, divisi su tutto, ma accordatisi evidentemente per eliminare Naundorf, secondo l’accusa neppure tanto implicitamente lanciata dai seguaci di quest’ultimo.
Al soggiorno inglese risale la fondazione da parte di Naundorf di una setta religiosa paracristiana, fondata su presunte rivelazioni carismatiche e su non meno presunti doni mistici dell’aspirante Luigi XVII, setta condannata da Papa Gregorio XVI e della quale diremo tra breve più diffusamente.
Il 21 maggio 1841, sempre in gran Bretagna, un incendio doloso distrugge il laboratorio in cui Naundorf stava lavorando: l’incendio è generato da un’esplosione, che gli ustiona gravemente il volto e le mani. La distruzione del laboratorio gli cagiona la rovina economica, tanto che, a causa dei debiti contratti, i creditori lo faranno imprigionare due volte. La giustizia britannica lo manda a trascorrere nove mesi, ospite della prigione di Horsemonger Lane, per debiti insoluti ammontanti a oltre 5.000 lire sterline.
 
Papa Gregorio XVI
 

Uscito dal carcere, Naundorf è costretto a vendere i suoi beni e a trovare come sostentare la famiglia, divenuta numerosa (aveva infatti otto figli). Gli restano le sue invenzioni. Che decide di far fruttare, mettendole in vendita. Non volendo cederne i segreti all’Inghilterra, storico e tradizionale nemico del suo Paese, Naundorf le offre anzitutto alla Francia: ma il Maresciallo Soult, già dignitario napoleonico e ora Ministro della Guerra di Luigi Filippo d’Orléans, rifiuta sprezzantemente.
Naundorf decide allora d’imbarcarsi per l’Olanda a bordo del piroscafo La Giraffa, non senza difficoltà con il governo e la polizia, in considerazione del passaporto rilasciatogli dal Consolato generale dei Paesi Bassi a Londra e intestato a Carlo Luigi di Borbone. Sbarca a Rotterdam il 25 gennaio 1845, sorvegliato dalle locali forze dell’ordine.
Giunto nei Paesi Bassi con l’intento di presentare le sue invenzioni pirotecniche e di venderle, per risolvere la sua difficile situazione economica, riceve in anticipo, per le spese personali e per i suoi esperimenti, 80.000 franchi oro. In seguito gli esperimenti diverranno oggetto di un’obbligazione contrattuale vera e propria con lo Stato olandese: secondo i naundorfisti si sarebbe trattato di una forma indiretta di sussidio, accordato dal Sovrano dei Paesi Bassi a un altro Sovrano costretto dalle circostanze all’esilio.
Intanto il figlio maggiore, Carlo Edoardo, raggiunge il padre a Delft. Naundorf solo però conosce le proprie invenzioni e si guarda bene, per ragioni di prudenza, dal lasciare in giro qualsiasi appunto scritto. Tutto sta nella sua testa. Mette a punto una granata di nuova concezione, che sarà chiamata bomba Borbone e che resterà in forza all’armata olandese fin quasi alla Seconda Guerra Mondiale. Egli aveva forse acquisito tali competenze balistiche nel periodo della giovinezza, frequentando una
scuola d’artiglieria nei Paesi Bassi.
Il 10 agosto 1845, dopo un’infermità durata alcuni giorni, Naundorf muore a sessantaquatttro anni d’età, a Delft, dov’era stato raggiunto fin dal 4 agosto dai suoi familiari. Pare che durante la breve malattia che ne precedette la morte, il Re d’Olanda si tenesse costantemente informato tramite il suo medico personale, circa lo stato di salute del sedicente Luigi XVII. Causa diagnosticata del decesso: il tifo.
Nell’atto di morte, redatto in originale in lingua olandese e ispirato dai “testimoni” ivi presenti (Carlo Edoardo, figlio primogenito di Naundorf e Gruau detto "de la Barre"), si legge che “è deceduto Carlo Luigi di Borbone, Duca di Normandia, Luigi XVII, già conosciuto sotto il nome di Karl Wilhelm Naundorf, nato al castello di Versailles, in Francia, il 27 marzo 1785, […] figlio di Sua Maestà Luigi XVI, Re di Francia e di Sua Altezza Imperiale e Reale Maria Antonietta, Arciduchessa d’Austria, Regina di Francia, entrambi deceduti a Parigi, marito della Duchessa di Normandia, nata Johanna Einert, qui residente”.
La famiglia si oppone all’autopsia, ma acconsente (anzi, chiede) che sia effettuato un esame post mortem sul corpo del defunto, per far notare le somiglianze fisiche con Luigi XVII.
Sepolto nel cimitero di Delft, sulla pietra tombale viene incisa la seguente iscrizione:
“Qui riposa Luigi XVII, Carlo Luigi Duca di Normandia, Re di Francia e di Navarra, nato a Versailles il 27 marzo 1785, deceduto a Delft il 10 agosto 1845”. Questa iscrizione e gli onori regali resi al defunto, che furono i più solenni, con la partecipazione addirittura delle forze armate olandesi, scatenarono naturalmente le ire del governo orléanista francese, che mandò i suoi rappresentanti diplomatici dal Re d’Olanda a protestare.
Una diceria vuole che Naundorf abbia avuto altri figli legittimi da un precedente matrimonio con Maria de Vasconcellos, discendente degli antichi Re di Leon e delle Asturie, circostanza di cui Xavier de Roche afferma di detenere le prove, ma che però non ha mai prodotte. Pur essendo ascrivibile alla cerchia dei simpatizzanti naundorfisti, Roche è da loro guardato con diffidenza proprio per queste esternazioni circa un precedente matrimonio del Luigi XVII prussiano, fatto che retrocederebbe l’attuale pretendente naundorfista al rango di un semplice cadetto. Ed ecco spiegato
lo scandalo!.
 
Tomba di  Karl-Wilhelm Naundorff