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mercoledì 26 agosto 2015

[GLORIE DEL CARDINALATO] S.E.R Cardinal Gil Albornoz

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S.E.R. Cardinale Gil Alvarez Carrillo de Albornoz (1310-1367)
 
Ricordiamo su questo nostro blog questa fulgente figura di cardinale di spada. Arcivescovo di Toledo nel 1338, dovette lasciare la Castiglia per contrasti con la Corona. Papa Clemente VI lo creò cardinale in Avignone il 17 dicembre 1350. Papa Innocenzo VI lo inviò nelle terre italiche come suo vicario generale e plenipotenziario militare per il ristabilimento del potere pontificio nello Stato della Chiesa. In una serie di campagne militari sconfisse gran parte dei potentati nobiliari che usurpavano l’autorità pontificia, riportando tutto il territorio di San Pietro sotto il potere delle Chiavi (ad eccezione di Bologna), dando anche un nuovo assetto legislativo ai territori riconquistati con le “Constituzioni egidiane” e creando un nuovo sistema di fortificazioni lungo tutto il territorio del recuperato Patrimonium Petri.
Tornato da trionfatore ad Avignone e salutato come “Pater Ecclesiae”, durante il conclave del 1362 gli fu offerto il Papato che però rifiutò. Durante il pontificato di Urbano V combattè a lungo contro Bernabò Visconti. Nel 1367 papa Urbano V poteva ritornare a Roma. L’Albornoz, benemerito della Santa Sede, moriva a Viterbo il 24 agosto 1367.
 
a cura di Piergiorgio Seveso (Fonte: http://radiospada.org/)

sabato 28 febbraio 2015

Monsignor Umberto Benigni


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Nell’anniversario della morte di Monsignor Umberto Benigni, fondatore del Sodalitium pianum, avvenuta il 27 febbraio 1934, riportiamo da Radio Spada un interessante citazione dalla sua “Storia sociale della Chiesa, volume V. La crisi medioevale”  pubblicato da Vallecchi editore nel 1933, pp 493.494. Monsignor Benigni, da storiografo cattolico qual era, riteneva che l’ebraismo della diaspora fosse il principio (remoto o prossimo) di qualunque moto realmente sovvertitore ed eversivo nel campo sociale e religioso nella storia dell’Europa cristiana.
In fondo, la soluzione del problema è molto semplice. Il supremo settarismo esoterico, eversore totalitario d’ogni ordine religioso e civile – questa è la quintessenza del satanismo – controlla ogni movimento eversivo e lo integra. E’ un movimento religioso? Vi inserisce quello sociale-civile. E’ tale? Vi inserisce l’eversione religiosa. Questo supremo settarismo è la spora sopravvivente di ogni cancro sociale che appare sul corpo del consorzio umano; diciamo meglio, tale spora rende cancro anche un semplice tumore. Ecco perché tra le altre ragioni san Giovanni apostolo ha dato l’allarme cotanto frainteso o trascurato: “O kosmos olos en to ponero ketai” (il mondo è posato, giace, nel malvagio, cioè nel male efficiente). Sia detto in buona pace di tutti, ché queste pagine sono veramente redatte “sine ira et partium studio”: tutta la prospettazione basilare che qui sopra abbiamo tentato di riassumere esula completamente dalla visuale di tanti egregi uomini, studiosi e reggitori, fissati nella visione stilizzata accademica, libresca, come dicono coll’espressivo vocabolo “livresque” i francesi. Accademici o governanti spirituali e temporali si son lasciati, attraverso i secoli, allucinare da chi voleva togliere il loro sguardo dall’approfondimento della rispettiva situazione, oppure sortirono dalla natura l’occhio della mente insanabilmente miope. Possono essere, gli uni dotti, eruditi, blindati di documenti pubblicati da un corpus all’altro, e gli egregi ed abili gestori delle cose pubbliche: sono queste le loro colonne d’Ercole. Parlate loro di un mondo che sorge dall’altra sponda del loro “Atlantico”; vi risponderanno col sorriso scettico che immortalò i professori di Salamanca ironicamente sorridenti a Colombo. Un giorno al dittatore Kerenski fu mandato a dire che un furibondo oratore, dalla finestra d’una casa di Pietroburgo, eccitava la folla a ribellarsi al ribelle. Chi diamine sarà? Kerenski fu presto tranquillizzato; gli fu riferito che era quello strambo di Lenin, un pazzo bolscevico, a cui nessun uomo equilibrato avrebbe dato retta: ma quel “Kerenski” vive da secoli, ed è sempre lo stesso. Si dette alla pazza gioia dopo il concilio scismatico di Basilea, mandandolo a ripaglia con l’antipapa Felice. Scosse scetticamente le spalle, vedendo un “litigio tra frati” gelosi, nella scenata fatta alle porte dell’università di Vittemberga da quello strambo Lenin fratesco che fu Martin Lutero. Pensò alla corte di Versaglia che la rivoluzione francese fosse una rivolta da dare una qualche seccatura. Questo “Kerenski” millenario è preso dalle allucinazioni restaurazionistiche. Nel Settecento giurò sul ritorno degli Stuart sul trono inglese; nell’Ottocento sulla intronizzazione portoghese di Don Miguel, spagnuola di Don Carlos, francese del conte di Chambord. Quando egli, in quel torno, montò il sonderbund separatista della Svizzera, dormì tranquillo sul guanciale del coraggioso e fedele Metternich (se ci fu uno né coraggioso né probo, fu proprio lui) al cui ordine quell’esercito austriaco il quale aveva visto sconfiggere Napoleone, avrebbe schiacciato le truppe bernesi. Quando lo cacciarono nel 1859, quel “Kerenski” scosse la machiavellica testa, mormorando: è un altro Quarantotto. Quando lo cacciarono del 1917, fece lo stesso scrollo e brontolò: è un altro 1905. Oggi… L’oggi è troppo oggi per continuare la miserevole serie qui; ma essa continua e continuerà là. Difatti a chi scrive queste non liete pagine, hanno parlato faccia a faccia, attraverso gli anni della sua lunga vita, vari “Kerenski”, che qui è inopportuno individuare. […] Tutte egregie persone, spesso ingegnose e colte, ma in fondo più vecchie dei loro vecchi idoli politici e sociali, avevano dimenticato il “totus mundus in maligno positus est” di san Giovanni Evangelista. […] Ecco perché malgrado Ildebrando, Bernardo, Innocenzo III e Simone di Montfort, il grande Medioevo, invecchiato come ogni cosa umana, fu scosso e poi diroccato da grosse e piccole catapulte, manovrate da mani nascoste, da eresie e sette sovvertitrici religiose e civili, finendo indecorosamente, nel crepacuore di Papa Bonifacio, nell’esilio di Avignone, nella tregenda dello scisma con due o tre papi simultanei fra i quali anche santi, come Vincenzo Ferrer, non riuscivano talvolta a discernere l’autentico. Se il crollo del Medioevo fosse stata pura opera interna, cioè dalla pura e semplice decrepitezza di quell’epoca, sarebbe sorta una nuova epoca, sana e forte. Invece, grazie all’opera sistematicamente evoluta di elementi motori, l’eversione sociale continuò, erompendo ad ogni stagione maturata: la riforma primigenia, la riforma del secondo tempo, nettamente democratica e regicida, poi la rivoluzione francese, poi il resto…
(testo raccolto a cura di Piergiorgio Seveso)
Altri articoli su Monsignor Benigni in Radio Spada:

giovedì 18 dicembre 2014

Cenni biografici del Barone Ludovico Von Pastor, grande storico della Chiesa (Seconda parte)

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La presente breve biografia è tratta dall’introduzione del XI volume della munifica opera Storia dei Papi, dello stesso Von Pastor, edito in italiano nel 1929, un anno dopo la morte del grande storico cattolico. La stesura della biografia si avvalse delle memorie curate dal dr. Kaufmann, che curò in Germania l’opera del barone, e del dr. I. F. Dengel, che fu successore alla cattedra del barone in Innsbruck.
 
Pastor aveva allora solo 24 anni e mezzo: egli entrava nel mondo non come uno sconosciuto, ma come un uomo che si era già affermato per la profonda fermezza dei suoi principi cattolici, per la sua straordinaria cultura e con un programma che intendeva svolgere ad ogni costo; scrivere la Storia dei Papi.
    Sinora egli aveva raccolto molto materiale, ma sporadico e incompleto; a lui occorreva però per tale scopo poter giungere all’unica fonte di questa storia, a cui nè Ranke nè altri avevan potuto attingere, all’Archivio segreto Vaticano. Per riuscire a tale intento Pastor fece pervenire per mezzo di Onno Klopp al nunzio di Vienna Mons. Jacobini, più tardi Segretario di Stato, un promemoria nel quale egli illustrava l’importanza per la Chiesa di una storia dei papi scritta sulla base dell’Archivio Vaticano.
    Alla metà di dicembre 1878, munito di una lettera commendatizia del nunzio, e di lettere di altri amici, Pastor lasciava Francoforte e si poneva in viaggio per l’Italia. Il prof. Carlo Federico Stumpf-Brentano nel salutarlo lo accompagnò con le parole « Sen vada con Dio, chè un coraggio giovanile certo a lei non mancherà ». In Roma fu ospite del Campo Santo tedesco allora diretto dal dotto prelato Antonio de Waal. Un memoriale presentato al cardinale Nina, Segretario di Stato, nel quale si dimostrava che con lo studio dei documenti vaticani si potrebbe solo far del bene, non ebbe alcun risultato. Nel fare tale pressione Pastor era coadiuvato dai prelati De Waal e De Montel nonché dal card. Franzelin. De Waal pensò di domandare l’accesso all’Archivio non solo per Pastor ma anche per gli altri teologi e storici del suo collegio, e a tal uopo si rivolse al papa stesso, presentando una domanda di Pastor, nella quale egli faceva rilevare come fosse interessante di mettere a fianco della storia dei papi di Ranke una seconda storia scritta da mano cattolica e basata sui documenti dell’Archivio Vaticano. Leone XIII concesse per allora il permesso che venissero portati per Pastor i materiali di Archivio nella Biblioteca Vaticana. Entrato finalmente in quel santuario della storia, Pastor potè consultare pure gli indici e così fare le sue ricerche metodicamente. Alla vista di tanto tesoro egli concepì il grande programma di pubblicare accanto alla sua Storia un Corpus Catholicorum sulla base dei documenti dell’Archivio Vaticano, lavoro che avrebbe dovuto abbracciare la pubblicazione di lettere di papi, istruzioni, relazioni e corrispondenze di nunzi, appelli ai papi ed estratti dei fogli volanti, bibliografie di opere apologetiche del secolo XVI.
     Le grandi pressioni esercitate per parte dei dotti e indubbiamente l’opera spiegata dal Pastor ottennero un secondo risultato assai grande per la storia: Leone XIII, che seppe ben apprezzare il contributo che alla indagine storica poteva apportare lo studio dell’Archivio Vaticano, si decise pronunciare la grande parola per cui l’Archivio veniva aperto a tutti i dotti. Pastor restò in Roma sino al giugno 1879. In quei mesi egli non conobbe riposo: lavorava da 10 sino a 12 ore al giorno, sfogliando solo nella Biblioteca Vaticana, come egli scrisse all’Janssen, 300 manoscritti, limitando per ora le sue ricerche dal 1450 al 1549. Nello stesso tempo visitò gli archivi e biblioteche di Napoli, Firenze e Milano, facendo ovunque largo bottino di documenti, finché nell’autunno, con due valigie di appunti, se ne tornò nella sua patria.
    Intanto egli pubblicava la sua tesi che aveva raggiunto le 500 pagine: Die Kirchlichen Reunionsbestrebungen während der Regierung Karls V, opera che assieme alla Corrispondenza del cardinale Contarmi durante la sua legazione in Germania nel 1541, da lui trovata in Roma e pubblicata nell’Historischen Jahrbuch della Goerresgesellschaft, gli procurò subito fama di vero dotto.
    Egli aspirava ad una cattedra universitaria, ma sventuratamente la lotta del Kulturkampf rendeva impossibile a lui, cattolico, il raggiungere tale mèta. Teodoro Mommsen, interrogato dai deputati del Centro al Parlamento prussiano su questa mancanza di parità fatta ai cattolici nelle Università, rispose che « era il simbolo dell’ultramontanismo che faceva sì che all’ombra di questo albero velenoso fossero così rari i talenti ». Come fosse falsa quest’accusa partigiana, risulta dal fatto che Pastor, quantunque tanto attaccato alla sua patria, dovette cercare una cattedra in Austria. Il prof. Weiss propose a lui le due università di Gratz e di Innsbruck: il prof. Stumpf-Brentano gli spianò la via a quest’ultima, dove il 19 febbraio 1880 egli tenne l’esame (colloquium) di abilitazione e, sei giorni dopo, alla presenza di 10 professori e di 15 studenti, la lezione di prova sul tema: L’opera storica contemporanea all’imperatore Carlo V. Il prof. Busson dava sull’esito di questa prova il seguente lusinghiero giudizio: « Il candidato ha adempiuto il suo incarico in ottima maniera. La sua lezione, la cui forma può sola venire elogiata, dimostra che egli è pienamente padrone dell’argomento, che ne conosce la letteratura sino alle recentissime pubblicazioni, e che egli sa esporre con chiarezza ed in maniera attraente un argomento. Anche la calma oggettività che il candidato ha dimostrato in questa occasione deve esser fatta rilevare in maniera particolare. La voce del candidato è assolutamente sufficiente ».
    Tutto faceva credere che una libera docenza non si facesse attendere, eppure non fu così. Il Ministero della pubblica istruzione in Vienna, pervaso dal sentimento liberale-massonico, gli fece bene attendere il permesso (venia legendi) di tenere le sue lezioni.
    Il prof. Klopp voleva che Pastor avesse accettato il posto di professore di storia in casa dell’arciduca Carlo Ludovico per il suo figlio Ottone, ma egli vi rinunziò, sebbene a malincuore, perchè tale sistemazione lo avrebbe allontanato troppo dal suo programma scientifico.
    Nell’attesa del permesso del Ministero, Pastor accettò sul momento il posto di consigliere scientifico nella libreria editrice di Herder, iniziando la redazione degli « Historischen Bildnisse » e la revisione degli articoli storici nel Kirchenlexilcon di Wetzer e Welte. Finalmente, dopo 11 mesi di attesa giunse dietro pressione degli amici l’attesa venia legendi dal Ministero della pubblica istruzione, e Pastor potè cominciare come libero docente le sue lezioni di storia moderna in Innsbruck, che doveva diventare la seconda sua patria.
    Durante l’attesa di questa conferma ministeriale il suo amico Giorgio Hertling gli aveva scritto: « Non dovete meravigliarvi; chi, come voi, sente di aver la missione di porre la sua azione scientifica espressamente a servizio della causa cattolica, egli, ovunque e in ogni tempo, dovrà urtare nell’opposizione occulta o manifesta della scienza ufficiale, che nella sua grande maggioranza persegue ben altre mire ».
Nel semestre estivo del 1881 Pastor tenne in Innsbruck le sue prime lezioni su Le fonti della storia moderna. Il 22 aprile del 1882 si ammogliava con la sig.na Costanza Maria Kaufmann, l’unica figlia di Leopoldo Kaufmann, già borgomastro di Bonn, anch’egli intrepido cattolico, che per la fede era stato duramente provato ed aveva dovuto rinunziare al suo alto ufficio. La donna scelta dal Pastor era quella che occorreva per lui: fervente cattolica, piissima, colta, fu per lui non solo fedelissima sposa e compagna affettuosa, ma pure cooperatrice intelligente nei difficili lavori, cosicché della stessa Storia dei Papi ella trascrisse in pulito i primi volumi, e dei seguenti ascoltò la lettura dandone quindi un giudizio critico. « È ella, scriveva il Pastor, che mi ha tenuto lontano dall’orgoglio del dotto e che ha tenuto sempre sollevato il mio sguardo verso il Signore, datore di ogni bene ». Ella pure fu felice con lui e scriveva che « nessuna coppia di sposi era adattata l’un l’altro più di loro due ». Pastor in segno di gratitudine volle che fosse dedicato a lei il settimo volume dell’opera. In Innsbruck Pastor si trovò in una cittadina assai più piccola di Francoforte, ma incantevole per le meravigliose bellezze delle Alpi circostanti: iniziò pure delle escursioni alpine assieme al dotto collega Giulio von Ficker, quantunque poco attrezzato per quelle difficili ascensioni.
     Nel 1882 fu in vista un posto di professore all’Università di Praga. Pastor vi concorse: egli avrebbe dovuto venir nominato; ma la sua fede cattolica gli fu d’ostacolo: non si permise che venisse preferito un « ultramontano » ed altri ebbe quella cattedra. Pure come compenso Pastor ricevette il titolo di professore straordinario, « risultato assai lusinghiero, come giudicò Ficker, dopo un periodo assai breve di insegnamento ».
    Quando nel 1886 pubblicò il suo primo volume della Storia dei Papi, i suoi colleghi nell’insegnamento storico, compreso Ficker, non lo giudicarono bastante per proporre Pastor come vero professore straordinario. Il prof. Busson, uomo bollente e al sommo liberale, gli scriveva allora: « Ella può scriverne anche una dozzina di questi volumi, ma non verrà mai proposto per professore, sinché non cambia le sue direttive ».
     Pure non fu così. Gli amici di Vienna, particolarmente il prof. von Gagern, insistettero per questa nomina, e Pastor fu nominato il 30 ottobre 1886 professore straordinario, e il 5 settembre dell’anno seguente professore ordinario di storia generale.
     Le sue lezioni furono frequentatissime, perchè oltre alla continua e forte preparazione, egli possedeva, per il metodo e per la forma, attrattive straordinarie. Egli percorse tutto il campo storico che va dal medioevo sino ai nostri giorni. La sua maniera di esporre aveva un’impronta complessa ed universale; egli sapeva far conoscere i singoli eventi, come pure la loro ripercussione sulla storia europea, valutandoli col sicuro giudizio del grande storico. In maniera particolare incontrarono l’approvazione generale le lezioni che egli tenne sul secolo XIX, argomento che in pochissime università veniva trattato. In queste lezioni, che furono frequentate dai discepoli di tutte le facoltà, Pastor pose in luce la unilateralità della produzione storica tedescoprussiana allora in voga, la sua deficienza nel voler far credere che la grandezza della storia tedesca consista tutta nell’apparire del protestantesimo, ed in opposizione a questo concetto errato, pose in luce la grandezza della storia dell’impero austriaco, che ebbe per base la civiltà occidentale cristiana.
    Nel 1889 egli riceveva la distinta onorificenza di Doctor ad Honorem dell’Università di Lovanio; in quegli anni trascorsi nella piccola e gentile città di Innsbruck egli potè godere di un vantaggio non comune per la sua Storia dei Papi: gli archivi italiani erano a lui vicini, ed egli nelle vacanze, non escluse quelle natalizie, si recava a studiare in quelli di Mantova, Venezia, Milano, raccogliendo così larga mèsse di documenti. Rubacchiando così il tempo alle vacanze, potè egli esaminare in quegli anni ben 35 archivi italiani, 38 tedeschi e 5 francesi.
    Ma una felice circostanza doveva agevolargli ancor meglio l’opera di indagine per la sua Storia dei Papi. Nel 1901 Pastor veniva chiamato a Roma quale successore di Teodoro von Sickel nel posto di direttore dell’Istituto storico austriaco. Lo stesso imperatore, nel nominarlo, disse che questi era « l’uomo adatto per questo posto come il posto era adattato per lui ». Pastor in Roma si trovò nel punto centrale dei suoi studi. Oltre che formare dotti scrittori di storia per la sua patria, egli poteva con la più grande comodità trar profitto degli immensi tesori archivisti dell’Eterna Città. E così il suo lavoro fu diviso fra la formazione culturale dei suoi discepoli e la ricerca di materiale per la sua grande opera.
    Come tema per i lavori ufficiali dell’istituto, egli scelse le così dette « Nunziature di pace » dell’Archivio Vaticano, fondo che abbraccia le istruzioni, relazioni, e corrispondenze dei Nunzi straordinari inviati dalla Santa Sede ai vari congressi per la pace, tenuti in Europa nei secoli XVII e XVIII, fondo che illustra mirabilmente l’opera pacificatrice svolta dalla Santa Sede in mezzo ai popoli in tutti i secoli. Al tempo stesso, come direttore dell’Istituto, volle unire allo studio dei documenti anche quello dell’arte, occupandosi del Barocco in Roma e dando così un forte contributo alla storia artistica di quel periodo.
    Pastor non si distaccò del tutto da Innsbruck; ivi tornava con la sua famiglia per elaborarvi i volumi, per poi recarsi in altre città in cerca di materiale per il suo capolavoro. E ad Innsbruck aveva egli ottimi amici nei celebri professori Jungmann, Hurter, Michael, e Grisar, il quale ultimo alla sua volta doveva diventare lo storico dei papi per il periodo del medio evo. Fu in quella città che egli si ritirò durante i duri anni della guerra, riprendendo le lezioni all’Università, ed elaborando con il materiale raccolto nuovi volumi per la sua storia. Tornata la pace, su felice ed inatteso provvedimento del Governo austriaco lo riconduceva in Roma con un titolo ben più distinto. Attesa la sua conoscenza della Curia, egli veniva nominato Incaricato di affari presso la Santa Sede, nomina che nell’anno seguente veniva elevata a quella di Ambasciatore. In tale occasione, nel presentare a Benedetto XV le credenziali, egli disse che tante volte gli era toccato di descrivere le presentazioni delle credenziali fatta da ambasciatori di ogni parte del mondo, che però mai gli era venuto il pensiero che la Provvidenza, al tramonto della sua vita, avrebbe accordato a lui un simile onore. «Dopoché, sinora ho dedicato la mia vita all’indagine della storia dei papi, sono ora felice, non solo con la penna, ma anche con l’opera potermi rendere utile alla Santa Sede e con ciò pure alla mia patria ».
    E certo ben difficilmente può avvenire che un ambasciatore possieda pari conoscenza del compito che gli incombe e della corte presso cui è accreditato, quanto il Pastor.
     Bella è la lettera con la quale comunicava ai suoi figli le sue impressioni, allorché ebbe la fortuna, come diplomatico, di assistere al conclave da cui uscì eletto l’attuale pontefice, Pio XI, esimio dotto egli pure, a cui il Pastor era unito da amichevole relazione da più di vent’anni. « Otto giorni fa io ho visto tutti i cardinali andare nella cappella Paolina: allora erano ancora tutti uguali, ma invisibile, portata dalle mani di un angelo, si librava già la tiara sul capo di uno di essi, cui la Provvidenza l’aveva assegnata per condurre la Chiesa. Oggi in S. Pietro la tiara si è posata sul capo di Pio XI. Ciò è avvenuto nel conclave per mezzo umano, ma con l’assistenza dello Spirito Santo. Così si intreccia nella vita della Chiesa il divino e l’umano. Solo lassù un giorno ci verrà tutto svelato. Nel constatare questa meravigliosa azione concorde anche il più preciso concetto umano dello storico può stabilire solo il fatto esteriore: l’interna connessione e gli scopi di Dio da parte nostra qui su la terra, potranno solo essere immaginati».
    Gli impegni del suo nuovo incarico gli lasciavano bastante tempo per attendere alla sua Storia: nè l’età, nè i doveri diplomatici potevano distogliere il suo spirito dal grande còmpito cui aveva consacrato la sua vita. Per lui non vi erano ferie, nè mesi di diporto: ognuno dei suoi giorni, dirò meglio, ogni ora della sua giornata, sino alla tarda vecchiaia, sino ai dolori implacabili della morte fu sacra a questo unico pensiero: perfezionare e condurre a termine la sua Storia. Forse un presentimento della sua fine vicina egli l’ha avuto. A me stesso aveva detto nel 1927 di volere attendere ai volumi su Pio VI e su Clemente XIV, perchè altri non avrebbe saputo riprodurre bene il suo pensiero.
    Ammalatosi, la sua preoccupazione unica, dopo gli interessi dell’anima, è stata solo la sua Storia dei Papi, e se con soddisfazione dal 1886 a quel giorno egli ne aveva veduti stampati ben 13 volumi, il suo pensiero allora si raccolse attorno agli altri tre che lasciava manoscritti, e per essi dette suggerimenti e consigliò aggiunte, come un padre curerebbe sul letto di morte la sorte dei suoi figli minorenni.
    Un giorno lo storico si era presentato a Pio X e lo aveva supplicato a voler benedire i suoi occhi, perchè minacciavano di non volerlo più servire; il santo pontefice gli aveva detto benedicendolo: «Caro amico, tranquillizzati, tu conserverai la tua vista sino al compimento della tua grande opera».
    La profezia del pontefice si è avverata: Pastor chiudeva gli occhi alla luce quando l’opera sua, in sedici volumi, era completa.
 
 A cura di Gaetano Masciullo (clicca qui per altri articoli e studi). - http://radiospada.org/

domenica 14 dicembre 2014

Cenni biografici del Barone Ludovico Von Pastor, grande storico della Chiesa (Prima parte)

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La presente breve biografia è tratta dall’introduzione del XI volume della munifica opera Storia dei Papi, dello stesso Von Pastor, edito in italiano nel 1929, un anno dopo la morte del grande storico cattolico. La stesura della biografia si avvalse delle memorie curate dal dr. Kaufmann, che curò in Germania l’opera del barone, e del dr. I. F. Dengel, che fu successore alla cattedra del barone in Innsbruck.
 
Ludovico von Pastor era nato in Aquisgrana il 31 gennaio 1854 da una famiglia patrizia di quella città. Suo padre era protestante, sua madre cattolica. Fanciullo, fu educato nella confessione di suo padre, uomo di fede sincera, come del resto se ne trovano molti anche in mezzo al protestantesimo.
Tutto faceva sembrare quindi che egli dovesse crescere protestante e che di più dovesse dedicarsi alla vita commerciale, al pari di suo padre, il quale sperava con l’aiuto del suo Ludovico di potere un giorno dare più largo sviluppo all’industria dei colori che egli conduceva. Ed appunto per ragioni commerciali la famiglia si trasferiva da Aquisgrana a Francoforte sul Meno; ma quando il bambino raggiungeva appena il secondo lustro, suo padre veniva a morte.
    La giovane madre, che era fervente cattolica, volle che Ludovico e la sua sorellina fossero educati nella sua religione, nel che fu vivamente coadiuvata dal parroco della città, Thissen, sacerdote colto e pio.    Mentre Ludovico assecondava prontamente il desiderio di sua madre seguendo con affetto ed entusiasmo l’insegnamento cattolico, mostrava ben poca disposizione a voler diventare un grande industriale come suo padre. Egli si divertiva a raccogliere monete romane, e i pochi denari che risparmiava finivano generalmente dal libraio. Avendo egli nel 1868 assieme al suo precettore, Emilio Siering, fatto un viaggio di diporto nel Reno inferiore e nell’Olanda, si intese maggiormente inclinato agli studi storici, che erano allora fiorentissimi in Francoforte. La madre era tuttora avversa a fare di questo suo figlio, così incapricciatosi, un « antiquario o un dotto ». Ma il vivace giovanetto era animato da ben altri sentimenti che quelli di sua madre. Le grandiose tradizioni della vecchia città imperiale, Aquisgrana, avevano lasciato nel suo animo un’impressione indelebile. Il vetusto Duomo Carolingio con i meravigliosi mosaici della sua cupola e delle sue pareti, i ricordi dell’Impero d’Occidente ivi risorto per volontà dei papi, avevano preparato in quell’animo, così sensibile alle grandiosità del passato, un terreno ove la storia e l’arte avrebbero dovuto incontrarsi in un accordo meraviglioso. Ed egli, proprio in Francoforte, finì per trovare chi avrebbe acceso in lui la scintilla di quest’ardente passione.    Giovanni Janssen, professore di storia al ginnasio superiore di quella città, stava allora preparando la sua Storia del popolo tedesco. Nel contatto della scuola egli intuì in questo giovane la predisposizione del dotto, e dopo che ebbe ottenuto per lui il consenso materno alla vita degli studi, ne divenne il maestro, la guida e l’amico che, sia come sacerdote, sia come dotto, avrebbe indirizzato quella vivace natura negli ardui compiti del sapere.    Il futuro storico dei papi, però, ben tardi cominciò a studiare. Aveva già 16 anni compiuti quando nella Pasqua del 1870 prese a frequentare il ginnasio di Francoforte. Ma in soli cinque anni egli espletava il corso ginnasiale (ginnasio-liceo). Direttore e maestro di lingue classiche in quel ginnasio era allora Tycho Mommsen, un fratello del grande storico, ed insegnava la sua materia con un rigore pedante: ma tale esagerata severità servì a Ludovico per rendersi padrone di quelle lingue così indispensabili ai cultori di storia. Lo stesso Janssen che insegnava nel ginnasio superiore (liceo) era di molta esigenza con i suoi discepoli e più che la semplice narrazione, soleva curare la bibliografia, lo studio delle fonti e la discussione critica, dando così al suo insegnamento più l’apparenza di lezioni universitarie che quella di un arido svolgimento di un semplice programma ginnasiale. Questo metodo preparava fin d’allora il giovane Pastor a quella conoscenza della letteratura e delle fonti storiche, che un giorno avrebbero dovuto tanto distinguerlo.    In quegli anni di primo contatto con il mondo scientifico e storico, Pastor ebbe occasione di leggere le storie di Mommsen, di Ranke, nonché di altri importanti storici che fiorivano in quel tempo. In un fascicolo di miscellanee raccolto dal Pastor nel 1873 trovasi registrata questa letteratura storica con note critiche intorno al valore di ciascuna opera. Da queste poche note rilevasi come fin d’allora il giovane Ludovico dirigesse la sua attenzione, sotto l’influenza del suo maestro Janssen, alla grande rinnovazione della Chiesa cattolica avvenuta nei secoli xvi e xvii, e come dall’occuparsi sempre più intensamente di questo periodo storico, venisse evolvendosi nella sua mente chiaro il programma della sua grande opera, la Storia dei Papi.    Prezioso è il giudizio che egli dava fin d’allora della celebre opera di Ranke, I Papi di Roma negli ultimi quattro secoli. Pastor riconosce che Ranke era stato il primo che scientificamente aveva dato un quadro complesso della grande restaurazione cattolica avvenuta al principio dell’evo moderno, e il primo che l’aveva apprezzata nel suo giusto valore, cosicché poteva dirsi essere questa la migliore sua opera.     Ma allo stesso tempo ne rilevava i difetti, dei quali il principale sta nel fatto che i protestanti non possono raggiungere una profonda conoscenza della intima operosità della Chiesa cattolica. Per loro la Contro-riforma non fu che una reazione esterna, mentre in realtà essa non fu altro che una più ampia manifestazione di quella vita interna che si nasconde nel suo spirito. E così, prosegue a notare il giovane Pastor, avviene che gli storici protestanti nelle loro storie dell’età moderna trascurano interamente questa grande manifestazione di vita della Chiesa cattolica, o, se ne parlano, lo fanno solo per additare gli avvenimenti della Controriforma in Boemia, non comprendendo che essa non fu un fenomeno storico a sè, ma una piccola parte del grande rinnovamento spirituale di tutto il cattolicismo, iniziato e promosso da Roma.    E, a questa « terra incognita » del mondo protestante, lamentata fin d’allora dal giovane Pastor, rispondeva una dimenticanza assoluta anche nel campo cattolico, i cui storici non si eran curati, nè si curavano, di completare questa deficienza della letteratura storica protestante; nè avevano cercato in alcun modo di porla nella sua giusta luce, onde fin da quel tempo Pastor ideava di dedicarsi a questo nobile studio, «giacché io trovo che la Chiesa appunto ivi si rivela grande e potente, dove combatte contro il male e contro la corruzione che si è infiltrata nell’intimo dei suoi propri attributi».    In questa frase è compreso tutto il preciso programma cui Pastor avrebbe in avvenire dedicato le sue grandi e ardenti qualità. Non aveva ancor finito il ginnasio, che già Janssen trovava in questo suo discepolo un aiuto e un consigliere che gli agevolava l’elaborazione della sua Storia del popolo tedesco.    Nel 1875 Pastor lasciava Francoforte per recarsi a Lovanio onde iniziare il corso universitario. Anche qui fu il suo paterno amico Janssen che lo diresse: egli gli aveva consigliato Lovanio onde meglio apprendere il francese, ed anche perchè là aveva un ottimo amico capace di approfondire il solco che egli aveva tracciato su quel fertile terreno. Fu questi lo storico Alberdingk Thijm, un discepolo di Gfroerer, un vero cattolico ed un vero studioso, che doveva poi legarsi a Pastor con una sincera amicizia e restare con lui in relazione epistolare per lunghi anni.    Pastor in quel periodo aveva già a sua disposizione dei buoni quattrini, ma egli non ne usava, come di consueto fa la gioventù studiosa, in divertimenti e spassi, ma nell’acquisto di libri per la sua diletta biblioteca.    Nell’autunno 1875 Pastor si trasferiva all’Università di Bonn, ove passò « il tempo più tranquillo e allo stesso tempo più felice della sua vita ». Ivi fece parte dell’associazione universitaria « Arminia » col nome di Tilly, e i suoi compagni godevano scherzare con lui per quelle « orribili zampe di gallina » cui assomigliava la sua scrittura, che Janssen aveva già definito « zampe di gatto ». Ma il vivace giovane non se ne dava per inteso per cose così piccole, e invece quando nel 1876 l’associazione celebrò in una solenne adunanza il 30° anno di pontificato di Pio IX, fu invitato proprio Pastor a tenere il discorso sul papa. Egli disse in quell’occasione che, in quel momento, il papa più che per l’opera sua era grande per i suoi dolori, che « il triregno era diventato per lui la corona di spine, che però il tempo della prova e della croce era allo stesso tempo quello del maggior trionfo morale. Tutti gli attacchi, tutte le oppressioni hanno accresciuto la sua potenza su tutti i cuori anziché diminuirla. Oggi il papato privo di mezzi umani più che in ogni altro secolo ha guadagnato senza fine nella forza morale».    In quegli anni giovanili Pastor attese con uguale passione al risveglio degli studi storici, come pure al trionfo del programma cattolico. Di fronte al Kulturkampf, che imperversava allora furente, egli non restò mai indietro con il suo credo intrepido e sereno, cosicché il celebre vescovo von Ketteler disse un giorno alla zia di Pastor: « Venti di questi giovani cambierebbero un’intera nazione e la salverebbero dall’incredulità ».    Nè intanto egli trascurava la sua preparazione scientifica; anzi un lavoro da lui presentato sul convegno di Bayonne per il Seminario storico, fu giudicato dal suo professore Eitter modello per la ricchezza delle ricerche archivistiche e per la grande conoscenza della letteratura.    Nella Pasqua del 1876, in compagnia del suo antico precettore, Pastor intraprese il suo primo viaggio a Roma.    Già vi si era preparato con la lettura della Descrizione di Roma di Platner: ma nessuna descrizione poteva esser così eloquente per lui come la realtà. Quando finalmente si intese in questa città che « era stata la mèta delle sue aspirazioni fino dalla primissima gioventù », quando potè gustare gli insegnamenti di questa « Università di tutto il mondo » egli provò l’impressione più profonda e ne riportò una memoria indelebile. Egli ebbe udienza presso Pio IX ed a lui umiliò un indirizzo a nome della società universitaria « Arminia ».
I grandi monumenti dell’Eterna Città visitati ancora una volta richiamarono sui suoi occhi le lacrime.    Fu quindi a Napoli e poi nell’Alta Italia, riportando ovunque una impressione che doveva esercitare la più benefica influenza sul programma della sua vita.     Nel semestre d’inverno 1876-77 Pastor fu a Berlino. In quell’Università egli fu discepolo di celebri dotti: Ermanno Grauert, Guglielmo Nitzsch, prese parte al celebre Seminario storico di Giorgio Waitz, e frequentò le lezioni di Leopoldo von Ranke.    II giovane studente pensava però già alla sua Storia dei Papi e con una premura diligente cominciò lo spoglio dei ricchi manoscritti della Regia Biblioteca. Nelle feste di Natale fu a Fulda per studiarvi bene il codice così importante per la storia della Controriforma, in cui sono le note scritte dai Gesuiti dal 1570 al 1650.    Mentre Roma con la grandiosa meraviglia dei suoi monumenti e con l’imponente grandezza delle sue memorie lo aveva commosso sino alle lacrime, Berlino, la metropoli dell’intelligenza, non incontrò affatto il suo gusto. Quelle lunghe vie uniformi e moderne, quei luoghi aridi di memorie, eran per lui tediosi e monotoni; soleva dire: « Tu non puoi cercare qua alcun monumento; nulla parla del passato, nè vi è cosa che incorpori in sè o un’epoca o un periodo dell’arte. Monaco, Francoforte, Dresda e magari una piccola città italiana sono “ capitali „ cento volte meglio di Berlino ». Ma il suo spirito trovò là pure grandi conforti. Frequentò ivi l’associazione universitaria «Ascania», dove trovò dei compagni dello stesso pensiero, e potè conoscere Windthorst ed altre illustri personalità del Centro.     E proprio il contatto con tante illustri personalità della vita religiosa, intellettuale e politica della Germania cattolica, fu uno dei favori speciali che Pastor riconosceva dalla Provvidenza. Furono questi uomini che indirizzarono il giovane e appassionato studente sulla retta via, furono essi che basarono su di un fondamento sicuro la vasta cultura della mente e del cuore di questo giovane storico e che impressero al suo carattere profonda e seria fermezza. I nomi di questi grandi maestri del Pastor sono per sè ognuno una storia.    Oltre al menzionato Janssen, che restò sempre l’amico paterno di Ludovico, va ricordato il grande vescovo di Magonza von Ketteler, Hertling, Ermanno Hüffer, Alfredo von Reumont, Paolo Leopoldo Hoffner, più tardi vescovo di Magonza, il decano della cattedrale di questa città e professore di dommatica Giovanni Battista Heinrich, il quale dette nel 1874 il primo impulso alla fondazione della celebre Gòrres-Gesellschaft (società destinata a promuovere nella Germania la scienza cattolica). « Fu questi, dice il Pastor, che dopo Janssen esercitò su me il maggiore influsso ».     A questa classe di uomini che formò il suo spirito nelle profonde convinzioni della fede e negli alti ideali della lotta per lei, va aggiunta una seconda classe: quella degli storici e particolarmente degli storici dell’arte, delle più diverse tendenze. Fu in Francoforte stessa che egli imparò ad apprezzare l’arte italiana per opera di Steinle, nonostante che Münzenberger, e più ancora Augusto Reichensperger, « uno degli uomini più versatili caratteristici ed interessanti » con il quale aveva più volte visitato i musei berlinesi, lo portassero ad apprezzare « l’arte gotica » come l’apice dell’arte cristiana, e la « straniera arte della Rinascenza » come un rifiorire dell’arte pagana. Ma per fortuna del Pastor, altri storici, illustri e più equanimi, come Francesco Saverio Kraus, che egli conobbe a Francoforte, e Federico Schneider, conosciuto a Magonza, esercitarono sul suo animo un giusto contrappeso, inducendolo ad un più equo apprezzamento dell’arte della Rinascenza. E così conobbe pure a mezzo del suo suocero, Leopoldo Kaufmann, un fine interprete dell’arte di Dürer, lo storico dell’arte Justi. In Basilea fu a contatto con Giacomo Burckhardt, uno dei più illustri conoscitori della Rinascenza, il cui ricordo egli rammenta con gioia nelle sue memorie.     Circondato da uomini così distinti sia nel campo scientifico che artistico e religioso, Pastor si sentì sempre più confortato nel suo proposito di scrivere la storia dei papi non nella forma apologetica, ma secondo lo    stile di Ranke, nella pura forma oggettiva, su la base dei documenti.     « Lo storico cattolico, ha lasciato scritto Pastor in un suo diario, non deve voler essere un apologeta : è questo un pericolo in cui è facile incorrere nei nostri tempi così agitati. Naturalmente uno storico che mira ad una rigorosa oggettività non verrà apprezzato mentre egli vive come l’apologeta storico, l’uomo del momento. Ma più tardi le condizioni saranno invertite. Quello non muore con la sua vita, mentre questo, che è ancora compreso dai fratelli d’idea, per le generazioni future al contrario non è più altro che uno scrittore di libercoli. Lo storico deve assolutamente tenersi lungi da ogni passione politica. Un’opera storica cattolica deve assomigliare a quelle solenni cattedrali romaniche, che respingono tutte le affettazioni e tutte le leziosaggini, e che nella loro grandezza e perfezione non abbisognano di alcun velo ».    E le prime lance spezzate dal futuro storico dei papi ebbero un carattere battagliero, non però nella forma apologetica, da lui sopra riprovata, ma in quella rigorosamente scientifica della critica.    Va premesso che il Kulturlcampf, nel campo intellettuale, come già in quello politico, aveva per mèta di involgere nell’oblio tutto quello che la scienza cattolica potesse produrre di pregevole. Noi in Italia abbiam veduto fare altrettanto per insinuazione della scimmiottante massoneria. In seguito a ciò, come fra noi, così là, gli scienziati cattolici eran costretti o a restare nell’oscurità o aprirsi il varco sacrificando le proprie idee. Uno di questi, Giorgio Waitz, seguì per un tempo questa via, e in una nuova edizione da lui curata delle Quellenkunde der deutschen Geschichte di Dahlmann, cercò escludere dalla propria consorteria gli storici cattolici. Contro tale partigianeria insorse fiero il Pastor con un suo articolo pubblicato nel Der Katholik, dal titolo Giorgio Waitz monopolista prussiano della storia. Il giovane, ancora ventunenne dimostrò con una vasta cultura letteraria come il Waitz, non tenendo conto degli errori scientifici, nella terza e quarta edizione di detta opera sotto l’influsso del Kulturkampf abbia taciuto o rimpiccolito opere magistrali cattoliche e scritti di autori cattolici, e come quest’opera tanto consultata sia stata penetrata dello spirito dei creatori della storia protestante prussiana, cosicché le opere di Klopp, di Weiss, di Hefele, di Gfrörer, di Janssen, di Hergenröther, di Philipps e di tanti altri, non vi avessero trovato posto o fossero state indicate a piccoli caratteri come poco utili per la consultazione. « È proprio vero, scrive il Pastor, che la celebre frase di De Maistre, che da 300 anni la storia non è altro che una grande congiura contro la verità, trova il suo pieno avveramento nel nuovo andazzo di scriver la storia in Germania, dopo che anche ivi ha preceduto un periodo, nel quale anche i protestanti giudicano con la più grande sfacciataggine la Chiesa, la sua azione e i suoi ministri ».   E così Pastor proseguì nel menzionato periodico a mettere in luce, con somma franchezza e con capacità non comune, l’opera storico-letteraria della Germania protestante. Allo stesso tempo scrisse recensioni di opere di dotti cattolici quali Janssen, Carlo de Smedt, Alberdingk Thijm e di Castelar, (Der Katholik an. 1876-77) delle quali fece rilevare il valore, non mancando di correggere, completare, ove occorresse, il loro pensiero. Così, quando lo spagnuolo Castelar esaltò l’opera di Ranke sui papi, come un lavoro che sarebbe letto anche dai cattolici più zelanti, Pastor non mancò di osservare che non andava dimenticata la parzialità e tendenziosità dell’autore, mentre « una revisione dell’opera di Ranke da parte dei cattolici era senza dubbio uno dei più pressanti bisogni della storiografia cattolica».    A compiere i suoi studi universitari Pastor si recava nel 1877 a Vienna. Ivi si trovò assai meglio che a Berlino, ma i grandi professori di quell’Universitá (fra questi il celebre Teodoro von Sickel) non ebbero accoglienza amichevole per questo giovane storico. Del resto non gli mancarono ottimi amici, fra i quali il grande storico Onno Klopp, che Janssen gli aveva raccomandato, come «uomo di nobilissimi sentimenti, di profonda pietà, veramente pio, di grandi pregi, ancora di una vivacità un po’ giovanile ».    In quel tempo Pastor prese a scrivere per la Revue des Questions historiques di Parigi la recensione delle pubblicazioni storiche della Germania, còmpito che egli ha proseguito per ben 20 anni (1877-1897), dando a quella recensione bibliografica il carattere di una specie di universalismo. Bellissima recensione, distribuita in una serie di articoli editi negli Historisch-Politischen Blätter (1877-1880), egli dedicò all’opera di Klopp, Fall des Hauses Stuart. Dalle sue Memorie risulta che in quel tempo aveva ideato di scrivere un volume dal titolo Lo storico moderno nel quale avrebbe dovuto precedere come prefazione una critica contro « gli oltraggi lanciati alla casa imperiale d’Austria dai costruttori di storia prussiana » i quali denigravano gli Asburgo perchè non ne conoscevan la storia, ma anche più perchè cattolici.    In Vienna il Pastor trascorse i tre semestri 1877-78: utilizzando il suo tempo non solo per lo studio ma, come già a Berlino, nel fare lo spoglio della Biblioteca imperiale e dell’Archivio di Stato. Preparò pure la sua tesi, a lui suggerita dal prof. Klopp, dal titolo Tentativi di unione religiosa durante il regno di Carlo V, lavoro la cui sola prima parte abbraccia 400 fogli in quarto, densamente scritti.    Finito il terzo semestre, per invito di Giovanni Weiss, Pastor lasciò Vienna e si recò a Gratz dove conseguì la laurea in filosofia il 18 luglio 1878. In poco più di otto anni egli aveva espletato nella maniera più brillante il corso dei suoi studi, dalla prima ginnasiale alla laurea universitaria. 
A cura di Gaetano Masciullo (clicca qui per altri articoli e studi).  - http://radiospada.org/                                                        

giovedì 16 gennaio 2014

S.M. Alfonso I delle Due Sicilie : Glorie , onori e vicende di un Re in esilio.




Alfonso di Borbone ,
Conte di Caserta  (1858).
 Don Alfonso Maria Giuseppe Alberto di Borbone delle Due Sicilie, Conte di Caserta, nacque a Caserta il 28 marzo 1841, terzogenito di Re Ferdinando II delle Due Sicilie e della di lui  seconda moglie l'Arciduchessa Maria Teresa d'Asburgo-Teschen.
Come tutti i Principi della Casa di Napoli, egli nacque soldato : il 3° Reggimento fanteria di linea (Principe) lo accolse fanciullo. Il 9 ottobre 1853 fu promosso alfiere; secondo tenente il 23 di dicembre dell'anno seguente; primo tenente il 1° settembre 1857; capitano il 23 di novembre del 1858, sempre in quel Reggimento. Secondo una tradizione che vigeva anche in Russia , egli ed il fratello Conte di Trani furono nominati , il 3 giugno 1859, aiutanti di campo di S.M. Francesco II , loro augusto fratello.
Il Conte di Caserta predilesse l'Artiglieria ; nel 1856 chiese al Re suo padre di servire la Patria in quell'arma; nel 1859, compiuti gli studi superiori , il 5 di dicembre , fu trasferito dal suo reggimento di fanteria  all'Artiglieria a cavallo , ottenendo il grado di Capitano. Nei primi mesi del 1860 ebbe parte nella "Commisione per lo studio e la costruzione dè cannoni rigati". La missione affidatagli insieme ad altri espertissimi ufficiali Napoletani, superando ostacoli gravissimi, fu compiuta in modo egregio tanto da meritar le lodi dell'allora Ministro della Guerra Tenente Generale Pianell , cui parve, poi, più comodo inchinarsi ai nuovi padroni , quando la Rivoluzione portò i subbalpini sciacalli nel Golfo di Napoli. Il Conte di Caserta così meritò la promozione a Maggiore , che ottenne il 10 agosto di quell'anno; e fu destinato al comando di due batterie a cavallo. La sera del 5 settembre 1860 , il Conte di Caserta partiva da Napoli alla testa delle sue due batterie , insieme alla divisione di cavalleria alla quale erano aggregate.

Combattimenti della Campagna sul Volturno.

Il Conte di Caserta iniziò la sua vita di campo nella guerra per difendere il suo Paese, il suo Regno che veniva invaso da orde mercenarie e da un'esercito di uno Stato che si diceva "amico". Nelle Campagne del Volturno e del Garigliano il Conte di Caserta primeggiò , e nella presa di Caiazzo il 21 settembre, e nella presa di Santamaria il 1° ottobre diede prova di coraggio e di conoscenza militare singolare, si che il 3 ottobre di quell'infausto anno fu nominato Tenente Colonnello, ed il 16 dello stesso mese Colonnello. Egli non si riposò di certo sugli allori dopo aver ottenuto codeste onorificenze ma raddoppiò l'ardore , e nei fatti d'armi del Volturno , e in quelli principalmente di Trifrisco, si comportò con coraggio e onore giovando ulteriormente al nome della sua Casa.
Il 29 ottobre sul Garigliano , mentre cadeva eroicamente il prode Generale Matteo Negri , Alfonso di Borbone parve il Genio della guerra ; il 21 novembre ebbe la Croce di Ufficiale dell'Ordine di San Giorgio della Riunione.
L'esercito delle Due Sicilie , stanco dopo cinque mesi di guerra , seguì il suo Re Francesco II a Gaeta, e con esso vi era Alfonso. Nei combattimenti di Trifrisco , Pontelatone , Caiazzo , Sant'Angelo e Santa Maria , l'esercito duosiciliano fronteggiò vittoriosamente le orde garibaldesche ; ma Garibaldi era soltanto  il precursore della Rivoluzione. Dall'alto degli Abruzzi il Cialdini entrava nel Regno con un poderoso esercito piemontese; entrava fedifrago , rompendo le dighe del diritto delle genti, senza dichiarazione di guerra; egli era un altro "eroe" , e sappiamo benissimo come si comportò. Il 26 ottobre la retroguardia napoletana aveva respinto l'avanguardia piemontese , nella gola di Cascano; ma questo non era il nemico di "ieri" ma ben si un nemico fresco, in forze e ben armato.

La Fortezza di Gaeta.
 Intanto Gaeta divenne l'asilo del buono e provato Re Francesco II , dell'eroica Regina Maria Sofia, e di un esercito valoroso. Il Conte di Caserta chiamato a far parte della Guarnigione , prese posto in tutta la difesa della Piazza, comandando la seconda sezione , composta dal Bastione Sant'Antonio , cortina a denti di sega S. Antonio , Batteria Cittadella , cortina Cappelletti-Cittadella e Controguardia Cittadella , alle quali vennero aggiunti poco dopo la Batteria Addolorata e il nuovo trinceramento a Porta di Terra .
Il Ministro della Guerra , Tenente Generale Casella , pubblicò il 17 gennaio 1861 un Ordine nel quale vi si leggeva fra l'altro: "La Maestà del Re N.S. riserbandosi al finir della guerra il rimunero del giusto e del prode, ora mi comanda di rendere palesi all'universale i nomi di coloro cui toccò fortuna di maggiormente distinguersi, a capo dè quali è bello al vostro vecchio e veterano Ministro segnare il nome dell'intrepido Principe S.A.R. il Conte di Caserta , Colonnello d'Artiglieria, che con l'esempio e le indefesse cure si ben sa infondere l'emulazione nella sua nobile Arma."


Scoppio del magazzino di munizioni <<Cortina denti di
sega Sant'Antonio>> a Gaeta.
 
Il Conte di Caserta era sempre fra i primi , pronto , prode , sollecito , invitto: "Alle 4 p.m. (del 5 febbraio) [scrive il Quandel nel suo Giornale], uno scoppio ed una scossa violentissimi, nugoli di fumo , e pietre cadenti, annunziano novello terribile disastro. Il magazzino di munizioni della <<Cortina a denti di sega Sant'Antonio>> il quale oltre le munizioni di quest'opera contenea pure quelle della Batteria Cittadella ed intorno a 40.000 cartucce da carabina e da fucile, è saltato in aria facendo crollare porzione della cortina e degli edifizi attigui , e trascinando nelle rovine e seppellendo uomini ed artiglierie: la cinta principale dalla parte di mare è aperta.
Al vedere lo scoppio , il fuoco nemico diviene furioso , e la più gran parte dei colpi è diretta sul luogo del disastro, ove bombe e granate cadendo senza posa , rendono estremamente difficile  o pericoloso l'arrecar soccorso ai giacenti sotto le rovine.
Non isgomentate dallo sparo nemico e dalla patita sciagura, le nostre Batterie raddoppiano la vivacità del fuoco, e mostrano che le più atroci sventure non abbattono l'animo di coloro che, difendendo Gaeta, difendono la causa della Religione e del Re , e la terra nativa. Fra le batterie son da notare specialmente quella Cittadella , prossima al sito dell'esplosione, e rimasta del tutto isolata per essere state distrutte le comunicazioni, e la stessa cortina a denti di sega <<Sant'Antonio>> di cui una parte è crollata. S.A.R. il Conte di Caserta , sotto il cui comando sono quelle Batterie, accorsovi al fragore dello scoppio, dà ordine che non si ristia dal trarre, e col suo nobile esempio incita e sprona il valore degli Artiglieri."
Così il 9 febbraio S.M. Francesco II commutava la Croce di Ufficiale di S. Giorgio della Riunione, ottenuta dal Conte di Caserta durante la Campagnia del Garigliano , in Commenda dello stesso Ordine. I Principi Napoletani guadagnavano sul campo di battaglia i loro gradi militari e cavallereschi; il Conte di Caserta ebbe , in quella circostanza e per la sua virtù militare, la medaglia Commemorativa delle campagne di settembre ed ottobre 1860, la Croce di 4° Classe laureata del R. Ordine di S. Fernando di Spagna, quella dell'I.R.O. di Maria Teresa d'Austria , l'altra dell'O. militare di San Giorgio di Russia, divenendo una delle più mirabili figure di quel dramma eroico che fu la difesa di Gaeta. Il Conte di Caserta amava la causa che difendeva e, dimenticandosi di sè, andava dritto , con l'occhio fisso sul nemico incalzandolo con valoroso ardore.
Alle 7 del mattino del 14 febbraio 1861, dovette, insieme al Re Francesco II e alla Regina Maria Sofia,  lasciare Gaeta e il suo Regno.
I Borbone delle Due Sicilie ripararono a Roma ospitati paternalmente da S.S. Pio IX il quale ricambiava l'ospitalità da egli ricevuta a Gaeta nel 1849. Il Conte di Caserta seguì l'augusto fratello e la R. Casa nella Città Eterna.

S.A.R. Alfonso di Borbone-Due Sicilie
fotografato durante l'esilio romano.
 Le guerre per la Chiesa, combattute contro la Rivoluzione essenzialmente antireligiosa, ebbero nel braccio e nella mente del Conte di Caserta opera e consiglio preziosissimi, chè, entrato egli come Colonnello nelle Milizie Pontificie , servì il Papa con fede di Principe , con ardore di Cristiano Cattolico mirabilissimo.
La Rivoluzione, dopo aver rovesciato i legittimi Troni d'Italia , puntava l'occhio su Roma. A Mentana il Conte di Caserta diede prova di tanto coraggio e trepidezza che il Generale de Pholes glie ne espresse pubblica ammirazione , ed il proministro Generale Kanzler nel suo rapporto scriveva: "In primo luogo debbo citare S.A.R. il Conte di Caserta , il quale fin dal principio dell'iniqua invasione si era messo a mia disposizione , con preghiera di essere impiegato ove il pericolo fosse meggiore . S.A.R. nella spedizione di Mentana si fece ammirare dalla nostra truppa e diede prova di discernimento e di cognizioni militari ." E qui sentiamo cosa disse il Mencacci: "Fermo al suo posto-il Conte di Caserta- al fianco dell'intrepido Ministro , durante tutta la battaglia si tenne sempre nelle prime file sotto un nembo continuo di palle. A pochi metri dalle mura di Mentana , da dove usciva a torrenti il fuoco nemico , il giovinetto Borbone si mostrò più intrepido dei più vecchi militari. Gli stessi Uffiziali di Stato Maggiore, anche i più consumati nel mestiere delle armi, sogliono smontare da cavallo nei luoghi di troppo pericolosi; ma il Conte di Caserta , egualmente che il Generale Kanzler ed altri Uffiziali Romani, restò sempre a cavallo insieme coi suoi aiutanti di campo[...] Nè la presenza del Principe fu senza utilità; poichè espertissimo Uffiziale d'Artiglieria , come è, in più di un incontro coi suoi consigli diè pruova, come disse il Generale Proministro nel suo rapporto, di discernimento e di cognizione militare; senza dire che il suo bell'esempio servì d'incoraggiamento a tutti: lieti , come erano, di vedere fra le loro file un figlio e fratello di Re combattere per la Santa Sede". Così egli ebbe la Croce commemorativa Fidei et virtuti , il Papa lo creò Cavaliere dell'Ordine di Cristo , e il Duca di Modena, Francesco V, Cavaliere Gran Croce dell'Aquila Estense.

Battaglia di Mentana (3 novembre 1867).

L'Avant-Garde , un giornale parigino , nel suo N° del 15 luglio 1867 , pubblicò un articolo del signor Du Puget , dal titolo: Le Comte de Caserte et l'Armèe Pontifical. La figura militare dell'augusto Principe vi fu ritratta felicemente : il 3 novembre del 1867 , verso il mezzodì, il Generale Kanzler chiese al Conte di Caserta se volesse recare un ordine ad altra parte del campo : il Principe accettò prontamente. Qualcuno , però, gli fece osservare che la via da percorrere per giungere al posto indicato era assai pericolosa per lui, che sarebbe stato esposto al fuoco nemico;  ed egli subito rispose: "Io guardo innanzi a me , al Generale cui debbo render conto della mia missione, e non mi occupo del luogo dov'è il nemico" e ciò detto spinse al galoppo il suo cavallo e disparve. Lo videro infatti i Garibaldini ed un nembo di palle giunse presso a lui che andava, ratto come il baleno. Ma l'ordine giunse in tempo; i cacciatori formarono così la testa della colonna e s'unirono alla brigata che operava : i Garibaldini esinaniti si dispersero. I francesi, mirando quel giovinetto in abito da Colonnello d'Artiglieria - la divisa Napoletana era del tutto conforme a quella francese - si chiedeano l'un l'altro chi mai fosse quel prode, e udito ch'egli era fratello del Re di Napoli , plaudendo, osannando, gridavano <<C'est un Bourbon , c'est un des notres!>> .

Maria Antonietta di Borbone-Due Sicilie.


L'8 giugno del 1868 il Conte di Casera sposò sua cugina la Principessa Maria Antonietta delle Due Sicilie (1851-1938) figlia di Francesco, Conte di Trapani ultimogenito di Francesco I delle Due Sicilie, e di Maria Isabella d'Asburgo-Lorena di Toscana, dalla quale ebbe l'anno seguente il primo di dodici figli.
Nel 1870, quando la Rivoluzione investì Roma, Don Alfonso di Borbone tornò al suo posto d'onore, offrendosi volontario nell'esercito del Papa; ma il protettorato estero concesso alle proprietà romane di Casa Borbone, obbligò il Conte a tenersi in quella guerra neutrale.
Il comportamento onorevole tenuto dal Conte di Caserta in difesa della Santa Sede e dei suoi legittimi Stati era stato di valore inestimabile; ma , a far compiuta la figura marziale del Principe invitto, la Spagna gloriosa si offrì teatro di magnifiche scene.
Il Conte di Caserta , al fianco di S.M.C. Carlo VII di Spagna e dell'esercito Carlista, combattè il governo usurpatore della Prima Repubblica Spagnola e successivamente contro l'usurpatore isabellino Alfonso "XII". Il 20 settembre 1874 Don Alfonso di Borbone , eletto Colonnello d'Artiglieria, fu aggregato alla Maggioria Generale di quell'arma. Poco dopo fu trasferito al comando delle Batterie che operavano in Guipuzcoa e partecipò a tutti i fatti d'armi ed ai combattimenti che ebbero luogo intorno alla posizione trincerata della linea dell'Orio.

L'opera sua fu così efficace da obbligare le forze nemiche ad abbandonare ai Carlisti quelle importantissime posizioni. Cosi poterono questi ultimi stringere il blocco al campo trincerato di San Sebastiano ,  che valse al Conte di Caserta la Croce di Seconda Classe del Merito Militare per servizio di guerra.
Da sinistra a destra in  piedi:
il Duca Roberto I di Parma;
S.A.R. Enrico di Borbone Parma ;
S.A.R. Alfonso di Borbone -Due Sicilie.
Seduto: S.M.C. Carlo VII di Spagna.

Con immenso ardore il Conte di Caserta diresse l'attacco contro la Piazza Forte di Gaetaria dove le sue artiglierie parvero fatate. Per questo il 13 maggio 1875 fu eletto Generale di Brigata e destinato alla Divisione di Castiglia che operava nella provincia di Burgos. Il 9 luglio dello stesso anno , per l'infermità del valoroso Generale Fortan , fu mandato come Capo delle operazioni nella provincia di Alava , e preposto alla divisione alavese. La resistenza di Alava somigliò a quella dei trecento alle Termopili: la sproporzione tra i due eserciti era rilevante in quanto le forze a disposizione del Conte di Caserta erano ridotte. Nonostante ciò egli riuscì vittoriosamente a contenere le forze nemiche seguendole poi in Navarra dove ai primi di settembre si erano ritirate; seguendole e vincendole spesso, fronteggiandole sempre.

Il 17 di quello stesso mese poderose forze nemiche strinsero in Guipuzcoa l'esercito Carlista, e l'avrebbero sopraffatto , tanto numerose erano tali forze; ma il Conte di Caserta giunse improvviso con la sua Brigata; giunse , assunse il comando della Divisione, batte il nemico , trionfò nella vittoria di San Marcos il giorno 28, ed il 30 ripartì con la Brigata per la Navarra , per unirla al resto della sua divisione. 
Durante la guerra successe un fatto singolare: nell'esercito Carlista , nel quale militavano anche stranieri , come spesso accadeva in tutti gli eserciti che combattevano per un'idea suprema e non per conquista, corse fra uno spagnolo, un francese e un bizzantino la scommessa di andare a prendere un caffè agli avamposti nemici. Essi, che erano tutti Ufficiali, si recarono dal loro Generale , che era il Conte di Caserta, chiedendogli il permesso per fare sfarzo del loro coraggio. Il Principe ascoltò, dopodichè rimandò i tre  indicandogli il luogo dove il giorno seguente avrebbero ricevuto i suoi ordini. Essi si presentarono nel luogo pattuito ove il Principe disse loro <<Ecco, avrò il piacere di offrir loro una tazza di caffè presso al campo nemico>> e andò con loro , e pagò il caffè, e tornarono tutti e quattro alle loro tende sani e salvi.
Ad uno che chiese al Principe perchè si fosse esposto così tanto , per cosa inutile, egli rispose che gli era parso di non poter permettere , lui presente, una prova di coraggio ad uno spagnolo , un francese e un turco , senza mostrare che sopra ogni altro fosse buono a farla un Napoletano.
Il 22 ottobre l'esercito Carlista vinse nella Battaglia di Lumbier , ed il Conte di Caserta che valorosamente concorse alla vittoria, fu eletto Generale di Divisione il 28 dello stesso mese, e l'8 novembre venne richiamato in Alava , dove il nemico aveva di nuovo concentrato le sue forze.
Intanto la guerra volgeva al termine: Catalogna , Valenza, ed Aragona erano tornate sotto il controllo nemico; tutte le forze dell'usurpatore Alfonso "XII" si concentrarono sulle Province Basche ed in Navarra; al Conte di Caserta fu imposto di assumere la suprema direzione dell'esercito del Nord, come Capo di Stato Maggiore Generale (11 dicembre 1875) , ufficio che disimpegnò con grande energia e valore ormai da tutti riconosciuto.  Ma per disparità di vedute ai primi di febbraio del 1876 , dimesso quel grado, andò a comandare la Divisione Castigliana , rimasta acefala per via dell'infermità del bravo Generale D. Francesco Cavero, divisione , sopra ogni altra di tutta la Spagna ammirevole, per coraggio e disciplina; divisione che ebbe l'onore di proteggere e custodire la persona di S.M.C. Carlo VII di Spagna , e accompagnarlo in Francia.
Al termine della Terza Guerra Carlista , S.M. Francesco II delle Due Sicilie scisse al fratello Alfonso la seguente lettera:

"Park Wien , 2 marzo 1876
Mio carissimo Alfonso ,
Cosa posso dirti in questi momenti? Dopo aver ringraziato Iddio e la SS. Vergine per averti conservato incolume ed averti fatto uscire in buona salute , io non so dirti che due cose: l'una, che divido le impressioni dolorose di chi trovasi in quelle circostanze , che io ho passato una volta soltanto , e tu tre ; l'altra cosa che posso dirti è che , indipendentemente da politica, la tua persona ed il tuo nome, hanno guadagnato una nuova bella pagina di meriti e reputazione militare.
Pochi sono quelli che possono dire aver guadagnato dal loro 19° anno tutti i gradi militari sul campo di battaglia , e tra questi pochi tu sei il solo Principe, a quanto ricordo.
Tra tanti miei dolori , qualche volta ho dei conforti, e la tua condotta militare me ne ha fornito uno.
Ora non mi resta che augurarti la consolazione che proverai rientrando in seno alla tua famiglia , ed abbracciarti di tutto cuore , e dirmi
Il tuo affezionatissimo
Franceso"


File:Afonso de Bourbon-Duas Sicílias.jpg
S.M. Alfonso I delle Due Sicilie (1907 circa).

Dopo le imprese in Spagna , il Conte di Caserta si ritirò nella sua Villa a Cannes con la numerosa famiglia. Il 21 settembre 1878 , Don Alfonso indirizzò una lettera al Cardinale di Napoli Guglielmo Sanfelice d'Acquavella per preannunciargli di aver disposto interventi caritatevoli in danaro a favore degli abitanti di Afragola colpita da calamità naturali e per la Chiesa da edificarsi in Roma al Sacratissimo Cuore di Gesù in memoria del Sommo Pontefice Pio IX. Nonostante fosse in esilio e nelle avversità si prodigò per i suoi popoli e la sua Patria.
L'8 giugno 1886 il fratello Luigi morì, lasciando come unica erede la figlia Maria Teresa di Borbone-Due Sicilie, esclusa dalla successione al Trono secondo legge salica. Alfonso divenne l'erede  dell'augusto fratello suo S.M. Francesco II e il 27 dicembre 1894, alla morte di quest'ultimo, benchè in esilio , per legittimo diritto, divenne  Capo della Real Casa Borbone Due Sicilie e Re col nome di S.M. Alfonso I delle Due Sicilie.

Nel 1900 S.M. Alfonso I autorizzò il matrimonio tra il suo secondogenito Carlo Tancredi e una Principessa spagnola del ramo liberale isabellino María de las Mercedes Isabel Teresa Cristina Alfonsa Jacinta di Borbone (Carlo Tancredi  rinunciò così ai propri diritti di successione al Trono delle Due Sicilie, e ai diritti connessi, il 14 dicembre 1900 firmando il cosiddetto "Atto di Cannes": poco dopo, il 7 febbraio 1901, fu creato Infante di Spagna.).
S.M. Alfonso I delle Due Sicilie in tarda età.

Il suo consenso al matrimonio apparve, agli occhi dei Tradizionalisti spagnoli , come un tradimento della causa Carlista e legittimista. E come tale fu pubblicamente tacciato dai legittimisti spagnoli. Alfonso I sentì tutto il peso della scelta e non mise mai più piede in Spagna.
Intanto gli anni passavano ed anche l'ardore dell'invitto Principe Napoletano si affievoliva lentamente. Dopo i Patti Lateranensi del 1929 , Alfonso I decise di cambiare gli Statuti dell'Ordine Costantiniano per confermare che capo dell'Ordine non era più il Re del Regno delle Due Sicilie ma il Capo della Casa Reale  Borbone Due Sicilie: questo atto del tutto criticabile va in netto contrasto con il comportamento di un altro Borbone, Alfonso Carlo di Spagna, fratello del defunto Carlo VII di Spagna, che , una volta stipulati i sudetti patti dalla Santa Sede , decise di rompere i contatti con Roma.
Alfonso passò i suoi ultimi anni di vita nella "Villa Maria Teresa" a Cannes dove si spense il 26 maggio 1934 all'età di 93 anni e dove è tutt'ora sepolto nel suo Mausoleo.


Fonte:

Gaetano De Felice - Il Re Alfonso di Borbone Conte di Caserta (a cura di Giuseppe Catenacci e Francesco Maurizio di Giovine). D'Amico Editore.

Scritto da:

Presidente e fondatore dell'A.L.T.A. Amedeo Bellizzi.