martedì 29 settembre 2015

Cronologia del Carlismo o Tradizionalismo Spagnolo dal 1814 ai giorni nostri.


 
 
 
1814: Ferdinando VII e suo fratello, l’Infante Don Carlo, ritornano dalla prigionia francese. Dopo aver ricevuto il Manifiesto de los Persas firmato da 69 deputati delle Cortes Ordinarias, il Re legittimo di Spagna restaura lo Stato Cristiano soppresso da Napoleone Bonaparte e annulla la Costituzione liberale del 1812.

1820: Rafael del Riego, militare appartenente alla massoneria, si solleva contro il Re  a Cabezas de San Juan con un esercito destinato a combattere i ribelli in America. Questo tradimento contribuì grandemente alla perdita dei possedimenti continentali d’Oltremare della Spagna. Ha inizio il Triennio Liberale.


1822: La Guardia Reale si solleva contro il così detto governo costituzionale. Si sollevano diversi partiti realisti in Castilla la Vieja, Provincias Vascongadas, Cataluña, Aragón, Murcia, La Mancha e Andalucía. I realisti prendono la Seo de Urgel e instaurano una Reggenza. Questa forza anti-costituzionale varrà conosciuta come l'Ejército de la Fe.


1823: Il Regno di Francia invia la spedizione dei Centomila figli di San Luigi al comando del Duca d'
Angoulême per aiutare i realisti e liberare Ferdinando VII. In questa occasione, i francesi sono accolti dal popolo spagnolo come liberatori.

1827: Di fronte alle riforme liberali e alla mancata restaurazione del Tribunale della Santa Inquisizione, i chiamati apostolici di Cataluña, partigiani dell’Infante Don Carlo, iniziano la cosi detta Guerra de los Agraviados o dels Malcontents. Si invoca la necessità di legittimità di origine e di esercizio da parte del monarca.

1830: Ferdinando VII promulga illegalmente senza il concorso delle Cortes la Pragmatica Sanzione per abrogare l’Auto Acordado del 1713, conosciuto come Legge Salica (in realtà semi-salica), che impediva la successione alla corona di sua figlia , l’Infanta donna Isabella.

1832: Ferdinando VII si ammala e abroga a La Granja la Pragmatica Sanzione (in realtà, mai promulgata legalmente). Dopo essersi ripreso, annulla il decreto derogatorio.

1833: Dopo la morte di Ferdinando VII, si produce il sollevamento della Talavera de la Reina, dando inizio alla Guerra dei Sette Anni o Prima Guerra Carlista. L’Infante Don Carlo è proclamato Re con il nome di Carlo V. Sotto la bandiera dinastica, volontari realisti e anti-costituzionalisti combattono la Rivoluzione liberale per  restaurare lo Stato Cristiano.

1834: Il governo “cristino” firma il Trattato della Quadruplice Alleanza, ottenendo appoggio finanziario e militare da Inghilterra, Francia e Portogallo.

1835: Muore nel Sitio de Bilbao il General Zumalacárregui, geniale organizzatore dell’esercito carlista.

1837: La Spedizione Reale dell’esercito carlista arriva alle porte di Madrid.

1839: Il Generale Maroto tradisce il Re Carlo V e firma il Convenio de Vergara, fucilando numerosi leali ufficiali carlisti. Finisce la guerra nel nord.

1840: Il Generale Cabrera e la sua truppa si ritirano in Francia, finisce la Prima Guerra Carlista.

1844: Viene fondato a Madrid il periodico La Esperanza, organo ufficioso del carlismo fino alla decade 1870.


1845: Carlo V abdica a favore di suo figlio, Carlo VI, Conte di Montemolín.

1846: Dopo il fallito tentativo di matrimonio tra la così detta Isabella “II” e Carlo VI auspicato da Balmes e Donoso Cortés, i carlisti  di Cataluña si sollevano nuovamente in armi contro l’usurpazione. Ha inizio la Guerra de los Matiners.

1849: Finisce la Guerra de los Matiners o Seconda Guerra Carlista.

1855: Si verifica una sollevazione dei campesinos carlisti in Castilla e Aragón contro la “Desamortización” di Madoz.

1859: Scoppia la Guerra d’Africa. Numerosi volontari carlisti, principalmente della Cataluña, della Provincias Vascongadas e della Navarra si integrano nell’Esercito spagnolo per combattere i Mori.

1860: Fallisce una sollevazione carlista a San Carlos de la Rápita.

1861: Muore Carlo VI, succeduto da suo fratello, Giovanni III.

1868: La Rivoluzione Settembrina rovescia l’usurpatrice Isabella “II”. Ha inizio il Sessennio Rivoluzionario. Numerosi isabellini cattolici si incorporano nelle fila carliste per la difesa della Religione e della Patria. Giovanni III abdica in favore di suo figlio, Carlo VII, Duca di Madrid.

1869: Il carlismo si costituisce per la prima volta come partito politico prendendo il nome di Comunión Católico-Monárquica.

1870: Don Alfonso Carlo, fratello di Carlo VII, difende il Papa e Roma nelle fila degli Zuavi Pontifici contro l’invasione degli “italiani”.


1871: Importante Congresso Carlista a Vevey (Svizzera) nel quale si elencano le basi organizzative della Comunión Católico-Monárquica (conosciuta anche nello stesso periodo come Partido Carlista, Comunión Legitimista e  Comunión Tradicionalista). I carlisti passano da 21 a 51 seggi alle Cortes.

1872: Di fronte al sabotaggio delle elezioni da parte del governo, la Comunión Católico-Monárquica opta per l’azione armata. Ha inizio la Terza Guerra Carlista. Carlo VII restaura i fueros di Cataluña, Valencia e Aragón soppressi da Filippo V dopo la Guerra di Successione Spagnola nel 1714.

1873: Importante vittoria carlista a Montejurra.

1875: 
Dopo il colpo di stato del generale Martinez Campos che mette fine alla Prima Repubblica, Ramon Cabrera tradisce la causa e riconosce l’usurpatore chiamato Alfonso “XII”.

1876: Carlo VII abbandona la Spagna e termina la Terza Guerra Carlista. Si svolge il pellegrinaggio carlista a Roma. Luis María de Llauder fonda a Barcelona il giornale carlista El Correo Catalán come successore de La Convicción.

1878: Il Papa Leone XIII ringrazia  Carlo VII per i suoi servigi alla Chiesa.


1879: Cándido Nocedal è nominato rappresentante in Spagna di Don Carlo VII.

1885: Muore Cándido Nocedal.

1888: Successivamente alla pubblicazione del Manifiesto de Burgos da parte di Ramón Nocedal, si verifica la scissione integrista per differenze personali e l’opposizione di Don Carlo VII alla pretesa di restaurare l’Inquisizione, anche mantenendo il principio di Unità Cattolica. La causa carlista perde numerosi periodici, tra i quali , El Siglo Futuro, però mantiene le sue masse. Si fonda in Madrid El Correo Español, organo di stampa della Comunión Tradicionalista fino alla sua scomparsa nel 1921.

1890: Don Carlo VII nomina il Marchese de Cerralbo Capo Delegato della Comunión Tradicionalista per riorganizzarla.

1897: Si fa conoscere l’Acta de Loredán, che delinea il programma del movimento. Appare a Pamplona El Pensamiento Navarro, periodico che difenderà il carlismo fino alla sua scomparsa nel 1981.

1898: Dopo la perdita di Cuba e delle Filippine dovuto alla pessima gestione del governo liberale, si verificano tentativi insurrezionali carlisti che falliscono a causa della defezione del Generale Weyler.

1899: Cerralbo è sostituito da Matías Barrio Mier.

1900: Si verifica il fallito assalto alla caserma della Guardia Civile in Badalona da parte di alcuni carlisti  capitanati da José Torrens, combattente a Cuba. Si sollevano alcuni partiti in Cataluña e Valencia. Il governo sopprime per mesi tutti i periodici e circoli carlisti.

1907: La Comunión Tradicionalista partecipa alla coalizione Solidaridad Catalana con la Liga Regionalista, il Partido Integrista e il Partido Republicano Federal. I carlisti ottengono 14 posti nel Congresso e 6 nel Senato. Si fonda a Barcelona il Requeté come organizzazione giovanile paramilitare per far fronte alla aggressione  dei "jóvenes bárbaros" del Partito Radicale di Alejandro Lerroux.

1909: Muore Matías Barrio Mier, viene sostituito da Bartolomé Feliú. Muore Carlo VII e viene succeduto dal figlio, Giacomo III. I carlisti passano a chiamarsi jaimistas. Se verifica la Semana Trágica a  Barcelona e scompare la coalizione Solidaridad Catalana.

1912: Dopo la rinuncia di Feliú, Don Giacomo III crea una Giunta Suprema con la presidenza del Marchese de Cerralbo.

1914: La Comunión Tradicionalista inizia una campagna a favore degli Imperi Centrali contro il governo “aliadófilo” per  garantire la neutralità della Spagna nella Grande Guerra. Il politico tradizionalista più impegnato nella campagna è Vázquez de Mella, conosciuto come il Verbo de la Tradición per la sua magnifica oratoria.

1918: Cerralbo è sostituito al fronte della Giunta Suprema da Romualdo Cesáreo Sanz Escartín. Don Giacomo III publica un manifiesto favorevole alla Russia zarista e alla Francia borbonica redatto da Francisco Melgar, nel quale recriminava alla direzione della Comunión Tradicionalista la sua politica rispetto alla Grande Guerra. Si dissolve la Giunta Suprema e si produce la scissione di Mella.

1919: Pascual Comín è nominato Segretario Generale della Comunión Legitimista, e dopo, Luis Hernando de Larramendi. Se creano i Sindicatos Libres nel Ateneo Obrero Legitimista de Barcelona.

1921: José de Selva y Mergelina, Marchese de Villores, è nominato nuovo Segretario Generale del partito dopo le dimissioni di Larramendi. Lascia la pubblicazione dell’organo di stampa del movimento, El Correo Español.

1923: Don Giacomo III non si oppone in principio alla proclamata dittatura di Primo de Rivera. Alcuni jaimisti entrano nel Somatén primorriverista.

1925: Don Giacomo III si manifesta ostile al Direttorio militare.

1931: Dopo la proclamazione della Seconda Repubblica, Don Giacomo III avverte del pericolo comunista e afferma «sacrificherei fino all’ultima goccia del mio sangue nella lotta contro il comunismo antiumano, ponendomi a capo di tutti i  patrioti per oppormi alla instaurazione di una tirannia di origine straniera». Il detto manifesto difende anche il regionalismo e si dichiara nemico del separatismo. Fomenta il reingresso dei mellisti e integristi nella Comunión Tradicionalista però morì poco tempo dopo. Li succedette suo zio, Don Alfonso Carlo.

1932: Si costituisce una Giunta Suprema con la presidenza del Marchese de Villores. Alla sua morte, il posto è occupato dal Conte de Rodezno. Gli integristi e mellisti rientrano nella Comunión Tradicionalista. Si verifica un gran risorgimento del carlismo in tutta la Spagna.

1933: La persecuzione del Biennio azañista al tradizionalismo ravviva la fiamma e propagandisti tradizionalisti attraversano tutta la Spagna. Si creano organizzazioni di Boinas Rojas e Margaritas. In alcune provincie, la Comunión Tradicionalista partecipa alla coalición electoral Tradición y Renovación Española (TYRE) con controrivoluzionari alfonsini. 21 deputati tradizionalisti si siedono nel Congresso, 4 di essi per l’Andalucía, una novità mai vista prima.

1934: Manuel Fal Conde è nominato Segretario Generale della Comunión. In un atto in Potes dichiara: «il popolo ha diritto a ribellarsi contro i tiranni». Hanno  inizio i preparativi tra i carlisti e militari per l’ Alzamiento Nacional.

1936: I tradizionalisti si presentano alle elezioni di febbraio in diverse coalizioni anti-sinistra come il Frente Catalán de Orden e il Frente Nacional Contrarrevolucionario, ottenendo 15 sedili. Prima della deriva rivoluzionaria del governo del Frente Popular, il 18 di luglio i requetés si sollevano contro la Repubblica marxista con una parte dell’Esercito. Ha inizio una nuova guerra civile. Cento mila combattenti requetés lottano per Dio e per la Spagna contro i  comunisti e separatisti. Molti  carlisti in Cataluña, Madrid, Valencia, Vizcaya e altre regioni si trovano nella “zona rossa” e son massacrati. Don Alfonso Carlo muore senza discendenza, nominando come reggente  Don Francesco Saverio di Borbone - Parma.


1937: Il Generale Franco proclama il Decreto de Unificación tra tradizionalisti e falangisti sotto il suo comando. La Comunión Tradicionalista non si conforma al Decreto de Unificación. Il partito unico si verifica con il controllo di numerosi periodici e circoli carlisti. Fal Conde è  confinato a Menorca.

1939: Il bando nazionale vuole la guerra. I requetés sfilano vittoriosi.

1940: Comincia la pubblicazione dei primi volumi della monumentale Historia del Tradicionalismo Español di Melchor Ferrer, Domingo Tejeda e José F. Acedo.

1941: Don Saverio si oppone all’inserimento dei requetés nella División Azul.

1942: Attentato di Begoña. Un falangista lancia due bombe contro un evento carlista al quale assisteva il Generale Varela, causando 117 feriti.

1943: Entra in Spagna Don Carlo d’Asburgo - Lorena e Borbone, riconosciuto da alcuni tradizionalisti dissidenti alla reggenza di Don Saverio come  successore di Don Alfonso Carlo con il nome di Carlo “VIII”.

1944: La Gestapo tedesca detiene in Francia Don Saverio. E’ condannato a morte e deportato a Dachau e in altri campi di concentramento. Sarà liberato nel 1945.

1948: Congresso della Agrupación de Estudiantes Tradicionalistas (AET). La gioventù carlista si riorganizza.

1950:  275 universitari carlisti scrivono al ministro dell’Educazione esigendo libertà di espressione e pensiero. Don Saverio giura sui fueros di Vizcaya davanti al Árbol di Guernica.

1952: Don Saverio assume i suoi  diritti al Trono di Spagna davanti ad un Consiglio Nazionale celebrando in Barcelona durante il Congresso Eucaristico Internazionale.

1955: Fal Conde cessa di essere Capo Delegato, viene sostituito da José María Valiente. Si inizia un periodo che alcuni chiamano di collaborazione con il franchismo mediante la così detta "política de intervención", con lo scopo di influire sul regime affinché esso evolva verso la monarchia cattolica e tradizionale.  


1957: Il Principe Don Carlo Ugo, figlio di Don Saverio I, è presentato ai carlisti al raduno annuale di Montejurra in memoria dei requetés caduti. Don Carlo Ugo si dichiara difensore dei principi del 18 di luglio.

1958: Mauricio de Sivatte, carlista catalano, si separa dalla Comunión e proclama con i suoi seguaci la così detta Regencia Nacional y Carlista de Estella (RENACE).

1960: Se costituisce in diverse città di Spagna  i Círculos Culturales Vázquez de Mella come sedi della Comunión Tradicionalista. Si aprono circa 60 circoli. José Arturo Márquez de Prado è nominato Delegato Nazionale dei Requetés da Don Saverio I.

1961: La Via crucis di Montejurra di questo anno arriva a  superare i cinquantamila partecipanti tradizionalisti.

1962: Viene fondata a Madrid la Hermandad Nacional de Antiguos Combatientes de Tercios de Requetés, presieduta da José Luis Zamanillo González-Camino.

1963: La direzione della Comunión Tradicionalista pubblica un manifesto in difesa della Unità Cattolica di Spagna contro la minaccia modernista nel seno della Chiresa dopo l’inizio del Concilio Vaticano II. Viene fondato in Murcia il Movimiento Obrero Tradicionalista (MOT), che presto devierà dalla dottrina tradizionalista.  

1964: La Secretaria Nacional della AET pubblica un "Esquema Doctrinal" con l’intenzione di cambiare l’ideario carlista. Dissidenti della Comunión nel MOT e  la AET realizzano diverse attività.

1965: Fal Conde cerca di impedire una dichiarazione di libertà religiosa del Concilio iniziando una Cruzada di preghiera e di messe convocando un concorso per  premiare un libro sulla la Unità Cattolica come fondamento politico-sociale della Spagna, che vince Rafael Gambra. Il settore di sinistra della Chiesa vince una battaglia con la promulgazione finale della dichiarazione disciplinare Dignitatis humanae a favore della libertà di culto, anche se riafferma l’obbligo di ogni  individuo e  società ad abbracciare la fede di Cristo. Le deviazioni pro-marxiste di Carlo Ugo cominciano a diventare evidenti. Appare la milizia Grupos de Acción Carlista (GAC).

1968: Si verifica la fine di Valiente come Capo Delegato. Juan José Palomino è nominato Presidente della nuova Giunta Suprema. Il governo espelle dalla Spagna la famiglia dei Borbone-Parma.

1969: Franco ristabilisce la dinastia usurpatrice liberale nella persona di Juan Carlos, che viene proclamato come suo successore con il titolo di re e  con il nome di "Príncipe de España". Dopo la concentrazione di Montejurra, centinaia di giovani navarri si concentrano a Estella e si verificano scontri con le forze dell’ordine pubblico.

1970: I GAC mettono con l’aiuto della ETA una bomba presso El Pensamiento Navarro per costringere i suoi gestori a cambiare gli ideali del periodico e  per aver espulso il suo precedente direttore "progressista". Al  "Congreso del Pueblo Carlista" riunito ad Arbonne (Francia), i “carlohuguistas” pretendono di cambiare tutta la dottrina carlista, espellendo José María Valiente e i partigiani che continuano a seguire il tradizionalismo.

1971: Il "Congreso del Pueblo Carlista" diretto da Don Carlo Ugo decide di abbandonare la qualificazione di tradicionalista, sinonimo usato dai carlisti per più di cento anni, e acquisire la denominazione di Partido Carlista come unica possibilità.

1972: Cinque militanti del GAC sono impegnati in un consiglio di guerra a Santander per le sue attività terroristiche. Il così detto "Partido Carlista" abbandona totalmente il pensiero  carlista e si dichiara difensore del socialismo autogestionario del dittatore jugoslavo Tito.

1974: Il così detto "Partido Carlista" si somma alla Junta Democrática giunto al Partido Comunista de España capeggiato da Santiago Carrillo, autore di uccisioni di massa di migliaia di carlisti e cattolici spagnoli durante la Guerra Civile.

1975: Muore il Generale Franco. Valiente fonda con alcuni tradizionalisti la Unión Nacional Española (UNE), che entra in coalizione con Alianza Popular (AP) nel 1978 e riconosce  Juan Carlos come re di una monarchia cattolica, tradizionale, sociale e rappresentativa che Juan Carlos rifiuta completamente.

1976: La Comunión Tradicionalista è riorganizzata da Don Sisto Enrico di Borbone, che nomina Juan Sáenz-Díez Capo Delegato. Don Carlo Ugo invita alla Via crucis di Montejurra in memoria dei caduti della Cruzada i partiti comunisti, socialisti, separatisti e l’ETA. Don Sisto accetta di recarsi a Montejurra per salvare il carlismo e la memoria dei caduti requetés con José Arturo Márquez de Prado e numerose personalità difensori della ortodossia del movimento, che si troveranno in inferiorità di numero rispetto agli  “huguistas”. Il successo di Montejurra si conclude con la morte di due militanti di sinistra in strane circostanze.

1977: Poco prima  di morire, Don Saverio I pubblica un manifesto riaffermando la dottrina carlista riassunta nella formula, Dios-Patria-Fueros-Rey, e nel quale sottolinea la incompatibilità tra carlismo e marxismo o separatismo. Don Sisto succede a suo padre Don Saverio I come reggente. La Comunión Tradicionalista si costituisce legalmente come partito politico e si oppone alla così detta "Transición democrática", realizzando numerose campagne propagandistiche in tutta la Spagna e pronunciando sonanti discorsi riportati dalla stampa e dai media.

1978: Militanti della vecchia RENACE fondano l’Unión Carlista e non riconoscono nessun pretendente al Trono. Il Capo della  Juventudes Tradicionalistas de Vizcaya, José María Arrizabalaga, è assassinato dal ETA con l’obbiettivo di neutralizzare il carlismo tradizionalista e come rappresaglia per il Successo di Montejurra.

1978: Il così detto "Partido Carlista" di Carlo Ugo chiede di votare Si al referendum per la peggiore Costituzione liberale di Spagna di tutta la sua storia. La Comunión Tradicionalista si oppone e chiede il No alla Costituzione.

1979: La Comunión Tradicionalista si presenta alle elezioni generali nella coalizione cattolica antiliberale Unión Nacional, che ha raggiunto un seggio con più voti  rispetto ad alcune forze separatiste che ottengono numerosi deputati grazie alla Legge Elettorale. Il "Partido Carlista" non ottiene rappresentanza al parlamento e le sue  basi  sono trasferite ai partiti di sinistra e separatisti. Carlo Ugo rinuncia alla presidenza del suo sconfitto partito e abbandona la Spagna.

1981: Scompare il periodico carlista El Pensamiento Navarro. Nel suo ultimo numero denuncia il contesto «demoliberale, con consenso marxistoide e separatista» e mette in evidenza la tradizione eroica  del periodico in difesa della Tradizione.

1986: Si celebra in San Lorenzo de El Escorial il Congreso de la Unidad Carlista. La Comunión Tradicionalista ammette la entrata di vecchi sivattistas dell’Unión Carlista e altri tradizionalisti della Comunión Tradicionalista Carlista (CTC), nome che veniva usato dai partigiani di Don Sisto e dai carlisti nella decada del 1930. Il così detto "Partido Carlista" entra in coalizione con il Partido Comunista de España e altri gruppi di estrema sinistra per  fondare la  Izquierda Unida (IU).

2001: Don Sisto pubblica un manifesto chiamando al raggruppamento i lealisti, che  hanno abbandonato il loro vincoli con la nuova direzione della CTC, argomentando le deviazioni dottrinali, la mala gestione e una riduzione della presenza carlista nelle regioni che tuttavia controllavano in minima parte. Si crea la Secretaría Política de S.A.R. Don Sixto sotto la direzione di Rafael Gambra.

2004: Dopo la morte di Rafael Gambra, Miguel Ayuso assume la direzione della Secretaría Política.

2010: José Miguel Gambra è nominato Capo Delegato della Comunión Tradicionalista leale a Don Sisto.

Fonte: http://reinodegranada.blogspot.com.es/

lunedì 28 settembre 2015

Perchè sono contro l'indipendenza catalana?


Perchè sono contro l'indipendenza catalana? Semplice! La Catalogna, storicamente, è legata alla Corona di Spagna che con legittimità ne ha governato i territori fino agli errori commessi da Filippo V in seguito alla Guerra di Successione Spagnola. Essa ha goduto nuovamente di prospettive di un futuro prospero con i Re legittimi da Carlo V a Carlo VII il quale ne restaurò i Fueros!
Da quando quella terra è stata liberata dai Mori tra il 760 e l'801, anno della conquista di Ba...rcellona, da parte dell'Impero carolingio, e durante il tardo medioevo, si cominciò a sviluppare, con una sempre più marcata autonomia dall'impero carolingio, una cultura Catalana, sotto l'egemonia della contea di Barcellona, la principale tra le contee in cui era stata divisa.
Con il matrimonio tra Raimondo Berengario IV di Barcellona e Petronilla di Aragona la contea di Barcellona si unì al Regno di Aragona, per cui la Catalogna divenne la base navale della Corona d'Aragona. Entrambe le regioni mantennero comunque i loro rispettivi governi locali. L'espansione del Regno di Aragona raggiunse il suo massimo tra il XIII e il XIV secolo, quando divenne uno degli stati più potenti d'europa estendendo il suo dominio fino alla Sicilia e alla Sardegna. E la Catalogna conservò sempre le sue peculiarità in concerto con le altre terre della Corona!
Il matrimonio tra Ferdinando II di Aragona e Isabella I di Castiglia, nel 1469, pose le basi per l'entrata della Catalogna nella famiglia delle Spagne, uno dei gioielli della Corona di Spagna.
Grande fu l'autonomia di tutti i regni e principati di Spagna, e la Catalogna prosperò nei secoli a venire. Solo la Rivoluzione danneggiò questa prospera comunione, e la Catalogna, travolta come il resto della Spagna, ne subì le conseguenze.
Il partito indipendentista, che ha trovato terreno fertile nel mal governo "isabellino" , centralista e settario, è composto da individui non molto dissimili da coloro i quali corruppero le Spagne dal 1833.
La Catalogna, fuori dalla comunione delle Spagne, sarebbe soltanto una pallida immagine di se stessa...un ricettacolo di nazionalismo pigmeo, tanto malvagio quanto lo è quel macro nazionalismo che ha centralizzato le Spagne continentali e smembrato il grande Impero Spagnolo...e che ha condotto alla situazione attuale.
Ricordiamoci innanzitutto che il problema in Spagna è il governo di Madrid, ma non perchè è capitale del Regno di Spagna ma perchè è governata da un usurpatore fantoccio e da avidi parlamentari con il grembiulino. L'indipendenza catalana non ha nulla di legittimo e rappresenterebbe soltanto l'ennesima pugnalata alla carne delle gloriose Spagne.
La Spagna deve tornare ad essere retta da una legittima Monarchia Tradizionale, cattolica, federale e rappresentativa! Questa è l'unica via che ha per risorgere dalle ceneri nelle quali la Rivoluzione l'ha gettata.

Presidente e fondatore A.L.T.A. Amedeo Bellizzi

domenica 27 settembre 2015

EVENTO CONSIGLIATO: “Santa Inquisizione ed eretica pravità”: un seminario di studi (17 ottobre 2015)

 
 
Sabato, 17 ottobre 2015 presso il Salone delle conferenze de “Ristorante Vinicio” a Modena, in Via Emilia Est n. 1526, frazione  Fossalta, la rivista “Sodalitium” e il Centro Studi “Giuseppe Federici” organizzano la X GIORNATA PER LA REGALITÀ SOCIALE DI CRISTO con il seminario di studi: “SANTA INQUISIZIONE ED ERETICA PRAVITA’. A 50 anni dalla dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa”.
Vi sarà un’esposizione di libri e oggettistica a cura di alcune case editrici e associazioni culturali.
 
 
Programma della giornata:
– ore 10,30 caffè di benvenuto.
– ore 11,00 recita del “Veni Sancte Spiritus”, presentazione della giornata e apertura dell’esposizione.
– ore 11,15 prima lezione: “I tre volti dell’Inquisizione”.
– ore 12,15 pausa per il pranzo.
– ore 15,00 seconda lezione: “Chiesa, Stato, eresia”.
– ore 16,00 pausa.
– ore 16,30 terza lezione: “Dal rogo di Serveto a ‘Dignitatis humanae’. Genesi e sviluppo dell’idea di libertà religiosa”.
– ore 17,30 conclusione della giornata con il canto del “Christus Vincit”.

Le lezioni saranno tenute da don Francesco Ricossa, direttore della rivista “Sodalitium”.
L’ingresso al seminario di studi e all’esposizione è libero. Non è permessa la distribuzione di materiale informativo da parte di associazioni non accreditate con l’organizzazione.
La quota per il pranzo è di 30 euro a persona. E’ necessario iscriversi al pranzo entro giovedì 15 ottobre 2015 presso il Centro Studi Giuseppe Federici.
Il Ristorante Vinicio, in Via Emilia Est, 1526, fraz. Fossalta di Modena (tel. 059.28.03.13, sito internet: www.ristorantevinicio.it ) si raggiunge:
– dal casello autostradale di Modena Sud seguendo le indicazione per Castelfranco Emilia; raggiunta la Via Emilia svoltare a destra;
– dalla stazione ferroviaria di Modena con l’autobus n. 760 e 751.
Per informazioni e iscrizioni al pranzo:
Centro Studi Giuseppe Federici
Via Sarzana 86 – 47822 Santarcangelo (RN)
Tel. 0541.75.89.61
e-mail: romagnapontificia@gmail.com
http://federiciblog.altervista.org/

[TOLKIENIANA] Il segreto di Tolkien

JRR Tolkien 1955

Fonte: http://radiospada.org/

Inauguriamo oggi una rubrica, che chiameremo “Tolkieniana”, in cui Isacco Tacconi ci spiega i riferimenti e i simboli della fede cattolica presenti negli scritti di J. R. R. Tolkien, specialmente prendendo in esame i principali personaggi del Signore degli Anelli. [RS]

di Isacco Tacconi

La grandezza di ogni vero artista risiede nell’immortalità dei valori che riesce ad esprimere e non tanto nelle sue capacità tecniche tantomeno nella novità delle sue idee. La sua arte trascende la stessa sua comprensione e consapevolezza di ciò che egli effettivamente realizza. Il suo compito è, per così dire, «profetico» ossia “rivelare” come spiragli e riflessi di luce la realtà del soprannaturale, alla maniera dei rosoni delle cattedrali gotiche medievali. Nella misura in cui sarà impregnato del soprannaturale nella contemplazione dei Misteri della Santa Fede Cattolica l’artista potrà diventare un canale, un mediatore tra Dio e gli uomini, tra la realtà increata e il mondo creato, tra L’Essere per essenza e gli enti per partecipazione, illustrando, come in un quadro, “la realtà in trasparenza”. «Contemplata aliis tradere», diceva san Tommaso d’Aquino, intendendo che si trasmette agli altri ciò che si è contemplato. Chi si pasce e sostenta, quindi si “sostanzia”, della Bellezza, della Verità e della Bontà racchiuse nell’Unità dell’Essere fungerà da “portatore” di un tesoro non fatto da mani d’uomo pur essendo egli un fragile vaso di creta, sarà cioè un riflesso di una realtà più grande, eterna, immutabile. Il vero artista potrà dunque trasmettere agli uomini la Bellezza della Verità, lo Splendor Veritatis che egli stesso ha contemplato e amato: «Et vidimus gloriam eius, gloriam quasi Unigeniti a Patre, plenum gratiae et veritatis».
John Ronald Reuel Tolkien (1892-1973), nato in Sud Africa, rimarrà a soli quattro anni orfano di padre. Trasferitosi in Inghilterra soffrì l’abbandono dei nonni e di tutta la famiglia materna che ripudiò sua madre per essersi convertita al cattolicesimo dall’anglicanesimo. Questo abbandono comportò la miseria per mamma Mabel la quale visse un martirio esteriore ed interiore che, aggravato dalla malattia, la condurrà ben presto alla morte lasciando il piccolo Tolkien, ancora dodicenne, insieme al fratello minore Hilary orfani anche di madre. Memore del luminoso esempio di sacrificio della madre, John, insieme al fratello, venne accolto ed adottato da un sacerdote, l’oratoriano padre Francis Xavier Morgan il quale diverrà il suo vero padre, soprattutto nella fede. Di lui Tolkien scriverà: “era stato come un padre, più di un padre vero, pur senza esserci obbligato[1].
Il giovane Tolkien si formerà anzitutto alla scuola del servizio dell’altare come chierichetto, studiando il catechismo il latino e il greco, dissetandosi a quella fonte inesauribile che è la Santa Messa. Si diletterà attraverso il canto pregato del gregoriano alla scuola degli angeli imparando ad amare la bellezza. Assimilerà il latino, lingua sacra della Chiesa e dei Sacri Misteri. Amerà le lettere e la letteratura, una passione che la madre infuse in lui fin dalla più tenera età. Orfano, senza nessuno al mondo, odiato dai suoi unici parenti a causa della sua fede cattolica e per questo ancor più amato da Colui che rende giustizia ai suoi santi, Tolkien troverà nella Chiesa Cattolica La Madre, in un sacerdote pio un padre, immagine del Padre Eterno che non abbandona la vedova e l’orfano, in Nostro Signore e nei sacramenti da Lui istituiti la fonte della Vita.
Questo in breve il background umano-spirituale di uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi. Come detto nell’incipit, la fede di Tolkien fu totalmente riversata nei suoi scritti e nelle sue creazioni fantastiche. E come poteva essere altrimenti? Era l’aria che respirava, era l’unica vera realtà che avesse consistenza e stabilità di fronte alla caducità e all’instabilità della vita terrena, incombente sempre lo spettro della morte. John, infatti, combatterà nelle trincee durante la Grande Guerra perdendo tutti i suoi amici più cari. Partecipò a quella che egli stesso definì «la carneficina della Somme»[2]. Ancora una volta rimarrà solo. Soltanto la sua Fede provata e purificata rimase, unica certezza dinanzi allo sfacelo della vita e della morte, a confortarlo e sostenerlo. In una lettera indirizzata al figlio Michael scriverà: «Al di là di questa mia vita oscura, tanto frustrata, io ti propongo l’unica grande cosa da amare sulla terra: i Santi Sacramenti. Qui tu troverai avventura, gloria, onore, fedeltà e la vera strada per tutto il tuo amore su questa terra, e più di questo: la morte. Per il divino paradosso che solo il presagio della morte, che fa terminare la vita e pretende da tutti la resa, può conservare e donare realtà ed eterna durata alle relazioni su questa terra che tu cerchi (amore, fedeltà, gioia), e che ogni uomo nel suo cuore desidera»[3].
Questi brevi estratti autobiografici dovrebbero essere sufficienti per farci comprendere la pasta di cui Tolkien era fatto, plasmata da una fede viva, interiore, intima, combattuta. Non dimentichiamo che l’Inghilterra era ancora ben impregnata di quell’odio e pregiudizio anticattolico apertamente contestati da G.K. Chesterton e il cardinal John Henry Newman solo pochi anni prima. Ecco un legame latente eppure non stupefacente, quello tra il santo cardinale dell’oratorio inglese e John Ronald Reuel Tolkien. Un filo rosso lega questi due giganti inglesi seppur vissuti in epoche differenti, e le loro vite per certi versi ravvisano non poche analogie. Entrambi convertiti dall’anglicanesimo, entrambi inglesi e cattolici in un’Inghilterra liberale e, per questo, antireligiosa, entrambi disprezzati dai propri cari, ambedue studiosi di antichità ed insegnanti ad Oxford, spiriti riflessivi ed introversi tutti e due si chiamavano Giovanni. Ma ciò che, in realtà, lega Tolkien a Newman è un rapporto di figliolanza. John Ronald infatti, lo abbiamo visto, sarà figlio dei padri oratoriani di San Filippo Neri i quali vennero trapiantati su suolo britannico dallo stesso Newman per mandato del Santo Padre Pio IX il quale lo pose a capo dell’oratorio inglese soltanto una generazione anteriore a quella di Tolkien. I primi oratoriani figli di Newman, dunque, allevarono e formarono il giovane Tolkien il quale può dirsi veramente un’eredità e una primizia dell’apostolato del santo cardinale John Henry Newman.
Parlando, invece, dell’opera letteraria di Tolkien è d’obbligo metterne in risalto l’assoluta unicità a causa dello scopo e degli effetti assolutamente imprevisti, e in una certa misura non voluti, della sua opera.
La peculiarità di Tolkien in quanto scrittore di romanzi fantasy è quella di aver creato un mondo, una realtà, dei popoli, dei linguaggi, delle culture del tutto fantastiche ma non irrazionali. Senza dubbio il suo è il primo vero fantasy letterario moderno, di cui l’attuale valanghiva produzione commerciale non è che una patetica e volgare scimmiottatura. Ciò che distingue infatti il Signore degli Anelli da un qualsiasi romanzo fantasy contemporaneo come quelli ad esempio della saga di Shannara, è la levatura morale dei suoi protagonisti, lo spessore psicologico dei personaggi, il simbolismo di cui l’intero romanzo è pregno e da cui il lettore viene inconsapevolmente avvolto.
Il Signore degli Anelli non è una semplice lettura “da metropolitana”, non è un mero romanzo di piacere per passare il tempo. Anche se questa non fu assolutamente l’intenzione di Tolkien, il Signore degli Anelli è un libro impegnativo (la grandezza del volume ne è un segnale eloquente). Il professore di Oxford infatti voleva semplicemente scrivere dei racconti da leggere ai suoi figli ma anche soddisfare il suo desiderio di veder “vivere” quegli strani e complessi idiomi da lui inventati e sui quali aveva speso molto tempo della sua giovinezza, delle creazioni di cui ebbe sempre cura come il creatore la sua creatura. Eppure, l’opera da lui iniziata, andrà molto al di là delle sue prime intenzioni. La stessa stesura richiese una gestazione lunga e lenta e una continua riponderazione dei contenuti. In realtà le vicende della vita privata di Tolkien influenzeranno molto lo sviluppo del suo capolavoro il quale non fu appunto frutto di una pianificazione premeditata ma una creazione che sfuggì al suo controllo. Anche Michelangelo nell’accingersi ad affrescare la cappella sistina non seppe con chiarezza come si sarebbe sviluppata la sua opera né quanto tempo avrebbe occorso, tanto più che, come Tolkien, dovette interrompere e riprendere il lavoro più volte. L’accostamento sarà senz’altro ardito ma sia Michelangelo Buonarroti che John Ronald Reuel Tolkien, al termine della loro opera, si resero conto che essa aveva superato ampiamente i loro progetti e le loro aspirazioni e che essa esprimeva veramente, oltre ai contenuti oggettivi, tutta la loro interiorità e tutta la loro visione del mondo.
Inevitabilmente perciò il Signore degli Anelli diventerà anche una sorta di “diario spirituale”, probabilmente involontario, nel quale troviamo congregati i sentimenti più profondi di uno scrittore, uomo di Fede che fece della sua immaginazione uno strumento a maggior gloria del Signore al pari delle Confessioni di Sant’Agostino.
Dunque, anche se non è volutamente un racconto pedagogico, il Signore degli Anelli non può non esserlo. Con la sua trama complessa e la pluralità dei protagonisti coinvolti, il Signore degli Anelli rappresenta una allegoria della vita e della morte, del senso del dovere e del significato della sofferenza, della necessità del sacrificio e di quello dell’espiazione. È un grande affresco sul fine ultimo dell’uomo e della creazione tutta, ovvero il riposo dei beati i quali, dopo la traversata dell’oceano della vita, troveranno la quiete tanto sospirata sulle sponde luminose dell’eternità. Potremmo accostarlo, per la sua ricchezza e il suo spessore, ad un’altra produzione figlia dell’oratorio di San Filippo Neri la nota “Rappresentatione di anima et di corpo” di Agostino Manni, sacerdote oratoriano.
La cosa che al contempo stupisce e affascina del Signore degli Anelli in particolare ma di tutta la produzione relativa alla Terra di Mezzo in generale, è che nulla vi è in essa di esplicitamente cattolico. Ossia non ci sono riferimenti diretti a personaggi della Sacra Scrittura né il contesto storico che fa da sfondo alla trama è un’epoca cristiana come nei romanzi medievali di Boiardo, di Ariosto o di Tasso. Eppure, tutto nel Signore degli Anelli è cattolico. Ma è proprio questa sua bellezza al contempo implicita e manifesta ritengo sia stata ed è tutt’ora la sua forza persuasiva e coinvolgente, tanto da riuscir ad attirare persone delle più diverse estrazioni culturali e religiose. Con questo non voglio dire che leggendo il Signore degli Anelli si diventi cattolici, certamente no, ma chi ha avuto la fortuna e la grazia di leggerlo ha potuto gustare la bellezza fresca che può venire soltanto dalla Fede Cattolica integralmente vissuta e trasmessa.
La lettura del Signore degli Anelli ha la capacità di spingere il lettore a farsi spontaneamente bambino provocando in lui quasi la sensazione di essere preso in braccio dal buon papà seduto sulla poltrona, messo sulle sue ginocchia accanto al fuoco crepitante mentre la storia ha inizio. Cosa che Tolkien, d’altra parte, fece realmente con i suoi figli man mano che stendeva il suo capolavoro e, prima di coricarsi, gliene leggeva volta per volta il capitolo appena scritto. Lo stesso non si può dire degli scritti di C.S. Lewis il quale, proprio perché anglicano, risulta a volte moralista e pedante con la smania tipica dei protestanti di voler predicare “a parole”.
Nell’interpretazione degli scritti di Tolkien troppo si è insistito sulla famosa metafora del “viaggio” enfatizzandone gli aspetti meramente “romantici” che portano ad una immagine di Tolkien parziale e distorta. Gli autori romantici, infatti, sono in genere contraddistinti dall’egocentrismo, dalla malinconia e dal ripiegamento su se stessi che pretende però di istruire, attraverso la lamentela, gli sventurati lettori. Niente di simile in Tolkien il quale scrisse principalmente per se stesso, per i suoi figli e per la sua amatissima moglie Edith. Niente di autoreferenziale dunque vista la sua mai celata timidezza e il suo carattere riflessivo che preferiva il nascondimento alla notorietà. La metafora del “viaggio” fine a se stesso, come ricerca o “quest” è uno stereotipo letterario romantico che non si addice ad un cattolico, tantomeno ad uno scrittore cattolico come Tolkien, il quale non va in cerca di qualcosa di indefinito o di immaginario ma, con i piedi ben piantati a terra, punta dritto al Cielo. L’uomo secondo la teleologia o escatologia cattolica è un «pellegrino» con tutto quello che il pellegrinaggio significa (espiazione, adorazione, offerta, riparazione, devozione, ecc.). È del tutto ingiusto, perciò, incasellare Tolkien e la sua opera in una delle categorie letterarie moderne. Egli sapeva che l’uomo non è un viaggiatore malinconico imprigionato nell’intramondano alla ricerca di un qualcosa di indefinito che appaghi l’ego dell’artista tormentato. Questo è nient’altro che lo stato dell’uomo che ha perso o rifiutato l’orizzonte soprannaturale e il senso della propria esistenza. Il cristiano al contrario, dice sant’Agostino, è come un albero che vive sulla Terra ma ha le sue radici in Cielo.
La concezione che è alla base del Signore degli Anelli e che regola tutta la Terra di Mezzo è, a ben vedere, aristotelico-tomista ossia cattolica. Sulla scorta della visione del mondo di cui San Tommaso d’Aquino per grazia di Dio ha arricchito la dottrina cattolica, Tolkien descrive la realtà da lui creata, riflesso di quella creata da Dio, secondo un duplice movimento che la anima e la guida. Il primo è un movimento di exitus («uscita») il secondo di reditus («ritorno») che spiega come tutti gli esseri spirituali escono e provengono da Dio e aspirano a ricongiungersi a Lui che è il Bene Supremo e la nostra eterna Felicità. Il Silmarillion è il volume dedicato proprio alla creazione e all’origine dei “progenitori” della Terra di Mezzo. In esso viene descritta anche “la caduta” attraverso la metafora di una splendida e divina melodia rovinata da poche note stonate frutto della ribellione e dell’orgoglio.
Questa è l’avventura dell’anima, la ricerca del suo Fine Ultimo e il “ritorno” al suo Principio Primo che si svolge in una vera e propria “Terra di Mezzo” fra il Paradiso e l’Inferno, in un luogo d’esilio che non è la sua patria. Il suo Fine è tornare al suo Inizio, al suo Creatore, varcando quello spazio indefinito, descritto da Tolkien come una traversata oceanica da una sponda ad un’altra, che è la morte. Il passaggio dalla riva instabile e mutevole di una terra “di Mezzo” ai colli eterni e immutabili del Regno dei Cieli, un premio riservato solo a coloro che hanno portato il loro “fardello” attraverso quella che l’Apocalisse definisce «la grande tribolazione». Non a caso Bilbo Baggins chiamerà la sua avventura, secondo la cosmologia tomista, “Andata e Ritorno” («exitus et reditus»).
Fatta questa doverosa, seppur troppo breve, premessa diamo inizio ad un esame più dettagliato dei simboli e dei personaggi tolkieniani o, perlomeno, dei più importanti.
[segue]



[1] La realtà in trasparenza, Bompiani, Milano 2002, p. 62.
[2] Ibidem, p. 63.
[3] Ibidem.

sabato 26 settembre 2015

31 ottobre 1917: Grado liberata dal giogo degli "italiani"

Grado, ritorno dell'esercito Imperial-Regio dopo Kobarid(Caporetto)!



Liberazione di Grado: 31 ottobre 1917; le campane suonarono a festa. Quattro giorni più tardi fu celebrata una messa nella Basilica con la partecipazione dell'Imperatore, la città era imbandierata di nero-giallo. I bambini delle scuole cantarono l'Inno Imperiale che ricordavano alla perfezione dopo due anni e mezzo di invasione dei tricoloruti. Dopo due anni e mezzo i soldati gradesi poterono rivedere le mogli, i figli ed i genitori; le famiglie si riunirono nell'Isola nuovamente felice ed era tutto un canto ed una festa. Problemi alimentari non c'erano, gli italiani non avevano lesinato il cibo che iniziò a mancare solo a metà del 1918; i bar erano fornitissimi perché durante l'occupazione, Grado era diventata mèta di giornalisti, alti militari e nobili italiani.


Fonte: Vota Franz Josef

venerdì 25 settembre 2015

La scienza conferma: discendiamo da un’unica coppia (Adamo ed Eva)

discendiamo

LA SCIENZA CONFERMA: DISCENDIAMO DA ADAMO ED EVA


Tutta l’umanità discende da una sola coppia (monogenismo), non da un gruppo di progenitori (poligenismo)
di Umberto Fasol
Le ricerche scientifiche sull’origine dell’uomo aggiungono di continuo nuovi dati e nuove riflessioni che ci aiutano a dare una risposta sempre più plausibile al grande interrogativo: da dove veniamo?
Sappiamo che quello della Bibbia è il racconto teologico della storia dell’umanità, che utilizza un linguaggio e un metodo che le sono specifici, che si preoccupano di dire la verità esistenziale, quella che serve a dare un senso alle cose e alla vita. Il racconto teologico non indica coordinate temporali o spaziali perché non gli interessano.
LA ZONA DELLA NOSTRA ORIGINE
Ci chiediamo ora quale sia invece il racconto dell’origine dell’uomo fatto dalla scienza, o meglio dagli scienziati.
Entro subito nel vivo della questione aprendo con una lunga ma molto ricca citazione da un articolo di Telmo Pievani, che pur è un autore spesso anticattolico (dal suo articolo, però, trarrò delle conclusioni diverse dalla sue): «Da una zona forse vicina al sito eritreo di Abdur, dove la presenza di Homo sapiens è attestata 125 mila anni fa, iniziano le dispersioni multiple della nostra specie fuori dall’Africa, seguendo spesso gli stessi tracciati delle precedenti diaspore. Le espansioni di Homo sapiens hanno lasciato una traccia genetica flebile ma significativa. I quasi sette miliardi di esseri umani che abitano oggi il pianeta presentano una variazione genetica molto ridotta e proporzionalmente più bassa mano a mano che ci si allontana geograficamente dal continente africano. Questo dato suggerisce che l’intera popolazione umana sia discesa da un piccolo gruppo iniziale, che conteneva gli antenati di tutti noi» (T. Pievani, Siamo frutto del caso, «Micromega», 1/2012).
L’intera popolazione umana, dunque, deriva per generazione e per migrazione da un piccolo gruppo iniziale presente in Africa nord occidentale, presso l’attuale Eritrea, circa 100 mila anni fa. Le prime tracce di Homo sapiens risalgono, in quella stessa posizione geografica, a circa 200 mila anni fa; la sua migrazione verso l’Europa e verso l’Asia inizia solo dopo un periodo di assestamento sul territorio. Osserviamo ora però un altro particolare curioso: nel mondo Homo sapiens non è solo, per un certo periodo, ma convive con altre (specie) diverse, chiamate forme umane: «50 mila anni fa, in Africa ed Eurasia convivono ben cinque forme umane contemporaneamente. Non siamo mai stati soli, tranne che nelle ultime, poche migliaia di anni» (ibi).
Queste altri forme di vita umanoide si erano evolute in loco a partire da precedenti ondate migratorie del genere Homo, sempre provenienti dal Corno d’Africa: si tratta dei noti Neanderthal e dei discendenti asiatici dell’erectus, tra cui i Denisova e i Florensis, dell’isola omonima.


I PREDECESSORI DELL’HOMO SAPIENS
Facciamo ora un passo indietro nel tempo e torniamo sempre in Africa a cercare le origini del genere Homo: «intorno a due milioni di anni fa troviamo in Africa una pletora di specie (forse venti) appartenenti addirittura a tre generi diversi» (ibi).
Più indietro ancora, che cosa troviamo in Africa? Circa sei milioni di anni fa ci sono i primi ominidi, che sono specie che si differenziano tra loro, ma a partire da un antenato comune (non ancora identificato), condiviso anche con le scimmie. È importante sottolineare che anche le ipotesi evolutive odierne (vera o falsa che sia la teoria dell’evoluzione, cosa che qui non ci interessa) escludono categoricamente per l’uomo una discendenza diretta dalla scimmia: si parla solo di un antenato comune.
Homo sapiens è dunque emerso 200 mila anni fa da questo cespuglio formato da tanti fili, esili e vicinissimi tra loro, che non sono più cresciuti. La radice di questo cespuglio ci è ancora ignota.
Ora proseguo con una mia riflessione che propongo a tutti voi. Un gruppo ha dato origine a questo ultimo ramoscello: forse una coppia?
Può darsi, anzi, è molto probabile: ogni ramoscello deriva da una gemma. E questa gemma che è l’Homo sapiens ha delle caratteristiche così uniche ed esclusive da renderla altamente improbabile. Possiede qualità sintonizzate tra loro in combinazioni uniche: le caratteristiche esclusive dell’uomo, come il bipedismo totale, il telencefalo sviluppato, la pelle nuda e sottile, la dentatura di tipo onnivoro, il linguaggio simbolico, l’intelligenza creativa e l’autocoscienza, l’ironia e il senso religioso, la famiglia come ambito di educazione dei figli (durante il loro lunghissimo periodo di sviluppo fisico e mentale), eccetera, sono caratteristiche tali da poter emergere tutte insieme in due persone di sesso diverso, nello stesso momento storico e nello stesso sito geografico, con una probabilità che è decisamente tendente allo zero.
A maggior ragione, è quasi impossibile che queste caratteristiche siano emerse nello stesso momento storico in una moltitudine di persone, invece che in una coppia. Per questo è ragionevole immaginare che la specie sapiens sia sorta in un punto della storia e della geografia in una coppia e non in una moltitudine.
Inoltre, come ha scritto Giancarlo Cavalleri (cfr. bibliografia) alcuni scienziati hanno fatto una campionatura su scala mondiale degli esseri umani. Sono stati svolti circa 2.500.000 campionamenti del DNA e dei mitocondri ed è risultato proprio che l’origine dell’homo sapiens sapiens è avvenuta 200.000 anni fa, e si è verificata tra il Tigri, l’Eufrate e il Corno d’Africa. In particolare, è stato rilevato che tutta la popolazione mondiale viene da un’unica coppia.
Come hanno scritto A.C Wilson e R.L Cann («Le Scienze», n. 286, giugno 1992), docenti dell’Università di Berkeley: «i confronti genetici […] depongono a favore del fatto che l’umanità attuale possa essere ricondotta per ascendenza materna a una sola donna che visse probabilmente in Africa 200.000 anni fa. L’umanità moderna apparve in un solo luogo a da lì si propagò». Ad analoghi risultati sono giunti anche L. Cavalli-Sforza e il suo gruppo di ricerca della Stanford University (cfr. «Le Scienze», n. 281, gennaio 1992).
Il primo homo sapiens poteva dunque essere stato «tratto dalla terra» facendo riferimento alla sua composizione materiale e la prima donna sapiens poteva essere giustamente chiamata «madre di tutti gli uomini»? Credo che il racconto biblico sia veramente compatibile con quello scientifico.
In definitiva, tutti i dati moderni concorrono a focalizzare il centro originario dell’umanità in un unico punto, Africa settentrionale, sia per quanto concerne i primi ominidi 6 milioni di anni fa, sia per quanto concerne i primi sapiens, 200 mila anni fa. L’umanità non è nata in modo diffuso in Europa, in America e in Asia, ma è piuttosto emersa come un lampo in un unico punto del globo terrestre, in Africa. Le scimmie si trovano anche in Asia, ma non hanno dato origine a nessun uomo. Tutto questo fa pensare che sia effettivamente esistita una prima coppia interamente umana, almeno nel senso di appartenente alla specie sapiens, che ha diffuso, con i propri figli, la nuova identità.
ALLA LUCE DELLA SCOPERTA DI DMANISI
C’è un altro dato, tuttavia, raccolto lo scorso anno, su cui vorrei riflettere a conclusione e a conforto di questa ipotesi. I crani scoperti a Dmanisi («Science», ottobre 2013 cfr. il mio articolo su «il Timone» di agosto 2014, www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=1075), nella Georgia europea, sembrano infierire enormi sforbiciate al cespuglio preumano ed umano che è descritto da Pievani (come pure da Giorgio Manzi, ordinario di paleoantropologia alla Sapienza di Roma e firma della rivista «Le Scienze»).
Nel nuovo bozzetto, allora, si troverebbe non più un cespuglio, ma due insiemi distinti di viventi: il primo formato da scimmie di varie dimensioni e fattezze e il secondo da uomini di varie razze o varietà. Due popolazioni diverse tra loro: una di scimmie e una di uomini. Con la stessa enorme variabilità intraspecifica che osserviamo oggi tra i cani e i gatti o tra certe specie di vegetali. Il criterio distintivo è molto semplice: in presenza di bipedismo sicuro e di capacità cranica superiore alla soglia di 800 centimetri cubici, possiamo e dobbiamo parlare di genere umano (Homo); in assenza di entrambi questi elementi, non possiamo parlarne.
Anche in questa seconda ipotesi, qualora venisse confermata, avrebbe senso parlare, a maggior ragione, di una coppia progenitrice di una specie così unica e peculiare sul pianeta.
Titolo originale: Adamo ed Eva: per la scienza è plausibile

Fonte: Il Timone, n.141 Marzo 2015 (Fonte:)
Pubblicato su BastaBugie n. 403

L'istruzione pubblica nel Regno Lombardo Veneto (Cap. I, II, III, IV, V)

Vi  presentiamo il regolamento delle scuole pubbliche del Regno Lombardo-Veneto (Venezia, 1821) poichè ci sembra interessante approfondire un argomento che ancora oggi permette di riconoscere l'amministrazione imperiale austriaca come molto all'avanguardia su questi temi per l'epoca, ma non solo.





Iniziamo dunque con l'illustrare la struttura generale delle scuole elementari del Regno Lombardo Veneto (Cap. I, II e III)
È importante notare innanzitutto che il regolamento che andremo a presentare e che vigeva nel Regno Lombardo-Veneto non è lo stesso che si trovava negli altri stati della monarchia asburgica in quanto nell'elaborare il Regolmento, citiamo dal testo “si è avuto riguardo alla diversità dei luoghi, delle circostanze, delle abitudini, e dei costumi”.
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CAPITOLO I: Qualità delle scuole
Nel Regno Lombardo Veneto vi erano tre tipi di scuole elementari.
1) Le scuole elementari minori: Destinate all'istruzione di “tutti i fanciulli di ogni condizione”
2) Le scuole elementari maggiori: Destinate alla “gioventù che intende applicarsi allo studio delle scienze e delle arti”, divise in quattro classi, tre per le femmine.
3) Le scuole elementari Teniche: Destinate a coloro che volevano dedicarsi al Commercio e agli impieghi economici.
I primi due tipi di scuola erano aperti sia ai maschi che alle femmine anche se non era ammesso creare una classe mista. Nel caso in cui il paese dove si trovava la scuola non era in grado di avere due luoghi separati, le lezioni si sarebbero svolte per le classi femminili ad orari diversi rispetto a quelle maschili.
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CAPITOLO II: Luoghi dove debbono esservi scuole
Le scuole elementari minori si trovavano in tutti i paesi che possedevano una parrocchia propria. Nel caso in cui i bambini tra i 6 e i 12 anni fossero risultati in numero inferiore a 50 era possibile unire, se vicine, le scuole minori di due paesi.
In caso contrario, non sarebbe stato possibile istituire una scuola minore, anche se nello stesso regolamento si invitavano i parroci di quei paesi a radunare i bambini in modo tale da fornire loro un minimo di istruzione.
Nel caso in cui, invece, il numero di bambini fosse risultato superiore a cento, sarebbe stato possibile istituire una seconda scuola minore.
Le scuole elementari maggiori erano istituite in ogni capoluogo di provincia e nelle città sedi di istituzioni di governo, era inoltre possibile (con particolari richieste) avere una scuola maggiore in città non capoluogo di provincia.
Nelle due capitali del Regno, Milano e Venezia, vi erano due scuole elementari maggiori denominate Scuole Normali in quanto dovevano essere da modelli per tutte le altre scuole del Lombardo-Veneto.
Oltre all'insegnamento pubblico delle scuole elementari era concesso anche quello privato che però era soggetto a regolamentazioni precise. Qualsiasi insegnante privato doveva essere in possesso della Patente di insegnamento concessa dallo stato. Pena per il mancato possesso del certificato era il versamento dei soldi, guadagnati con le lezioni, nelle casse comunali. Se, nonostante ciò, l'insegnante fosse stato nuovamente accusato di insegnare senza patente, si sarebbe proceduto con l'arresto.
Quando al tempo entrò in vigore questo regolamento, tutti gli insegnati privati furono richiamati dall'Ispettore in capo delle scuole per sostenere degli esami che avrebbero permesso di continuare ad insegnare.
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CAPITOLO III: Materie d'Insegnamento nelle Scuole
Nelle scuole elementari minori le materie insegnate erano le seguenti:
1) I principi della religione cattolica
2) Il leggere
3) Lo scrivere
4) L'Aritmetica
5) Il confronto dei pesi, delle misure e delle monete (allora) in corso
6) I primi precetti per esprimere ordinatamente in iscritto le proprie idee.
Nelle scuole elementari maggiori, divise in quattro classi, nei primi tre anni si procedeva con un approfondimento della religione cattolica e dell'artimentica. Venivano inoltre inserite altre discipline, tra cui:
1) La calligrafia
2) L'Ortografia
3) La grammatica italiana
4) I precetti per istendere in iscritto i piccoli componimenti
5) Il leggere e lo scrivere il latino sotto dettatura
Nel quarto anno, che si divideva in due corsi diversi, le materie introdotte erano
1) L'architettura
2) La geometria
3) La meccanica
4) La stereometria (la geometria solida)
5) Il disegno (tecnico)
6) La geografia
7) La storia naturale
8) La fisica
Finite le scuole elementari maggiori si accedeva alle scuole elementari Tecniche.
In queste scuole, oltre ad approfondire le materie dei precedenti quattro anni di studio, venivano insegnate:
1) La storia
2) La Scienza del commercio
3) L'arte di tener i libri in ragione
4) Matematica
5) Storia delle Arti
6) Chimica
7) La lingua tedesca
8) La lingua francese
9) La lingua inglese
In tutto questo corso di studi l'unica differenza tra maschi e femmine stava nel fatto che le classi femminili non erano indirizzate allo studio del latino, ma erano istriute nei “lavori femminili”.









Continuamo presentando le regole generali delle lezioni e le figure principali, docenti esclusi, della gestione dell'istruzione pubblica (Cap. IV, V)
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CAPITOLO IV: Metodo d'insegnamento, principio e durata delle scuole, esami e premi.
Nel Regno Lombardo-Veneto per le scuole elementari minori non vi erano precise date di inizio e di fine dell'anno scolastico, ciascuna scuola, gestita dal governo statale locale, sceglieva liberamente l'inizio e la fine dell'anno scolastico vincolata solo dalla restizione secondo la quale i giorni di vacanza (feria) non dovevano essere maggiori di cinque settimane.
Per quanto riguarda le scuole elementari maggiori e quelle tecniche l'anno scolastico iniziava il quindici di ottobre e terminava l'otto settembre dell'anno successivo.
Oltre alla domenica, erano considerati giorni di festività fisse, per tutte e tre le scuole, diverse feste legate al mondo cattolico. Erano giorni di festa i giorni di precetto, gli ultimi tre giorni della settimana di Pasqua, il giorno dedicato al patrono della Provincia in cui si trovava la scuola, i giorni di rogazione, la vigilia e il giorno di Natale. Nelle scuole tecniche, inoltre, era giorno di festa anche ogni giovedì della settimana, mentre negli altri due gradi di elementari vi erano lezioni solo mezza giornata.
Per valutare ogni studente, il sistema scolastico prevedeva periodici esami semestrali ed erano previsti dei premi per gli studenti particolarmente meritevoli sia dal punto di vista del rendimento scolastico, sia da quello della condotta.
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CAPITOLO V: Ispezione e direzione delle scuole
Nonostante la presenza di una scuola elementare fosse determinata dalla presenza di una parrocchia, l'amministrazione delle scuole era in mano alle istituzioni dello stato, fatta eccezione per gli insegnamenti di religione che, invece, spettava ai vescovi.
Per la gestione del sistema scolastico erano incarate quattro figure
-Un ispettore in capo delle scuole: Spesso un ecclesiastico, era nominata dall'Imperatore ed era la figura più importante che aveva il compito di sorveglianza di tutto il sistema scolastico dello stato.
-Un ispettore provinciale: Subordinato all'ispettore in capo, l'ispettore provinciale gestiva l'insieme delle scuole di una provincia.
-Un ispettore distrettuale: Si occupava della gestione delle scuole in un distretto, divisione di una provincia, a lui assegnato. Era subordinato all'ispettore capo per quanto riguarda il regolamento, era subordinato al Regio Delegato di Provincia per la parte economica. Questa figura aveva, inoltre, il compito di compiere una volta ogni anno un'ispezione nelle scuole del distretto di sua pertinenza.
-Un direttore locale: Ruolo, molto simile al dirigente scolastico attuale, che spettava al sacerdote del paese, era responsabile della scuola elementare minore presente nella sua parrocchia ed era subordinato all'autorità dell'ispettore distrettuale.
Le spese di manutenzione e gli aspetti amministrativi, invece, erano affidati alla congregazione comunale.
Le scuole elementari maggiori e le scuole elementari tecniche avevano, invece, un loro particolare direttore.
Il prossimo capitolo tratterà in modo più specifico delle suddette cariche e, in parte, della formazione del corpo docente.


Fonte: Regno Lombardo Veneto / Königreich Lombardo Venetien


Continua...


mercoledì 23 settembre 2015

Mattarella e Marino fanno gli auguri alla Massoneria per il XX Settembre

-di Davide Consonni- (Fonte: http://radiospada.org/)

Le istituzioni repubblicane non son certo nuove a pubbliche connivenze con le sette massoniche italiche, Radio Spada ha dedicato a tali rapporti un attento rendiconto pubblicato a piú puntate, qui di seguito riproponiamo alcuni capitoli di questa saga fatta di letterine amorose tra presidenti e gran maestri:
NAPOLITANO CI RICASCA: TERZA LETTERA ALLA MASSONERIA IN 8 MESIhttp://radiospada.org/2014/06/napolitano-ci-ricasca-terza-lettera-alla-massoneria-in-8-mesi/
Napolitano insiste: 4 telegrammi alla massoneria in meno di un anno: http://radiospada.org/2014/09/napolitano-insiste-4-telegrammi-alla-massoneria-in-meno-di-un-anno/
Napolitano, Grasso, Boldrini: tutti inviano auguri alla massoneria per il XX Settembre! http://radiospada.org/2014/09/napolitano-grasso-boldrini-tutti-inviano-auguri-alla-massoneria-per-il-xx-settembre/
Napolitano nomina Cavaliere di Gran Croce un massone: http://radiospada.org/2014/08/napolitano-nomina-cavaliere-di-gran-croce-un-massone/
Com’è evidente Napolitano ci aveva abiutuati ad una serrata corrispondenza con la setta del Grande Oriente d’Italia, non perdeva occasione per augurare prosperità ai fratelli massoni “tre puntini”, come venivano definiti gli italici settari con fare canzonatorio dalle penne antimassoniche della Civiltà Cattolica. Dalla nomina di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica ad oggi non erano ancora pervenute novelle circa qualsivoglia rapporto pubblico e documentato tra la massima carica repubblicana e i settari delle consorterie massoniche nazionali. Ci eravamo illusi che per il Mattarella gli intrighi settari fossero questione reclusa nel passato, come quando il democristiano Presidente venne beccato in un circolo massonico circondato da affaristi e mafiosima i fatti smentiscono le nostre ingenue illusioni. L’ufficio stampa del Grande Oriente d’Italia ha dato notizia dell’arrivo di un telegramma di auguri per il XX Settembre proprio da parte del Presidente Mattarella, anche il sindaco di Roma Ignazio Marino ha inviato encomi ed auguri ai settari, altri telegrammi di auguri sono giunti dal “ministro della salute Beatrice Lorenzin, del presidente della corte di Cassazione Giorgio Santacroce, del presidente della Commissione Attività produttive della Camera, Guglielmo Epifani, e di molti altri autorevoli rappresentanti istituzionali”. Anche quest’anno le istituzioni repubblicane si stringono in un coro unanime di augurine ossequi rivolti alla setta maledetta artefice dichiarata delle strategie settarie che furono telaio e scheletro del risorgimento anticattolico e antitaliano, anche quest’anno i nipoti della Rivoluzione ringraziano la Sinagoga di Satana per il servizio svolto a danno del Potere Temporale che solo spetta al Vicario del Cristo Vivente.
Qui di seguto, come di consueto, documentiamo ciò che affermiamo con le relative fonti documentali e verificabili, e riportato il testo integrale del comunicato stampa del Grande Oriente d’Italia:
          XX Settembre. Il messaggio del Presidente Mattarella e i tanti telegrammi di auguri
Tanti i telegrammi arrivati al Grande Oriente dall’Italia e dall’estero per la ricorrenza del XX Settembre e per le celebrazioni dell’Equinozio d’Autunno. Primo fra tutti quello del capo di Stato Sergio Mattarella, che, tramite il Segretario Generale della Presidenza della Repubblica Ugo Zampetti, ha inviato saluti e auguri al Gran Maestro Stefano Bisi, esprimendo apprezzamento per i temi danteschi scelti in questa speciale occasione. Tra i numerosi messaggi quello del sindaco di Roma Ignazio Marino, del ministro della salute Beatrice Lorenzin, del presidente della corte di Cassazione Giorgio Santacroce, del presidente della Commissione Attività produttive della Camera, Guglielmo Epifani, e di molti altri autorevoli rappresentanti istituzionali. E ancora dai Gran Maestri Fabio Venzi della Gran Loggia Regolare e Antonio Binni della Gran Loggia d’Italia, che hanno espresso fraterna vicinanza e disponibilità, in un momento di crisi come quello che stiamo attraversando, a unire le voci e a far convergere affinità di intenti verso un fine comune.

20 settembre 1870: dall’invasione di Roma all’invasione della Chiesa

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di Piergiorgio Seveso (Fonte: http://radiospada.org/)
Un vecchio numero, il numero 5 (Settembre-Ottobre 2010) di “Vita e pensiero”, rivista pubblicata all’interno dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, già dalla copertina non lasciava adito a dubbi. Pio IX, Vittorio Emanuele di Savoia e Garibaldi a braccetto e a passeggio, come vecchi amici. Mancava solo Mazzini: l’allucinato “apostolo del pugnale” sarà stato, come sempre, in fuga, ricercato dalle polizie di mezza Europa. L’immaginetta propagandistica ottocentesca era tipicamente “conciliatorista”, di quegli anni in cui, effettuata la conquista a colpi di cannone, con la mazza ferrata delle invasioni e la pantomima dei plebisciti, ci si sforzava di fare capire alla gente che in fondo il dissidio era ben poca cosa e che ora, nell’era nuova, riconquistata la patriottica “libertà della patria”, tutte le differenze dovevano essere accantonate. Pena il diventare “elementi antinazionali” con tutte le spiacevoli conseguenze connesse. Venivano diffuse a piene mani le immagini di Garibaldi aureolato e cristificato, contornato via via da una ricca pletora di “martiri” e caduti di nuovo conio: da Ciro Menotti ai fratelli Bandiera, da Amatore Sciesa ai “martiri di Belfiore”, da Luciano Manara a Ciceruacchio, dai congiurati Targhini e Montanari ai bombaroli Monti e Tognetti. Non mancava però chi risaliva a “martiri” antichi, tutti apostoli del “Libero pensiero” e della “Nuova Italia”: Eleonora Fonseca Pimentel, i giacobini delle repubbliche napoleoniche, gli “arsi” Giordano Bruno, Aonio Paleario, Pietro Carnesecchi e via risalendo ai Cola di Rienzo, agli Arnaldo Da Brescia e a tutti i principali anticipatori (protestanti o proto-protestanti o cripto-protestanti) della “rinascita spirituale italiana”. Una nuova religione, insomma, con altari, labari, sacrifici, feste ed un “funesto obbrobrio architettonico”, inferto come una bianca pugnalata nel cuore della Roma Papale. Parlo ovviamente dell’ “altare della Patria”. Il “risorgimento” (e molti degli articoli su Radio Spada lo dimostrano ad abundantiam) è stato essenzialmente una guerra di religione attraverso la quale Massoneria, Protestantesimo e vari esclusi della Storia, attraverso la fola del nazionalismo unitario, volevano creare un’altra italia, pregna di una pagana religione civile, normalizzando la curiosa anomalia politica di una penisola, piuttosto impermeabile allo spirito di novità e di rivoluzione che aveva già pervaso altri paesi nei decenni precedenti.
 
Dall’invasione di Roma all’invasione della Chiesa
 
Sull’’articolo di Gianpaolo Romanato (“I cattolici per l’italia unita”) ci permetteremo di scrivere solo pochi appunti. Egli, e non ci stupisce perché sul mercato ce ne sono molti, è un cantore entusiasta della più grave sconfitta del cattolicesimo nelle terre italiane e, alla lunga, del cattolicesimo tout court. Parliamo ovviamente della soppressione dello stato pontificio avvenuta nel settembre 1870 che segnò non il completamento di un percorso rivoluzionario ma semmai un suo incipit.
Le forze che infatti volevano Roma, non la volevano certo per farne la capitale di un mediocre staterello mediterraneo in balia delle potenze (quale è stato l’Italia, malgrado tentativi imperiali nella prima metà del Novecento) ma la volevano per continuare un’intensa opera di scristianizzazione e laicizzazione della società. A questo assalto Pio IX saggiamente rispose con la denunzia della sua prigionia e con il “Non expedit”, ovvero con tutte le misure di arroccamento e profilassi che una societas perfecta poteva e doveva mettere in campo e con una “cultura dell’assedio” che era constatazione di una realtà. L’assedio continuò anche dall’interno, prima attraverso un acquiescente clero liberaleggiante e incline alla “Conciliazione” negli anni ottanta e novanta del diciannovesimo secolo (ricordiamo gli episcopati di Bonomelli, Scalabrini, Nazari di Calabiana e altri ancora), poi attraverso il sottile veleno dell’invasione modernista negli anni dieci (sempre attraverso episcopati ora deboli, ora compiacenti come quelli, ad esempio, di Maffi, Radini Tedeschi o Ferrari a Milano), poi ancora attraverso una seconda ondata neomodernistica degli anni quaranta e cinquanta del Novecento (tipica di un certo episcopato francese, tedesco e genericamente mitteleuropeo), intronizzatasi stabilmente negli anni Sessanta in Vaticano.
 
Montini: un’analisi interessata
 
A quest’ultima “comunità spirituale”, totalmente estranea allo spirito di intransigenza e integralità cattolica che aveva caratterizzato le battaglie antiliberali e antimoderniste degli anni precedenti,  apparteneva per mentalità, storia personale e origine familiare l’auctoritas che Romanato usa come architrave per il proprio articolo
Si tratta di un discorso che Giovanni Battista Montini, allora collocato sulla cattedra di Sant’Ambrogio, tenne a Roma in Campidoglio nella Sala degli Orazi e dei Curiazi alla presenza del Presidente della Repubblica Antonio Segni e del Presidente del Consiglio Amintore Fanfani il 10 ottobre 1962. In quel discorso Montini, di formazione maritainiana, popolare e democristiana ovvero liberale, affermava la provvidenzialità della perdita del potere temporale per la Chiesa, un “ingombrante fardello”, un “impaccio”, “un’anacronistica sopravvivenza dell’ancien regime pre-rivoluzionario”. Eppure la perdita di un vero stato aveva indebolito enormemente la Santa Sede e de facto aveva incatenato i cattolici di lingua italiana al mutare dei governi e delle ideologie (dal totalitarismo liberale a quello fascista, per finire al totalitarismo democristiano e costituzionale e oggi al totalitarismo dei poli di latta e di cartone), togliendo loro identità, chiarezza dottrinale, spirito di reazione nei confronti di quelle forze che avevano prodotto il “risorgimento” stesso.
Come ogni buon seguace di Maritain, Montini era desideroso di chiudere in un sarcofago l’epoca costantiniana e bonifaciana e di sciogliere il cattolicesimo in vaghissimo spiritualismo antropocentrico a tinta cristiana, socialmente impegnato a costruire una chimerica civiltà dell’uomo, naturalistica ed irenista, democratica e priva di conflitti.
 
Il concordato del 1929: Simul stabunt simul cadent
 
Romanato è costretto poi ad ammettere, a denti strettissimi, che la Santa Sede non rinunziò al dominio temporale neanche nel 1929 coi Patti lateranensi. Questi ultimi (al di là della copertura propagandistica passata poi sotto il nome di “Conciliazione”) contengono certo una sorta di legittimazione dello stato ma, soprattutto nel caso italiano, essi furono un accordo sul terreno pratico perché la Chiesa potesse esercitare la sua missione primaria, al di là della legittimazione teorica dell’esistenza di uno stato. Anche con uno stato comunista e ateo la Chiesa potrebbe stringere un concordato così come sostiene concordati con stati che oggidì violano il diritto naturale (ad esempio con l’aborto), ponendosi in una situazione di illegittimità di fatto o addirittura di “tirannia”, se con tale termine indichiamo la violazione del diritto naturale.
Il riconoscimento dello stato italiano è avvenuto in assoluta correlazione col Concordato (secondo la nota formula di Pio XI “simul stabunt simul cadent” ovvero se cade il Concordato, cade il Trattato) in cui la Santa Sede ha rinunziato alla rivendicazione di un diritto territoriale legittimo e quasi nativo in nome dell’esercizio della sua funzione primaria sui territori italiani.
In ogni caso non si può dire che col concordato del 1929 siano state legittimate le aspirazioni risorgimentali: qualunque forma politica fosse rimasta nei territori italiani, avrebbe prima o poi firmato un concordato con la Santa Sede, come prima già esisteva con l’Impero Asburgico e il Lombardo Veneto.
 
La Provvidenza e la Storia
 
In conclusione, dal momento che chi scrive ritiene non si possa non tener conto della Provvidenza come categoria interpretativa dei fatti storici, si può tranquillamente affermare che questi 150 anni siano stati una PROVA provvidenziale per il cattolicesimo, in special modo italico. Per ora, umanamente parlando, la prova deve intendersi come in gran parte fallita.

martedì 22 settembre 2015

L’OPINIONE DEI CATTOLICI NEL 1866, SUL PLEBISCITO CHE APPARIVA TRUFFA.

Di Millo Bozzolan (Fonte:http://venetostoria.com/) 

Sul referendum farsa di annessione delle Venezie all’Italia. Riporto quanto segue:
“L’Unità Cattolica” scriveva nel numero del 3 agosto 1866:

“E’ ormai certo che i Veneti verranno consultati sulla loro volontà con un plebiscito, plebiscito che, a dire della Gazzetta di Firenze, num. 209 del 31 luglio – sarà più una formalità per appagare la diplomazia, che una cosa di sostanza-. Epperò anche prima del plebiscito i Popoli, i Mordini, gli Allievi, i Sella vanno a governare i popoli della Venezia in qualità di Commissari straordinari, ed il Ministero regala ai Veneti l’abolizione del Concordato e la soppressione degli ordini religiosi.”
E più avanti:
“Noi, umili giornalisti, ci contenteremo di scrivere poche parole sui plebisciti moderni, i quali debbono il loro risorgimento principalmente a Napoleone III, che ha diritto di essere chiamato l’Imperatore dei plebisciti.
E’ bensì vero che suo Zio, conoscendo la plebe, massime dopo la rivoluzione, fin dai suoi tempi introdusse il plebiscito quando volle approvato il suo colpo di stato del 18 brumaio, la costituzione dell’anno VIII, e più tardi i senato-consulti che stabilirono successivamente il Consolato a vita e poi l’Impero.
Ma Napoleone III perfezionò l’arte dei plebisciti, e mentre lo Zio faceva sottoscrivere i votanti nei registri, il nipote giudicò più comodo ridurre la votazione a semplici bollettini con un si e un no.
Non si dà esempio di un plebiscito il quale riuscisse contrario a coloro che lo proposero. La dolcissima plebe in grandissima maggioranza ha sempre risposto di si a tutti coloro che l’interrogarono. Il popolo ama i si, e li regala a milioni ai suoi governanti.”
E cita quattro plebisciti che si svolsero in Francia e che ebbero riscontri ….plebiscitari: interessanti i casi di Nizza e della Savoia dove i votanti non ebbero il minimo dubbio sulla necessità di riunirsi alla Francia.
Arriviamo poi a quelli che interessano più vicino i popoli “vittime” dell’espansionismo sabaudo.

“Gli illuminati” e la rivoluzione francese. Il potere ottenuto manovrando le assemblee.

Di Don Floriano Pellegrini (Fonte:http://venetostoria.com/ )



Gli Stati generali riuniti a Versailles il 5 maggio 1789
Dall’Introduzione di Jean Baechler a Lo spirito del giacobinismo di Augustin Cochin (Milano, Bompiani, 1989) estraggo e faccio conoscere un passo dove (citando tra l’altro i Baliati) si mostra il modo carognesco di agire di quei grandi illuministi, che per illuminazione intendevano – non resta altro – che assicurarsi «un posto al sole», dove godersi la vita, alle spalle e sulle spalle del Popolo liberato dai tiranni (i tiranni sono sempre altri da sé, secondo i liberatori…).
…L’ordinanza era assurda – nel senso proprio di contraddittoria dal punto di vista logico – e inapplicabile.
Invece venne applicata e, ovunque, i cahiers vennero redatti e i deputati eletti senza nessuna difficoltà. Non si trattò di un miracolo, ma del risultato di un meccanismo semplicissimo.
In mezzo a una folla disorientata e atomizzata un pugno di individui può essere onnipotente, purché si accordi in anticipo sui programmi e sui nomi senza mettersi in luce. Le società di pensiero qui si trovavano come pesci nell’acqua.
Il loro circolo interno – quello che oggi chiameremmo il gruppo dei funzionari – si riuniva prima di ogni riunione e si metteva d’accordo su tutti i punti in discussione.
Nel corso delle riunioni i membri delle società, dispersi in mezzo alla folla, monopolizzavano la parola, isolavano a urla gli eventuali dissenzienti, si portavano dietro la massa sconcertata. In caso di difficoltà prolungavano i dibattiti finché la stanchezza costringeva i presenti a votare qualsiasi cosa. Dal momento che c’erano gradi diversi, c’era sempre la possibilità di correggere nell’assemblea di grado superiore le imperfezioni del risultato di quella precedente.
Per coronare l’impresa, a livello di baliato l’ordinanza imponeva la “riduzione” cioè che il numero di votanti venisse portato a duecento. Bisognava eliminare tutto ciò che era in soprannumero. Era l’occasione definitiva per sbarazzarsi dei dissidenti che avevano superato i filtri successivi, imponendo gli amici.
L’impresa venne condotta perfettamente, senza mai violare la legalità. La maggioranza delegò una minoranza e appoggiò il suo programma in certa misura senza saperlo. Con un gioco di prestigio sconcertante per la sua facilità, il piccolo popolo delle società di pensiero si era sostituito al popolo reale e si presentava a Versailles come il suo legittimo rappresentante […].
Millo Bozzolan: oggi si manipola al folla, cioè chi vota i giacobini moderni , con i mass media.  Si introduce il pensiero unico, liberi di pensare, ma solo il “political correct” che va bene al sistema. Altrimenti passi per “brutto sporco e cattivo, o criminale.