Papa Leone XIII |
Azione! azione! ecco il grido che ovunque risuona. E non è un grido vano. Forse in nessun'epoca
dell'umanità non vi furono tante creazioni, od almeno tanti tentativi diversi per portare aiuto ed
assistenza agl'infelici, per sovvenire a tutte le infermità spirituali e corporali dell'umanità
Leone XIII, nell'enciclica Rerum Novarum e nella sua lettera al clero di Francia, ha recato a questo
movimento sì generoso il potente incoraggiamento della parola apostolica.
Da lui noi abbiamo ricevuto la certezza che questo zelo è particolarmente in questo momento voluto
dal cielo, e che seguendo le sue ispirazioni noi chiamiamo sopra di noi le misericordie divine.
Ma, ogni movimento deve essere ordinato, ogni iniziativa, per quanto sia generosa, ha bisogno di
lumi e di direzione.(1)
Dopo di aver incoraggiato il clero di Francia a sforzarsi con tutti i mezzi a venir in aiuto del popolo,
Leone XIII disse: "Ma la discrezione nelle opere e nella scelta dei mezzi per farle riuscire è tanto
più indispensabile quanto che i tempi sono più torbidi ed irti di maggiori difficoltà".
I tempi sono torbidi perché le menti sono sconvolte, e le menti sono sconvolte perché non
conoscono più i principii che devono guidarle in ogni ordine di cose, o se li conoscono, non vi
aderiscono fermamente.
Noi dobbiamo dunque dimandarci se in questa moltitudine di opere che germogliano da ogni parte,
non vi sia una scelta da fare, non vi siano preferenze da accordare, forse anche delle eliminazioni da
operare, e quali sieno i principii che devono rischiarare queste scelte e prescrivere questi ostracismi.
Questione questa tanto delicata a trattarsi, quanto difficile a risolversi. Nulladimeno l'affronteremo
perché è di suprema importanza, e perché d'altronde, le verità esposte nei precedenti capitoli hanno
indicata la via da seguire per arrivare alle migliori conclusioni.
"La miseria del popolo, miseria più grande che mai - disse B. de Saint-Bonnet - verrà da quelli che
la vogliono abolire". Una tal espressione uscita da una sì profonda intelligenza, richiede che vi si
rifletta, e che si cerchi di vedere se veramente fra i mezzi proposti, consigliati, provati per recar
rimedio all'attuale situazione, non ve ne sieno che avrebbero per effetto di renderla invece più
intollerabile, di scavare più profondo l'abisso in cui la società si perde.
Il signor de Saint-Bonnet così spiega il suo pensiero: "Bisognerebbe ottenere dall'uomo un aumento
di sforzo. invece si affievolisce l'animo suo col sogno d’un aumento di benessere".
Il grande moralista ci dà in queste parole la pietra di paragone delle opere popolari, il criterio che
deve servire a distinguerle, a rischiarare il giudizio che noi dobbiamo fare di esse, a farci conoscere
quelle che possiamo approvare ed apportarvi un franco e sicuro concorso, quelle alle quali noi non
dobbiamo prestarci, e quelle che possiamo anche condannare colla certezza di non opporci al
pubblico bene.
Quale effetto l'applicazione di tal concetto deve produrre sugli uomini ch'essa vuole guadagnare e
favorire? Sarà quello di addolcire gli animi o di portarli ad una maggiore applicazione delle loro
energie. Ecco quello che noi dobbiamo innanzi tutto dimandarci in presenza d'una nuova creazione
o d'una dimanda di concorso per un'opera già esistente.
Questa regola deriva dalla gran legge che presiede a tutti i progressi come a tutti i regressi dei
popoli nelle vie della civiltà, delle famiglie nelle vie della prosperità, degli animi in quelle della
nobiltà e santità. La legge dello sforzo.
Dio, abbiamo detto, ha messo la fame nel corpo dell'uomo, e nella natura incaricata di saziar questa
fame egli ha messo l'aridità a fine di obbligare la massa del popolo al lavoro.
Dio ha posto altresì nell'animo dell'uomo l'ignoranza col desiderio e bisogno di sapere le leggi che
regolano l'universo, quelle che devono regolare la società, quelle che egli stesso deve osservare
affinché, con un lavoro non meno faticoso che quello del dissodamento delle terre, una eletta di
uomini ne acquistasse la conoscenza, le facesse conoscere e le impiegasse a comune vantaggio.
Infine, Dio ha permesso al peccato d'introdurre il disordine nel mondo, la concupiscenza nei cuori,
affinché l'uomo, lottando contro se stesso, e reagendo contro il male, fondasse l'incivilimento nella
società, e stabilisse la santità nelle anime.
Quanto è bella, alta, sublime la condizione che Dio ha così fatta all'uomo!
Allorché Egli trasse dal nulla la terra, i mari, il firmamento co' suoi astri, le piante e gli animali, si
poteva dire: Vidit Deus quod esset bonum. Fu però altrimenti alla creazione dell'uomo. Dio riservò
la sua testimonianza. Perché? Perché a differenza delle altre creature, le quali, appena uscite dal
nulla si trovavano fornite di tutte le perfezioni che Dio aveva in animo di dar loro, l'uomo, creato
perfettibile, dovea da se medesimo perfezionarsi.
La stessa osservazione può farsi nel confronto dell'uomo coll'angelo.
Dio aveva creato l'angelo prima di creare la natura umana. Egli lo avea fornito d'una natura di
qualità superiore alla nostra, natura puramente spirituale, mentre noi siamo spirito e materia
insieme. Ma per questo stesso ci diede un destino superiore. Gli angeli furono, dal primo istante
della loro esistenza, tutto ciò che poteano essere: la loro natura semplice, non composta, non
lasciava posto al divenire. Essi uscirono interamente perfetti dalle mani dei Creatore.
L'uomo invece fu creato in potenza di divenire quello che Dio voleva ch'egli fosse, e di divenire tale
colla sua propria e continua cooperazione. Il suo corpo è da principio un germe; la sua intelligenza,
una notte; la sua volontà, una debolezza; la sua anima, una prima grazia alla quale egli dovrà
corrispondere per riceverne delle altre, e ciascuna delle attrazioni divine che si succederanno in essa
a migliaia e milioni per farle guadagnare tutti i gradi della perfezione, esigeranno tutte, senza
eccezione, il suo concorso; mentre gli angeli non dovettero che accordare, con un atto unico quale
esigeva la loro natura, l’accettazione o il loro rifiuto alla beatitudine eterna. Di modo che passando
dalla creazione dell'angelo a quella dell'uomo, Dio diede maggior estensione alla legge del merito
che costituisce la nobiltà delle creature intelligenti. Così non bisogna meravigliarsi che una creatura
puramente umana, la santa Vergine Maria, siasi elevata co' suoi meriti al disopra di tutte le
gerarchie degli angeli e sia stata dichiarata loro Sovrana e Regina.
Parimenti, fuori di lui, l'uomo nulla trova se non in seme ed in abbozzo o rudimento; a lui spetta di
tutto sviluppare, dal suolo arido fino alle forze più potenti e più misteriose della natura; dalla legge
dell'amor paterno messo nel cuore di Adamo e di Eva fino ai codici d'incivilimento più complicati;
dal primo atto di adorazione uscito dal cuor del nostro primo padre, fino alla liturgia delle santa
Chiesa.
Dio ha dunque fatto all'uomo questo onore di concepirlo e di crearlo in tal modo, ch'ei fosse
chiamato a concorrere alla sua propria formazione e perfezione. Era questa la più grande nobiltà
ch'egli potesse dare ad una creatura, poiché nessun'altra poteva meglio ravvicinarlo a lui.
Dio esiste da se stesso. La sua grandezza incomunicabile è il principio di tutte le grandezze. Non
potendo trasmettere la sua aseità,(2) egli volle almeno che l'uomo portasse in sé l’immagine di
questa perfezione superiore ad ogni perfezione; e per questo egli lo costituì in tal modo che giunto
al suo fine, l'uomo fosse il nobile figlio del suo proprio sforzo. Ciascuno degli impulsi del suo cuore
nel corso della sua vita, ciascuna delle energie che ne sono sortite, ciascuno degli atti che esse han
prodotto, lo ingrandirono, e lo fecero infine quello che è divenuto.
È da questo punto di vista elevato che noi dobbiamo porci per giudicare, senza timore di ingannarci,
della bontà delle opere.
Ogni opera che incoraggia l'uomo allo sforzo si trova nei disegni di Dio e nei principii della natura
umana. Per gli sforzi ch'essa otterrà da lui, lo svilupperà, lo farà avanzare nelle vie de' suoi destini
tanto temporali che eterni. Ma ogni opera che ha per fine di risparmiare all'uomo lo sforzo, che ha
per effetto di affievolire nel cuore dell'uomo la volontà di operare e di darsi alla fatica. è un'opera
funesta, perché arresta lo sviluppo prima nell'individuo, e per conseguenza nella famiglia, nella
società, nell'umanità. È un'opera alla quale assolutamente nessuno dovrà prestarsi per quanto belle e
seducenti possa presentare le apparenze.
La Réforme Sociale riferiva nel suo numero del 1° gennaio 1903 la conversazione seguente fra un
vecchio contadino dei dintorni di Cassel e suo figlio operaio minatore.
Il vecchio contadino diceva al suo ragazzo: "Sei tu felice nelle miniere? è conveniente la giornata?
- Non c'è male - padre mio - ora guadagno da 6 a 7 franchi!
- Da 6 a 7 franchi? fece il vecchio, ma la è una fortuna! Tu potrai porre da parte molto danaro per
metterti in riposo nella tua vecchiaia; tu farai come ho fatto io a forza di economie, ed anche con un
po’ di privazione: io ho potuto far onore a' miei affari, prevenire i giorni di malattia senza contrar
debiti, e giungere ad acquistarmi una casetta ed una muccherella; ora vivo abbastanza felicemente,
colla tua vecchia madre, fino al giorno in cui Dio mi chiamerà, ed ho la soddisfazione di aver ben
collocati i miei figliuoli.
- Tutto questo noi l'abbiamo cambiato, padre mio, rispose ridendo il giovanotto. Noi non abbiamo
più bisogno di far economie, altri le faranno per noi; quando io sarò vecchio, od anche prima,
purché abbia 55 anni, lo Stato mi corrisponderà la mia pensione. La malattia? non ho da
occuparmene; la Cassa di assistenza, non è pronta per fornirmi il medico, i medicamenti e le mie
piccole giornate? Le ferite? La legge obbliga le Compagnie a pagarmi la metà del mio salario. I
debiti? La legge proibisce di ritenermi più del 20 per cento sul mio salario, e la mia pensione è
insequestrabile. Quanto ai figliuoli, vi è l'asilo pei bambini, la scuola per i più grandicelli, ed a 13
anni si mandano alla miniera. Tu vedi, padre mio, che non hai guari da inquietarti; tutto ciò che tu
hai ottenuto colle economie e privazioni io l'ho senza occuparmi di niente".
"Questo ragionamento, aggiunge la Réforme Sociale, è assolutamente tipico e disgraziatamente non
si tiene nel solo dipartimento del Nord, né solo in Francia, ma un poco dappertutto.
"Ci si domanda se la soppressione dello sforzo individuale non sia il punto di partenza della
decadenza dei popoli".
Sicuramente, la soppressione dello sforzo è la causa della decadenza dei popoli. Tutti coloro, il cui
sguardo ha potuto abbracciare il largo orizzonte della vita delle nazioni, arrivano alla stessa
conclusione. "Quando tutti gli uomini saranno contenti - diceva Bismarck - essi s'addormenteranno,
il genere umano marcirà in riposo; la sua felicità, libera da ogni desiderio e da ogni inquietudine,
sarà pari a quella che godono i semi-selvaggi in quelle isole fortunate in cui vivono di aria, di sole,
di noci di cocco e di banani, ch'essi non hanno pure la pena di cuocere".
Guardiamocene! l'emulazione d'inventare ogni giorno qualche nuova opera democratica ci conduce
a questo termine.
Il democratico vorrebbe meno di privazione, meno di lavoro, più di benessere. Noi pure. Ma per
ottenere questo felice cambiamento, egli fa appello non alle energie dell'anima umana, ma allo
Stato, alle leggi, leggi di assistenza, leggi di pensione, leggi di limitazione di ore di lavoro, leggi del
minimo salario, leggi di credito, ecc., ecc.
L'ideale del giorno è d’aver il domani assicurato ad ogni costo, a fine di poter spendere tutto quanto
si ha, di mano in mano che lo si riceve, vivere di giorno in giorno senza aver a prendersi cura, in che
sia, della vecchiaia.
Non parrebbe molto ragionevole il volere che il Governo facesse delle leggi di tal genere? l'esigere
che sua prima sollecitudine, suo primo dovere fosse l'assistenza in ogni cosa?
Blanc de Saint-Bonnet risponde: "Invano oggi si direbbe la verità su questo punto, poiché essa si
allontana dai nostri occhi quanto il punto di vista nostro è lontano dal punto di vista divino. E
d'altronde, non è necessaria una tale assistenza! Anzitutto, essa non è possibile. Poi, se fosse
possibile, non sarebbe opportuna. Se i governi moderni fornissero l'assistenza, la natura umana
sarebbe perduta".
Ciò non è possibile. Dappertutto se ne fa la prova: ma dappertutto si sente che gli è come entrare in
una via senza uscita ed aprire una voragine senza fondo: le esigenze crescono e si moltiplicano a
misura che sono soddisfatte.
Quand'anche ciò fosse possibile, non sarebbe opportuno.(3) Dio lo può, ma non lo fa. Egli potrebbe
fare che l'uomo come l'animale trovasse il suo alimento già preparato. Egli potrebbe dare alla terra
una tale fecondità che tutti gli uomini vi trovassero il pane ed il resto senza lavoro. Perché non lo
fa? Ha egli il cuore meno tenero che i nostri democratici? No, ma egli conosce la natura umana, ed
essi la ignorano. Egli non è uno di quei medici senza esperienza e senza scienza che somministrano
rimedi che uccidono.
L'indigenza e la debolezza, la malattia e la vecchiaia devono essere sicuramente assistite. Ma è
l'opera della carità che vede le necessità personali e non l'opera della legge, la quale, abbracciando
la generalità, si sostituisce allo sforzo ed alla temperanza, e con ciò arresterebbe ogni progresso
individuale e sociale e finirebbe coll'uccidere la natura umana.
Vediamo quello che è, vediamo come si presenta la vita terrena a chi l'osserva con calma, per
rendersi conto di ciò che essa è e del trattamento che esige. Questa vita, l'abbiamo detto, è un
insieme organizzato per tenere il genere umano nella indigenza. E perché questa indigenza? Perché
l'uomo per trionfarne le opponga un complesso di virtù che hanno per effetto di fortificarlo in se
stesso, di elevarlo e di perfezionarlo. Tosto che cessa la lotta, egli entra nella morte. L'uomo che
non ha più a lavorare, a combattere, si corrompe. La nazione che dice a se stessa: godiamo dei beni
che teniamo fra le mani, si degrada, e bentosto sarà preda dei popoli che si sono conservati sotto la
legge del lavoro e della temperanza.
Le leggi democratiche faranno che gli uomini, non essendo più obbligati a contare sopra se stessi,
visto che lo Stato si incarica del loro avvenire, ed anche del loro presente, della loro famiglia, come
della loro persona, si rilasseranno dapprima nello sforzo, poi consumeranno di giorno in giorno più
che potranno.
È un compito ben ingrato l'assumersi la censura di queste leggi e di queste opere. Ma fa d'uopo
averne il coraggio. E quand'anche si dovesse passare per un uomo senza viscere, bisogna pur dire
che tutto ciò che ha per effetto di arrestare l'energia delle braccia dell'operaio e l'austerità del suo
cuore, finirà non a renderlo felice, come pretendono i suoi cortigiani, ma a compiere la sua sventura.
L'avvertirnelo non è crudeltà, sibbene vera compassione.
Lo si noti: le nostre critiche non si riferiscono agli aiuti recati alla miseria, qualunque ne sia
l'origine e la causa, alla carità esercitata in favore dei piccoli e dei deboli: fanciulli, infermi, malati,
ecc. Questo la Chiesa l'ha sempre incoraggiato, l'ha sempre messo in pratica; nessuno l'ha mai
praticato al pari di essa. Noi parliamo unicamente dell'assistenza operaia come la si vuole
organizzare. Ed ancora dobbiamo fare questa importante osservazione, che noi ci mettiamo a
giudicarla dal punto di vista dei principii e dell'effetto generale ch'essa è chiamata a produrre, e non
dal punto di vista della situazione che ci è fatta attualmente da un secolo di rivoluzioni, dalla
miseria fisica e morale, - più morale che fisica, - nella quale il popolo si trova immerso,
dall'impulso che la grande industria e il grande commercio hanno dato al lusso, ed infine
dall'empietà sparsa a piene mani nel cuore dei più. Questo stato di cose può esigere pel momento
dei rimedi che non potrebbero costituire l’alimento normale d'un popolo sano.
Fatte queste riserve, vediamo ciò che si fa, e ciò che si vuol fare a favore degli operai della città e
della grande industria, poiché non si tratta che di loro quando si parla di popolo, ed è per essi che si
son fatte le opere democratiche. - Si prendono i loro bambini dalla culla, e s'incaricano non solo di
istruirli, ma di mantenerli gratuitamente nelle cantine delle scuole. I cattolici, per conservare ai
fanciulli il beneficio della fede, si vedono obbligati di seguire la stessa via ed entrare, anch'essi,
nelle vie del socialismo. Si dà loro, o almeno si promette loro il minimo di salario ed il limite delle
ore di lavoro, senza inquietarsi di far loro apprendere le virtù morali che li indurrebbero a mettere
quest'aggiunta di salario in risparmio, ed impiegare queste ore di riposo per istruirsi e santificarsi; si
istituiscono le casse di assistenza e di pensione alimentate obbligatoriamente dai padroni e dallo
Stato, perché non abbiano più bisogno di previdenza e possano mangiare e bere con sicurezza il
giornaliero guadagno. S'inventano tutte le forme di istituzioni di credito, perché quelli che non
hanno mai saputo mettere insieme un capitale, possano mangiare quello degli altri, e tutte le forme
di banche ipotecarie, perché quelli che non hanno ancor preso abbastanza ad imprestito, possano
continuare a farlo per compiere così la loro rovina: poiché le virtù necessarie per servirsi utilmente
dell’altrui capitale, sono precisamente quelle che sarebbero state necessarie per crearselo, e se
queste mancano, il prestito non farà che dar adito a precipitare in una rovina più profonda.
La soppressione dei dazi consumo si aggiunge a tutte le altre attrattive per ingombrare, a detrimento
delle campagne, le città, che sono giustamente chiamate i marcitoi del corpo e dell'anima; si prepara
l'imposta sulla rendita, progressiva e regressiva, destinata ad inghiottire il capitale esistente ed a
soffocare il capitale in formazione nel momento che prende il suo impulso. Con ciò si arriva a
paralizzare l'agricoltura, l'industria ed il commercio, cioè a ridurre ben presto tutto il mondo al
livello della stessa indigenza, o piuttosto della stessa miseria.
In tutto questo, che vediamo noi?
Il desiderio di rendere la vita più facile, e con ciò di fare un popolo felice! Benissimo. Ma in realtà
tutti questi mezzi non finiscono, o non possono finire che a renderlo maggiormente infelice.
Trenta, quarant'anni fa, l'operaio guadagnava molto meno che adesso. Egli sapeva tuttavia far vivere
la moglie ed i suoi figliuoli; sapeva pagare i mesi di scuola, e non faceva ricorso agli uffici di
beneficenza che negli ultimi estremi. Oggi, malgrado tutti gli aiuti che gli apportano le istituzioni
d'assistenza, dandogli diritto ad ogni specie di soccorso in ogni circostanza, egli si lamenta di non
poter vivere, e non cerca che a sbarazzarsi dei doveri di famiglia, considerati fin qui come i più
elementari ed i più imperiosi.
D'onde viene tanto cambiamento? Da ciò che lo Stato o la beneficenza, sovvenendo a tutti i bisogni
dell'operaio, lo dispensano dal pensarvi, l'abituano a poco a poco a contar sugli altri, ed a non
occuparsi più né di se stesso né della sua famiglia, se non in quanto al procurarsi di giorno in giorno
tutte quelle soddisfazioni che le sue entrate gli permettono.
"A che servirebbero - dimandava Mons. Ketteler, in un discorso pronunciato il 25 luglio 1869
dinanzi dieci mila operai - a che servirebbero l'aumento di salario, la diminuzione delle ore di
lavoro, il riposo settimanale, se gli operai impiegano il loro danaro ad empirsi di dissolutezze e di
alcool, le loro ore di riposo a logorarsi così il corpo col degradamento dell'anima?"
"Sostituire dappertutto l'istruzione laica alla coscienza - dice B. de Saint-Bonnet - è il grande errore,
il grande delitto dell'epoca. In luogo di favorire lo sviluppo spontaneo della natura umana, questa
viene sostituita. Qual concetto della libertà! Che alte idee della creazione! Come ne conosceremo il
valore!
"Togliete alcune ore di lavoro, e se l'uomo è immorale, invece d'impiegare questo riposo a
vantaggio della famiglia, dell'anima propria, lo impiega in sregolatezze che consumano il suo corpo.
"Trovate i mezzi di aumentare il salario, e se l'uomo è immorale, invece di consacrarlo al benessere
dei suoi, lo darà alla ubbriachezza ed a' suoi sensi.
"Date maggior libertà politica, indebolite le leggi penali, e se l'uomo è traviato, ne abuserà
maggiormente al male.
"Mettete, mediante il prestito, il danaro alla portata dei contadini, in poco tempo il suolo diventerà
preda dei banchieri, e la Francia avrà la sorte dell'Irlanda".
Non è questo quanto noi cominciamo a vedere? la demoralizzazione sempre più crescente degli
individui, la miseria più profonda delle famiglie, l'abbassamento e l'umiliazione della patria! Che
mai sarà se si persevera in questa via!
L'effetto necessario dell’assistenza operaia come la si vuole organizzare, è quello di distruggere
nell'operaio il principio dell'attività umana e la preziosa previdenza dell'avvenire, che Dio si vide
forzato ad imporre all'uomo per obbligarlo al lavoro, e mediante il lavoro preservarlo dalla
corruzione, procurandogli tutti i beni, quelli del corpo come quelli dell'anima. La democrazia,
lasciandosi trasportare al sentimentalismo, rovescia questa legge provvidenziale, invece di
esaminare i fatti e penetrare per tal modo il pensiero di Dio a fin di secondarlo, essa lavora in questo
senso: arrivare a sopprimere l'indigenza, a diminuire il lavoro, a moltiplicare i godimenti. Essa non
vi arriverà giammai. La società non può uscire dalle leggi che Dio le ha imposte. È facile diventar
sensibili quando si chiudono gli occhi all'esperienza, come fanno sì facilmente tanti oratori e
scrittori. Basta avere un naturale bonario, e tosto si desidera che l'indigenza sia sull’istante bandita
dall'umanità.
Nel suo numero del 4 novembre 1900, la Vie catholique pubblicava il suo Programma sviluppato.
Essa vi diceva che "il comandamento di Cristo ci fa un dovere di preoccuparci di coloro che l'attuale
nostra condizione sociale pone in uno stato di inferiorità, in cui non trovano né il benessere, né
l'indipendenza a cui ogni uomo ha legittimo diritto".(4) Dove mai si vide uno stato sociale in cui
non vi fossero inferiori o superiori? Dove si vide uno stato sociale in cui tutti godessero benessere
ed indipendenza? Uno stato sociale in cui per conseguenza non esistesse né dolore né
subordinazione? E se ogni uomo ha legittimo diritto al benessere ed alla indipendenza, che dire di
Dio, il quale già da sei mila anni tollera nel mondo il contrario di tutto questo? Egli tollera
l'indigenza per costringere l'uomo ad uscirne collo sforzo e per farlo entrare in quella dignità, in
quella nobiltà a cui lo eleva il buon uso della libertà. Se, invece di questo, egli gettasse sulla terra un
tesoro sufficiente per dare a tutti la ricchezza, non sopprimerebbe affatto la miseria; al contrario,
questo tesoro servirebbe ad accrescerla, ad estenderla per l'abuso che tutti ne farebbero nel loro
ozio.(5)
Si vada al fondo delle idee, dei progetti della democrazia e si vedrà che avranno quasi tutte per
effetto di rompere la energia dell'anima umana, di diminuire la necessità dello sforzo, di rendere
inutile la virtù. Ed essi la chiamano la soluzione cristiana della questione sociale! Essi non sanno né
quello che è il cristianesimo, né quello che è la società, né quello che è la natura umana.
"In tutta la superficie del globo - dice B. de Saint-Bonnet - il genere umano non è occupato che a
lavorare o soffrire, e noi vorremmo che cotesto non fosse il modo onde impiega questa vita per
educarlo all'altra vita. Noi vorremmo un poco più di benessere, ed un poco meno di lavoro e di
privazioni: noi sbagliamo il conto! Colui che ci crea vuole poco benessere per molto lavoro e molta
virtù ... Colui che ci crea vuole il benessere della nostr'anima per il cielo.
Deplorare la condizione del numero maggiore, è un fare il processo a Dio. Voi volete distruggere la
miseria, è un ottimo sentimento, ma perché non potete voi ancora distruggere il dolore e la morte?
L'abolizione della miseria è semplicemente l'abolizione della pigrizia e della corruzione, è
semplicemente questo che da ben diciotto secoli fa il cristianesimo.
"Voi avete un bel dire ed un bel fare, ma non farete che l'uomo non sia obbligato a lavorare e
condannato a gemere come fin da principio.
"Voi vi riportate sulle premesse che l'uomo dev'essere felice sulla terra. Ora si trova che l'uomo non
è per questo fine sulla terra. Egli si trova per il lavoro, imposto all'uomo per punirlo, contenerlo e
formarlo. La sorgente della miseria non istà punto là dove voi la ponete. Voi scoprirete un tesoro
pel povero, ma esisterà sempre il pauperismo. Dio ha affidato alle braccia dell'uomo i frutti della
terra.
"Vi siete voi fatto democratico per godere e per maggiormente consumare? voi perirete; vi siete
fatto per incoraggiare l'austerità dei cuori e condurli più vicino a Dio? state sicuro che trionferete.
"Un uomo va al suo lavoro. Prende il ferro, viene la fatica, le sue membra si irrigidiscono, l'animo
suo si conturba, la sua volontà si abbatte ed ei getta il manico dietro la mannaia ... Non ha riposo.
Bisogna portare del pane alla moglie, ai figli, al vecchio genitore ... Riprende l'utensile, la sua
volontà raccoglie le sue forze, il suo cuore rigonfia come le sue vene e così egli compie col sole la
sua giornata. Su migliaia di punti di questo globo, e ad ogni istante, Dio procura in tal modo una
manifestazione ed un esercizio dei più dolci sentimenti dell'anima.
È Dio che fece la Giornata dell'uomo! E ne ha fatto trecento durante l'anno, e poi molti anni nella
vita, e poi molte vite nel tempo: e questo fa fremere la vostra sensibilità tiepida ancora dei vapori
dei romanzi! Sì, Dio che ha fatto il cuore delle vostre madri, ha fatto la giornata dell'uomo! e di più
il peso del giorno! e di più questa Fame dalle dita di spine!... È indegno, dirà taluno, trattare l'uomo
in tal modo! Eppure gli è così che l'uomo rimonta i gradini della caduta. La difficoltà semina la
grandezza nell'umanità e la santità nelle anime ...
"Per migliorare la sorte del popolo, prendiamo il vero cammino. Produciamo il lavoro colla virtù, il
capitale colla moderazione nei godimenti, proteggiamo gl'interessi colla giustizia, diamo la
sicurezza colla legge e colla Fede. Se le classi operaie, che tanto si compiangono, ritornassero
cristiane, ridiventerebbero econome e laboriose; poi ravvivando le intime affezioni, esse
renderebbero alla famiglia il suo ufficio di società di soccorso contro l'infortunio, in luogo delle
società di mutuo soccorso che forzatamente si moltiplicano mano mano che si sciolgono nelle città
industriali i sacri legami della famiglia".
Note:
(1) Di lume sopratutto. Nella seduta del 10 giugno 1902, del XXI Congresso d'Economia sociale,
l'abate Millot, autore del libro si prezioso: Que faut-il faire pour le Peuple! Esquisse d'un
programme, d'études, presentò un rapporto su questo soggetto: Le jeune Clergé et les Etudes
sociales. Egli narra, senza scoprirsi, la propria storia, vale a dire le tappe che un prete dovette
percorrere per arrivare a procurarsi idee giuste su tal questione.
Egli era entrato in seminario dopo aver fatto studii di diritto e aver seguito un corso d'economia
politica e aver ricevuto le congratulazioni dell'esaminatore. In seminario si arrolò alle conferenze
d'azione; egli udì Demolins ed Harmel, e ne usci convinto dell'esistenza della questione sociale e
anche della estrema facilità della sua soluzione: ritorno alle corporazioni, organizzazione del lavoro,
più equa ripartizione delle ricchezze, risveglio della fede e il problema era risolto. Se, uscito appena
del seminario si fosse slanciato nelle opere sociali, sarebbesi senza dubbio attaccato tanto più alla
sua illusione quanto più i fatti avrebbero loro dato le più crudeli smentite. Egli recossi a Roma. Là
vide monsignore Ireland, monsignore Strossmayer, di nuovo Harmel ed anche Claudio Jannet. Le
sue conversazioni con loro turbarono la bella sicurezza delle sue conclusioni di seminario. Dopo
due anni, ritornò in Francia, felice d'aver appreso una cosa: ed è che in sostanza, in materia sociale,
non ne sapeva niente.
Ebbe la cura d'una parrocchia operaia. Vide dei vecchi morenti di fame, dei fanciulli pervertiti dalla
piazza o dall'officina, le famiglie disorganizzate e demoralizzate dall'alcool, le ragazze vittime della
tubercolosi o di contagi più deplorevoli, gli odiosi abusi della vendita in credenza, la poca cura di
molti padroni o borghesi per le miserie degli operai. Egli conchiuse per la necessità d'un intervento
pronto ed efficace dei poteri pubblici. Egli divenne intervenzionista, statista. Fu la sua quarta tappa.
Ne restava ancora una da fare. Cangiò ambiente e si trovò in relazione con capi d'industria o con
case di commercio. Chiese loro perché non facessero condizioni più vantaggiose ai loro impiegati e
ai loro operai. Le risposte non gli sembrarono di valore eguale, ma lo fecero riflettere
profondamente. Dopo l'inchiesta vivente, istituì l'inchiesta dei libri. Il P. Liberatore, il P. Antoine,
Gide, Cauwis, P. Leroy-Beaulieu, de Molinari, Jaurès, Millerand e molti altri del presente e del
passato, gli fornirono insegnamenti i più preziosi e i più contradittori. Dopo aver molto letto,
compulsato, riflettuto e controllato, il risultato fu che si trovò in possesso di poche idee sociali,
precise e veramente scientifiche e d'un numero immenso di punti interrogativi.
L'abate Millot conchiuse: "Ciò che manca a molti preti che si occupano di questioni sociali, è il
senso economico, questa percezione chiara dell'estrema complessità dei problemi economici, questa
intuizione delle ripercussioni infinite e spesso disastrose, d'uno spediente in apparenza inoffensivo.
Ciò non s'inventa, ma si può comunicare. Le società sono organi viventi, non si possono rifarli o
lavorarli a piacimento. È meglio che un prete non si mescoli in questioni sociali anzi che trattarle
con una incompetenza che compromette ad un tempo la causa sociale e la causa cattolica. Ma un
prete che ha potuto ricevere una seria istruzione sociale, che ha compreso che le grandi riforme si
fanno lentamente, sordamente, a forza di pazienza e di perseveranza, e che consacra la sua vita ad
una di queste opere, può trasformare l'ambiente in cui egli vive".
La comunicazione dell'abate Millot, la dicemmo, un'autobiografia. Questo degno prete morì assai
prematuramente, lasciando però un libro di primo valore: Que faut-il faire pour le Peuple? Saggio
di un programma di studi sociali (Paris, Lecoffre, 1901).
(2) Aseitas, idest ens a se, necessario existens et omnimode independens: in hoc enim consistere
videtur proprius caracter divinae essentiae. (Nota del traduttore).
(3) A Vienna, in Austria, si tenne nel settembre 1905 un Congresso internazionale, avente per
oggetto "l'assicurazione contro l'invalidità e la vecchiaia". L'impero di Germania è attualmente il
solo Stato che abbia creato per i suoi nazionali l'assicurazione obbligatoria contro l'invalidità. Si
vide con ispavento al Congresso di Vienna un doppio effetto già constatato:
1° Le previsioni del legislatore furono di molto superate e lo saranno sempre più. Il numero delle
pensioni accordate durante l'anno 1899 non arrivavano a 100.000; nel 1900, raggiungevano la cifra
di 126.000; nel 1901, di 130.500; nel 1902, di 143.000; nel 1903, le pensioni d'invalidità verificate
dagli stabilimenti di assicurazione giunsero a 153.000. In quattro anni è un aumento di oltre
cinquanta per cento!
Quale ne è la cagione?
Ecco ciò che dice un rapporto ufficiale: "I medici si lagnano frequentemente dell'insistenza,
dell'asprezza colla quale si pretende da loro dei certificati d'invalidità. Se per caso alcuni assicurati
riescono in poco tempo ad ottenere l'uno dopo l'altro una pensione d'invalidità, i medici sono
assediati dalle istanze d'altre persone che reclamano anch'esse un certificato favorevole. Colui che
resiste a questa pressione vede ben presto dileguarsi la clientela".
Ne risulta, come lo diceva al Reichstag il vice cancelliere dell'Impero signor de Posadowsky, "che
le pensioni si sono aumentate in una proporzione che ispira le più serie inquietudini pel loro
avvenire finanziario".
2° Il pericolo finanziario è minore che il pericolo morale. Un pubblicista alemanno scriveva: "La
nostra politica sociale contribuisce alla demoralizzazione. La nostra nazione tende a diventare una
nazione di pensionati e d'invalidi. La nostra legislazione sociale espone centinaia e migliaia d'operai
attivi alla tentazione di simulare per ottenere una pensione. L'accrescimento delle gravezze
finanziarie sarebbe un nulla a petto di questa corruzione dell'anima popolare. Si volle accontentare
il popolo; non si fece che aguzzarne l'appetito. Si volle moralizzarlo; se n'è corrotta una parte".
Il vice cancelliere dell'Impero disse dal canto suo: "L’eccesso, nell'applicazione del principio
dell'assicurazione obbligatoria sarebbe nocivo al nostro popolo. Spingere questo principio fino a
voler assicurare l'avvenire di tutti, finirebbe a paralizzare intieramente la previdenza individuale, la
forza della protezione personale; nulla potrebbe esercitare una più dannosa influenza sul carattere
d'un popolo".
(4) "Questi dogmi del godimento universale, della soddisfazione fisica illimitata, sono sì assurdi,
quando vi si riflette seriamente, che ci si sente commossi d'una pietà profonda e d'una illimitata
tristezza, a vedere la necessità rigorosa in cui ci troviamo di combattere passo a passo la loro
invasione negli animi educati". Lettera del Maresciallo Bugeaud a L. Veuillot, 7 aprite 1849.
(5) Queste parole sembreranno a molti una esagerazione. No, non è punto esagerazione, è la pura e
semplice espressione della verità quale l'esperienza la dimostra, quale la fa concepire la conoscenza
del cuore umano nella sua decadenza.
Les Missions catholiques ne fornivano ultimamente una prova perentoria.
"Il tesoro degli Stati Uniti è debitore ad una tribù indiana, gli Osages, nel Far-West, lontano
occidente degli Stati Uniti, di un buon numero di milioni di dollari, in causa delle terre che questa
ha ceduto in differenti epoche nel Missouri e nel Kansas. Il governo americano ritiene il capitale e
paga quattro volte per anno l'interesse del debito. Inoltre, gli Osages si procurano grosse somme,
affittando praterie di propria riserva a grandi proprietari di bestiame.
"Per questa doppia sorgente, e atteso il loro piccolo numero, gli Osages sono il popolo più ricco del
mondo.
"A che impiegano essi il loro danaro? Qualche volta nell'acquisto di oggetti utili, come carri e
vetture; o oggetti di lusso, come tappeti, ricche stoffe, piani, organi, divani, phaetons (carrozze). Ma
il più delle volte lo spendono in bagattelle infantili, tutte cose di cui si servono per qualche
settimana, e che poi abbandonano ai sorci, all'umidità, a tutti gli accidenti d'una vita nomade.
"Un altro abisso che divora il loro danaro è la passione del giuoco coi bianchi.
"Infine la loro deplorevole avidità per l'acquavite è assai comune. La polizia la più attiva non riuscì
ad impedire il mortifero traffico dei liquori forti. Il povero selvaggio che ne ha una volta bruciata la
gola, non può più resistere alla tentazione. Egli è disposto a pagare qualunque prezzo per una
bottiglia di whiski, e qual whiski! Io ho visto molte volte dar una ricca coperta, un fucile, un cavallo
allo scellerato che loro indica in qual via, in qual prateria o foresta egli ha nascosta una bottiglia
d'acquavite.
"Tutte le loro rendite passano così nelle mani dei Traders (mercanti). Il danaro che così
abbondantemente ricevono, è speso sì presto, che non possono aspettare la fine del trimestre, senza
far debiti. Il popolo più ricco del mondo, è nello stesso tempo il più indebitato. Io non conosco otto
Osages puro sangue, che non sieno costantemente in arretrato coi conti.
"Uno di loro mi disse un giorno: "Noi una volta eravamo ben più felici, prima che il governo ci
pagasse le annualità, quando noi vivevamo semplicemente della sola caccia ai buffali, nelle pianure
del Missouri. Eravamo liberi allora; non eravamo come adesso in balìa dei Traders, e non
conoscevamo i vizii che finiscono col rovinare completamente la nostra tribù. Ora i più forti, i più
belli fra noi nascondono sotto le loro coperte delle piaghe più o meno gravi".
"Io non sapevo fino a qual punto fosse vera questa asserzione. Me ne resi conto in seguito, e posso
assicurare che in cento Indiani, non ve ne sono tre che siano perfettamente sani di corpo. Tutti
hanno il sangue viziato, e alcuni hanno ulceri le più orribili che mai io abbia visto". P. Savinier,
Benedettino, Missioni Cattoliche, numero del 2 febbraio 1900, pag. 37.
Bisogna che il danaro sia stato guadagnato perché sia ben impiegato. La forza morale che la ha
prodotto e messo in serbo, è la sola capace di fondarlo in capitale.