sabato 31 ottobre 2015
I CONTADINI IMPEDISCONO L’USO DELLE COCCARDE E L’INNALZAMENTO DELLE BANDIERE (ITALIANE ndr)
Una sola volta, nel corso dell’Ottocento, i contadini del Lodigiano, sempre ritenuti «per natura o per indole pacifici, tranquilli e in tutto sottomessi all’autorità» 1 , assumono un atteggiamento di aperta ribellione in proporzioni tali da suscitare la viva preoccupazione del vescovo di Lodi.
Scrive monsignor Gaetano Benaglio in una circolare ai parroci del 15 giugno 1859, pochissimi giorni dopo l’abbandono degli austriaci della città:
«Ci pervenne con grave nostro dispiacere la notizia che in alcune Parrocchie si appalesò tra i contadini un certo spirito ostile al grande movimento nazionale (italiano ndr) che s’effettua innanzi ai nostri occhi, e che in qualche luogo il loro malanimo si spinse sino ad impedire l’uso delle coccarde e l’innalzamento delle bandiere.
Quantunque questo spirito di opposizione sia affatto parziale e non abbia in sè la minima importanza, tuttavia per le dispiacevoli conseguenze a cui potrebbe dar origine dovette naturalmente svegliare la pastorale nostra sollecitudine.
Fedeli pertanto a quei sentimenti di ordine e di conciliazione che lo Episcopale nostro ministero ci detta, Noi esortiamo la S.[ignoria] V.[ostra], ove lo richieda il bisogno della sua parrocchia, ad adoperare tutti i mezzi che le offre il parrocchiale di lei officio onde illuminare le menti e sedare gli animi indisciplinati.
Ed è principalmente a rischiarare i loro spiriti che deve essere rivolta l’anima di un parroco doveroso e zelante. Poiché questi germi di resistenza, che in taluno tra i contadini si mostrano da altro non provengono che dall’ignoranza in cui giacciono da gran tempo intorno ai veri loro interessi e sull’opinione pubblica, che non potè diffondere insino a loro i suoi lumi. In taluni forse questa ritrosia ad associarsi ai sentimenti che animano le Province Lombarde nascerà dalle false idee di cui furono imbevuti sulla libertà, confusa da essi colla religione e con la licenza. Sia cura di V.[ostra] S.[ignoria] di far loro intendere che la libertà che i lombardi si ripromettono non è libertinaggio irreligioso, epperò lasciamo libero alla saggezza di S.[ignoria] V.[ostra] di scegliere all’uopo quegli ammaestramenti che le parranno più opportuni»
2 . 1. M. D. Contri, Sulle condizioni di vita dei contadini della diocesi di Lodi nel corso del secolo XIX sino al primo ventennio unitario), in “Bollettino dell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia”, Milano 1966, I, pp. 81-82. 2. Circolare ai Parroci del vescovo Gaetano Benaglio, 15 giugno 1859, Lodi, p. I, in Archivio parrocchiale di Codogno, cart. Pastorali n. 3.
Le complesse motivazioni di questa protesta contadina andrebbero senza dubbio indagate ulteriormente, tuttavia la circolare del vescovo, chiaramente ispirata dalla preoccupazione di dover rispondere alle accuse al clero dei nuovi governanti (italiani ndr), testimonia il nesso vitale che collegava la condizione dei coloni lodigiani richiamata e gli atteggiamenti di una parte dei parroci nei riguardi di un rivolgimento politico che tendeva in prevalenza ad ignorarla e a non considerarla un vero problema.
L’esistenza di precise accuse di ostilità al nuovo ordine mosse dal Governo al clero lodigiano è ancora documentata da una circolare del vescovo Benaglio datata 17 marzo 1860:
«Sua Eccellenza il signor Governatore di Milano con lettera del 4 corr.[ente] marzo [1860] mi faceva avvertito che in alcune Parrocchie di questa Diocesi si tengono segrete adunanze alle quali intervengono parroci ed altri Eccl.[esiast]ici in cui fannosi discorsi ostili al Governo del Re (d'Italia ndr), invitandomi perciò ad emettere una circolare in cui sia espresso che il R.[egio] Governo (Italaino ndr) procederà con tutto il rigore delle leggi contro quei parrochi ed Ecclesiastici di qualunque ordine ne prendessero parte a simili adunanze. Io risposi al Governatore che nulla mi constava di tali adunanze, anzi che potevo assicurarlo di tutto il contrario, sulla conoscenza che io ho del mio clero e che perciò non giudicavo opportuno emettere una circolare che lo faceva apparire presso il pubblico come ostile all’attuale governo, mentre anzi si professa obbediente e soggetto, non per solo timore, ma specialmente per dovere di coscienza.
Sua eccellenza approvando le mie osservazioni, mi soggiunse che, abbandonato il partito della Circolare, non crederebbe possa aver io difficoltà di ricorrere a qualche altro espediente, perché il mio clero sia reso consapevole delle intenzioni del Governo, e si associ nel proponimento di allontanare ogni pericoloso dissenso, mentre non poteva tacermi che gli consta di alcuni fatti accaduti in questa Diocesi, che sarebbero della natura di quelli sui quali egli richiamava la mia attenzione con l’anzidetta lettera»
La strisciante ostilità di alcuni parroci verso il «nuovo ordine di cose voluto dai piemontesi» ebbe modo di continuare ancora per qualche anno sfociando, in alcuni casi, in aperto contrasto»
Le manifestazioni di ostilità dei contadini al movimento nazionale (italiano ndr) sono state interpretate da F. Della Peruta (I contadini nella rivoluzione lombarda del 1848, in Movimento Operaio”, V , 1953, n. 4, p. 558) nel senso di un rifiuto ad una rivoluzione sentita come estranea al desiderio di «migliori e più umane condizioni di esistenza».
M. D. Contri, Sulle condizioni di vita dei contadini della diocesi di Lodi nel corso…, p. 82. 5. Copia manoscritta della Circolare di mons. Gaetano Benaglio del 17 marzo 1860, pp. 1-3, in Archivio parrocchiale di Codogno, cart. Varie n. 8; il testo è riportato anche da M. D. Contri, Sulle condizioni di vita dei contadini della diocesi di Lodi nel corso…, p. 82. Sul “patriottismo” del vescovo di Lodi v. A. Caretta, Noterelle di storia ecclesiastica lodigiana (quinta serie), in “A.S.Lod.”, Lodi 2003, 102-106.
Eclatanti saranno i casi dei sacerdoti barasini Bassano Dedè e Domenico Savarè; sulle loro vicende v. S. Angelo ricorda il centenario del monsignor Dedè e Salvò S. Angelo dall’Austria, entrambi gli articoli in “Il Cittadino”, rispettivamente 14 febbraio 1992 e 4 settembre 1995.
(dai post dei lettori, by Stefano Rossi).
E' solo uno degli episodi della saga dei contadini del lodigiano, che già nel 1848 accoglievano "freddamente" i Sardi come da essi stessi testimoniato. Ci fu anche un episodio di contadini che uccisero dei soldati del Regno di Sardegna e furono poi fucilati dagli invasori, molte altre fonti riportano che i contadini allagarono le campagne per rallentare l'esercito sardo-piemontese. Il 23 esimo Reggimento "Ceccopieri" di Lodi non ebbe modo di combattere molto contro i sardi e gli italiani perchè si trovava in Austria sia nel 1848 quando difese Vienna dai rivoluzionari che successivamente e nel 1866 quando a Königgsratz ebbe moltissime perdite; solo i granatieri misti ad altre formazioni ebbero l'occasione di sparare sugli invasosri ma la loro storia è dispersa in quella delle altre formazioni e per il momento non siamo in grado di dirVi quanti lodigiani furono decorati per aver difeso la loro terra.
Fonte: Vota Franz Josef
venerdì 30 ottobre 2015
‘La Siria tra escatologia e dinamica politica’ (Perché la Siria? – IV ed ultima parte)
Fonte: http://www.radiospada.org/
Perché la Siria? Cristiani, guerre ed escatologia
La conferenza “Perché la Siria? Cristiani, guerre ed escatologia” è stata tenuta il 23 ottobre 2015 presso il “23° Convegno di Studi Cattolici” da Andrea Giacobazzi, collaboratore di Radio Spada. Riportiamo le trascrizioni delle quattro parti:
IV ed ultima parte
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Passato, futuro, eterno: la Siria tra escatologia e dinamica politica
L’ineludibilità dell’aspetto escatologico, già lambito qui e altrove[1], in ordine alla comprensione della dinamica politica siriana (e, più in generale, del Vicino e Medio Oriente) trova nell’analisi dei culti e delle “sette” della regione una serie di riscontri la cui complessità risulta inestricabile rispetto al tema affrontato.
A Damasco, nella Grande Moschea degli Omayyadi, si può incontrare il “minareto di Gesù”[2]. L’associazione della parola “minareto” – ovvero il “faro” (in arabo: manār), la “torre”, presente in quasi tutte le moschee, dalla quale il muezzin chiama alla preghiera – al Nome di Gesù non deve stupire, dato il valore importantissimo (ma pur sempre erroneo e gravemente diminutivo) conferito dall’Islam a Nostro Signore. Ciò che risulta più singolare è che, secondo una tradizione locale, sarà il luogo ove “apparirà nel giorno del giudizio”[3].
Questo non è che un fugace esempio volto a rappresentare l’articolato quadro che ci troviamo di fronte. Vedremo nelle prossime parti come da un lato il ruolo dell’escatologia sia rafforzato dal carattere islamico-intransigente – oltre che iconoclasta – di alcune forze in campo, dall’altro dalle tensioni settarie che si vanno esacerbando nel contesto preso in esame.
Lo stesso tema dell’ISIS – presunto “califfato” – trova ampi riscontri difficili da ignorare. Damasco fu la capitale del primo califfato islamico esteso (omayyade, 660 – 750 d.C)[4]. Questa sola circostanza “basterebbe leggere in un’altra ottica l’attuale scontro in Siria, paese che per la filosofia jihadista e l’escatologia islamica rappresenta l’ultimo campo di battaglia, la terra della resurrezione, dell’epopea e del giorno del giudizio”[5]. Non solo: in relazione a quanto detto, va sottolineato come in alcuni aḥadīth, Maometto descriva
questa regione e i suoi abitanti come una benedizione. Dunque è questo che Bilād al-Šām* rappresenta per l’Islam: una terra sacra che conferisce al jihād ivi combattuto una sacralità maggiore rispetto ad altri fronti. […] come profetizzato da Maometto, quella di Bilād al-Šām è la terra della battaglia epica contro l’infedeltà, che si concluderà con il ritorno del califfato[6].
L’accentuazione, di stampo islamico-intransigente, che si è progressivamente manifestata tra le forze di opposizione al governo Assad ha dato luogo a primi segnali già negli anni scorsi: elementi inizialmente deboli ma che letti con la consapevolezza di oggi, non possono che confermare l’inevitabile importanza delle dinamiche religiose nel quadro del Vicino Oriente. Nel 2013 su Limes si annotava:
Già alla formazione dell’esercito siriano libero (l’opposizione ad Assad), accanto a denominazioni generiche si rinvenivano nei nomi delle brigate richiami a personaggi o a eventi dell’Islam storico, dai primi califfi ai primi conquistatori, alle prime battaglie dei musulmani contro i sasanidi o le tribù della Mecca. Questi richiami, non necessariamente collegati al sunnismo, potevano essere letti come semplici riferimenti a un comune retroterra culturale e religioso che spezza il legame con la retorica nazionalista del regime, senza tuttavia introdurre quelle dello scontro settario[7].
L’avanzamento dell’involuzione fondamentalista è dipeso in buona parte dal contesto regionale, anche attraverso l’abbattimento di simboli con alle spalle storie che li rendevano particolarmente significativi. Questa escatologia deviata, inevitabilmente si dovuta nutrire anche di questo per evocare immagini di “purificazione”.Già negli anni scorsi abbiamo dovuto soffermare l’attenzione sul curioso (e vasto) fenomeno “degli islamici che distruggono santuari islamici”. Una sorta di “protestantesimo” musulmano – perdonerete la semplificazione – che in relazione al “culto locale dei santi” (degli awliyâ’, presenti nell’Islam) reagì come se si trovasse di fronte a materiale “blasfemo” o da “idolatri”. Se questo atteggiamento di salafiti, wahhabiti e altri, è ormai consegnato all’evidenza della storia recente, ancor più evidenti e chiare appariranno le ragioni che hanno portato i militanti del “califfato” a radere al suolo alcune tra le più straordinarie ricchezze archeologiche del sito siriano di Palmira, in particolare alcuni templi pagani come il celeberrimo tempio di Bel.
Un’operazione non così diversa dall’abbattimento delle imponenti ed antichissime statue dei
, avvenuto nel marzo del 2001 ad opera degli iconoclasti talebani. Se la purificazione (dagli idoli) della terra conquistata è un elemento non secondario per la comprensione delle dinamiche in corso, a maggior ragione lo sarà in una area di abbondantissime risorse archeologiche come la Siria.
Palmira e lo stesso tempio di Bel, hanno tra l’altro importanti implicazioni bibliche. Nel Secondo Libro delle Cronache si parla di “Tadmôr del deserto”. Fonti antiche “testimoniano l’importanza della città non solo in età romana ma già nel periodo ellenistico”[8]. “Bel e il drago[9]” è un duplice racconto presente nel Libro di Daniele, il valore dello scritto è doppiamente significativo perché narra di un forte episodio di retta anti-idolatria biblica e perché “deuterocanonico”: ovvero ritenuto canonico dalla Chiesa Cattolica ma non dai protestanti.Palmira venne incorporata nell’impero romano durante il regno di Tiberio con lo statuto di città tributaria e le tracce di un culto assimilabile a quello descritto sono chiare:
Nel santuario di Bel v[enn]e eretto un gruppo santuario bronzeo con Tiberio suo figlio Druso e suo nipote germanico. […] L’edificazione del più importante monumento della città, il santuario di Bel, corrisponde all’entrata della città nell’impero romano. Questo edificio, uno dei più spettacolari è meglio conservati della regione, È sorto sul luogo consacrato fin dai tempi remoti alla divinità ancestrale della città, al Bôl (“Signore”, nella forma dialettale prearamaica). Sotto l’influenza babilonese il suo nome diventa Bel (“Signore”, in accadico) all’inizio dell’età ellenistica o forse è già in età achemenide. Il carattere cosmico di Bel lo fa assimilare a Zeus, Zeus-Belos.[10]
Durante il regno di Ciro in Babilonia, si peccava riconoscendo Bel come superiore al Dio d’Israele, a questo idolo si elargivano ogni giorno “dodici misure di farina del frumento più puro, quaranta pecore e sei gran vasi di vino”[11]. Ad un momento, si chiese al profeta Daniele perché non offrisse anche lui a Bel, ed egli rispose di credere in un altro Dio decidendo di sfidare i sacerdoti: se Bel avesse mangiato realmente tutte le offerte, Daniele si sarebbe consegnato alla morte perché mentitore, in caso contrario, sarebbero morti i sacerdoti di Bel. Questi idolatri volevano barare, ed entrando di soppiatto nel tempio consumarono le offerte. Daniele però aveva sparso cenere sul pavimento e al momento della verifica da parte del re, gli disse di controllare per terra. Scoperto l’inganno, il re fece uccidere gli imbroglioni e consegnò l’idolo affinché lo si distruggesse.
Tra fine agosto e inizio settembre 2015, fu reso noto che i militanti dell’ISIS avevano provocato un’esplosione nel patio del tempio e lo avevano raso al suolo[12]. Risulta semplice notare che Daniele smantellò un idolo “attivo” e pericoloso per la Fede nel suo tempo, mentre i miliziani del “califfato” si accaniscono contro un’inerte ricchezza archeologica consegnata alla storia da tempo immemore.
Si permetterà inoltre una battuta sul carattere ipocrita e falso di certe affermazioni circa “Palmira, patrimonio dell’umanità”: ancora una volta questi umanitarismi, tanto banali quanto assurdi, dimostrano la loro vacuità: la tanto sbandierata “umanità” è forse intervenuta per salvare Palmira? No, perché essa ora – piaccia o no – è “patrimonio” dell’ISIS, non nelle parole ma nei fatti.
Tornando al tema in esame va notato che, come accennato, il “peso” dell’escatologia è strettamente connesso con l’importanza del ruolo giocato da determinate fazioni e della carica simbolica che certi atti implicano. Utilizzando questa prospettiva, ancor più evidente sarà il legame con il mosaico “settario” tipico della Siria, terra di culti vicini e talvolta incompatibili, di antichi rancori e nuove vendette. Basti pensare alla cosiddetta “eresia” alauita (di stampo islamico-sciita ma in poco assimilabile ad altre tendenze di questo ramo), a cui fa riferimento la famiglia presidenziale siriana e una parte non trascurabile della classe dirigente.
In un Paese a maggioranza sunnita, non solo caratterizzato – come molte altre aree del Vicino e Medio Oriente – da frizioni “sunniti contro sciiti” ci troviamo di fronte al caso di un presidente facente riferimento ad un gruppo minoritario e storicamente disprezzato, talvolta considerato estraneo all’Islam stesso e guardato con sommo disprezzo dalla orde “fondamentaliste” e “puriste” trattate poco fa. I motivi sono facilmente riscontrabili: la dottrina alauita o Nuṣayrī implica una venerazione per ‘Ali (cugino primo e genero di Maometto) al punto di considerarlo come divino. Già questo elemento ci può far intuire quanto possano essere invisi a “puristi” e “iconoclasti”. Non a caso Maometto, in ambito alauita,
occupa un posto secondario, è un velo che maschera il significato incarnato da ‘Ali. Il terzo personaggio della trinità è Salmān compagno del profeta, la porta della conoscenza. Questi tre personaggi sono rappresentati da simboli astrali: ‘Ali è la luna, Maometto il sole, e Salmān il cielo. L’esistenza di una trinità ha spinto Henry Lammens a supporre che gli alauiti fossero dei cristiani rifugiatisi sulla montagna durante l’espansione musulmana. Sosteneva Louis Massignon che questa triade derivasse dall’antico gnosticismo astrale orientale mantenuto in certe sette del cristianesimo e dell’Islam. Oltre la devozione mistica per ‘Alì, l’originalità della dottrina risiede nella credenza nella reincarnazione. Un fatto che, unito al carattere segreto della dottrina, alla mancanza di moschee, Alla tolleranza dell’alcol, all’assenza dell’obbligo del velo e all’isolamento e alla povertà in cui vivevano gli alauti, ha contribuito a diffondere leggende infamanti sul loro conto da parte dei musulmani stessi[13].
L’ipotesi di una loro “origine cristiana” è tanto affascinante quanto inquietante, se si pensa a quanto si possa finire lontano dal vero quando si lascia socchiusa la porta all’indifferentismo e al sincretismo. Nella descrizione di questa dottrina, l’Enciclopedia Cattolica, aggiunge alcuni elementi interessanti:
Da ‘Ali procede Maometto e da questo Salmān, che crea il mondo e lo governa con l’aiuto di altre cinque entità. Se fin qui l’emanazionismo mette ancora un sottilissimo velo sull’identificazione di ‘Ali con Dio, la formola della fede è più esplicita: “Non v’è Dio fuor che ‘Ali figlio di Abū Ṭālib”. […] La vicinanza dei cristiani ha aggiunto [alle feste proprie degli alauiti] il Natale, l’Epifania, le Palme, La Pentecoste e Santa Barbara[14].
Gli alauiti non vanno confusi con gli aleviti (islamici che pure hanno un orizzonte spirituale “trinitario”). Nel complesso quadro religioso siriano, che va dalla setta dei drusi fino agli sciiti duodecimani, dagli sciiti ismailiti fino alle mille anime del sunnismo, il caso alauita è probabilmente uno dei più particolari, per non parlare di alcuni gruppi come quello degli yazidi, addirittura definiti “adoratori del diavolo”[15] per il loro culto sincretistico e massacrati, anche a causa di questo, dagli epigoni del Califfato.
Alla luce di quanto affermato sugli sviluppi politici di certo Islam “purista”, se aggiungiamo l’ossessione di questo per il pericolo dell’ “associazionismo”(shirk, la presunta attribuzione a Dio di altri “pari”, ad esempio per il “culto dei santi”, awliyâ’, diffuso nello stesso Islam) e il fatto che l’apparato dirigenziale siriano veda tra le sue fila soggetti dalle appartenenze religiose più varie (con una stretta collaborazione tra alauiti e cristiani), le cause della violenza presente sul campo di battaglia, ci parranno più chiare. Il problema dello shirk, con tutte le accuse di politeismo che esso implica, finisce per essere un esempio lampante di come una questione teologica si declini facilmente nella dinamica politica, talvolta con esiti nefasti. La demonizzazione[16] degli sciiti da parte delle frange sunnite di stampo salafita/wahhabita con il ricorso al tema dello shirk, è un fatto centrale nella storia recente.
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Per vedere le parti precedenti:
‘La fama di Lui per tutta la Siria’ (Perché la Siria? – I parte) => http://wp.me/p3Bugf-5II
‘Siria, Terra Cristiana’ (Perché la Siria? – II parte) => http://wp.me/p3Bugf-5IP
‘Trincee della Cristianità: millenario campo di battaglia’ (Perché la Siria? – III parte) => http://wp.me/p3Bugf-5IT
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[1] A. Giacobazzi, Il “protestantesimo” islamico tra teologia politica e avanzamento del caos, La Tradizione Cattolica, n. 2, 2013 (87).
[2] G. D’Agostino, Sulle vie dell’ Islam: Percorsi storici orientati tra dottrina, movimentismo politico-religioso e architetture sacre, Gangemi Editore, p. 51.
[3] G. Zizola, L’ultimo trono, Ed. Sole 24 Ore, 2001, p. 275.
[4] M. Galletti, Storia della Siria contemporanea, Bompiani, 2006.
[5] B. E. Selwan Khoury, Bilād al-Šām, ritorno al califfato, in: Limes, Guerra mondiale in Siria, Marzo 2013, 2/13, p. 125. / *Semplificando si può dire che con il termine Bilād al-Šām ci si riferisce generalmente alla “Grande Siria”, ovvero all’incirca all’area comprendente Siria, Libano, Palestina, Giordania e una parte della Turchia meridionale.
[6] Ivi, p. 129 / *Il termine Bilād al-Šām è generalmente associabile alla Siria, sebbene i suoi confini non coincidano con l’attuale repubblica araba.
[7] L. Delich, Si fa presto a dire jihād, [nella raccolta: Chi comanda dove? Per una mappatura della rivolta siriana], in: Limes, Guerra mondiale in Siria, Marzo 2013, 2/13, pp. 67-68.
[8] D. Wielogsz, Tamdôr nel deserto. La città greco-romana, in: AA.VV., a cura di M. Guidetti, Siria, Dalle antiche città-stato alla primavera interrotta di Damasco, JacaBook, 2006, p. 42.
[9] In riferimento al drago (o dragone) citato nel libro di Daniele: “il serpente in Babilonia era venerato come simbolo di Ea, dio della scienza”. (Cfr.: La Sacra Bibbia, traduzione a cura del Padre E. Tintori, OFM, Pia Società San Paolo, 1945, p. 1408).
[10] D. Wielogsz, Tamdôr nel deserto. La città greco-romana, in: AA.VV., a cura di M. Guidetti, Siria, Dalle antiche città-stato alla primavera interrotta di Damasco, JacaBook, 2006, p. 47.
[11] A. Calmet, La storia dell’antico e nuovo testamento, Venezia, Tipografia Rosa, 1821, p. 359.
[12] Isis, Onu conferma: «Raso al suolo l’antico tempio di Bel a Palmira», IlSole24Ore.it, 2 settembre 2015.
[13] F. Balanche, Il feudo degli alauiti, in: Limes, Guerra mondiale in Siria, Marzo 2013, 2/13, p. 100-101.
[14] Enciclopedia Cattolica, Volume VIII, Città del Vaticano, 1952, col. 2042.
[15] Chi sono gli Yazidi?, Radio Spada (radiospada.org), 26 agosto 2014.
[16] P. Clarke, The Oxford Handbook of the Sociology of Religion, Oxford University Press, Oxford, 2009, p. 548.
giovedì 29 ottobre 2015
Proclama del Feldmaresciallo Radetzky (Verona, 19 marzo 1853)
Proclama del Feldmaresciallo Radetzky che concede una amnistia nei confronti di tutti coloro che, in misura minore rispetto agli agitatori politici già processati a Mantova, hanno collaborato in attività il cui fine era quello di minare l'ordine pubblico e che, in sede di processo, hanno espresso pentimento.
Verona, 19 marzo 1853
Fonte: Regno Lombardo Veneto / Königreich Lombardo Venetien
Verona, 19 marzo 1853
Fonte: Regno Lombardo Veneto / Königreich Lombardo Venetien
LA SALVEZZA STA NEL RITORNO ALLA PACE SOCIALE (Estratto dall'opera di mons. Delassus "Il Problema dell'ora presente" Tomo II°)
Busto di Socrate conservato nei Musei Vaticani. |
La Francia, che aveva preceduto e guidato le nazioni moderne nelle vie della civiltà, fu la prima ad
uscirne. Potrà ella rientrarvi? e come potrà farlo?
Si dimandava un giorno a Socrate, qual rimedio conveniva apportare ai mali che affliggevano i
Greci. Egli rispose: "I Greci devono fare quello che facevano quando erano felici e prosperi". Leone
XIII similmente disse: "Con ragione si prescrive a chi vuol rigenerare una società qualunque in
decadenza, di ricondurla alla sue origini".(1) Nelle origini e nei tempi di prosperità e di benessere,
le diverse classi della società aveano fondato i loro rapporti sui sentimenti che regnavano intorno al
focolare domestico e che, raggiando di luogo in luogo, aveano finito per costituire la nazione.
Man mano che questi sentimenti si affievolirono, i legami naturali si rilassarono, e poi si spezzarono
gli uni dopo gli altri. Ed oggi, perché la società possa ancora sussistere, fa mestieri sostituirli con
legami artificiali, con tutto un insieme di mezzi immaginati ed istituiti a misura che si producevano
minaccie di rovine nella società, per mantenere in un certo ordine le diverse membra sociali, farle
Si è in tal modo che ebbe origine il regime amministrativo inaugurato da Luigi XIV, costituito dalla
Rivoluzione, affermato e sanzionato da Napoleone I.
"Questa nazione - diceva l'Imperatore - è tutta dispersa e senza coerenza; bisogna rifare qualche
cosa, bisogna gettar sul suolo qualche base di granito". Le basi ch'egli gettò furono le istituzioni
amministrative. Niente havvi in esse di granitico. Le istituzioni solide e durature sono quelle che
uniscono uomini che hanno i medesimi principii, i medesimi sentimenti, i medesimi interessi.
Il regime amministrativo non ha nessuna radice nelle anime; esso è interamente costituito di
regolamenti rigidi, applicati da uomini che hanno l'inflessibilità della macchina della quale essi non
sono che gl'ingranaggi. La macchina amministrativa tutto piega, tutto trita, anche le coscienze; ma
non può mancare che succeda quello che accade ad ogni macchina, che cioè un giorno o l'altro si
rompa e vada in frantumi. Già si fanno intendere da ogni parte ed in ogni cosa sinistre esplosioni
precorritrici della catastrofe finale.
Avremo noi la sorte delle società antiche? Spariremo in questo disastro? O potremo noi
ricostituirci? Il cristianesimo ci offre degli espedienti che il paganesimo non conosceva.
Esso ha saputo raccogliere gli avanzi delle civiltà antiche, ed animandole del suo spirito, da quelle
rovine ha fatto sorgere la civiltà moderna. Potrà restaurarla e renderci la vita? Certamente lo può,
purché noi lo vogliamo.
San Dionigi l'Areopagita |
Esso è la pura sorgente della carità, cioè del più potente principio generatore delle scambievoli
affezioni, della devozione, del rispetto, della fedeltà, di tutto ciò che assicura la stabilità, di tutto ciò
che i nostri avi aveano racchiuso in questa parola "La pace".
San Dionigi l'Areopagita, le cui idee ebbero nel medio evo una sì grande influenza, nel suo libro De
nominibus divinis l'ha celebrata in questi termini:
"Ed ora onoriamo colla lode delle sue opere armoniche la pace divina, che presiede ad ogni
alleanza. Poiché, essa è che unisce gli esseri, che li concilia, e produce fra di loro una perfetta
concordia; perciò tutti la desiderano, ed essa riconduce all'unità la loro moltitudine così svariata;
combinando le loro forze naturalmente opposte, essa pone l'universo in uno stato di regolarità
tranquilla.
"I primi fra gli spiriti conciliatori, in grazia della loro partecipazione alla divina pace dapprima sono
uniti con se stessi, poi gli uni cogli altri, infine col Sovrano autore della pace universale; e che, per
un effetto ulteriore, essi uniscono le nature subalterne con se medesime, e fra di loro, e colla causa
unica dell'armonia generale ... Da questa causa sublime ed universale, la pace discende su tutte le
creature, è loro presente, le penetra custodendone la semplicità e la purità della sua forza; essa le
ordina, ravvicina gli estremi coll'aiuto degli intermedi e così le unisce come con legami di
scambievole concordia".(2)
Questi pensieri sì elevati avevano penetrato le anime. Citiamo come esempio "la carità" onde il
conte di Fiandra, Baldovino III, dotò nel 1114 la città di Valenciennes.
"In nome della Santa Trinità, pace a Dio, pace ai buoni ed ai cattivi. Parliamo della pace, miei
carissimi fratelli, per vostro profitto. La pace deve essere ricercata, deve essere custodita, poiché
nessuna cosa è più dolce e più gloriosa. La pace arricchisce i poveri e mette le ricchezze in onore, la
pace toglie ogni timore, reca sanità e confidenza. Chi potrebbe enumerare tutti i suoi benefici? Le
divine Scritture dicono a sua lode: "Oh Dio! quanto son belli i piedi di colui che annunzia la pace e
la buona novella!". E poiché la pace è tanto degna di lode ed abbonda di tanto bene, amatela, miei
cari fratelli, con tutto il vostro cuore, tenetela nel vostro pensiero, custoditela con tutte le forze,
affinché per essa, possiate vivere in onore e pervenire alla pace eterna della quale nostro Signore ha
detto: "Io vi do la mia pace"".
Nella stess'epoca, la confraternita dei mercanti di panno della stessa città pubblicava le sue
ordinanze, delle quali ecco il preambolo: "Fratelli, noi siamo immagine di Dio, poiché nella Genesi
sta scritto: "Facciamo l'uomo ad immagine e somiglianza nostra". In questo pensiero noi ci uniamo,
e, coll'aiuto di Dio potremo compiere l'opera nostra, se fra noi sarà diffuso l'amor fraterno; poiché
dall'amore verso il suo prossimo si sale a quello di Dio. Dunque fratelli, nessuna discordia esista fra
noi, secondo la parola del Vangelo: "Io vi do un nuovo comandamento di amarvi scambievolmente,
com'io ho amato voi, e conoscerò che voi siete miei discepoli se vi amerete gli uni e gli altri"".
Riproducendo questi documenti che furono atti, ed atti che produssero per secoli l'effetto pel quale
erano stati posti, vogliamo noi dire che bisogna ritornare alla feudalità od agli stretti limiti delle
corporazioni d'allora? No certamente. Non si può tornare alle forme sociali del passato, è cosa
impossibile, e non è il caso di punto dolersene. Ma quello che fa mestieri e che basta, si è di
restaurare nei cuori i nobili sentimenti che inspirarono le istituzioni del passato, e nella società i
rapporti che questi sentimenti produssero. Da questi sentimenti e da questi rapporti sorgeranno
nuove istituzioni conformi allo stato presente della società.
Papa Leone XIII |
Leone XIII non ha cessato di esortare a questo. Commentando la parola di san Paolo ai Colossesi:
"Ma sopratutto abbiate la carità che è il vincolo della perfezione", - egli dice: "Sì, veramente, la
carità è il vincolo della perfezione ... Nessuno ignora qual fu la forza di questo precetto della carità,
e con qual profondità, fino dal principio, si è radicata nel cuore dei cristiani e con qual abbondanza
produsse frutti di concordia, di mutua benevolenza, di pietà, di pazienza, di coraggio! Perché non ci
applicheremo noi ad imitar gli esempi dei padri nostri? Il tempo stesso in cui viviamo non deve
eccitarci mediocremente alla carità".(3)
"Noi innanzi tutto vi raccomandiamo la carità sotto le sue svariate forme, la carità che dona, la
carità che unisce, la carità che riconduce, la carità che illumina, la carità che fa il bene con le parole,
cogli scritti, colle riunioni, mediante le società, mediante i mutui soccorsi. Se questa sovrana virtù si
praticasse secondo le norme dell'evangelio, la società andrebbe assai meglio".(4)
"Per scongiurare il pericolo che minaccia la società, né le leggi umane, né la repressione dei giudici,
né le armi dei soldati sarebbero sufficienti; quello che massimamente importa ed è indispensabile, si
è che si lasci alla Chiesa la libertà di far rivivere nelle anime i precetti divini, di estendere la sua
salutare influenza su tutte le classi della società".(5)
"E siccome nel passato, contro le orde dei barbari, non ha potuto prevalere nessuna forza materiale,
mentre al contrario la virtù della religione cristiana, insinuandosi negli animi fece sparire la loro
fierezza, raddolcì i loro costumi, li rese docili alla voce della verità e della fede evangelica, così
contro i furori delle moltitudini sfrenate non vi potrebbe essere riparo sicuro senza la virtù salutare
della religione, la quale, diffondendo nelle intelligenze il lume della verità, inspirando nei cuori i
principii della morale di Gesù Cristo, farà intender loro la voce della coscienza e del dovere, e porrà
un freno alle cupidigie prima ancora che si pongano in atto, e smorzerà l'impeto delle malvagie
passioni".(6)
Scongiurare il pericolo della situazione presente, non è che il primo servigio che può renderci il
ritorno alla carità cristiana. Spetta pure ad essa di ristabilire la società nella sua vera costituzione.
"Siccome nel corpo umano, i membri, malgrado la loro diversità, meravigliosamente si adattano
l'uno all'altro in guisa da formare un tutto esattamente proporzionato e si potrebbe dire simmetrico,
così, nella società, le due classi sono destinate dalla natura ad unirsi armonicamente ed a tenersi
scambievolmente in un perfetto equilibrio. Esse hanno un imperioso bisogno l'una dell'altra: non
può esistervi capitale senza lavoro, né lavoro senza capitale. La concordia partorisce l'ordine e la
bellezza; al contrario, da un perpetuo conflitto, non può risultare che la confusione e la lotta
selvaggia".(7)
"Far cessare l'antagonismo fra ricchi e poveri non è il solo fine a cui tende la Chiesa, istruita e
diretta da Gesù Cristo, essa porta più in alto le sue mire, propone un codice di precetti più completo,
perché ambisce di ripristinare l'unione delle due classi fino al punto di unirle scambievolmente coi
nodi di una vera amicizia".(8)
Sarà troppo poco dire della semplice amicizia; se si obbedisce ai precetti del cristianesimo, è
nell'amore fraterno che si opera l'unione di tutti, ricchi e poveri".(9)
Reintegrata nei cuori, questa carità si stabilirà quasi da se stessa nelle istituzioni, per poco che lo si
voglia.
"Quello che noi chiediamo si è che si cementi nuovamente l'edificio sociale ritornando alle dottrine
e allo spirito del cristianesimo, facendo rivivere, almeno quanto alla sostanza, nella loro virtù
benefica e molteplice, e nella forma che possono permetterlo le nuove condizioni dei tempi, quelle
corporazioni d'arti e mestieri che un tempo, informate dal pensiero cristiano, e inspirantisi alle
materne sollecitudini della Chiesa, provvedevano ai bisogni materiali e religiosi degli operai,
facilitavano loro il lavoro, si prendevano cura dei loro risparmi e delle loro economie, difendevano i
loro diritti, e appoggiavano, nei debiti modi, le loro rivendicazioni".(10)
Le corporazioni ristabilite, non nella loro costituzione antica, ma nel loro spirito, in quello spirito di
cui parla Leone XIII, contribuirebbero assai al ripristinamento della "pace".
Un illustre naturalista ha creduto di poter dare alle sue diligenti osservazioni questa conclusione:
"La lotta per l'esistenza è la legge del regno animale. Lo studio della storia permette di assodare
colla massima certezza che una delle principali leggi dell'umanità è "l'unione per la vita"".
Nostro Signore G. C. ne prescrisse la pratica in questi termini: "Fate agli altri quello che volete sia
fatto a voi stessi". "Questa formola - dice il padre Gratry - più breve è più semplice di quella
dell'attrazione, forma, come la legge degli astri, un principio completo, il principio d'una scienza più
ricca, più bella, più importante di quella del cielo stellato. Ecco la legge primitiva, la legge morale,
unica causa di tutti gli umani progressi".(11) Difatti la prosperità si stabilisce e si diffonde
dovunque questa legge è osservata, così nelle nazioni come nelle tribù, così nelle corporazioni come
nella famiglia. Al contrario, la discordia, la guerra, la rovina, si stabiliscono dappertutto, dove
questa legge cessa di essere rispettata.
L'accordo per la vita ha la sua prima sede nella famiglia. Essa s'impone da prima colle più evidenti
ragioni e coi più forti sentimenti. "L'amore suscitato dal vincolo di sangue, - disse M. Jacques - la
comunanza di vita e di pericolo, il bisogno di protezione in comune sotto l'egida d'un capo, danno
origine alla solidarietà domestica". Le tribù non si sono costituite se non là dove i medesimi
sentimenti hanno prodotto il medesimo effetto, se non là dove il bisogno di concordarsi per la vita,
irradiando al di là del focolare domestico, attrasse le forze vicine, e le fece concorrere ad un
maggiore sviluppo di azione e di vita. Le nazioni stesse non si sono formate in altra guisa.
Se tale è la legge della formazione della società, se l'accordo per la vita è benanco la legge
dell'umanità, e se questa legge ha il suo principio nella famiglia, che cosa bisogna fare, quando una
società comincia a dissolversi, per arrestare questa dissoluzione? Risalire al principio; far rivivere la
legge, e per riaccendere questa fiamma, riprenderne la scintilla nel suo focolare, il focolare di
famiglia.
I Francesi erano felici e prosperi, quando la famiglia era presso di essi solidamente costituita,
quando lo spirito di famiglia animava l'intera società, il governo del paese, della provincia, della
cittadinanza, e presiedeva ai rapporti delle classi fra loro.
Oggi da noi la famiglia non esiste più che allo stato elementare. Ricostituirla è opera fondamentale,
senza della quale ogni tentativo di rinnovazione rimarrà sterile. La società non sarà mai rigenerata
se prima non lo è la famiglia. "Nessuno ignora - così Leone XIII - che la prosperità privata e
pubblica dipende principalmente dalla costituzione della famiglia". (12)
Note:
(1) Enciclica Rerum novarum.
(2) Cap. XI, traduzione di Monsignor Darboy.
(3) Enciclica Sapientiae christianae.
(4) Discorso al patriziato romano, maggio 1893.
(5) Discorso agli operai francesi, 20 ottobre 1889.
(6) Lettera agli Italiani.
(7) Enciclica Rerum novarum. Più sopra al capitolo ... consideravamo il lavoro-prodotto, o l'oggetto
lavorato. Ma prima d'essere un oggetto lavorato, il lavoro è stato un atto, una spesa di forze umane,
è stato travail-labeur in cui l'uomo ha messo il suo tempo, esercitato la sua intelligenza e la sua
capacità professionale. Nell'officina, come nella domesticità, la materia del contratto che interviene
tra il padrone che dà il lavora e l'operaio, non è soltanto l'opera da produrre, ma la persona chiamata
a produrla. Dal che ne segue che il contratto lega queste due persone l'una all'altra. Ne segue ancora,
come disse Roquefeuil, che il vincolo formato è un vincolo morale che mette l'uno in una posizione
superiore e l'altro in una posizione inferiore. Ora per ciò stesso che havvi vincolo di dipendenza o di
superiorità, havvi obbligazione di patronato, di paternità da una parte e di figliazione dall'altra, ed
ecco perché le questioni che riguardano il lavoro interessano tutt'insieme la religione, la morale e la
politica.
(8) Enciclica Rerum novarum.
(9) Ibidem.
(10) Agli operai francesi, 20 ottobre 1889.
(11) La legge morale e la legge della Storia, t. I, p. 11.
(12) Lettera sulla famiglia cristiana, 14 luglio 1892.
‘Trincee della Cristianità: millenario campo di battaglia’ (Perché la Siria? – III parte)
Fonte: http://www.radiospada.org/
Perché la Siria? Cristiani, guerre ed escatologia
La conferenza “Perché la Siria? Cristiani, guerre ed escatologia” è stata tenuta il 23 ottobre 2015 presso il “23° Convegno di Studi Cattolici” da Andrea Giacobazzi, collaboratore di Radio Spada. Riportiamo le trascrizioni delle quattro parti:
III parte
***
Trincee della Cristianità: la Siria come millenario campo di battaglia
La Siria, possiamo ormai dirlo, non fu solamente una “terra cristiana” o un privilegiato campo di battaglia per la Chiesa militante. Questa area fu, e lo vedremo anche in seguito, un fondamentale crocevia escatologico, una regione contesa per la sua valenza strategica, tanto nel campo politico quanto in quello religioso. Ciò che inevitabilmente constateremo sarà il parziale ripetersi nelle fasi storiche siriane di situazioni affini a quella attuale, in cui le forze sul campo terreno rappresentavano e rappresentano qualcosa di più significativo di un semplice confronto tra potenze umane.
Già ai tempi dell’imperatore Eraclio si potevano intravedere modelli di conflitto che valicavano ampiamente l’epoca in cui si manifestavano, si pensi ai sentimenti favorevoli degli ebrei verso la conquista musulmana, considerando “i conquistatori arabi come salvatori. Non a caso il ritorno di ebrei a Gerusalemme avvenne sotto l’ombrello della protezione arabo-musulmana, così come pare certo che anche i cristiani monofisiti* guardassero la conquista musulmana favorevolmente, in considerazione del detestato governo bizantino”[1].
Il ruolo di determinate forze centrifughe nella transizione da un “vecchio ordine” ad un “nuovo ordine” è un dato ovviamente ineliminabile nell’intera storia umana. In modo analogo, la gradualità della sostituzione delle caratteristiche fondanti di un ordine rispetto ad un altro, risulta altrettanto frequente, seppur in forme diverse. Si pensi, in relazione al periodo successivo alla conquista araba della Siria, che
Il greco rimase lingua ufficiale, non ci furono spostamenti di popolazione e le poche moschee costruite furono alzate ai margini dei centri cittadini le cui componenti culturali e materiali rimasero intatte. Senza soffermarci sull’argomento, si può ben dire che il vero trait d’union, che incolla il periodo umayyade a quello bizantino, sia la fecondità delle comunità cristiane locali la cui produzione artistica e architettonica non subisce traumi lungo il VII secolo […][2]
La situazione, come noto, cambierà significativamente in seguito. Ciò che non muterà sarà il ruolo centrale della Siria, ancora al tempo delle Crociate e fino alla resistenza “nazionale” araba antiottomana. In relazione a quest’ultimo aspetto sarà curioso notare come le frizioni rispetto ai turchi ottomani saranno un fatto rilevante che accomunerà in secoli diversi, e per ragioni distinte, i siriani e i cristiani europei. Si guardi, tra le altre, alle battaglie di Belgrado (1456, cui prese parte San Giovanni da Capestrano), Lepanto (1571, la cui coalizione cristiana fu promossa da San Pio V), Vienna (1683, che vide coinvolto il Beato Marco d’Aviano): l’avanzata turca e i tentativi di assoggettare le terre europee incarnavano ambizioni di dominio simili a quelle che, per altri versi, vedevano colpite le popolazioni arabe sottomesse alla “Sublime Porta” alla vigilia della Prima Guerra Mondiale.
Se le battaglie appena citate erano una sostanziale prosecuzione sul territorio europeo di quella “tutela della Cristianità” che toccò il suo apice con le Crociate, va detto che le stesse Crociate ebbero in Siria un teatro fondamentale, in cui si possono individuare scenari e rapporti di forza che poi si ripeteranno in vari modi. Valga per tutti, alla fine del XI secolo, il caso dei Maroniti, quel “popolo cristiano di origine sira”[3], che – ispirandosi a San Marone – risulta, come già abbiamo visto, uno degli elementi più attivi ed importanti nel quadro sociale della regione. Occupata Tripoli
nel 1098, i Crociati domandarono ai fedeli Siri di quella parte del Monte Libano, discesi per congratularsi con loro, quale fosse la strada migliore per arrivare a Gerusalemme, e quindi seguirono la via della costa sotto la guida di alcuni di quei fedeli (Gugliemo di Tiro). Come si è visto, detti fedeli non potevano che essere i maroniti, e lo stesso Guglielmo altrove li chiama maroniti aggiungendo: “ed erano uomini forti e valorosi nel combattimento… e per i nostri furono utilissimi”[4]
Le Crociate furono anche “pellegrinaggi armati” ma non furono solo questo, implicarono alleanze complesse e condivisione di progetti, in esse i “diritti di Dio” si intersecarono e si scontrarono con le pretese dell’uomo, insomma: di una vasta e articolata umanità che mescolava idealità e desideri materiali. Se è vero che l’immagine prevalente che si attribuisce a questa fase è avvolta in una leggenda nera ingigantita per scopi anticlericali, è altrettanto vero che la complessità della situazione deve portarci a guardare anche questo periodo della storia cristiana come un particolare aggregato di celeste e di terreno, di divino e di umano, di ordine e di disordine. Come nella Siria di oggi, anche allora certi accordi strategici valicarono alcune appartenenze forti.
Nel 1140, Folco, re cattolico di Gerusalemme, si era alleato con l’atabeg (governatore) mamelucco di Damasco, Mu’in ad-Din Unur, contro l’atabeg Zankī (Zengi) – arcinemico dei crociati, descritto dalle cronache arabe come animatore della guerra santa e dell’antagonisno anticristiano[5]. Questi rappresentava per entrambi un “principe d’Oriente” pericoloso per la regione: se avesse preso Damasco sarebbe arrivato fino al mare[6].Divisioni che non devono stupire, ancora oggi abbondantissime, seppur di diversa matrice, nel teatro siriano.
Le fratture interne all’Islam, ieri come ora, contribuiscono a confermare l’approccio tattico in base al quale nella pratica politica “il nemico del mio nemico è mio amico”, così
Nel 1147, l’anno dopo l’avvento al potere di Nūr al-Dīn [Norandino], prendeva avvio la seconda crociata guidata da Corrado III e Luigi VII. I successi della propaganda sciita e ismailita nel vicino oriente, all’epoca del califfato abbaside e del sultanato selgiuchide, [contribuirono] inoltre ad indebolire le capacità di reazione dell’Islam[7].
Come in Europa l’opposizione al Sacro Romano Impero – anche ad opera di re cristiani – passò attraverso simpatie e collaborazione con potenze islamiche, così all’interno dell’Islam l’opposizione sciita ai potentati sunniti, non mancò di essere allineata agli interessi cristiani, in alcune vittorie come in alcune sconfitte. Va infatti ricordato che l’affermazione della dinastia turca zengide (dal nome dell’atabeg “Zankī” o “Zangi”)
contribuì alla vittoria delle tendenze musulmane sunnite a spese degli sciiti nel nord della Siria, ad Aleppo in particolare, e degli ultimi imam Sciiti fatimidi del Cairo, spianando così la via al Saladino per la riconquista di Gerusalemme nel 1187 e la successiva e completa scomparsa dei regni latini dalla costa Siriana[8].
Senza voler fare parallelismi improbabili, nella Siria odierna molti cristiani si trovano sullo stesso fronte degli sciiti alauiti in opposizione a un parte significativa della maggioranza sunnita, talvolta ideologizzata da un fondamentalismo islamico fomentato da monarchie sunnite. La complessità della situazione sembra un dato immutabile nella storia della regione, ricorda a questo proposito Antonino Pellitteri parlando delle Crociate:
Damasco a quel tempo era al centro di una situazione regionale difficile, caratterizzata dal confronto-scontro tra diverse forze, i cui interessi erano contrastanti: i Selgiuchidi e i turchi di Bagdad e d’Oriente, i fatimidi in Egitto, seppur indeboliti, i crociati nella zona costiera della Siria e Palestina. Va rilevato inoltre che per la grande città della Siria centro-meridionale era essenziale il controllo della regione della Biqā’a, nell’attuale libano, ricca per la sua agricoltura, e dell’altopiano del Hawrān, nell’attuale Siria, da cui arrivavano grano e cereali che approvvigionavano i grandi mercati damasceni[9].
Non mancarono addirittura casi di festeggiamento[10] per vittorie cristiane, non a caso alcuni tra le fila degli islamici non-sunniti si trovò chi nel 1148 aveva mal celato il suo “entusiasmo per la sconfitta subita dal sultano zengide a Yaghrà ad opera dei franchi crociati e dagli ismailiti”[11]. Insomma, pur semplificando, si può affermare che la tensione sunniti-sciiti, così come il ruolo politicamente ambivalente della presenza turca e il significativo radicamento di minoranze cristiane si interfacciarono con approcci che non si possono non riscontrare anche oggi. Il peso della presenza sunnita, così come la sua “carica ideologica” erano, e rimangono ancora oggi, elementi propulsivi inevitabilmente orientati a mettere in moto scenari di guerra.
Le minoranze, o le parti deboli in un conflitto, tendevano, e tendono, a valutare con urgenza la sconfitta del soverchiante nemico comune. Le grandi potenze “cristiane” e “islamiche” geograficamente esterne a questo gioco, ma indirettamente e inevitabilmente coinvolte, parteciparono e partecipano alla partita mescolando, come già accennato più volte, i loro interessi “spirituali” e “materiali”: se non possono stupire i sorrisi degli islamici sciiti per le vittorie cristiane contro gli islamici sunniti al tempo delle Crociate, ancor meno può apparire sorprendente l’alleanza franco-turca inaugurata nel XVI secolo[12], giustificata da nemici “materiali” comuni[13] sebbene aventi la stessa Fede di una delle due parti in causa. Quella “unione sacrilega di Giglio e Mezzaluna”[14] aprì un capitolo importante delle relazioni franco-asiatiche, relazioni giunte – per altri versi e senza un ordine specifico – fino al mandato francese sulla Siria dopo la Prima Guerra Mondiale e, ancora oggi, con la simpatia comune franco-turca per alcune fazioni ribelli coinvolte nella lotta contro il presidente Assad.
Senza voler assimilare cose diverse e tenendo presente che nella storia le mutazioni di strategia sono state molto frequenti, risulta davvero difficile non notare questi elementi, così come risulta impossibile non vedere il ruolo della teocrazia sciita iraniana nell’appoggio al governo Assad e alle milizie libanesi (sciite) di Hezbollah, più volte implicate in operazioni di contrasto alla barbarie anti-cristiana dei ribelli antigovernativi. Il governo siriano come quello libanese, non a caso, sono caratterizzati da una presenza importante di cristiani. I dati riportati non devono tuttavia portarci alla tentazione di ridurre tutto a questioni semplicemente tattiche: la storia, questa complessa e scabrosa partita in cui si intrecciano le vicende umane, ha infatti un giocatore esterno, fondamentale: Dio. A Lui si rivolgono la vera e la falsa escatologia, in funzione Sua si guarda in un modo, piuttosto che in un altro, alla fine dei tempi. Le analisi storiche (e politiche) materialiste, che hanno tentato di escludere Dio, hanno fallito. L’articolazione dell’escatologia in questo campo è l’argomento della prossima parte.
***
Per vedere le parti precedenti:
‘La fama di Lui per tutta la Siria’ (Perché la Siria? – I parte) => http://wp.me/p3Bugf-5II
‘Siria, Terra Cristiana’ (Perché la Siria? – II parte) => http://wp.me/p3Bugf-5IP
***
[1] A. Pellitteri, Nūr al-Dīn al-Shaīd e l’unificazione della Siria nel XII secolo, in: AA.VV., a cura di M. Guidetti, Siria, Dalle antiche città-stato alla primavera interrotta di Damasco, JacaBook, 2006, p. 101-102: Quando, secoli dopo, ebbe luogo la presa di Damasco del 1154 “pochi soldati bastarono a scalare le mura dalla parte orientale aiutati, come raccontano le fonti, da una donna ebrea che lanciò loro dall’alto delle mura una corda”. (Ivi, p. 112) / *eretici monofisiti.
[2] M. Guidetti, L’antichità nella formazione dell’arte medioevale siriana, in: AA.VV., a cura di M. Guidetti, Siria, Dalle antiche città-stato alla primavera interrotta di Damasco, JacaBook, 2006, p. 66-67.
[3] Enciclopedia Cattolica, 1952, Vol. VIII, col. 177.
[4] Ivi, col. 179.
[5] E. Burgio, Oddone di Deuil, “La spedizione di Luigi VII in Oriente”, in: (a cura di) G. Zaganelli, Crociate, Mondadori (i Meridiani), 2004, p. 1871.
[6] (a cura di) G. Zaganelli, Crociate, Mondadori (i Meridiani), 2004, p. 868.
[7] A. Pellitteri, Nūr al-Dīn al-Shaīd e l’unificazione della Siria nel XII secolo, in: AA.VV., a cura di M. Guidetti, Siria, Dalle antiche città-stato alla primavera interrotta di Damasco, JacaBook, 2006, p. 96.
[8] Ivi, p. 97.
[9] Ivi, p. 105.
[10] Va qui distinta, e nuovamente chiarita, la differenza che corre tra comunione di “interessi spirituali” (che può esservi veramente solo quando si condivide la Fede) e comunione tattica di “interessi materiali”. Si pensi, giusto per portare un esempio, che l’instabile califfo fatimita d’Egitto, al-Hākim, fu persecutore e distruttore nel 1009 degli edifici cristiani di Gerusalemme. (Cfr.: a cura di G. Zaganelli, Crociate, Mondadori (i Meridiani), 2004, p. 1809.). La prima Crociata fu indetta nel 1095.
[11] A. Pellitteri, Nūr al-Dīn al-Shaīd e l’unificazione della Siria nel XII secolo, in: AA.VV., a cura di M. Guidetti, Siria, Dalle antiche città-stato alla primavera interrotta di Damasco, JacaBook, 2006, 106. /* detto “Norandino”.
[12] Per lo scenario italiano, cfr: M. M. Rabà, Il Giglio e la Mezzaluna. Strategie di logoramento. “Infedeli” e fuoriusciti al servizio della Francia nelle Guerre d’Italia (1536-1558), Rivista di Studi Militari, 3 (2014), pp. 71-97.
[13] A. Giacobazzi, Degli ultimi Capetingi, Terra e Tradizione (tetra.spazioblog.it), 26 agosto 2006.
[14] Di tenore diverso ma animata da strategie assimilabili, fu l’alleanza franco-abbaside (o abbaside-carolingia), inaugurata nel VIII secolo, volta a indebolire gli omayyadi che insidiavano contemporaneamente l’Impero e lo sviluppo politico di quella che sarebbe stata la nuova dinastia califfale.
mercoledì 28 ottobre 2015
28 ottobre 1917: liberazione di Gorizia.
Le truppe a tre colori erano state ricacciate verso le loro case. Una sola donna festeggia l'Imperatore che arrivò in città qualche giorno dopo; era una dei pochi goriziani che non avevano mai lasciato la città e che si erano nascosti agli italiani, che pretendevano di portarli tutti con sè nella ritirata.
Dalle impressionanti colonne di prigionieri, si deduce che anche le due armate di Boroevič avevano fatto qualcosa durante l'offensiva di Kobarid e che non tutto si era svolto tra Tolmin e Bovec, come tramandato dalla storiografia italiana (ovviamente) e da quella tedesca, visto che l'alleato germanico agì solo a nord. Nei loro testi non sono nemmeno nominati i reparti austro ungarici che non facevano parte della 14 armata mista, le loro cronache finiscono con qualche cenno alla 1° Divisione AU che attaccò dalle parti di Rocinj, a nord di Kanal.
In realtà i combattimenti a sud di Tolmin furono durissimi perchè non si era potuto effettuare la stessa preparazione di sorpresa di gas ed artiglieria e perchè da quelle parti gli italiani erano disposti in difesa molto bene, specie la terza armata del duca d'Aosta che dava il cambio alla seconda nei pressi di Gorizia. Non c'erano inoltre strade, che conducessero a Gorizia lungo l'Isonzo ed a Tolmin si erano creati degli ingorghi di traffico militare, che tennero indietro le riserve e le salmerie, anche per giorni.
Ma il giorno 27 anche la terza armata tricoloruta, aveva iniziato a ritirarsi per non essere tagliata fuori sulla via del ritorno, dagli imperiali che avevano liberato Cividale e stavano scemando in pianura. Il 28 ottobre, fu liberata anche Udine ma molti cittadini che poterono, avevano seguito i tricoloruti, ormai drogati da 52 anni di propaganda italiana che gli assicurava il taglio della gola da parte degli imperiali.
Invece avrebbero fatto bene a rimanere in città, che fu saccheggiata proprio dai soldati italiani sbandati che erano entrati in tutti i negozi ed in molte case, sfasciando tutto e girando ubriachi per le strade vestiti da civili ed anche da donne, incipriati e profumati, avendo depredato gli armadi degli udinesi che avrebbero dovuto "difendere".
Ristabilito l'ordine, le truppe imperiali di occupazione offrirono al Comitato dei cittadini rimasti, il ripristino dell'insegnamento della lingua friulana, come a quelli delle valli del Natisone, l'insegnamento della lingua slovena. Niente da fare... erano bastati 52 anni di Italia per fargli perdere l'identità che avevano faticosamente recuperato parzialmente durante i 51 anni di "Regno Lombardo Veneto", successivi ai secoli di dominio veneziano.
Fonte: Vota Franz Josef
In realtà i combattimenti a sud di Tolmin furono durissimi perchè non si era potuto effettuare la stessa preparazione di sorpresa di gas ed artiglieria e perchè da quelle parti gli italiani erano disposti in difesa molto bene, specie la terza armata del duca d'Aosta che dava il cambio alla seconda nei pressi di Gorizia. Non c'erano inoltre strade, che conducessero a Gorizia lungo l'Isonzo ed a Tolmin si erano creati degli ingorghi di traffico militare, che tennero indietro le riserve e le salmerie, anche per giorni.
Ma il giorno 27 anche la terza armata tricoloruta, aveva iniziato a ritirarsi per non essere tagliata fuori sulla via del ritorno, dagli imperiali che avevano liberato Cividale e stavano scemando in pianura. Il 28 ottobre, fu liberata anche Udine ma molti cittadini che poterono, avevano seguito i tricoloruti, ormai drogati da 52 anni di propaganda italiana che gli assicurava il taglio della gola da parte degli imperiali.
Invece avrebbero fatto bene a rimanere in città, che fu saccheggiata proprio dai soldati italiani sbandati che erano entrati in tutti i negozi ed in molte case, sfasciando tutto e girando ubriachi per le strade vestiti da civili ed anche da donne, incipriati e profumati, avendo depredato gli armadi degli udinesi che avrebbero dovuto "difendere".
Ristabilito l'ordine, le truppe imperiali di occupazione offrirono al Comitato dei cittadini rimasti, il ripristino dell'insegnamento della lingua friulana, come a quelli delle valli del Natisone, l'insegnamento della lingua slovena. Niente da fare... erano bastati 52 anni di Italia per fargli perdere l'identità che avevano faticosamente recuperato parzialmente durante i 51 anni di "Regno Lombardo Veneto", successivi ai secoli di dominio veneziano.
Fonte: Vota Franz Josef
lunedì 26 ottobre 2015
‘Siria, Terra Cristiana’ (Perché la Siria? – II parte)
Fonte: http://www.radiospada.org/
Perché la Siria? Cristiani, guerre ed escatologia
La conferenza “Perché la Siria? Cristiani, guerre ed escatologia” è stata tenuta il 23 ottobre 2015 presso il “23° Convegno di Studi Cattolici” da Andrea Giacobazzi, collaboratore di Radio Spada. Riportiamo le trascrizioni delle quattro parti:
II parte
***
Siria, Terra Cristiana
Maroniti, armeno-cattolici, melkiti, cattolici caldei, siro-cattolici, latini[1]: sotto questi nomi si raggruppano la maggior parte dei cattolici siriani. Già solo il numero di queste Chiese particolari in piena comunione con la Sede Apostolica ci suggeriscono la complessità della Cristianità in questa regione.
Umanamente parlando, la Chiesa in Siria non avrebbe dovuto sopravvivere, battuta da eresie, scismi, invasioni e persecuzioni ad opera di infedeli, martoriata da secoli di guerre. Del resto, come disse G. K. Chesterton: “il Cristianesimo è stato dichiarato morto infinite volte. Ma, alla fine, è sempre risorto, perché è fondato sulla fede in un Dio che conosce bene la strada per uscire dal sepolcro”. Fu così che in Siria la Fede non solo non perì ma addirittura i cristiani di quella terra divennero una delle colonne portanti del Cattolicesimo, donando sette Papi[2]* (ne vennero meno da due nazioni cattoliche come Spagna e Portogallo, messe insieme), diversi Padri e Dottori della Chiesa, un numero abbondantissimo di Santi, e una quantità incalcolabile di opere artistiche ed architettoniche che rimangono ancora oggi un monumento visibile alla grandezza della Cristianità, costellando quelle stesse zone sassose dove si videro passare i “Padri del deserto”.
Se come si è detto, il Vero e l’errore trovarono – e trovano – in questa terra uno dei luoghi più idonei per il loro combattimento, pare difficile non riconoscere i risultati di questo scontro plurimillenario. Indagando l’enorme patrimonio cui stiamo volgendo lo sguardo risulta impossibile non notare il ruolo che ebbero i centri monastici,
luoghi sia di insegnamento che di produzione culturale. Il patrimonio dei manoscritti ad essi associato conservava non solo le parole degli autori e dei padri della Chiesa di Siria (per esempio e per restare solo al quarto secolo Efrem, Afraat e Cirillona), ma anche le ricche miniature che adornavano i libri liturgici: la circolazione a seguito di spostamenti e acquisizioni permise la loro diffusione nell’intero bacino del Mediterraneo[3]
Gli esempi che comprovano il peso e il ruolo del Cristianesimo dell’area siriana definiscono una serie di primati difficili da ignorare. Nel convento di Quzhayā, un antichissimo e meraviglioso gioiello[4], nel Libano settentrionale:
Fu realizzata la prima tipografia del Vicino Oriente. La data esatta in cui vi fu stampato il primo libro – un Salterio bilingue, arabo e siriaco – probabilmente […] risale […] al 1610, si tratta comunque di una novità rimarchevole se si pensa che i sultani ottomani avevano reiterato fino al 1515 un’ordinanza che sanciva la pena di morte per chiunque soltanto utilizzasse libri a stampa. Ad Aleppo, nel 1706 si ha notizia di un’altra stamperia maronita, così come fu un libanese, Niqūlā Masābkī (che aveva imparato la sua arte a Milano) a dirigere la tipografia di Būlāq, sorta al Cairo nel 1821. I contatti con l’Europa, e particolarmente con l’Italia, di religiosi cristiani maroniti avevano favorito una simile evoluzione: dopo aver lungamente soggiornato specialmente a Roma, molti di essi promossero nel loro paese d’origine ogni sorta di iniziative culturali[5]
Non deve stupire che l’insegnamento in Libano fosse stato soprattutto nelle mani della comunità cristiana[6]. Anche nella parte di “Siria” coincidente con la “repubblica araba siriana”, le testimonianze portateci dall’Enciclopedia Cattolica, riferiscono che “oltre agli ordini e congregazioni religiose dei vari riti orientali, molti ordini e congregazioni di rito latino, maschili e femminili, [svolgevano] il loro apostolato con scuole e opere di assistenza, di cui [beneficiavano] anche i dissidenti, gli ebrei ed i musulmani”[7]. Bisognerebbe, sempre in ambito cristiano, parlare lungamene della letteratura siriaca, di quel profondo senso religioso e di quella predilezione per la poesia che sono fra le sue caratteristiche più conosciute. Basti aggiungere, tra le altre cose, che “le versioni siriache di filosofi greci hanno poi servito di base per le corrispondenti versioni arabe di cui durante il medioevo sono state fatte traduzioni latine”[8]. Riguardo al Nuovo Testamento “la versione siriaca è la più antica di tutte, e fatta in un idioma vicino a quello usato da Gesù”[9]. Molto altro dovremmo dire ma per ora non possiamo che sfiorare questo vastissimo argomento: valgano, in rappresentanza del resto, i pochi esempi riportati e si tenga a mente che per la descrizione del ruolo che ebbe in questa terra la Vera Fede non basterebbe certamente un singolo volume.
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Per vedere la parte precedente:
‘La fama di Lui per tutta la Siria’ (Perché la Siria? – I parte) => http://wp.me/p3Bugf-5II
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[1] Enciclopedia Cattolica, 1953, Vol. XI, col. 735.
[2] T. Pope, The Council of the Vatican, and the events of the time, Dublino, 1871, p. 43. //*Il numero può variare in base ai criteri territoriali usati per contarli, lo stesso vale ovviamente per altre nazioni.
[3] M. Guidetti, Breve profilo del periodo bizantino in Siria, in: AA.VV., a cura di M. Guidetti, Siria, Dalle antiche città-stato alla primavera interrotta di Damasco, JacaBook, 2006, p. 63.
[4] http://www.qozhaya.com/
[5] P. Branca, Il ruolo della regione siro-libanese nella rinascita culturale araba in epoca moderna, in: AA.VV., a cura di M. Guidetti, Siria, Dalle antiche città-stato alla primavera interrotta di Damasco, JacaBook, 2006, p. 142.
[6] Ivi, p. 143.
[7] Enciclopedia Cattolica, 1953, Vol. XI, col. 736.
[8] “Gli autori più cospicui del periodo ortodosso sono Afaate, S. Efrem, il più celebre fra gli autori siriaci, Cirillona e Bālaj”. Cfr: Enciclopedia Cattolica, 1953, Vol. XI, col. 740-741.
[9] Ibidem.
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