giovedì 1 ottobre 2015

IN QUAL MODO SI FORMANO GLI STATI (Estratto dall'opera di mons. Delassus "Il Problema dell'ora presente" Tomo II°)

Il Regno di Francia al principio del regno di Ugo Capeto.
Ristabilire l'ordine nelle intelligenze, e ristabilirlo nel mondo del lavoro, non basta per far rientrare
la società nelle vie della vera civiltà. Bisogna ancora ristabilirlo nella stessa società, e per questo è
necessario ristaurare la verità sociale contemporaneamente alla verità economica e alla verità
religiosa.

La verità sociale è l'opposto dell'utopia democratica.
L'utopia democratica, è l'eguaglianza. La democrazia sogna uno stato sociale che si occupa
solamente di individui e di individui socialmente eguali.

Non è questo che Dio ha voluto. Per restarne chiariti basta considerare quello ch'egli ha fatto.
Dio avrebbe potuto creare direttamente ogni uomo, come creò Adamo. Così egli avea fatto cogli
angeli. Eppure nemmeno con essi volle l'eguaglianza! Egli fece che ogni angelo fosse per sé una
specie distinta, rispondente ad un'idea particolare, e queste idee realizzate, si graduano nel loro
essere, come lo erano nel pensiero divino.

Il genere umano formando un'unica specie, l'eguaglianza vi avrebbe regnato se noi avessimo
ricevuto direttamente l'esistenza dalle mani del Creatore. Egli avea altri disegni. Egli volle che noi
ricevessimo la vita gli uni dagli altri, e con questo fossimo costituiti, non nella libertà ed
eguaglianza sociale, ma nella dipendenza dai nostri genitori, e nella gerarchia che doveva nascere
da questa dipendenza.

Dio creò Adamo; poi dal corpo di Adamo trasse la carne onde fece il corpo di Eva. Egli benedisse
allora l'uomo e la donna e disse loro: "Crescete e moltiplicate e riempite la terra ed assoggettatela".

In questa guisa Dio creò la famiglia; egli ne fece una società e la costituì sopra un piano del tutto
diverso da quello dell'eguaglianza sociale: la donna sottomessa all'uomo, ed i figli sottomessi ai loro
genitori.

Noi dunque troviamo fin dalle origini del genere umano le tre grandi leggi sociali: l'autorità, la
gerarchia e l'unione; l'autorità che appartiene agli autori della vita, la gerarchia che fa l'uomo
superiore alla donna, ed i genitori superiori dei loro figliuoli; l'unione che conservar devono fra di
loro quelli che sono vivificati dal medesimo sangue.

Gli Stati sono derivati da questa prima società.

"La famiglia - dice Cicerone - è il principio della città, ed in qualche modo la semente della
Repubblica. La famiglia si divide, pur restando unita; i fratelli, i loro figli e i figli di questi, non
potendo più essere contenuti nella casa paterna, ne escono per recarsi a fondare, come altrettante
colonie, novelle case. Formano alleanze, di qui le affinità e l'incremento della famiglia. A poco a
poco le case si moltiplicano, tutto ingrandisce, tutto si sviluppa, ed ha principio la Repubblica".(1)
Bodin (XVI secolo) nella sua bell'opera: Les six livres de la République, al libro III consacra il VII
capitolo a dimostrare, "come l'origine delle corporazioni e delle comunità è venuta dalla famiglia".
E Savigny, nel suo Traité du Droit Romain dice ancora: "Le famiglie formano il germe dello Stato".

"Tali sono le origini del popolo di Dio. Nel momento della sua partenza, Abramo fonda una nuova
famiglia; da questa famiglia ne escono dodici tribù e le tribù compongono un popolo.

Lo stesso avvenne presso i Gentili.
Fustel di Coulanges, nel suo celebre libro La Cité antique, ha dimostrato che nell'Hellas,(2) come
nell'Italia dei Romani, lo Stato è nato dal focolare domestico. La Phratrie dei Greci, (società di
fratelli) come la Gens dei Romani (società di famiglie uscite dal medesimo stipite) non erano che
una famiglia più estesa, riunita sotto un medesimo capo, che a Roma portava il nome di padre,
Pater, in Atene, il nome di Eupatride, buon padre.


All'origine delle civiltà assira, egiziana ed altre, si trova ancora una famiglia, od alcune famiglie che
dapprima si sviluppano esse medesime e poi vedono aggrupparsi intorno a sé altre famiglie per
formar la tribù, poi le tribù agglomerandosi formare le nazioni.
La phratrie presso i Greci, la gens presso i Romani, non erano, come le parole d'altronde lo fa


comprendere, un'associazione di famiglie; ma era la famiglia stessa che riuniva in un fascio tutte le

famiglie uscite dal suo ceppo, e che aveano raggiunto, attraverso le generazioni successive, per la

forza delle tradizioni, uno sviluppo che ne faceva un gruppo sociale già numeroso. Ciò non

impediva che un certo numero di famiglie estranee venissero a porsi sotto la protezione di queste
famiglie principali, a farsi loro clienti, ed entrare per accessione a far parte della phratrie o della

gens. "Si vede da ciò - dice Fustel di Coulanges - che la famiglia dei tempi più antichi, col suo ramo


primogenito e co' suoi rami cadetti, co' suoi servitori e clienti, poteva col tempo formare una società

assai estesa". Essa era conservata nell'unità dall'autorità, del capo ereditario nel ramo primogenito.

Ai primi tempi della civiltà ellenica, alcune famiglie importanti si dividono il paese ed il governo. I

loro capi assumono il nome di re. I re sono agricoltori. Ulisse, re d'Itaca, si vanta di essere capace di

falciare l'erba, di tracciar un solco nei campi. Le loro figlie fanno il bucato sulle spiaggie del mar

Jonio. I più intimi rapporti legano questi capi a coloro che li circondano.

La razza ariana sembrava essere stata composta pel corso di molti secoli da un numero indefinito di

società di questa natura.

Noi vediamo fino dalle origini del nostro mondo moderno formarsi nella stessa maniera dei gruppi

sociali.
La famiglia, estendendosi, ha formato presso di noi la Mesnie,(3) come presso i Greci, avea formato

la phratrie e presso i Romani la gens. "I parenti aggruppati intorno al loro capo - dice Hach(4) -

formano il nucleo d'una estesa consorteria, la mesnie. I testi del medio evo, cronache e canzoni di


gesta, ci mostrano la mesnie, estesa mediante il patronato e la clientela, come corrispondente alla
gens dei Romani. Poi, Hach ci mostra come la mesnie sviluppandosi generava a sua volta il feudo,


famiglia più estesa il cui signore è ancora il padre; sebbene, per designare l'assieme delle persone

riunite sotto la signoria d'un capo feudale, s'incontri frequentemente nei testi del secolo XII e XIII,

epoca in cui il regime feudale raggiunse il suo massimo sviluppo, la parola "famiglia". "Il barone -

dice Hach - è innanzi tutto, un capo di famiglia". E lo storico cita dei testi in cui il padre è

assomigliato espressamente al barone, il figlio al vassallo.

"Una maggiore estensione costituisce l'alto barone". Dal piccolo feudo esce il gran feudo.

L'agglomeramento dei grandi feudi costituisce i regni.

La nostra Francia si è formata così. Ne dànno testimonianza la lingua e la storia.
L'assieme delle persone poste sotto l'autorità del padre di famiglia è chiamato: famiglia. A partire


dal secolo X, l'assieme delle persone riunite sotto l'autorità del padrone, capo della mesnia, è
chiamato: famiglia. L'assieme delle persone riunite sotto l'autorità del barone, capo del feudo

feudale, è chiamato famiglia. E noi vedremo che l'assieme delle famiglie francesi fu governato


come una famiglia. Il territorio sul quale si esercitavano queste diverse autorità, che si tratti d'un

capo di famiglia, del capo d'una mesnie, d'un barone feudale o d'un re, nei documenti si chiama
uniformemente: patria, il dominio del padre.


"Una signoria - scrive Seignobes - è uno Stato in miniatura, colla sua armata, co' suoi costumi, col
suo bando che è l'ordinanza del signore, col suo tribunale. La Francia più che ogni altro paese,


sopratutto nel secolo X, è stata divisa in sovranità di questo genere. Il conto non è stato fatto:

certamente raggiungerebbe una decina di migliaia".

Nel 989, uno di questi baroni feudali, quello che nella maniera più completa e più potente incarnava

i caratteri che contrassegnavano ognun di loro, fu portato - sotto l'impulso stesso del movimento che

spingeva la Francia all'organizzazione delle sue forze vive - all'apice del gruppo sociale: Ugo

Capeto divenne re. Mediante l'intermezzo del barone feudale, la dignità regia provenne dall'autorità

che esercitava il padre di famiglia.

Dappertutto l'incivilimento ha cominciato dalla famiglia. Qua e là sorgono degli uomini nei quali

più potentemente si sviluppano ed agiscono l'amor paterno ed il desiderio di perpetuarsi nei loro

discendenti. Essi si dànno con maggiore ardore al lavoro, impongono un freno più continuato e più

solido ai loro appetiti, governano con maggior autorità la loro famiglia, le ispirano più severi i

costumi, che essi scolpiscono nelle abitudini che fanno contrarre. Queste abitudini si trasmettono

mediante l'educazione; esse divengono tradizioni che conservano le nuove generazioni nella via

aperta dagli antenati. Il cammino in questa via conduce la famiglia in una situazione sempre più

eminente; nello stesso tempo, l'unione che conservano fra di loro tutti i rami usciti dal capostipite,

dà loro una potenza che s'accresce sempre più col numero che si moltiplica e colle ricchezze che si

accumulano mediante il lavoro di tutti.

In questa eminente situazione, questa famiglia attira l'attenzione di quelle che la circondano. Esse

dimandano di ricoverarsi sotto la sua potenza per trovarvi protezione, ed in cambio le promettono

assistenza. Fra esse ve ne sono che si sentono stimolate dalla prosperità di cui sono testimoni, e

desiderandola per se medesime, si lasciano governare ed istruire, si sforzano di praticare le virtù di

cui hanno sotto gli occhi l'esempio ed i risultati.

Tale è l'origine storica di tutte le tribù; e l'origine delle nazioni è affatto somigliante: le tribù si

agglomerano, come si sono aggruppate le famiglie, e sempre sotto l'ascendente d'una famiglia
principesca. Il contratto sociale che un bel giorno riunisce uomini stranieri gli uni agli altri e li


stringe fra di loro con un patto convenzionale, non è mai esistito se non nella testa di G. G.

Rousseau; e se i suoi discepoli hanno tentato in qualche luogo di costituirsi così in Stato, la loro

fittizia società non tardò guari a dissolversi. Non può sussistere se non quello che è fatto dalla

natura e secondo le sue leggi. Queste leggi, le abbiamo viste agire alle origini della civiltà greca e

romana, come alle origini della civiltà moderna. I missionari e gli esploratori lo constatano pure

presso i selvaggi. Presso di loro come altrove non avvi tribù se non là ove avvi un principio di
organizzazione, e questa organizzazione deriva dalla preminenza d'una famiglia alla quale le altre

sono subordinate.

Questa è la gerarchia nella sua prima formazione e l'aristocrazia nel suo primo stato.

Presso di noi, in mezzo alle rovine accumulate dalle invasioni dei barbari, non eravi più ordine,

perché non vi era più autorità. Sotto l'azione dei Santi, talune famiglie si elevarono animate dai

sentimenti che il cristianesimo cominciava a spandere nel mondo: sentimenti di pietà pei piccoli e

pei deboli; sentimenti di concordia e di amore fra tutti, sentimenti di riconoscenza e di fedeltà nei

protetti. L'agiografia di quest'epoca ci fa assistere dovunque a questo spettacolo di famiglie che così

si elevano sopra le altre per la forza della virtù.

Al disopra di tutte, sorse, nel X, secolo, la famiglia di Ugo Capeto, che fece la Francia colla

pazienza del suo genio, colla perseveranza della sua abnegazione, colla continuità de' suoi servigi. E

fa mestieri aggiungere: "E colla volontà e la grazia di Dio".

Allorché il conte de Maistre rilevò questa espressione della Scrittura: "Son io che faccio i re", non

omise di aggiungere: "Non è questa una metafora, ma una legge del mondo politico. Dio fa i re nel

vero senso della parola. Egli prepara le stirpi reali; le matura in mezzo ad una nube che nasconde la

loro origine. Esse appaiono così coronate di gloria e d'onore".

E Blanc de Saint-Bonnet: "Quando colui che scruta i cuori e le reni sceglie una famiglia fra tutte le

altre, la sua scelta è reale e divina. Questa lo prova ben presto (sebbene le resti la libertà di

raccogliere o dissipare i suoi doni) fornendo più legislatori, guerrieri e santi, che le famiglie più

nobili, benché in questo punto esse superino le altre in una proporzione prodigiosa".

L'opera ch'ella compie indica la mano che l'ha scelta, la sostiene e la guida.

"Cominciando dal nulla - disse Taine - il re di Francia ha formato uno Stato che (al momento in cui

scoppia la Rivoluzione) contiene ventisei milioni di abitanti, che è allora il più potente dell'Europa.

In tutto l'intervallo di tempo, egli è stato il capo della difesa pubblica, il liberatore del paese contro

gli stranieri.

"Nell'interno, fin dal dodicesimo secolo, coll'elmo in testa è sempre per le vie, egli è il grande

giustiziere demolisce le torri dei briganti feudali, reprime gli eccessi dei forti, protegge gli oppressi,

abolisce le guerre private, stabilisce l'ordine e la pace: opera immensa che, da Luigi il Grosso a san

Luigi, da Filippo il Bello a Carlo VII e a Luigi XI, da Enrico IV a Luigi XIII ed a Luigi XIV,

continua senza interruzione.

"Tuttavia, tutte le cose utili eseguite per ordine suo, o sviluppatesi sotto la sua protezione, strade,

porti, canali, asili, università, accademie, istituti di pietà, di rifugio, d'educazione, d'industria e di

commercio portano il suo sigillo e lo proclamano pubblico benefattore.(5)
Il sig. Mignet, malgrado la singolare indulgenza che nella sua Histoire de la Révolution dimostra


per gli uomini che hanno rovesciato la regale dignità, fece dal canto suo questa dichiarazione:(6)

"La Francia fu l'opera della dinastia dei Capeti che lavorò per sette secoli alla formazione di questa

preziosa unità di territorio, di spirito, di lingua, di governo. Dal centro stesso del paese la dinastia

dei Capeti cominciò questa conquista di riunione. Parigi sulla Senna, Orléans sulla Loira, furono i

suoi punti di partenza; l'Oceano, i Pirenei, il Mediterraneo, le Alpi, il Reno i suoi punti di arrivo ...

Ma benché camminasse verso la sua mèta, l'unità di territorio e l'unità di potere, la dinastia dimostrò
un'abile moderazione. Essa incorporò le provincie senza distruggerle, lasciando loro i civili costumi

sui quali riposavano la loro esistenza ed una parte dei privilegi politici che esse godevano".

Quando ci si trasporta all'epoca dello smembramento dell'impero di Carlomagno, si vedono uscire

dal trattato di Verdun tre Stati. di quasi eguale importanza, formati ciascuno di disparati elementi

che col tempo sono divenuti la Francia, la Germania e l'Italia. Di questi tre Stati uno solo è

pervenuto abbastanza rapidamente alla costituzione della sua unità, è la Francia. Al principio del

secolo XIII la Francia, con Filippo Augusto è in possesso della sua unità nazionale, essa esiste come

corpo di nazione uno ed omogeneo. Fu mestieri che la Germania e l'Italia, uscite come la Francia

dall'impero di Carlomagno, aspettassero fino alla fine del secolo XIX per realizzare l'unità (e quale

unità!), alla quale l'una e l'altra mai hanno cessato di aspirare nel corso della loro storia così agitata.

Donde deriva questa differenza? Da ciò che in Francia meglio fu osservata la legge della natura. È

la famiglia dei Capeti, è la stabilità della dinastia reale, fondata sulla legge salica, che ha formata e

mantenuta l'unità nazionale. Grazie a questo principio dell'eredità, che in nessun'altra parte si

esercitò con tanta costanza e regolarità, la dignità reale francese poté acquistare, nel corso dei

secoli, le condizioni di forza e di durata necessarie al compimento della grande opera nazionale.(7)

 
Note:

(1) Repubblica, lib. I, p. 17.


(2) La Grecia.
(3) Mesnie, magnie, maison, famille, come si chiama oggi la casa in Francia.

(4) Le origini dell'antica Francia.

(5) Taine, L'ancien Régime, p. 14-15.

(6) Saggio sulla formazione territoriale e politica della Francia.


(7) Il fatto riveste un carattere provvidenziale che i veri storici non hanno mancato di osservare.

Infatti Dio ha permesso ne' suoi disegni sulla Francia che in questa gran stirpe dei Capeti, in cui non

si conta per lo spazio di tre secoli un solo principe adulterino, non manchi mai l'erede diretto al

trono, in modo che si vide senza interruzione da Ugo Capeto fino a Filippo V detto il Lungo, il

figlio primogenito del re succedere regolarmente al padre.

Quando per la prima volta bisognò, per mancanza d'un diretto erede, impedire l'assunzione al trono

delle donne, che maritandosi avrebbero potuto portare la corona di Francia in famiglia estranea e

compromettere l'unità nazionale, non si ebbe che a constatare la tradizione e trasformare il fatto

provvidenziale in legge positiva.

Una volta bene stabilito il modo di successione il principio dell'eredità funziona da se stesso

provvedendo sempre il trono di un titolare e conservando nella dinastia la grande tradizione

monarchica.

Come bene osservò l'abate de Pascal, uno degli oggetti principali della missione di Giovanna d'Arco

è stata di consacrare, a nome del cielo, in Carlo VII, questo principio salvatore della eredità regale:

"Gentile principe, io ti dico da parte di Messire che tu sei vero erede di Francia. Io ti dico che Dio


ha pietà di voi, del vostro regno e del vostro popolo".