uomini moltiplicandosi non hanno potuto sottomettere al loro impero la terra, cioè il suolo e le forze
della natura, le piante e gli animali se non conservando fra loro l'unione. L'uomo isolato non può far
niente. L'associazione ha fatto tutto ciò che noi vediamo: ha prodotto tutte le ricchezze che la civiltà
possiede attualmente. Tutto è prodotto dal lavoro degli uomini associati nello spazio e nel tempo.
Senza unione non havvi associazione, o se l'associazione cerca di costituirsi, non tarda però a
disciogliersi. È l'unione la quale fa che un insieme sia solido e formi un tutto. Dal momento che
essa è spezzata, la società va in rovina. Noi vediamo anche troppo l'anarchia in cui si dibatte la
sventurata nostra Francia. La divina Sapienza ci aveva però avvertiti di ciò che ora avviene. "Ogni
regno in sé diviso sarà distrutto, ed ogni città o casa in sé divisa non potrà sussistere".
Ora l'unione procede dall'amore. L'amore è dunque la prima legge del mondo morale, come il suo
correlativo, l'attrazione, è la prima legge del mondo fisico.
Frantz Funck-Brentano |
L'una e l'altra producono l'unità nell'infinita varietà delle cose. "Come gli astri gravitano nelle loro
orbite perché sono forza e gravità - disse Funck-Brentano, come conclusione dei suoi studi sulla
civiltà e le sue leggi - così l'uomo vive in società perché è intelligenza ed amore".
L'amore comincia ad unire lo sposo alla sposa, i genitori ai figli. Ma bentosto allarga la cerchia
della sua azione. Mediante i matrimoni che i figli contraggono, la parentela si estende, e v'introduce
l'affinità, la quale più non si contenta di unire le persone, ma unisce le famiglie stesse. "La sacra
fiamma dell'amicizia - dice Giovanni Bodin - mostra il suo primo ardore fra il marito e la moglie,
poi fra i padri ed i figli, quindi tra i fratelli, e da questi si diffonde nei prossimi parenti, e dai più
prossimi parenti nei congiunti.(1)
Continuando a raggiare lungi dal suo focolare, la stessa fiamma crea quelle unità superiori che
vedemmo prendere il nome di Phratrie, Gens, Mesnie, Patrie, tutti nomi che ricordano, come
queste entità sociali abbiano avuto il loro principio nella famiglia. La suprema entità sociale, la
nazione, è veramente viva e vigorosa finché conserva ed alimenta nel suo seno il sacro fuoco, come
fece l'antica Francia.
La Rivoluzione lo ha estinto sopprimendone il focolare: voglio dire la famiglia reale. In luogo di
amore, in luogo di unione non havvi più fra noi che antagonismo. Alla Francia compatta, splendida
di coesione fra le sue provincie, d'unità nei sentimenti patriottici de' suoi figli, è succeduta una
disgregazione di uomini e di cose tale che noi sembriamo essere, agli occhi delle altre nazioni, non
altro che una polvere cui il vento delle rivolte e delle guerre può disperdere in un solo istante.
Come arrestare questa rovina? Non risponderemo da noi stessi a questa dimanda. Faremo ricorso ad
una parola estranea, alla parola d'un uomo che non è punto di stirpe francese, quantunque ad essa
unito mercé la naturalizzazione e conversione dall'ebraismo al cattolicismo. Essa apparirà più
immune da pregiudizii.
"Come ritornare - dimanda egli - allo spettacolo delle nostre divisioni, come ritornare alla
necessaria unità?" E risponde: "Non esistono due vie ... bisogna ritornare al principio che, nel
quinto secolo, ha fatto la Francia.
"Ad un popolo precipitato fuori della sua via, strappato alle sue tradizioni e che muore, non si può
rendere il sangue, la vita, il patriottismo, lo slancio se non riconducendolo e attaccandolo di nuovo
al suo principio.
"Al principio generatore della nazione francese, che fu la monarchia cristiana, è stato
improvvisamente sostituito un altro principio. L'uomo certamente il più capace di far trionfare
questo nuovo principio, Thiers, allora capo del potere esecutivo, ne propose un saggio sotto una
immagine che non era priva di grandezza e di seduzione. Egli equiparava la Repubblica, il cui nome
era uno spauracchio per molti, a quello spaventoso Capo delle Tempeste al sud dell'Africa, sì
famoso per tanti naufragi, ed al quale per lungo tempo i navigli non osavano più avvicinarsi. Ma si
trovò un pilota più ardito e più confidente degli altri. Imponendo dunque al terribile capo un nome
di miglior augurio, quello di Buona Speranza, egli osò tentare il passaggio. La prova fu coronata di
successo ed il Capo delle Tempeste restò il Capo di Buona Speranza. E l'abile quanto spiritoso
vecchio conchiudeva in questo modo: Facciamo coraggio, signori, tentiamo una nuova e leale prova
della Repubblica; ciò che ieri era il Capo delle Tempeste, sarà forse egualmente domani il Capo di
Buona Speranza. Ecco dodici anni trascorsi (oggi trentatre anni) che si continua la prova proposta.
Coloro che aveano interesse a sorvegliarne, a dirigerne il funzionamento, il cammino, si sono
trovati non solo padroni, ma padroni assoluti della Francia. Niente le mancò di quanto può
approdare a buon fine, non la ricchezza, non la spada, non la parola, non l'audacia, non gli applausi,
né il sacrificio, né l'abnegazione d'un gran numero. Ebbene! dopo dodici anni (trentatre anni) di
saggio completo, non interrotto, in presenza d'una Francia frazionata da per tutto, più somigliante,
per le sue divisioni, ad una nave le cui assi si sfasciano(2) e si disperdono di quello che ad un
popolo di fratelli; contemplando con istupore "la religione cacciata dalla scuola, la croce strappata
dai cimiteri, i soccorsi spirituali rifiutati ai soldati ed agli ammalati, le religiose scacciate e disperse,
le finanze dissipate, l'esercito disorganizzato, la magistratura ridotta alla servilità, l'industria
malamente protetta, l'agricoltura impoverita e senza appoggio, la propaganda anarchica tollerata,
gl'impiegati cristiani destituiti o caduti in disgrazia; in breve: nell'interno, la Francia tiranneggiata
dallo spirito di divisione, nell'esterno, la Francia impotente ed avvilita", dinanzi a siffatto
spettacolo, in coscienza, si può dire che, il Capo delle Tempeste sia divenuto il Capo della Buona
Speranza?(3)
"No, altrove sta la speranza! Essa è in un ritorno nazionale, necessario, all'antico principio il quale,
avendo fatto la Francia, solo può rifarla.
"Sì, là si è rifugiata la speranza! Poiché ove si trova il principio generatore dell'unità, là si trova la
rinnovazione della patria francese!
"Nessuna cosa davvero è tanto forte nella storia di un popolo quanto il principio generatore che ne
fu la sorgente; niente è più benedetto da Dio quanto la fedeltà nel mantenervisi. La nazione ebrea ne
ha presentato un memorabile esempio. Tutti sanno che, nella successione illustre de' suoi re, se ne
trovò uno il quale, figlio degenere di Davide, ebbe a cuore, sembra, di meritare il titolo vergognoso
di carnefice del suo popolo, tanto egli si mostrò nello stesso tempo empio e crudele. Questi fu
'Manasse, il Nerone del popolo ebreo. Ora, avvenne che Dio, sentendo compassione dei gemiti delle
vittime, intervenne con uno di quei colpi di giustizia che fanno epoca nella storia. Egli diede il re
malvagio nelle mani di Assurbanipal e de' suoi Assiri. Questi avendolo legato con due catene lo
condussero captivo a Babilonia. Non era questo forse il caso di trar profitto d'un avvenimento così
opportuno per modificare il governo ebraico, o per cambiare la dinastia, o almeno per sostituire il re
empio, divenuto schiavo, proclamando il figlio suo? Niente si fece di tutto questo. Fedele al
principio generatore della sua nazione, il popolo ebreo non si credette in diritto di modificarne
l'essenza. Egli si limitò a stabilire un governo provvisorio; e quando, dopo i lunghi mesi di una dura
schiavitù trascorsa nelle lagrime e nel pentimento, Manasse, liberato dalla stessa mano divina che lo
avea precipitato nelle catene, ricomparve a Gerusalemme, il suo trono l'attendeva intatto, la fedeltà
del popolo non aveva niente mutato!
"Allora Dio, il quale pure non cambia, si compiacque di ricompensare magnificamente una sì
ammirabile fedeltà. Egli lo fece con due avvenimenti particolarmente provvidenziali. Il primo fu
l'apparizione di Giuditta, una delle eroine ebree. Ormai padroni del re, gli Assiri s'erano lusingati di
rendersi senz'altro padroni del regno. Fu allora che Giuditta, suscitata da Dio, sbarrò loro il
passaggio. Il secondo fatto, non meno provvidenziale, fu l'avvenimento di Giosia al trono di
Davide. Nipote e secondo successore di Manasse, Giosia è certamente uno dei migliori re di Giuda,
una delle sue glorie più pure, quegli del quale la Scrittura ha i tessuto questo bel elogio: La memoria
di Giosia è come un profumo di soave odore.
"Ecco ciò che può in favore dell'unità, e per la felicità d'un popolo, la fedeltà al principio generatore
della sua esistenza!
"Perseveranza nella preghiera. Ricorso alla penitenza. Ritorno all'unità. Tali sono, secondo la
Bibbia e nel dominio dell'ordine morale, le tre condizioni indicate da Dio per la guarigione delle
nazioni.
"Effettuandole, la guarigione della Francia è moralmente certa. E, se si opera la guarigione, si vedrà
riapparire, col ritorno alle credenze religiose, il rispetto di tutti i diritti, la rifioritura dell'onore, la
pratica d'ogni vera libertà, la nobile ambizione della gloria, la protezione dei deboli, la sicurezza del
commercio, lo slancio della prosperità, la ricerca della nostra alleanza, in una parola, tutto ciò che
ha contribuito a fare della Francia, per dei secoli oggi invidiati, il più bel regno dopo quello del
cielo".(4)
Perché esista la coesione nel corpo sociale e gli dia vita e prosperità, non basta che l'amore unisca il
sovrano ai sudditi e i sudditi al sovrano, ma essa deve unire altresì i sudditi fra loro mercé la
benignità delle classi superiori verso le inferiori, e la sudditanza delle inferiori verso le superiori.
L'antichità non ha completamente disconosciuto questo dovere, od almeno si è prestata a questa
necessità. Cicerone dice che Romolo diede il nome di "padri" ai senatori per indicare l'affezione
paterna ch'essi avevano pel popolo.
Si conosce il posto che occupò nell'organizzazione di Roma la clientela. Questa istituzione stabiliva
dei rapporti determinati e costanti fra un certo numero di persone del popolo ed una gens patrizia. Il
capo di questa gens, ne' suoi rapporti coi clienti, portava il nome di "padrone", fatto per indicare i
sentimenti di paternità a loro riguardo. E dal canto suo la qualifica di cliente indicava in colui che la
portava un'abituale disposizione a tenersi pronto al servizio (cluere, cioè tener l'orecchio aperto). Le
reciproche obbligazioni corrispondevano alle parole. Il padrone aveva il dovere, l'obbligo d'aiutare
il suo cliente co' suoi consigli e col suo credito, di difenderlo davanti ai tribunali, di sostenerlo colla
sua influenza nei processi e nei litigi, ed anche a mano armata, infine di sovvenire a' suoi bisogni
nel caso di necessità. Il cliente, dal canto suo, doveva al padrone rispetto, obsequium, e la personale
devozione: dandogli il suo suffragio nei comizi, prendendo le armi e combattendo per lui,
contribuendo a pagar il suo riscatto, a far la dote della sua figlia, ecc. ecc. In una parola, esisteva
una gara regolata e continua di vicendevoli servigi. Che l'affezione vi fosse sempre o no, dal punto
di vista sociale, il risultato era il medesimo.
La clientela era sparita già da secoli quando sorse la feudalità. Quasi per l'effetto d'un istinto
naturale essa si trovò fondata sullo stesso principio della reciproca assistenza. Il signore dovea
prestare soccorso e protezione a' suoi vassalli, come il padre a' suoi figliuoli, assicurar loro la
giustizia, mantener l'ordine e la sicurezza nel feudo, procurare ai bisognosi la loro sussistenza. In
ricambio, i vassalli ed i coloni doveano fedeltà ed assistenza ai loro feudatari in pace ed in guerra,
ed anche nelle circostanze identiche a quelle in cui il cliente aveva dei doveri verso il padrone, per
esempio, in caso di matrimonio d'una figlia del feudatario.
Papa Leone XIII |
"La quotidiana esperienza che fa l'uomo della piccolezza delle proprie forze - dice Leone XIII - lo
impegna e sprona a procacciarsi un'estranea cooperazione. Nelle sacre Lettere, si legge questa
massima: "È meglio che due sieno insieme che esser soli, poiché allora essi ne risentono vantaggio
dalla loro società. Se uno cade, l'altro lo sostiene. Guai a l'uomo solo! poiché se egli sarà caduto,
non avrà alcuno che lo risollevi!" E quell'altra: "Il fratello che è soccorso dal proprio fratello,
rassomiglia ad una città fortificata". Da questa naturale propensione derivano le società".(5) Prima
di scrivere queste massime nei santi Libri, Dio le avea impresse nel cuore dell'uomo; ed è ciò che
spiega come le istituzioni, fondate sui medesimi principii, abbiano potuto nascere e crescere
spontaneamente nell'antichità pagana come in seno al cristianesimo.
Presso di noi, fino dall'epoca merovingiana, si scorge un certo numero di piccoli proprietari che si
chiamano vassï, raccomandarsi ad uomini più potenti e più ricchi chiamati seniores. Al suo senior,
che gli fa un regalo in terra, il vassus promette l'assistenza e la fedeltà. Verso la metà del secolo IX
il movimento si precipita, una quantità di famiglie supplicano la famiglia signorile a prenderle sotto
la sua protezione: Difendeteci, difendete le terre che noi possediamo, e quelle che ci concederete, e
noi vi renderemo tutti i servigi d'un vassallo fedele.
Fu nel secolo XIII che questa organizzazione sociale, fondata sull'assistenza e sui servigi
scambievoli, giunse al suo apogeo. E fu altresì in quest'epoca che la nazione francese raggiunse il
suo più alto grado di prosperità, che la mise nella possibilità di esercitare su tutte le nazioni
dell'Europa, un ascendente che non ha mai più raggiunto.
La maggior parte degli storici ha osservato che il regime feudale si è stabilito quasi presso tutti i
popoli dell'Europa, senza che alcuno di essi l'abbia tolto da un altro. E lo si trovò tanto resistente
che il signor Le Play ha potuto osservarlo ancora pieno di vita nelle pianure orientali della Russia.
Ecco ciò ch'egli ne dice: "Le relazioni della famiglia col signore tengono ad un tempo del rispetto e
della famigliarità che regnano fra i figli ed il loro padre. La sua autorità fornisce al contadino un
punto d'appoggio per la conservazione della proprietà. Il signore esercita la sua autorità, come
faceva il feudatario del medio evo, pel mantenimento del regime della comunità nella famiglia. Egli
la protegge contro l'usura ... Il signore accorda soccorsi alla famiglia in tutte le circostanze in cui i
suoi mezzi di esistenza sono compromessi, per esempio in caso d'incendio, di carestia, di epizoozia
e di malattie epidemiche. Ed il signore può far calcolo sul lavoro dei contadini per la coltivazione
delle proprie terre.
Questo patronato che si vede così stabilirsi sotto forme sì poco differenti, in tempi tanto distanti e in
tanti luoghi, è evidentemente derivato dalla famiglia, è una estensione del suo spirito. La prosperità
delle famiglie, abbiamo detto, ha il suo principio nell'unione, unione proveniente dalla comunanza
delle affezioni e degli sforzi. È la vista dei benefici effetti che ha prodotto quest'unione, che l'ha
fatta estendere fuori dei limiti della famiglia e ha fatto nascere la clientela presso i Romani e la
feudalità presso di noi. Dalla famiglia embrionale, se mi è lecito di così esprimermi, lo spirito di
famiglia si è esteso collo sviluppo che ha preso la famiglia patriarcale, e quindi ha guadagnato ed
animato la phratrie, la gens, il feudo ed infine le nazioni, le quali pure non possono vivere e
prosperare se non nell'unione e mercé la comunanza degli sforzi.
Il medio evo ne era pienamente convinto. Lo spirito di patronato lo penetrava sì perfettamente, che
nello stesso tempo in cui faceva la feudalità nelle campagne, creava nelle città delle mesnies urbane,
poi stabiliva fra le città vicine le lignages delle città francesi, le paraiges delle città lorenane, le
geslachten delle città fiamminghe, ecc. tutti nomi che soli bastano a dimostrare il principio d'onde
questi gruppi sono usciti, lo spirito che loro diede origine, poiché tutte queste parole sono prese nel
vocabolario della famiglia. Ognuno di questi gruppi avea una organizzazione comune, d'un carattere
insieme famigliare e militare, come il gruppo feudale.
È necessario conoscere questi fatti per farsi un'idea esatta del male che rode l'attuale società e del
rimedio che vi si può recare.
Note:
(1) Lib. III, cap. VII.
(2) Lo si sa, l'espressione è di Gambetta.
(3) Questo quadro era tracciato il 20 ottobre 1883 da G. de la Tour nell'Univers. Quanti tratti
potrebbero esservi aggiunti nel 1905, e come tutti i primi tratti potrebbero essere descritti con più
neri colori!
(4) Dieu a fait la France guérissable, per l'ab. Agostino Leman.
(5) Enciclica Rerum novarum.