giovedì 28 febbraio 2013

STORIA DEL TERCIO DI NAPOLI

Salvator Rosa - Battaglia di Cavalieri



Soprannominato El sangriento (il sanguinario) è il primo tercio a nascere.
...
Le sue origini risalgono all'anno 1509, quando il re Ferdinando Il cattolico ordinò la mobilitazione di una forza di 5.000 uomini in Italia per proteggere Napoli dai francesi.

Il suo primo comandante fu Don Pedro de Zamudio, ex capitano sotto Don Gonzalo Fernández de Córdoba durante la seconda campagna italiana (1500-1504).

Ufficialmente nacque il 15 novembre 1536 e poi fu suddiviso in Tercio de Nápoles e Tercio de Sicilia. Il termine Tercio de Nápoles fu usato la prima volta nel 1539 dal viceré Don Ramón de Cardona di Napoli. Questo tercio era diviso in tre "coronelías" di quattro compagnie ciascuno, per un totale di 3.000 uomini.

Secondo Geoffrey Parker, il Tercio de Nápoles nel 1571 aveva una forza di 2.676 uomini, divisi in 19 Banderas, così organizzati:

171 ufficiali
281 moschettieri
456 archibugieri
962 coseletes (picchieri corazzati)
806 picchieri (non armati)

Nel 1590, il trasferimento del comando da don Sancio Martinez de Leyva a Don Alonso de Idiaquez Gaspar causò irregolarità ed errori di disciplina con il conseguente temporaneo scioglimento dell'unità. Il tercio fu ristabilito nel 1591 sotto il Maestre de campo Don Luis de Velasco, per essere immediatamente inviato alle guerre in Francia.

Il tercio acquisì il soprannome di El sangriento o Tercio de la Sangre durante la battaglia di Rocroi (1643).

Guerre cui ha partecipato

- Guerre d'Italia (1511-1525): assedio di Bastia
- Guerre di Germania (1544-1547): ha partecipato alla campagna di Carlos I a sostegno di Ungheria
- Guerre nelle Fiandre (1557-1576): battaglie di San Quentin, Gravelines, Groningen e Gremmingen, occupazione di Mons (Bergen) e Mechelen, assedio di Haarlem, battaglia di Mookerheide, Worcum, cattura di Anversa (1585)
- Guerre con l'Inghilterra (1588): parte della sfortunata Invencible Armada
- Guerre Francese (1592): battaglia di Aumale, cattura di Noyon e Calais
- Guerre nelle Fiandre (1600-1604): Battaglia di Nieuwpoort (1600), attacco a Ostenda e presa della città di Sluis
- Guerra in Germania (1614-1620): presa di Aquisgrana, Düren e Wesel, occupazione di Francoforte e Worms
- Guerra nelle Fiandre (1622-1634): cattura di Juliers, Bergen-op-Zoom, assedio e cattura di Breda, battaglia di Nördlingen
- Guerra con la Francia (1635-1693): battaglia di Thionville, occupazione di Diest e Stevensweert, cattura di La Chapelle, Chatelet, Corbie, Amiens e delle fortezze di Emmerich e Berlaymont, cattura di Menlau, Terremonde, Artois e Charlement, assedio e cattura di Lens, Aire, Landrecies, Armentiers; battaglia di Rocroi, presa di Mardijk, Lens, Landrecies e Dixmuide; assedio di Gravelines Dunkerque, e cattura di Rocroi, Arras, battaglia di Dunkerque, Seneffe, Fleurus, battaglia di Neerwinden
- Guerra di successione spagnola nelle Fiandre (1703-1706): attacco Eeckeren, Capellen e difesa di Bruxelles
- Guerra di successione spagnola in Spagna (1710-1715): difesa di Balaguer, attacco Campomaior e conquista di Minorca
- 1715: Rinominato e riformato dal decreto regio in Regimiento Infantería de Soria Numero 3

Pio IX: SILLABO

SILLABO


ELENCO

dei principali errori dell'età nostra, che son notati nelle allocuzioni concistoriali, nelle encicliche ed in altre lettere apostoliche del ss. signor nostro PIO PAPA IX.

§ I.

Panteismo, Naturalismo e Razionalismo assoluto.

I. Non esiste niun essere divino, supremo, sapientissimo, provvidentissimo, che sia distinto da quest’universo, e Iddio non è altro che la natura delle cose, e perciò va soggetto a mutazioni, e Iddio realmente vien fatto nell’uomo e nel mondo, e tutte le cose son Dio ed hanno la sostanza stessissima di Dio; e Dio è una sola e stessa cosa col mondo, e quindi s’identificano parimenti tra loro spirito e materia, necessità e libertà, vero e falso, bene e male, giusto ed ingiusto.

    Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.
II. È da negare qualsiasi azione di Dio sopra gli uomini e il mondo.

    Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.
III. La ragione umana è l’unico arbitro del vero e del falso, del bene e del male indipendentemente affatto da Dio; ella è legge a se stessa, e colle sue forze naturali basta a procurare il bene degli uomini e dei popoli.

    Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.
IV. Tutte le verità religiose scaturiscono dalla forza nativa della ragione umana; laonde la ragione è la prima norma, per mezzo di cui l’uomo può e deve conseguire la cognizione di tutte quante le verità, a qualsivoglia genere esse appartengano.
Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.
Encicl. Singulari quidem, 17 marzo 1856.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.
V. La rivelazione divina è imperfetta, epperciò soggetta a progresso continuo e indefinito, corrispondente al progresso della ragione umana.

    Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.
Alloc. Maxima quidam, 9 giugno 1862.
VI. La fede di Cristo si oppone alla umana ragione; e la rivelazione divina non solo non giova nulla, ma nuoce eziandio alla perfezione dell’uomo.
Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.
VII. Le profezie e i miracoli, esposti e narrati nella sacra Scrittura, sono invenzioni di poeti, e i misteri della fede cristiana sono il risultato di indagini filosofiche; e nei libri dell’antico e del nuovo Testamento si contengono dei miti; e Gesù Cristo stesso è un mito.
Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

§ II.
Razionalismo moderato.

VIII. Siccome la ragione umana si equipara colla stessa religione, perciò le discipline teologiche hannosi a trattare al modo delle filosofiche.
Alloc. Singulari quadam perfusi, 9 decembre 1854.
IX. Tutti indistintamente i dommi della religione cristiana sono obbietto della naturale scienza ossia filosofìa, e l’umana ragione, storicamente solo coltivata, può colle sue naturali forze e principii pervenire alla vera scienza di tutti i dommi anche i più reconditi, purchè questi dommi sieno stati alla stessa ragione proposti.
Lett. all’Arciv. di Frisinga Gravissimas, 11 decembre 1862.
Lett. al medesimo Tuas libenter, 21 decembre 1863.
X. Altro essendo il filosofo ed altro la filosofia, quegli ha diritto e ufficio di sottomettersi alla autorità ch’esso ha provato essere vera; ma la filosofia nè può, nè deve sottomettersi ad alcuna autorità.
Lett. all’Arciv. di Frisinga Gravissimas, 11 decembre 1862.
Lett. al medesimo Tuas libenter, 21 decembre 1863.
XI. La Chiesa non solo non dee mai correggere la filosofia, ma eziandio deve tollerarne gli errori e lasciare che essa corregga se stessa.
Lett. all’Arciv. di Frisinga Gravissimas, 11 decembre 1862.
XII. I decreti della Sede apostolica e delle Romane Congregazioni impediscono il libero progresso della scienza.
Lett. all’Arciv. di Frisinga Tuas libenter, 21 decembre 1863.
XIII. Il metodo e i principii, coi quali gli antichi Dottori scolastici coltivarono la teologia, non si confanno alle necessità de’ nostri tempi e al progresso delle scienze.
Lett. all’Arciv. di Frisinga Tuas libenter, 21 decembre 1863.
XIV. La filosofia si deve trattare senza avere riguardo alcuno alla soprannaturale rivelazione.
Lett. all’Arciv. di Frisinga Tuas libenter, 21 decembre 1863.
N. B. Col sistema del razionalismo uniti sono in massima parte gli errori di Antonio Günther, che vengono condannati nella Lett. al Card. Arciv. di Colonia Eximiam tuam, 15 giugno 1847; e nella Lett. al Vesc. di Breslavia Dolore haud mediocri, 30 aprile 1860.

§ III.
Indifferentismo, Latitudinarismo.

XV. È libero a ciascun uomo di abbracciare e professare quella religione, che colla scorta del lume della ragione avrà riputato essere vera.
Lett. apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.
XVI. Gli uomini nell’esercizio di qualsivoglia religione possono trovare la via della eterna salute, e conseguire l’eterna salute.
Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.
Alloc. Ubi primum, 17 decembre 1847.
Encicl. Singulari quidem, 17 marzo 1856.


XVII. Almeno hassi a bene sperare della eterna salvezza di tutti coloro che non sono nella vera Chiesa di Cristo.
Alloc. Singulari quadam, 9 decembre 1854.
Encicl. Quanto conficiamur, 17 agosto 1863.
XVIII. Il protestantismo non è altro che una forma diversa della medesima vera religione cristiana, nella quale egualmente che nella Chiesa cattolica si può piacere a Dio.
Encicl. Noscitis et Nobiscum, 8 decembre 1849.

§ IV.

Socialismo, Comunismo, Società secrete,

Società libere, Società clerico-liberali.

Cotali pestilenze spesso e con gravissime espressioni sono riprovate nell’Epist. encicl. Qui pluribus, 9 novemb. 1846; nella Alloc. Quibus quantisque, 20 aprile 1849; nell’Epist. encicl. Noscitis et Nobiscum, 8 decemb. 1849; nella Alloc. Singulari quadam, 9 decemb. 1854; nella Epist. encicl. Quanto conficiamur moerore, 10 agosto 1863.

§ V.

Errori sulla Chiesa e suoi diritti.

XIX. La Chiesa non è una vera e perfetta società pienamente libera, nè è fornita de’ suoi proprii e costanti diritti, conferitile dal suo divino fondatore, ma tocca alla potestà civile definir quali sieno i diritti della Chiesa e i limiti tra i quali possa esercitare i detti diritti.
Alloc. Singulari quadam, 9 decembre 1854.
Alloc. Multis gravibusque, 17 decembre 1860.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.
XX. La potestà ecclesiastica non deve esercitare la sua autorità senza licenza e consentimento del governo civile.

    Alloc. Meminit unusquisque, 30 settembre 1861.
XXI. La Chiesa non ha potestà di definire dommaticamente che la religione della Chiesa cattolica sia l’unica vera religione.
Lett. apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.
XXII. L’obbligazione che al tutto vincola i maestri e gli scrittori cattolici, si riduce a quelle cose solamente che dall’infallibile giudizio della Chiesa sono proposte a credersi da tutti siccome dommi di fede.
Lett. all’Arciv. di Frisinga, Tuas libenter, 21 decembre 1863.
XXIII. I Romani Pontefici e i Concilii ecumenici si scostarono dai limiti della loro potestà, usurparono i diritti dei Principi, ed anche in definire cose di fede e di costumi errarono.
Lett. apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.
XXIV. La Chiesa non ha potestà di usare la forza, nè alcuna temporale potestà diretta o indiretta.
Lett. apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.
XXV. Oltre alla potestà inerente all’episcopato, ve n’è un’altra temporale che è stata ad esso conceduta o espressamente o tacitamente dal civile impero il quale per conseguenza la può rivocare quando vuole.
Lett. apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.
XXVI. La Chiesa non ha connaturale e legittimo dritto di acquistare e di possedere.
Alloc. Nunquam fore, 15 decembre 1856.
Lett. encicl. Incredibili, 17 settembre 1863.
XXVII. I sacri ministri della Chiesa ed il Romano Pontefice debbono essere affatto esclusi da ogni cura e da ogni dominio di cose temporali.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.
XXVIII. Ai Vescovi, senza il permesso del Governo, non è lecito nè anche di promulgare le Lettere apostoliche.
Alloc. Nunquam fore, 15 decembre 1856.
XXIX. Le grazie concedute dal Romano Pontefice si debbono stimare irrite, quando non sono state implorate per mezzo del Governo.
Alloc. Nunquam fore, 15 decembre 1856.
XXX. L’immunità della Chiesa e delle persone ecclesiastiche ebbe origine dal dritto civile.
Lett. apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.
XXXI. Il foro ecclesiastico per le cause temporali dei chierici, sieno esse civili o criminali, dev’essere assolutamente abolito, anche senza consultare la Sede apostolica, e non ostante che essa reclami.
Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.
Alloc. Nunquam fore, 15 decembre 1856.
XXXII. Senza violazione alcuna del natural diritto e della equità, si può abrogare l’immunità personale in forza della quale i chierici sono esenti dalla leva e dall’esercizio della milizia; e tale abrogazione è voluta dal civile progresso, specialmente in quella società, le cui costituzioni sono secondo la forma di più libero governo.
Lett. al Vescovo di Monreale Singularis Nobisque, 29 settembre 1864.
XXXIII. Non appartiene unicamente all’ecclesiastica potestà di giurisdizione, qual dritto proprio e connaturale, il dirigere l’insegnamento della teologia.
Lett. all’Arcivescovo di Frisinga Tuas libenter, 21 decembre 1863.
XXXIV. La dottrina di coloro che paragonano il Romano Pontefice ad un Principe libero che esercita la sua azione in tutta la Chiesa, è una dottrina la quale prevalse nel medio evo.
Lett. apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.
XXXV. Niente divieta che per sentenza di qualche Concilio generale, o per opera di tutti i popoli, il Sommo Pontificato si trasferisca dal Vescovo Romano e da Roma ad un altro Vescovo e ad un’altra città.
Lett. apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.
XXXVI. La definizione di un Concilio nazionale non si può sottoporre a verun esame, e la civile amministrazione può tenere cotali definizioni come norma irretrattabile di operare.
Lett. apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.


XXXVII. Si possono istituire Chiese nazionali non soggette all’autorità del Romano Pontefice, e del tutto separate.
Alloc. Multis gravibusque, 17 decembre 1860.
Alloc. Iamdudum cernimus, 18 marzo 1861.
XXXVIII. Gli arbitrii eccessivi dei Romani Pontefici contribuirono alla divisione della Chiesa in quella di Oriente e in quella di Occidente.
Lett. apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.

§ VI.
Errori che riguardano la Società civile,

considerata così in sè, come nelle sue relazioni colla Chiesa.

XXXIX. Lo Stato, come quello che è origine e fonte di tutti i diritti, gode un certo suo diritto del tutto illimitato.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.
XL. La dottrina della Chiesa cattolica è contraria al bene ed agl’interessi della umana società.
Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.
Alloc. Quibus quantisque, 20 aprile 1849.
XLI. Al potere civile, anche esercitato da signore infedele compete la potestà indiretta negativa sopra le cose sacre; e però gli appartiene non solo il diritto, che dicono dell'exequatur, ma ancora il diritto, che dicono di appello per abuso.
Lett. apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.
XLII. Nella collisione delle leggi dell’una e dell’altra potestà, deve prevalere il diritto civile.
Lett. apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.
XLIII. Il potere laicale ha l’autorità di rescindere, di dichiarare e far nulli i solenni trattati (che diconsi Concordati) pattuiti colla Sede apostolica intorno all’uso dei diritti appartenenti alla immunità ecclesiastica; e ciò senza il consenso della stessa Sede apostolica, ed anzi a malgrado dei suoi reclami.
Alloc. In consistoriali, 1 novembre 1850.
Alloc. Multis gravibusque, 17 decembre 1860.
XLIV. L’autorità civile può mescolarsi nelle cose che riguardano la religione, i costumi ed il governo spirituale. Quindi può giudicare delle istruzioni che i Pastori della Chiesa sogliono dare, per dirigere, conforme al loro ufficio, le coscienze, ed anzi può fare regolamenti intorno all’amministrazione dei sagramenti, ed alle disposizioni necessarie per riceverli.
Alloc. In consistoriali, 1 novembre 1850.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.
XLV. L’intero regolamento delle pubbliche scuole nelle quali è istituita la gioventù di alcuno Stato, eccettuati solamente sotto qualche riguardo i Seminarii vescovili, può e dev’essere attribuito all’autorità civile; e talmente attribuito, che non si riconosca in nessun’altra autorità il diritto d’intromettersi nella disciplina delle scuole, nel reggimento degli studii, nella collazione dei gradi, nella scelta e nell’approvazione dei maestri.
Alloc. In consistoriali, 1 novembre 1850.
Alloc. Quibus luctuosissimis, 5 settembre 1851.
XLVI. Anzi negli stessi Seminarii de’ chierici, il metodo da adoperare negli studii è soggetto alla civile autorità.
Alloc. Nunquam fore, 15 decembre 1856.
XLVII. L’ottima forma della civile società esige che le scuole popolari, quelle cioè che sono aperte a tutti i fanciulli di qualsivoglia classe del popolo, e generalmente gl’istituti pubblici, che sono destinati all’insegnamento delle lettere e delle più gravi discipline, nonchè all’educazione della gioventù, si esimano da ogni autorità, forza moderatrice ed ingerenza della Chiesa e si sottomettano al pieno arbitrio dell’autorità civile e politica, secondo il placito degli imperanti e la norma delle comuni opinioni del secolo.
Lett. all’Arciv. di Friburgo, Quum non sine, 14 luglio 1864.
XLVIII. Può approvarsi dai cattolici quella maniera dì educare la gioventù, la quale sia disgiunta dalla fede cattolica e dall’autorità della Chiesa e miri solamente alla scienza delle cose naturali, e soltanto o per lo meno primieramente ai fini della vita sociale.
Lett. all’Arcivescovo di Friburgo Quum non sine, 14 luglio 1864.
IL. La civile autorità può impedire i Vescovi ed i popoli fedeli dal comunicare liberamente e mutuamente col Romano Pontefice.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.
L. L’autorità laicale ha di per sè il diritto di presentare i Vescovi e può esigere da loro che incomincino ad amministrare le diocesi prima che essi ricevano dalla santa Sede la istituzione canonica e le Lettere apostoliche.
Alloc. Nunquam fore, 15 decembre 1856.
LI. Anzi il Governo laicale ha diritto di deporre i Vescovi dall’esercizio del ministero pastorale, nè è tenuto obbedire al Romano Pontefice nelle cose che spettano alla istituzione de’ vescovati e de’ Vescovi.
Lettere apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.
Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.
LII. Il Governo può di suo diritto mutare la età prescritta dalla Chiesa in ordine alla professione religiosa tanto delle donne quanto degli uomini, ed ingiungere alle Famiglie Religiose di non ammettere alcuno ai voti solenni senza suo permesso.
Alloc. Nunquam fore, 15 decembre 1856.
LIII. Sono da abrogarsi le leggi che appartengono alla difesa dello stato delle Famiglie Religiose, e de’ loro diritti e doveri; anzi il Governo civile può dare aiuto a tutti quelli i quali vogliono disertare la maniera di vita religiosa intrapresa, e rompere i voti solenni; e parimente può spegnere del tutto le stesse Famiglie Religiose come anche le Chiese collegiate ed i beneficii semplici, ancorachè di giuspadronato, e sommettere ed appropriare i loro beni e le rendite all’amministrazione ed all’arbitrio della civile podestà.
Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.
Alloc. Probe memineritis, 22 gennaio 1855.
Alloc. Cum saepe, 26 luglio 1855.
LIV. I Re ed i Principi non solamente sono esenti dalla giurisdizione della Chiesa, ma eziandio nello sciogliere le questioni di giurisdizione sono superiori alla Chiesa.
Lettere apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.
LV. È da separarsi la Chiesa dallo Stato, e lo Stato dalla Chiesa.
Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.

§ VII.
Errori circa la morale naturale e cristiana.

LVI. Le leggi dei costumi non abbisognano della sanzione divina, nè fa di mestieri che le leggi umane siano conformi al diritto di natura, o ricevano da Dio la forza di obbligare.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.
LVII. La scienza delle cose filosofiche e dei costumi, ed anche le leggi civili possono e debbono declinare dall’autorità divina ed ecclesiastica.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.
LVIII. Non sono da riconoscere altre forze da quelle in fuori che son poste nella materia; ed ogni disciplina ed onestà di costumi devesi riporre nell’accumulare ed accrescere per qualsivoglia maniera la ricchezza e nel soddisfare le passioni.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.
Encicl. Quanto conficiamur, 10 agosto 1863.
LIX. Il diritto consiste nel fatto materiale, e tutti i doveri degli uomini sono un nome vano e tutti i fatti umani hanno forza di diritto.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.
LX. L’autorità non è altro che la somma del numero e delle forze materiali.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.
LXI. La fortunata ingiustizia del fatto non apporta alcun detrimento alla santità del diritto.
Alloc. Iamdudum cernimus, 18 marzo 1861.
LXII. È da proclamarsi e da osservarsi il principio che dicono del non intervento.
Alloc. Novos et ante, 28 settembre 1860.
LXIII. Il negare obbedienza anzi il ribellare a Principi legittimi è cosa lecita.
Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.
Alloc. Quisque vestrum, 4 ottobre 1847.
Encicl. Noscitis et Nobiscum, 8 decembre 1849.
Lett. apost. Cum catholica, 26 marzo 1860.
LXIV. E la violazione di qualunque santissimo giuramento, e qualsivoglia azione scellerata e malvagia ripugnante alla legge eterna, non solo non è da riprovare, ma eziandio da tenersi del tutto lecita e da lodarsi sommamente, quando si commetta per amore della patria.
Alloc. Quibus quantisque, 20 aprile 1849.

§ VIII.
Errori circa il matrimonio cristiano.

LXV. Non si può in niun modo tollerare che Cristo abbia elevato il matrimonio alla dignità di sacramento.
Lett. apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.
LXVI. Il sacramento del matrimonio non è che una cosa accessoria al contratto e da questo separabile, e lo stesso sacramento è riposto nella sola benedizione nuziale.
Lett. apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.
LXVII. Il vincolo del matrimonio non è indissolubile per diritto di natura, ed in varii casi può sancirsi per la civile autorità il divorzio propriamente detto.
Lett. apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.
Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.
LXVIII. La Chiesa non ha la podestà d’introdurre impedimenti dirimenti il matrimonio, ma tale potestà compete all’autorità civile, dalla quale debbono togliersi gli impedimenti esistenti.
Lett. apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.
LXIX. La Chiesa incominciò ad introdurre gl’impedimenti dirimenti nei secoli posteriori, non per diritto proprio, ma usando di quello che ricevette dalla civile potestà.
Lett. apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.
LXX. I canoni tridentini, nei quali s’infligge scomunica a coloro che osano negare alla Chiesa la facoltà di stabilire gl’impedimenti dirimenti, o non sono dommatici, ovvero si debbono intendere dell’anzidetta potestà ricevuta.
Lett. apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.
LXXI. La forma del Concilio Tridentino non obbliga sotto pena di nullità in quei luoghi ove la legge civile prescriva un’altra forma, ordinando che il matrimonio celebrato con questa nuova forma sia valido.
Lett. apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.
LXXII. Bonifacio VIII pel primo asserì che il voto di castità emesso nella ordinazione fa nullo il matrimonio.
Lett. apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.
LXXIII. In virtù del contratto meramente civile, può aver luogo tra i cristiani il vero matrimonio: ed è falso che o il contratto di matrimonio tra i cristiani è sempre sacramento, ovvero che il contratto è nullo se si esclude il sacramento.
Lett. apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.
Lettera di S. S. Pio IX al Re di Sardegna, 9 settembre 1852.
Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.
Alloc. Multis gravibusque, 17 decembre 1860.
LXXIV. Le cause matrimoniali e gli sponsali di loro natura appartengono al foro civile.
Lett. apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.
Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.
N. B. Si possono qui ridurre due altri errori, dell’abolizione del celibato dei chierici e della preferenza dello stato di matrimonio allo stato di verginità. Sono condannati, il primo nell’Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846; il secondo nelle Lett. apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.

§ IX.
Errori intorno al civile principato del Romano Pontefice.

LXXV. Intorno alla compatibilità del regno temporale col regno spirituale disputano tra loro i figliuoli della cristiana e cattolica Chiesa.
Lett. apost. Ad apostolicae, 22 agosto 1851.
LXXVI. L’abolizione del civile impero, che la Sede apostolica possiede, gioverebbe moltissimo alla libertà ed alla prosperità della Chiesa.
Alloc. Quibus quantisque, 20 aprile 1849.
N. B. Oltre di questi errori censurati esplicitamente, molti altri implicitamente vengono riprovati in virtù della dottrina già proposta e decisa intorno al principato civile del Romano Pontefice; la quale dottrina tutti i cattolici sono obbligati di tenere fermissimamente. Essa apertamente s’insegna nell’Alloc. Quibus quantisque, 20 aprile 1849; nell’Alloc. Si semper antea, 20 maggio 1850; nelle Lett. apost. Cum catholica Ecclesia, 26 marzo 1860; nell’Alloc. Novos, 28 settembre 1860; nell’Alloc. Iamdudum 18 marzo 1861; e nell’Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

§ X.
Errori che si riferiscono all’odierno liberalismo.

LXXVII. In questa nostra età non conviene più che la religione cattolica si ritenga come l’unica religione dello Stato, escluse tutte le altre quali che si vogliano.
Alloc. Nemo vestrum, 26 luglio 1855.
LXXVIII. E però lodevolmente in alcuni paesi cattolici si è stabilito per legge che a quelli, i quali vi si recano, sia lecito di aver pubblico esercizio del culto proprio di ciascuno.
Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.
LXXIX. Per fermo è falso che la libertà civile di qualsivoglia culto, e similmente l’ampia facoltà a tutti conceduta di manifestare qualunque opinione e qualsiasi pensiero alla scoperta ed in pubblico, conduca a corrompere più facilmente i costumi e gli animi de’ popoli, e a diffondere la peste dell’indifferentismo.
Alloc. Nunquam fore, 15 dicembre 1856.
LXXX. Il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi e venire a composizione col progresso, col liberalismo e colla moderna civiltà.
Alloc. Iamdudum cernimus, 18 marzo 1861.





[Fonte: Enciclica di Pio IX Pontefice Massimo data addì VIII decembre MDCCCLXIV del suo pontificato l’anno XIX ed elenco dei principali errori dell'età nostra, Torino 1865]

Papa Pio IX: QUANTA CURA



QUANTA CURA
 

ENCICLICA DI PIO IX PONTEFICE MASSIMO

data addì VIII Decembre MDCCCLXIV del suo pontificato l’anno XIX

a tutti i venerabili fratelli

patriarchi, primati, arcivescovi e vescovi

che hanno la grazia e la comunione

della sede apostolica



PIO PAPA IX.

Venerabili fratelli,

salute ed apostolica benedizione.

 
Con quanta cura e pastorale vigilanza i Romani Pontefici Predecessori Nostri, eseguendo l’ufficio loro commesso dal medesimo Cristo Signore nella persona del Beatissimo Pietro Principe degli Apostoli e il carico di pascere gli agnelli e le pecore, non mai abbiano intralasciato di nutrire diligentemente l’universal gregge del Signore con le parole della fede, e di imbeverlo della salutare dottrina, e di rimuoverlo dai pascoli attossicati, a tutti ed a Voi in ispecialità, o Venerabili Fratelli, è chiaro e manifesto. Ed in vero i predetti Nostri predecessori, dell’augusta Religione cattolica, della verità e della giustizia difenditori e vindici, della salute delle anime sommamente solleciti, niente mai ebbero più a cuore quanto con le loro sapientissime Lettere e Costituzioni scoprire e condannare tutte le eresie e gli errori, i quali contrariando la divina nostra fede, la dottrina della cattolica Chiesa, la onestà dei costumi e la eterna salute degli uomini, spesso eccitarono gravi tempeste, e funestarono in miserabil modo la cristiana e la civile repubblica. Per lo che i suddetti Predecessori Nostri con apostolica fortezza continuamente resistettero alle nefande macchinazioni di uomini iniqui, che schizzando come i flutti di procelloso mare la spuma delle loro fallacie, e promettendo libertà mentre che sono schiavi della corruzione, con le loro opinioni ingannevoli e co’ loro scritti perniciosissimi, si sono sforzati di sconquassare le fondamenta della cattolica religione e della civile società, di levare di mezzo ogni virtù e giustizia, di depravare gli animi e le menti di tutti, di sviare dalla retta disciplina dei costumi gl’incauti, e massimamente la imperita gioventù, e di guastarla miseramente, di arreticarla nei lacci degli errori e per ultimo di strapparla dal seno della Chiesa cattolica.
Intanto, siccome a Voi, Venerabili Fratelli, è ben noto, subito che per un arcano consiglio della divina Provvidenza, non certo per verun Nostro merito, fummo innalzati a questa Cattedra di Pietro, vedendo Noi con estremo dolore del Nostro animo la orribile procella sollevata da tante prave opinioni, e i gravissimi e non mai abbastanza lacrimabili danni che da tanti errori ridondano nel popolo cristiano, per ufficio dell’apostolico Nostro Ministero, seguendo le vestigie illustri dei Nostri Predecessori, alzammo la voce Nostra, e con parecchie Lettere encicliche divulgate per la stampa e colle Allocuzioni tenute nel Concistoro e con altre apostoliche Lettere condannammo i principali errori della tristissima età nostra, e stimolammo la esimia vostra episcopale vigilanza, ed ammonimmo con ogni nostro potere ed esortammo tutti i figliuoli della cattolica Chiesa a Noi carissimi, che avessero in sommo abbominio la infezione di una peste così crudele, e la fuggissero. Specialmente poi con la Nostra prima Lettera enciclica dei 9 novembre dell’anno 1846 a Voi scritta, e con le due Allocuzioni, delle quali l’una fu tenuta da Noi nel Concistoro del dì 9 decembre l’anno 1854, e l’altra in quello del dì 9 giugno l’anno 1862, condannammo le mostruose enormezze dell’opinioni che segnatamente in questa nostra età dominano, con grandissimo danno delle anime e con detrimento della stessa civile società, le quali non pure avversano soprammodo la Chiesa cattolica e la salutare sua dottrina e i venerandi suoi diritti, ma altresì la sempiterna natural legge da Dio scolpita nei cuori di tutti e la retta ragione, e dalle quali presso che tutti gli altri errori traggono origine.
Ma quantunque non abbiamo lasciato di proscrivere spesso e di riprovare i più capitali errori di questa fatta, nulla di meno la causa della cattolica Chiesa, e la salute delle anime a Noi divinamente commessa, e il bene della stessa umana società richieggono al tutto che di nuovo eccitiamo la vostra pastorale sollecitudine a sconfiggere altre prave opinioni, che dai predetti errori scaturiscono come da fonte. Le quali false e perverse opinioni tanto più sono a detestarsi, quanto che mirano in ispecial guisa a fare che sia impedita e rimossa quella salutare forza che la cattolica Chiesa, per istituzione e mandato del suo divino Autore, deve liberamente esercitare fino alla consumazione dei tempi, non meno verso i singoli uomini, che verso le nazioni, i popoli e i supremi lor Principi; e che sia tolta di mezzo quella mutua società e concordia di consigli tra il Sacerdozio e l’Impero, che sempre riuscì fausta e salutare alle cose tanto sacre come civili. Imperocchè molto bene sapete, Venerabili Fratelli, che in questo tempo non pochi si trovano, i quali, applicando al civile consorzio l’empio ed assurdo principio del naturalismo, secondochè lo chiamano, osano insegnare «l’ottima ragione della pubblica società e il civile progresso richiedere che la società umana si costituisca e si governi senza aver niun riguardo alla religione, come se ella non esistesse, o almeno senza fare alcun divario tra la vera e le false religioni». E contro la dottrina delle sacre Lettere, della Chiesa e dei santi Padri, non dubitano di asserire «ottima essere la condizione della società, nella quale non si riconosce nell’Impero il debito di reprimere con pene stabilite i violatori della cattolica religione, se non in quanto lo dimanda la pubblica pace.» Colla quale idea di sociale Governo, assolutamente falsa, non temono di caldeggiare l’opinione sommamente ruinosa per la cattolica Chiesa e per la salute delle anime, dal Nostro Predecessore Gregorio XVI di venerata memoria chiamata delirio, cioè «la libertà di coscienza e dei culti essere un diritto proprio di ciascun uomo, che si ha da proclamare e stabilire per legge in ogni ben costituita società, ed i cittadini avere diritto ad una totale libertà che non deve essere ristretta da nessuna autorità o ecclesiastica o civile, in virtù della quale possano palesemente e pubblicamente manifestare e dichiarare i loro concetti quali che si sieno, ossia con la voce, ossia coi tipi, ossia in altra maniera.» E mentre ciò temerariamente affermano, non pensano e non considerano che essi predicano la libertà della perdizione, e che «se alla umana persuasione sempre sia libero il disputare, non mai potranno mancar quelli che ardiscono resistere alla verità, e confidare nella loquacità dell’umana sapienza, mentre quanto la cristiana fede e sapienza debba evitare questa nocevolissima vanità, lo conosce dalla stessa instituzione del Signor Nostro Gesù Cristo.»
E poichè dove dalla civile società sia stata rimossa la religione, e ripudiata la dottrina e l’autorità della divina rivelazione, anche lo stesso germano concetto della giustizia e dell’umano diritto si cuopre di tenebre e si perde, ed in luogo della giustizia vera e del diritto legittimo si sostituisce la forza materiale, quindi si fa chiaro il perchè alcuni, spregiando affatto e nulla valutando i principii certissimi della sana ragione, ardiscano proclamare «la volontà del popolo, manifestata per l’opinione, pubblica come essi dicono, o per altra guisa, costituire una sovrana legge, sciolta da qualunque divino ed umano diritto, e nell’ordine politico i fatti consummati, per ciò stesso che sono consummati, avere vigor di diritto.» Ma e chi non vede e non sente pienamente, che una società d’uomini sciolta dai vincoli della religione e della vera giustizia, niun altro proposito può certamente avere, fuorchè lo scopo di acquistare e di accumulare ricchezze, e niun’altra legge nelle sue operazioni seguire, fuorchè una indomita cupidigia di servire alle proprie voluttà e comodità? Per questo codesti uomini, con odio veramente acerbo, perseguitano le Religiose Famiglie, comechè benemerite al sommo della cosa cristiana, civile e letteraria, e van dicendo che elleno non hanno alcuna ragione di esistere, e con ciò fanno plauso ai trovati degli eretici. Perocchè, come sapientissimamente insegnava Pio VI, nostro Predecessore di venerata memoria, «l’abolizione dei regolari lede lo stato di pubblica professione dei consigli evangelici, lede una maniera di vita commendata nella Chiesa siccome consentanea all’apostolica dottrina, lede gli stessi insigni fondatori che veneriamo sopra gli altari, i quali, non ispirati che da Dio, stabilirono queste società». Ed affermano altresì empiamente doversi togliere ai cittadini ed alla Chiesa la facoltà «di potere pubblicamente erogare limosine per motivo di cristiana carità», e doversi abolire la legge «che per ragione del culto divino proibisce le opere servili in certi determinati giorni», pretessendo con somma fallacia che quella facoltà e legge contrastano coi principii dell’ottima economia pubblica. Nè contenti di allontanare la religione dalla pubblica società, vogliono rimuoverla eziandio dalle private famiglie. Imperochè, insegnando e professando il funestissimo errore del Comunismo e Socialismo, dicono che «la società domestica o la famiglia riceve dal solo diritto civile ogni ragione di sua esistenza; e che però dalla sola legge civile procedono e dipendono tutti i diritti dei parenti sui figli, massimamente quello di procurare la loro istituzione ed educazione». Colle quali empie opinioni e macchinazioni cotesti fallacissimi uomini intendono principalmente di eliminare dalla istituzione ed educazione la dottrina salutifera e la forza della cattolica Chiesa, acciocchè i teneri e flessibili animi dei giovani vengano miseramente infetti e depravati da ogni fatta di errori perniciosi e di vizii. Conciossiachè tutti quelli, i quali si sono sforzati di perturbare le cose sacre e le civili, e sovvertire il retto ordine della società e cancellare tutti i diritti divini ed umani, rivolsero sempre i loro disegni, studii e conati ad ingannare specialmente e corrompere l’improvvida gioventù, come sopra accennammo, e nella corruttela della medesima riposero ogni loro speranza. Per la qual cosa non cessano mai con modi d’ogni guisa nefandi di vessare l’uno e l’altro Clero, da cui, come splendidamente viene attestato dai certissimi monumenti della storia, tanti gran vantaggi derivarono nella cristiana, civile e letteraria repubblica; e spargono che «esso Clero, come nemico del vero e utile progresso della scienza e della civiltà, deve esser rimosso da ogni ingerenza ed esercizio nella istituzione ed educazione dei giovani.»
Altri poi, rinnovando le prave e tante volte condannate invenzioni dei novatori, ardiscono con insigne impudenza di sottomettere all’arbitrio dell’autorità civile la suprema autorità della Chiesa e di questa Sede apostolica, a lei comunicata da Cristo Signore; e negare ad essa Chiesa e ad essa Sede tutti i diritti che ella ha intorno alle cose che appartengono all’ordine esteriore. Perciocchè costoro non si vergognano di affermare che «le leggi della Chiesa non obbligano in coscienza, se non quando vengono promulgate dalla potestà civile; che gli atti e decreti dei Romani Pontefici, spettanti alla Religione e alla Chiesa, hanno bisogno della sanzione e dell’approvazione, o almeno dell’assenso del potere civile; che le Costituzioni apostoliche, colle quali son condannate le clandestine associazioni, sia che in esse si esiga, sia che non si esiga il giuramento di mantenere il segreto, e colle quali son fulminati di anatema i loro seguaci e fautori, non hanno vigore in quelle contrade dove siffatte associazioni si tollerano dal civile governo; che la scomunica inflitta dal Concilio di Trento e dai Romani Pontefici a coloro i quali invadono ed usurpano i diritti e le possessioni della Chiesa, si appoggia alla confusione dell’ordine spirituale col civile e politico, per promuovere il solo bene mondano; che la Chiesa non deve niente decretare, che possa astringere le coscienze dei fedeli, in ordine all’uso delle cose temporali; che alla Chiesa non compete il diritto di raffrenare con pene temporali i violatori delle sue leggi; che sia conforme alla sacra teologia ed ai principii del diritto pubblico ascrivere e vendicare al governo civile la proprietà dei beni che si posseggono dalle Chiese, dalle Famiglie Religiose e dagli altri luoghi pii». Nè arrossiscono di apertamente e pubblicamente professare il pronunciato ed il principio degli eretici, da cui nascono tante perverse sentenze ed errori, che cioè «la potestà ecclesiastica non sia per diritto divino distinta ed indipendente dalla potestà civile, e che questa distinzione ed indipendenza non possa mantenersi senza essere invasi ed usurpati dalla Chiesa i diritti essenziali di essa civil potestà». Nè possiamo passare sotto silenzio l’audacia di quelli, i quali, intolleranti della sana dottrina, contendono che si possa, senza peccato e iattura della professione cattolica, negare l’assenso e l’obbedienza a quei decreti e giudizii della Sede apostolica, l’obbietto dei quali si dichiara che riguarda il bene generale della Chiesa e i suoi diritti e la sua disciplina; purchè essi non tocchino i dommi della fede e dei costumi». Il che quanto grandemente si opponga al domma cattolico della piena potestà del Romano Pontefice, divinamente conferitagli dallo stesso Cristo Signore, in ordine a pascere e reggere e governare la Chiesa universale, non è chi apertamente e chiaramente non vegga ed intenda. Noi dunque, in tanta perversità di depravate opinioni, ben ricordevoli del Nostro apostolico ufficio e massimamente solleciti della santissima nostra religione, della sana dottrina e della salute delle anime, a noi commesse da Dio, e del bene della stessa umana società, stimammo dover nuovamente elevare la Nostra apostolica voce. Pertanto, tutte e singole le prave opinioni e dottrine, nominatamente espresse in queste Lettere, colla Nostra autorità apostolica riproviamo, proscriviamo e condanniamo; e vogliamo e comandiamo che esse siano da tutti i figliuoli della cattolica Chiesa tenute per riprovate, proscritte e condannate.
Ma, oltre di queste, Voi ottimamente sapete, o Venerabili Fratelli, che nel presente tempo altre ancora di ogni genere empie dottrine vengono disseminate dagli odiatori di ogni verità e dottrina in pestiferi libri, libelli e giornali, sparsi per tutto il mondo, coi quali essi illudono i popoli e maliziosamente mentiscono. Nè ignorate come anche in questa nostra età si trovino di quelli che, mossi ed incitati dallo spirito di Satana, pervennero a tanta empietà da non paventar di negare con scellerata procacia lo stesso Dominatore e Signor nostro Gesù Cristo ed impugnare la sua divinità. E qui non possiamo astenerci dal commendare con massime e meritate lodi Voi, o Venerabili Fratelli, i quali in nessun modo tralasciaste di elevare con tutto zelo la vostra voce episcopale contro tanta nequizia.
Pertanto, con queste Nostre Lettere ritorniamo a volgere con tutto amore il nostro discorso a Voi, che, chiamati a parte della nostra sollecitudine, ci siete di sommo conforto, allegrezza e consolazione, in mezzo alle massime Nostre angoscie, per l’egregia religione e pietà onde siete segnalati, e per quel maraviglioso amore, fedeltà ed osservanza, onde, stretti a Noi ed a quest’apostolica Sede con cuori concordissimi, vi sforzate di adempiere strenuamente e diligentemente al vostro gravissimo ministero episcopale. Ed in verità dall’esimio vostro zelo pastorale Ci aspettiamo che, assumendo la spada dello spirito che è la parola di Dio, e confortati nella grazia del Signor Nostro Gesù Cristo, vogliate con rinforzate cure ogni giorno più provvedere che i fedeli commessi alla vostra sollecitudine «si astengano dalle erbe nocive che Gesù Cristo non coltiva perchè non sono piantagione del Padre». Nè mancate d’inculcar sempre agli stessi fedeli che ogni vera felicità ridonda negli uomini dall’augusta nostra religione e dalla sua dottrina e pratica, e beato essere quel popolo il cui Signore è il suo Dio. Insegnate «che sul fondamento della fede cattolica sussistono i regni, e nulla è sì mortifero, sì vicino al precipizio, sì esposto a tutti i pericoli, come il credere che questo solo ci possa bastare, di avere cioè ricevuto, quando nascemmo, il libero arbitrio, e non domandare più altro al Signore; questo è dimenticare il nostro fattore, ed abiurare, per mostrarci liberi, la sua potenza». Nè lasciate parimente d’insegnare «che la reale podestà non fu data solamente pel reggimento del mondo, bensì massimamente per il presidio della Chiesa; e nulla vi è che ai Principi e ai Re possa recare maggior profitto e gloria, quanto, siccome un altro sapientissimo e fortissimo Nostro Predecessore S. Felice inculcava a Zenone imperatore, il lasciare che la Chiesa cattolica... si serva delle sue leggi, e il non permettere che alcuno si opponga alla sua libertà... Giacchè è certo che sarà loro utile che, quando si tratta della causa di Dio, si studino, secondo la legge sua, non di anteporre ma di sottoporre la regia volontà ai sacerdoti di Cristo».
Ma se fu sempre necessario, o Venerabili Fratelli, ora specialmente, in mezzo di sì grandi calamità della Chiesa e della società civile, in tanta cospirazione di avversarii contro il cattolicismo e questa Sede apostolica, e fra sì gran cumulo di errori, è assolutamente indispensabile che ricorriamo con fiducia al Trono della grazia per ottenere misericordia e trovar grazia con aiuto opportuno. Perciò giudicammo di eccitare la divozione di tutti i fedeli, affinchè insieme con Noi e con Voi, con ferventissime ed umilissime preci preghino e supplichino senza intermissione il clementissimo Padre dei lumi e delle misericordie; e nella pienezza della fede sempre ricorrano al Signor Nostro Gesù Cristo, che ci redense a Dio nel Sangue suo; e il suo dolcissimo Cuore, vittima della sua ardentissima carità verso di Noi, caldamente e continuamente implorino perchè coi vincoli del suo amore tutto tiri a se stesso, e tutti gli uomini infiammati del suo santissimo amore camminino rettamente secondo il Cuor suo, in tutto piacendo a Dio, e fruttificando in ogni buona opera. Ed essendo, senza dubbio, più grate a Dio le preghiere degli uomini, se questi a lui ricorrano coll’animo mondo da ogni macchia, perciò credemmo di aprire con apostolica liberalità i celesti tesori della Chiesa commessi alla dispensazione Nostra, perchè gli stessi fedeli più caldamente accesi alla vera pietà e lavati dalle macchie dei peccati nel Sacramento della Penitenza, con più fiducia volgano a Dio le loro preghiere e conseguiscano la sua grazia e misericordia.
Dunque con queste Lettere, coll’autorità Nostra apostolica, a tutti e singoli i fedeli del mondo cattolico di ambo i sessi concediamo l’Indulgenza plenaria in forma di Giubileo per lo spazio solamente di un mese, fino a tutto il futuro anno 1865, e non più oltre, da stabilirsi da Voi, Venerabili Fratelli, e dagli altri legittimi Ordinarii, nello stesso modo e forma in cui al principio del Sommo Nostro Pontificato lo concedemmo colle apostoliche Nostre Lettere in forma di Breve del giorno 20 di novembre dell’anno 1846, e mandate a tutto il vostro Ordine episcopale, le quali cominciano Arcano divinae Providentiae consilio, e con tutte le stesse facoltà, che colle dette Lettere da Noi furono concesse. Vogliamo però che si osservino tutte quelle cose che sono prescritte nelle dette Lettere, e quelle si eccettuino che dichiarammo essere eccettuate. E ciò concediamo, non ostanti le cose contrarie qualunque siano, ancorchè degne di speciale ed individua menzione e derogazione. E perchè sia tolto ogni dubbio e difficoltà, abbiam disposto che vi si mandi copia delle stesse Lettere.
«Preghiamo, Venerabili Fratelli, dall’intimo del cuore e con tutta l’anima, la misericordia di Dio, perchè egli stesso disse: La mia misericordia non disperderò da loro. Domandiamo e riceveremo; e se vi sarà dimora e tardanza nel ricevere, poichè gravemente peccammo, battiamo, perchè a chi batte verrà aperto, purchè alla porta si batta colle preghiere, coi gemiti e colle lagrime nostre, colle quali bisogna insistere e durare; e se sia unanime la nostra orazione... ciascuno preghi Dio non per sè solamente, ma per tutti i fratelli, siccome il Signore ci insegnò a pregare». E perchè il Signore più facilmente si pieghi alle Nostre e Vostre preghiere e di tutti i fedeli, con ogni fiducia adoperiamo presso di Lui come interceditrice l’Immacolata e Santissima Vergine Maria, Madre di Dio, la quale uccise tutte le eresie nell’universo mondo, e madre amantissima di tutti noi «è tutta soave... e piena di misericordia... a tutti si offre esorabile, a tutti clementissima; e con un certo ampiissimo affetto ha compassione delle necessità di tutti», e come Regina stante alla destra dell’Unigenito Figliuolo suo il Signor Nostro Gesù Cristo in manto d’oro, e circonvestita di varietà, nulla è che da Lui non possa impetrare. Domandiamo ancora l’aiuto del Beatissimo Pietro Principe degli Apostoli e del suo Coapostolo Paolo e di tutti i Santi che fatti già amici di Dio pervennero al celeste regno, e coronati posseggono la palma, e sicuri della loro immortalità sono solleciti della nostra salute.
Infine, pregando con tutto l’animo da Dio sopra di Voi l’abbondanza di tutti i doni celesti, come pegno della singolare Nostra benevolenza verso di Voi, con ogni amore impartiamo l’apostolica Benedizione, che viene dall’intimo del Nostro cuore, a Voi stessi, Venerabili Fratelli, ed a tutti i Chierici e Laici Fedeli commessi alle vostre cure.
Dato da Roma, presso S. Pietro, il giorno 8 di decembre dell’anno MDCCCLXIV, decimo dopo la dommatica Definizione dell’Immacolata Concezione della Vergine Maria Madre di Dio.
Del Pontificato Nostro l’anno decimonono.
PIO PAPA NONO.


 

IL CONCETTO CRISTIANO DELLA VITA (Estratto da "Il probblema dell'ora presente" Tomo I° di mons. Delasuss)



Il paganesimo, spingendo il genere umano sul pendio in cui il peccato originale l'avea posto, diceva all'uomo ch'egli è sulla terra per godere della vita e dei beni che il mondo gli offre. Il pagano non ambiva nè cercava altro; e la società pagana era costituita in guisa da procurare in abbondanza questi beni e questi piaceri, raffinati o grossolani non importa, a tutti coloro che erano in condizione di procurarseli. La civiltà antica era uscita da questo principio, tutte le sue istituzioni da esso procedevano, specialmente le due principali, la schiavitù e la guerra. Poichè la natura non è punto generosa, ed allora soprattutto non era stata da assai tempo educata e non così bene da procurare a tutti i bramati godimenti. I popoli forti si assoggettavano i popoli deboli e i cittadini facevano schiavi gli stranieri ed anche i loro fratelli per procacciarsi dei produttori di ricchezze e dei mezzi di piacere.
Venne il cristianesimo e fece capire all'uomo che doveva cercare in un'altra direzione la felicità, il bisogno della quale non lascia di tormentarlo. Esso cambiò il concetto che il pagano erasi formato della vita presente. Il divin Salvatore c'insegnò colla sua parola, ci persuase colla sua morte e colla sua risurrezione, che se la vita presente è una vita, non è punto LA VITA, a cui il Padre suo ci ha destinati.
La vita presente non è che la preparazione alla vita eterna. E' la via che vi ci conduce. Noi siamo in via, dicevano gli scolastici, incamminati ad terminum, in viaggio verso il cielo. I sapienti del giorno esprimerebbero la medesima idea dicendo che la terra è il laboratorio dove si formano le anime, dove si ricevono e si svolgono le facoltà soprannaturali di cui il cristiano, compiuta l'opera, godrà nel celeste soggiorno. Tale la vita embrionale nel seno materno. E' dessa una vita, ma una vita in formazione, dove si elaborano i sensi che dovranno funzionare nel soggiorno terrestre: gli occhi che contempleranno la natura, l'udito che raccoglierà le sue armonie, la voce che vi mescolerà i suoi cantici.
In cielo, vedremo Dio faccia a faccia (1); è questa la grande promessa che il Signore ci ha fatto. Tutta la religione è fondata sopra di essa. E tuttavia nessuna natura creata è capace di questa visione.
Tutti gli esseri viventi hanno la loro maniera di conoscere, limitata dalla loro stessa natura. La pianta ha una certa qual conoscenza dei succhi che devono servire al suo nutrimento, perchè le sue radici si dilatano verso di loro, li ricercano per assorbirli. Questa conoscenza non è una visione. L'animale vede, ma non ha l'intelligenza delle cose che i suoi occhi abbracciano. L'uomo comprende queste cose, la sua ragione le penetra, ne forma per astrazione le idee e per mezzo di esse si eleva alla scienza. Ma le essenze delle cose non le conosce interamente, perchè l'uomo è un animale ragionevole e non una pura intelligenza. Gli angeli, intelligenze pure, si veggono nella propria essenza, possono contemplare direttamente le essenze della medesima loro natura e tanto meglio le sostanze inferiori. Ma non possono veder Dio. Dio è una sostanza a parte, d'un ordine infinitamente superiore. Il più grande sforzo dello spirito umano è arrivato a definirlo "Atto puro", e la Rivelazione ci ha detto che è una Trinità di persone in Unità di sostanza, la seconda generata dalla prima, la terza procedente dalle altre due, e questo in una vita d'intelligenza e di amore che non ha nè principio nè fine. Vedere Dio com'egli è, amarlo come ama se stesso il che è la beatitudine promessa, supera le forze di ogni natura creata e anche possibile. Per comprenderlo, essa dovrebbe essere nientemeno che eguale a Dio.
Ma quello che non appartiene naturalmente può sopraggiungere mercè un dono gratuito di Dio. Ed è così: noi lo sappiamo perchè Dio ci ha detto d'averlo fatto. Questo (dono) è per gli angeli e per noi. Gli angeli buoni veggono Dio faccia a faccia, e noi siamo chiamati a godere un giorno la medesima beatitudine.
Non possiamo arrivarvi se non per qualche cosa che sopraggiunge, che c'innalza sopra la nostra natura e ci rende capaci di quello che radicalmente non possiamo da noi stessi, come sarebbe il dono della ragione ad un animale o il dono della vista ad una pianta: Questo alcunchè quaggiù chiamasi grazia santificante, e S. Pietro la dice una partecipazione della natura divina (S. Tommaso spiega queste parole di S. Pietro col dire: ció che è in Dio essentialiter, si fa in noi accidentaliter). Ed è necessario che sia così: poichè, come vedemmo, in nessun essere, l'operazione supera nè può superare la sua natura. Se un giorno noi saremo idonei a vedere Dio, vuol dire che alcunchè di divino sarà stato a noi partecipato, cioè quello che la teologia cristiana chiama lumen gloriae, ci sublimerà a renderci simile a Dio.
"Carissimi - dice l'apostolo S. Giovanni - noi siamo ora figlioli di Dio: ma non ancora si è manifestato quel che saremo. Sappiamo che quand'egli apparirà, saremo simili a lui, perchè lo vedremo qual egli è" (I Gv, III, 2).
Questo alcunchè lo riceviamo quaggiù nel santo battesimo. L'apostolo S. Giovanni lo chiama un germe (I Gv, III, 9) cioè una vita in principio. E' ciò che c'indicava Nostro Signore, quando parlava a Nicodemo della necessità d'una nuova nascita, d'una generazione ad una vita novella: la vita che il Padre ha in se stesso, che dà al Figlio e che il Figlio dona a noi innestandoci sopra di lui mediante il santo battesimo. Questa parola d'innesto che offre un'immagine sì viva di tutto il mistero, S. Paolo l'aveva presa da Nostro Signore che diceva ai suoi Apostoli: "Io sono la vite e voi i tralci. Come il tralcio non può dar frutto da se stesso, se non è attaccato alla vite, così neppur voi se non rimanete in me". 
Queste sublimi idee erano familiari ai primi cristiani. Tanto è vero che quando gli Apostoli ne parlano nelle loro Epistole, lo fanno come d'una cosa già conosciuta. E di fatto, è così che venivano loro con lunghe istruzioni i riti del battesimo. Poi, le vesti bianche dei neofiti loro dicevano che incominciavano una vita novella, che erano rispetto a questa vita quasi nei giorni dell'infanzia. Figli spirituali, si diceva loro, come bambini appena nati, bramate ardentemente il latte che deve alimentare la vostra vita soprannaturale: il latte incorruttibile della fede non finta, sine dolo lac concupisite, e il latte della carità divina. Quando lo sviluppo del germe che avete ricevuto sarà giunto al suo termine, la fede si tramuterà in chiara visione, e la carità nella beatitudine dell'amor divino.
Tutta la vita presente deve tendere a questo sviluppo, alla trasformazione dell'uomo vecchio, dell'uomo della pura natura e anche della natura decaduta, nell'uomo deificato. Ecco ciò che si va operando quaggiù nel cristiano fedele. Le virtù soprannaturali infuse nell'anima nostra per mezzo del battesimo, si sviluppano di giorno in giorno mediante l'esercizio che ne facciamo coll'aiuto della grazia e la rendono per tal modo capace di azioni soprannaturali di cui farà mostra in cielo. L'entrata nel cielo sarà la nascita, come il battesimo è stato il concepimento.
Così è. Ecco quello che Gesù Cristo ha fatto ed ha insegnato al genere umano. Fin d'allora, il concetto della vita presente fu radicalmente cangiato. L'uomo non fu più sulla terra per godere e morire, ma prepararsi alla vita celeste ed a meritarsela.
Godere, meritare sono le due parole che distinguono, che separano, che mettono in opposizione le due civiltà: la civiltà pagana e la civiltà cristiana.
Con ciò non si vuol dire che dal momento in cui fu predicato il cristianesimo, gli uomini ad altro più non pensassero che alla loro santificazione. Essi continuarono a proseguire i fini secondari della vita presente ed a compiere, nella famiglia e nella società, le funzioni che esse richiedono e i doveri che impongono. D'altra parte, la santificazione non si opera unicamente cogli esercizi spirituali, ma coll'osservanza dei doveri del proprio stato, e con ogni atto compiuto con pura intenzione. "Qualunque cosa diciate o facciate - disse l'apostolo S. Paolo - tutto fatelo nel nome di N. S. Gesù Cristo ... Studiatevi di piacere a Dio in ogni cosa e produrrete frutti di opere buone" (Ad Col. I, 10; III, 17). Del resto vi rimasero nella società e vi rimarranno sempre sino alla fine dei tempi, le due categorie d'uomini che la Santa Scrittura chiama così bene: i buoni e i cattivi. Però è da osservare che il numero dei cattivi diminuisce, e si accresce il numero dei buoni a misura che la fede esercita maggior impero nella società. Questi, perchè hanno la fede nella vita eterna, amano Dio, operano il bene, osservano la giustizia, sono i benefattori dei loro fratelli, e così operando fanno regnare nella società la sicurezza e la pace. Quelli, perché non hanno la fede, perchè il loro sguardo resta fisso alla terra, sono egoisti, senz'amore, senza pietà per i loro simili; nemici d'ogni bene, sono nella società una causa di perturbazione e di regresso per l'incivilimento.
Mescolati gli uni cogli altri, i buoni ed i cattivi, i credenti e gl'increduli, formano le due città descritte da S. Agostino. L'amore di se stesso potendo progredire fino al disprezzo di Dio costituisce la società chiamata comunemente "il mondo", l'amore di Dio portato fino al disprezzo di se stesso produce la santità e popola "la città celeste".
Di mano in mano che il nuovo concetto della vita, portato in terra da N. S. Gesù Cristo, entrò nelle intelligenze e penetrò nei cuori, la società andossi modificando; il nuovo punto di vista cangiò i costumi, e sotto l'influenza delle idee e dei costumi, le istituzioni si trasformarono. La schiavitù disparve, e invece di vedere i potenti assoggettarsi i loro fratelli, furono visti sacrificarsi fino all'eroismo per procurare loro il pane della vita presente, ed anche e soprattutto il pane della vita spirituale, per sublimare le anime e santificarle. Non si fece più la guerra per impadronirsi dei territori altrui e menare uomini e donne in schiavitù, ma per togliere gli ostacoli che impedivano la dilatazione del regno di Cristo e procurare agli schiavi del demonio la libertà dei figlioli di Dio.
Facilitare, favorire la libertà degli uomini e dei popoli nelle pratiche del bene, divenne lo scopo a cui tendevano le istituzioni sociali, se non sempre il loro fine espressamente determinato. E le anime aspirarono al cielo e si adoperarono a meritarselo. La caccia ai beni temporali per il godimento che se ne può avere, non fu più l'unico nè il principale oggetto dell'attività dei cristiani, almeno di quelli che erano veramente imbevuti dello spirito del cristianesimo, ma bensì la aspirazione ai beni spirituali, la santificazione dell'anima, l'aumento delle virtù che sono l'ornamento e le vere delizie della vita terrena, e nello stesso tempo il pegno della beatitudine eterna.
Le virtù acquistate cogli sforzi personali si trasmettevano mercè l'educazione da una all'altra generazione; e così si formò a poco a poco la nuova gerarchia sociale, fondata, non più sulla forza e sui suoi abusi, ma sopra il merito: in basso le famiglie, che si limitarono alla virtù del lavoro; nel mezzo, quelle, le quali, congiungendo al lavoro la moderazione nell'uso dei beni acquistati, fondarono la proprietà mediante il risparmio; in alto, quelle che, svincolatesi dall'egoismo, si elevarono alle sublimi virtù di sacrificarsi per gli altri; popolo, borghesia, aristocrazia. La società fu stabilita e le famiglie ordinate sul merito ascendente delle virtù, trasmesse di generazione in generazione.
Tale fu l'opera del medio evo. Durante il suo corso, la Chiesa adempì una triplice missione. Essa lottò contro il male proveniente dalle diverse sètte di paganesimo e lo distrusse; trasformò i buoni elementi che si trovavano presso gli antichi Romani e nelle diverse razze dei barbari; infine fece trionfare l'idea che N. S. Gesù Cristo aveva dato della vera civiltà. Per conseguirla, studiossi dapprima di riformare il cuore dell'uomo; di qui la riforma della famiglia, come la famiglia avea riformato lo stato e la società: via inversa da quella che si vuol battere oggigiorno.
Senza dubbio, darsi a credere che nell'assetto da noi indicato non ci fosse disordine alcuno, sarebbe un inganno. Lo spirito antico, lo spirito del mondo che Nostro Signore aveva anatematizzato, non fu mai, nè mai sarà completamente vinto e distrutto. Sempre, anche nelle epoche migliori, e quando la Chiesa ottenne sulla società il più grande ascendente, vi furono uomini onesti e uomini rapaci; ma si scorgevano le famiglie salire in ragione delle loro virtù, o declinare in ragione dei loro vizi; si vedevano i popoli distinguersi fra loro mediante la civiltà, e il grado d'incivilimento giudicarsi dalle aspirazioni dominanti in ogni nazione: progredivano quando queste aspirazioni erano rette e sublimi; decadevano quando le loro aspirazioni le portavano al godimento e all'egoismo.
Tuttavia, sebbene avvenisse che nazioni, famiglie, individui o si lasciassero andare agl'istinti della natura, o loro resistessero, l'ideale cristiano rimaneva sempre e senza alterazione alcuna sotto gli occhi di tutti per mezzo della santa Chiesa.
L'impulso impresso alla società dal cristianesimo cominciò a rallentarsi, l'abbiamo detto, nel secolo XIII; la liturgia lo constata e i fatti lo dimostrano. Vi fu da prima fermata, poi regresso. Questo regresso, o meglio questa nuova orientazione, si fece presto cosi manifesta che ricevette un nome, il Rinascimento, rinascimento del paganesimo nell'idea della civiltà. E col regresso venne la decadenza. "Tenendo conto di tutte le crisi traversate, di tutti gli abusi, di tutte le ombre del quadro, è impossibile negare che la storia della Francia - la medesima osservazione vale per ogni repubblica cristiana - è un'ascensione, come storia d'una nazione, fintantochè vi domina l'influenza morale della Chiesa, e diviene una decadenza, nonostante tutto ciò che questa decadenza ha talvolta di brillante e di epico, dal momento che gli scrittori i dotti, gli artisti e i filosofi si sostituirono alla Chiesa e la soppiantarono" (Maurice Talmeyr).
 
(1) Videmus nunc per speculum in enigmate; tunc autent facie ad faciem. Nunc cognosco ex parte: tunc autem cognoscam sicut cognitus sum (I Cor., XIII, 12). Ora vediamo attraverso di uno specchio, e in enigma (oscuramente); allora poi faccia a faccia (chiaramente). Ora conosco in parte: allora poi conoscerò come sono conosciuto (per intuizione). Il Concilio di Firenze ha definito: Animae Sanctorum... intuentur clare ipsum Deum trinum et unum sicuti est: le anime dei santi veggono Dio chiaramente com'è nella trinità delle sue persone e nell'unità di sua natura.

mercoledì 27 febbraio 2013

10 Marzo: Festa nazionale in onore dei Martiri della Tradizione

"Davanti a Dio non sarà mai eroe sconosciuto" ( Ordinanza del Requête )


Istituito nel 1895 dal Re Carlo VII di Spagna, in una lettera dall'esilio a Venezia per il suo Amministratore Delegato, il marchese di Cerralbo, "una festa nazionale in onore dei martiri, che, a partire dall'inizio del s. XIX, sono morti all'ombra della bandiera di Dio, Patria e Re, nei campi di battaglia, in esilio, nelle carceri e negli ospedali, e per celebrare il giorno designato 10 marzo di ogni anno, il giorno che segna l'anniversario della morte di mio nonno Carlos V '. "Dobbiamo cercare voti nelle anime di coloro che ci hanno preceduto in questa secolare lotta, e onorare la loro memoria in ogni modo immaginabile, per servire come un incoraggiamento ed esempio per i giovani che viva in loro e mantenga il fuoco sacro dell'amore per Dio ,  la Patria e il Re ".


Fonte:

Agencia FARO

Linea di successione al Trono di Baviera


File:Wappen Deutsches Reich - Königreich Bayern (Grosses).jpg
Stemma Regno di Baviera
 


La linea di successione al trono di Baviera segue il criterio della legge salica.
La monarchia bavarese è stata soppressa insieme ad altre monarchie dell'Impero Tedesco nel 1918. L'attuale pretendente al Trono bavarese è Franz I , Re e Duca di Baviera.


File:Map-DR-Bavaria.svg
In rosso i territori del Regno di Baviera
 
 
 

Legge di successione della Casa di Baviera



Nel 1808, poco dopo la concessione di una costituzione sul modello di quella imperiale francese, Massimiliano I Giuseppe di Baviera emanò la legge sulla famiglia reale di Baviera (Königlich Baierisches Familiengesetz), che espressamente invalidava le precedenti disposizioni non incorporate nel testo. Il contenuto della legge fu riprodotto, senza sostanziali modifiche, nel Königliches Familiengesetz del 1816. Infine, dopo la concessione della Costituzione del 1818, nel 1819 Massimiliano I Giuseppe di Baviera emanò un altro Statuto di famiglia, largamente riproduttivo del precedente, e comunque considerato dalla dottrina e dalla giurisprudenza come non sostitutivo e quindi a integrazione del Königliches Familiengesetz del 1816[1].


Massimiliano I Giuseppe Wittelsbach
Massimiliano I Giuseppe Wittelsbach, conosciuto anche come Massimiliano Giuseppe (Schwetzingen, 27 maggio 1756Monaco di Baviera, 13 ottobre 1825), già principe elettore di Baviera dal 1799 al 1805 col nome di Massimiliano IV Giuseppe, fu il primo re di Baviera dal 1805 sino alla sua morte.
 


Oltre all'applicazione della legge salica, l'appartenenza alla dinastia e, quindi, il godimento dei diritti da essa derivanti è determinata dalle modalità di svolgimento delle nozze. Infatti, nessun Principe di Baviera può contrarre matrimonio senza il consenso scritto del capo della Casa.
In mancanza del regio consenso, il matrimonio contratto da un membro della Casa di Baviera non ha alcun valore giuridico dal punto di vista dinastico, in particolare in relazione a rango, titolo e stemma. Né hanno diritti di successione i figli nati da matrimoni morganatici, salvo gli effetti civili sul patrimonio personale del membro della Casa di Baviera che ha contratto detto matrimonio.
Il paragrafo primo del titolo primo dello statuto sulla famiglia reale del 1819 stabilisce che «la Casa reale comprende: tutti i Principi e le Principesse che discendano in linea maschile dal Re o da un discendente di un comune progenitore della Casa reale, attraverso matrimoni riconosciuti, tra pari, legittimi; le consorti dei Principi reali e le loro vedove, durante la loro vedovanza»[2]
La Costituzione del Regno di Baviera[3] del
26 maggio 1818 stabilisce che

  1. La Corona è ereditaria nella linea maschile della casa reale, secondo l’ordine di primogenitura, e per collaterali maschi di ramo in ramo. (art. 2)
  2. Il diritto di successione non può appartenere che ai figli legittimi, usciti da un matrimonio con una persona di nascita eguale e col consenso del re. (art. 3)
  3. Gli articoli 4, 5 e 6 determinano i modi d’accessione dei rami femminili dopo l’estinzione dei rami maschili.



Modifica delle leggi dinastiche dopo il 1918


Rupprecht I di Baviera (Monaco di Baviera, 18 maggio 1869Starnberg, 2 agosto 1955).



Nel 1948 e nel 1949 il Kronprinz Rupprecht I di Baviera, col consenso degli altri membri della Casa, emendò le leggi dinastiche, ammettendo matrimoni anche con appartenenti a famiglie di rango comitale[4].
Nel 1999 Franz di Baviera avrebbe ulteriormente emendato le leggi di successione in modo da ammettere qualsiasi discendente nato da matrimonio contratto col consenso del capo della Casa (venendo meno il requisito della Ebenbürtigkeit, cioè della parità di condizione del coniuge). Contestualmente avrebbe demorganatizzato la discendenza dei matrimoni di Luitpoldo di Bavieria (n. 2 nella linea di successione sotto riportata) con la borghese Katrin Beatrix Wiegand, di Leopold di Baviera (n. 15) con la borghese Ursula Möhlenkamp e di Adalbert di Baviera (n. 19) con la borghese Sandra Burckhardt[5]. Un tale atto, se valido, va a detrimento dei diritti della sua discendenza di Rasso di Baviera (nn. 6-14), la sola ad avere contratto matrimoni paritari con appartenenti all'antica nobiltà feudale (Uradel)[6].


Linea di successione

Franz I di Baviera
 


L'attuale linea di successione a Franz I di Baviera è[7]:
discendente da matrimonio non dinastico ai sensi delle leggi di successione ai tempi di Ludovico III di Baviera, ultimo sovrano regnante
discendente da matrimonio con esponente dell'aristocrazia (Uradel e Hochadel) la cui ammissibilità rientra nell'interpretazione più o meno estensiva del principio di Ebenbürtigkeit
discendente da matrimonio con esponente di famiglia sovrana
OrdineNomeData di nascitaRelazioneNote
1Max-Emanuel duca in Baviera1937figlio di Alberto duca di BavieraLa madre è Maria Gfn Draskovich von Trakostjan
2Luitpoldo di Baviera1951figlio di Ludwig di BavieraLa madre era Irmingard di Baviera
3Ludwig di Baviera1982figlio di LuitpoldoLa madre è Beatrix Wiegand (non nobile)
4Heinrich di Baviera1986figlio di LuitpoldoLa madre è Beatrix Wiegand (non nobile)
5Karl di Baviera1987figlio di LuitpoldoLa madre è Beatrix Wiegand (non nobile)
6Franz-Josef di Baviera1957figlio di Rasso di BavieraLa madre è Teresa d'Austria
7Wolfgang Rupprecht di Baviera1960figlio di Rasso di BavieraLa madre è Teresa d'Austria
8Tassilo di Baviera1992figlio di Wolfgang RupprechtLa madre è Beatrice Gfn zu Lodron-Laterano und Castelromano
9Richard di Baviera1993figlio di Wolfgang RupprechtLa madre è Beatrice Gfn zu Lodron-Laterano und Castelromano
10Philipp di Baviera1996figlio di Wolfgang RupprechtLa madre è Beatrice Gfn zu Lodron-Laterano und Castelromano
11Christoph di Baviera1962figlio di Rasso di BavieraLa madre è Teresa d'Austria
12Corbinian di Baviera1996figlio di Christoph di BavieraLa madre è Gudila Gfn von Plettenberg
13Stanislaus di Baviera1997figlio di Christoph di BavieraLa madre è Gudila Gfn von Plettenberg
14Marcello di Baviera1998figlio di Christoph di BavieraLa madre è Gudila Gfn von Plettenberg
15Leopold di Baviera1943figlio di Konstantin di BavieraLa madre era Maria Adelgunde di Hohenzollern
16Manuel di Baviera1972figlio di LeopoldLa madre è Ursula Möhlenkamp (non nobile)
17Leopold di Baviera2007figlio di ManuelLa madre è Anna zu Sayn-Wittgenstein-Berleburg
18Konstantin di Baviera1986figlio di LeopoldLa madre è Ursula Möhlenkamp (non nobile)
19Adalbert di Baviera1944figlio di Konstantin di BavieraLa madre era Maria Adelgunde di Hohenzollern
20Hubertus di Baviera1989figlio di Adalbert di BavieraLa madre è Sandra Burckhardt (non nobile)


Note:

  1. ^ Heraldica: leggi di successione della Casa di Baviera
  2. ^ Das Königliche Haus begreift: alle Prinzen und Prinzessinnen, welche von dem Könige oder von einem Descendenten des gemeinschaftlichen Stamm-Vaters des Königlichen Hauses, durch anerkannte, ebenbürtige, rechtmässige Ehen, in männlicher Linie abstammen ; die Gemahlinnen der Königlichen Prinzen und ihre Wittwen, während ihres Wittwenstandes, in Heraldica: Bayerisches Königliches Familien-Statut vom 5. August 1819
  3. ^ Testo in italiano della Costituzione bavarese del 1818
  4. ^ Dieter J. Weiss, Kronprinz Rupprecht von Bayern (1869-1955): Eine politische Biografie, Regensburg, Friedrich Pustet, 2007, p. 346.
  5. ^ Genealogia della Casa di Baviera
  6. ^ Si tratta, nello specifico, di Beatrice Gräfin zu Lodron-Laterano und Castelromano, moglie di Wolfgang di Baviera, e di Gudila Gräfin von Plettenberg moglie di Christoph di Baviera. Wolfgang e Christoph sono figli di Rasso e di Teresa d'Asburgo-Lorena
  7. ^ La lista è compilata tenendo conto delle tavole genealogiche riportate nel sito di Paul Theroff relative alla Baviera

Scritto da:

Redazione A.L.T.A.