Carlo V d'Asburgo
Il risultato più notevole della riforma gregoriana si ebbe proprio in ordine alla libera elezione dei Sommi Pontefici. Con la limitazione del diritto di suffragio, prima ai soli Cardinali-vescovi (1059), poi esteso ai Cardinali-preti e diaconi (1179), infine con la nascita del Conclave (1274), sembrava che almeno la scelta del Gerarca supre- mo della Chiesa cattolica fosse in gran parte sottratta all’azione di forze estranee al- l’alto clero, che divenne il vero ed esclusivo soggetto della nomina. Come vedemmo sopra, la monarchia sacra recuperò relativamente in fretta, sul finire del secolo XV, le posizioni perdute in ordine alle designazioni dei candidati all’episcopato. Anche sul versante, tuttavia, così delicato dell’elezione del Sommo Pon- tefice, la potestà temporale si sforzò di riacquistare, almeno in parte, l’antica influen- za. Ritornare all’epoca della dinastia salica, quando i sovrani designavano i candi- dati al Papato, era certamente impensabile, ma i monarchi cattolici più potenti, Sa- cro Romano Imperatore in testa, non dimenticarono le prerogative di un tempo. Nacque così lo ius exclusionis, o ius exclusivae, o diritto di veto. Si tratta del diritto, o privilegio, per cui i sovrani delle tre più potenti monar- chie cattoliche (Austria, Francia e Spagna) «prima che fosse completata l’elezione papa- le potevano escludere ciascuno ufficialmente uno fra i cardinali dell’elezione», «di modo che, a seguito di una tradizione plurisecolare, di cui sarebbe difficile indicare la pre- cisa origine, le tre grandi potenze cattoliche […] si trovarono in possesso, senza quasi contestazione, del diritto di veto. In mancanza di bolle o di documenti che consacravano tale diritto, da quando non fu più seriamente contestato lo si vide come una sorta di tacita concessione autorizzata dalla consuetudine, in vista del bene comune. Tale privilegio non fu mai riconosciuto ad altre potenze, anche se cattoliche, come le corone di Portogallo o di Napoli». Alcuni autori fanno risalire la nascita – sarebbe meglio dire la rinascita – del di- ritto d’esclusiva all’Imperatore Carlo V d’Austria (1519-1556), la cui azione in tal senso si esercitò durante i Conclavi del 1549-50 e del 1555. Senza entrare nel merito giuridico della complessa questione, è indubbio che tale privilegio fu impiegato per se- coli dalle maggiori potenze cattoliche, così da configurare per alcuni un diritto alme- no consuetudinario, ovvero acquisito per via di prescrizione. Si stabilì, così, per consuetudine, che ciascun monarca poteva esercitare for- malmente il diritto d’esclusiva una sola volta e contro un solo soggetto. Il veto dove- va essere notificato ufficialmente al Sacro Collegio per mezzo di un Cardinale che ave- va ricevuto dal Sovrano l’incarico. Tale diritto era tenuto in considerazione solo se il soggetto indicato non aveva ancora ottenuto i due-terzi dei voti, ossia prima che fosse stato eletto validamente. Così durante il Conclave del 1644 il Cardinale Albornoz portò il veto della coro- na spagnola contro il Card. Sacchetti. Il Card. Albizzi, allora, stese un documento che giudicava illegittima la pretesa della Spagna di escludere un candidato alla Tiara, «ma gli fu risposto che non si poteva in coscienza dare il voto ad un cardinale escluso da un re così illustre e pio»351. Nel 1721 l’Imperatore Carlo VI (1711-1740) escluse il Card. Paolucci. Nel 1730, Francia e Spagna insieme esercitarono il privilegio contro il Card. Imperiali. Nel Conclave del 1758 la Francia escluse il Card. Giustiniani352. L’Austria, in partico- lare, ancora durante il XIX secolo impiegò con ardore tale diritto: alla morte di Papa Pio VII (1823) il Card. Albani fu incaricato dall’Imperatore Francesco I (1792- 1835) di porre il veto sul Card. Severoli, cui in conclave mancavano sette voti per ottenere l’elezione. Venne eletto il Cardinal Della Genga, che assunse il nome di Leone XII (1823-1829). Alla morte di questo (10 febbraio 1829) l’Austria incaricò ancora l’Albani di pronunciare il veto contro il Card. Gregorio. Anche durante il Conclave che seguì la morte di Pio VIII (30 novembre 1830) Albani intendeva porre l’esclusiva sul medesimo Gregorio, ma questi lasciò libero il campo all’elezione di Cappellari, il futuro Gregorio XVI. Al conclave seguente, il Card. Gaisruck, arcivescovo di Milano, ricevette il mandato da parte di Ferdinando I (1835-1848) di porre l’esclusiva contro il vescovo di Imola, card. Mastai-Ferretti, in odore di liberalismo, ma giunse in Conclave troppo tardi, quando il Pio IX (1846-1878) era già stato eletto. L’ultima volta che la monarchia asburgica impiegò tale privilegio fu il 2 agosto 1903 durante l’elezione che seguì la morte di Leone XIII (1878-1903), quando il Card. Puzyna de Kosielsko, arcivescovo di Cracovia, su mandato di Francesco Giuseppe I (1848-1916) levò l’esclusiva contro il Card. Rampolla del Tindaro, già Segretario di Stato di Papa Pecci. Alla fine risultò eletto il Card. Sarto, che si fece chiamare Pio X (1903-1914). Il diritto di veto venne abolito ufficialmente proprio da S. Pio X con la Costi- tuzione Commissum nobis del 20 gennaio 1904, alle soglie di quel conflitto mondiale che, distruggendo la monarchia austro-ungarica, avrebbe con essa fatto scendere nel- la tomba l’ultimo vestigio dell’antica Europa cristiana, unita nella concorde alleanza tra potere sacro dei Re e autorità dei Pontefici. Tuttavia, anche scorrendo, solo a volo d’uccello, la storia delle relazioni tra i due supremi poteri in ordine alla scelta dei Capi supremi della Chiesa, è facile scorge- re, che il preteso abuso dell’ingerenza del potere sacro di Imperatori e Re cattolici in tali elezioni, seppure con modalità diverse e varie nel corso dei secoli, fu quasi la rego- la costante, piuttosto che un’effimera eccezione.