giovedì 28 febbraio 2013
IL CONCETTO CRISTIANO DELLA VITA (Estratto da "Il probblema dell'ora presente" Tomo I° di mons. Delasuss)
Il paganesimo, spingendo il genere umano sul pendio in cui il peccato originale l'avea posto, diceva all'uomo ch'egli è sulla terra per godere della vita e dei beni che il mondo gli offre. Il pagano non ambiva nè cercava altro; e la società pagana era costituita in guisa da procurare in abbondanza questi beni e questi piaceri, raffinati o grossolani non importa, a tutti coloro che erano in condizione di procurarseli. La civiltà antica era uscita da questo principio, tutte le sue istituzioni da esso procedevano, specialmente le due principali, la schiavitù e la guerra. Poichè la natura non è punto generosa, ed allora soprattutto non era stata da assai tempo educata e non così bene da procurare a tutti i bramati godimenti. I popoli forti si assoggettavano i popoli deboli e i cittadini facevano schiavi gli stranieri ed anche i loro fratelli per procacciarsi dei produttori di ricchezze e dei mezzi di piacere.
Venne il cristianesimo e fece capire all'uomo che doveva cercare in un'altra direzione la felicità, il bisogno della quale non lascia di tormentarlo. Esso cambiò il concetto che il pagano erasi formato della vita presente. Il divin Salvatore c'insegnò colla sua parola, ci persuase colla sua morte e colla sua risurrezione, che se la vita presente è una vita, non è punto LA VITA, a cui il Padre suo ci ha destinati.
La vita presente non è che la preparazione alla vita eterna. E' la via che vi ci conduce. Noi siamo in via, dicevano gli scolastici, incamminati ad terminum, in viaggio verso il cielo. I sapienti del giorno esprimerebbero la medesima idea dicendo che la terra è il laboratorio dove si formano le anime, dove si ricevono e si svolgono le facoltà soprannaturali di cui il cristiano, compiuta l'opera, godrà nel celeste soggiorno. Tale la vita embrionale nel seno materno. E' dessa una vita, ma una vita in formazione, dove si elaborano i sensi che dovranno funzionare nel soggiorno terrestre: gli occhi che contempleranno la natura, l'udito che raccoglierà le sue armonie, la voce che vi mescolerà i suoi cantici.
In cielo, vedremo Dio faccia a faccia (1); è questa la grande promessa che il Signore ci ha fatto. Tutta la religione è fondata sopra di essa. E tuttavia nessuna natura creata è capace di questa visione.
Tutti gli esseri viventi hanno la loro maniera di conoscere, limitata dalla loro stessa natura. La pianta ha una certa qual conoscenza dei succhi che devono servire al suo nutrimento, perchè le sue radici si dilatano verso di loro, li ricercano per assorbirli. Questa conoscenza non è una visione. L'animale vede, ma non ha l'intelligenza delle cose che i suoi occhi abbracciano. L'uomo comprende queste cose, la sua ragione le penetra, ne forma per astrazione le idee e per mezzo di esse si eleva alla scienza. Ma le essenze delle cose non le conosce interamente, perchè l'uomo è un animale ragionevole e non una pura intelligenza. Gli angeli, intelligenze pure, si veggono nella propria essenza, possono contemplare direttamente le essenze della medesima loro natura e tanto meglio le sostanze inferiori. Ma non possono veder Dio. Dio è una sostanza a parte, d'un ordine infinitamente superiore. Il più grande sforzo dello spirito umano è arrivato a definirlo "Atto puro", e la Rivelazione ci ha detto che è una Trinità di persone in Unità di sostanza, la seconda generata dalla prima, la terza procedente dalle altre due, e questo in una vita d'intelligenza e di amore che non ha nè principio nè fine. Vedere Dio com'egli è, amarlo come ama se stesso il che è la beatitudine promessa, supera le forze di ogni natura creata e anche possibile. Per comprenderlo, essa dovrebbe essere nientemeno che eguale a Dio.
Ma quello che non appartiene naturalmente può sopraggiungere mercè un dono gratuito di Dio. Ed è così: noi lo sappiamo perchè Dio ci ha detto d'averlo fatto. Questo (dono) è per gli angeli e per noi. Gli angeli buoni veggono Dio faccia a faccia, e noi siamo chiamati a godere un giorno la medesima beatitudine.
Non possiamo arrivarvi se non per qualche cosa che sopraggiunge, che c'innalza sopra la nostra natura e ci rende capaci di quello che radicalmente non possiamo da noi stessi, come sarebbe il dono della ragione ad un animale o il dono della vista ad una pianta: Questo alcunchè quaggiù chiamasi grazia santificante, e S. Pietro la dice una partecipazione della natura divina (S. Tommaso spiega queste parole di S. Pietro col dire: ció che è in Dio essentialiter, si fa in noi accidentaliter). Ed è necessario che sia così: poichè, come vedemmo, in nessun essere, l'operazione supera nè può superare la sua natura. Se un giorno noi saremo idonei a vedere Dio, vuol dire che alcunchè di divino sarà stato a noi partecipato, cioè quello che la teologia cristiana chiama lumen gloriae, ci sublimerà a renderci simile a Dio.
"Carissimi - dice l'apostolo S. Giovanni - noi siamo ora figlioli di Dio: ma non ancora si è manifestato quel che saremo. Sappiamo che quand'egli apparirà, saremo simili a lui, perchè lo vedremo qual egli è" (I Gv, III, 2).
Questo alcunchè lo riceviamo quaggiù nel santo battesimo. L'apostolo S. Giovanni lo chiama un germe (I Gv, III, 9) cioè una vita in principio. E' ciò che c'indicava Nostro Signore, quando parlava a Nicodemo della necessità d'una nuova nascita, d'una generazione ad una vita novella: la vita che il Padre ha in se stesso, che dà al Figlio e che il Figlio dona a noi innestandoci sopra di lui mediante il santo battesimo. Questa parola d'innesto che offre un'immagine sì viva di tutto il mistero, S. Paolo l'aveva presa da Nostro Signore che diceva ai suoi Apostoli: "Io sono la vite e voi i tralci. Come il tralcio non può dar frutto da se stesso, se non è attaccato alla vite, così neppur voi se non rimanete in me".
Queste sublimi idee erano familiari ai primi cristiani. Tanto è vero che quando gli Apostoli ne parlano nelle loro Epistole, lo fanno come d'una cosa già conosciuta. E di fatto, è così che venivano loro con lunghe istruzioni i riti del battesimo. Poi, le vesti bianche dei neofiti loro dicevano che incominciavano una vita novella, che erano rispetto a questa vita quasi nei giorni dell'infanzia. Figli spirituali, si diceva loro, come bambini appena nati, bramate ardentemente il latte che deve alimentare la vostra vita soprannaturale: il latte incorruttibile della fede non finta, sine dolo lac concupisite, e il latte della carità divina. Quando lo sviluppo del germe che avete ricevuto sarà giunto al suo termine, la fede si tramuterà in chiara visione, e la carità nella beatitudine dell'amor divino.
Tutta la vita presente deve tendere a questo sviluppo, alla trasformazione dell'uomo vecchio, dell'uomo della pura natura e anche della natura decaduta, nell'uomo deificato. Ecco ciò che si va operando quaggiù nel cristiano fedele. Le virtù soprannaturali infuse nell'anima nostra per mezzo del battesimo, si sviluppano di giorno in giorno mediante l'esercizio che ne facciamo coll'aiuto della grazia e la rendono per tal modo capace di azioni soprannaturali di cui farà mostra in cielo. L'entrata nel cielo sarà la nascita, come il battesimo è stato il concepimento.
Così è. Ecco quello che Gesù Cristo ha fatto ed ha insegnato al genere umano. Fin d'allora, il concetto della vita presente fu radicalmente cangiato. L'uomo non fu più sulla terra per godere e morire, ma prepararsi alla vita celeste ed a meritarsela.
Godere, meritare sono le due parole che distinguono, che separano, che mettono in opposizione le due civiltà: la civiltà pagana e la civiltà cristiana.
Con ciò non si vuol dire che dal momento in cui fu predicato il cristianesimo, gli uomini ad altro più non pensassero che alla loro santificazione. Essi continuarono a proseguire i fini secondari della vita presente ed a compiere, nella famiglia e nella società, le funzioni che esse richiedono e i doveri che impongono. D'altra parte, la santificazione non si opera unicamente cogli esercizi spirituali, ma coll'osservanza dei doveri del proprio stato, e con ogni atto compiuto con pura intenzione. "Qualunque cosa diciate o facciate - disse l'apostolo S. Paolo - tutto fatelo nel nome di N. S. Gesù Cristo ... Studiatevi di piacere a Dio in ogni cosa e produrrete frutti di opere buone" (Ad Col. I, 10; III, 17). Del resto vi rimasero nella società e vi rimarranno sempre sino alla fine dei tempi, le due categorie d'uomini che la Santa Scrittura chiama così bene: i buoni e i cattivi. Però è da osservare che il numero dei cattivi diminuisce, e si accresce il numero dei buoni a misura che la fede esercita maggior impero nella società. Questi, perchè hanno la fede nella vita eterna, amano Dio, operano il bene, osservano la giustizia, sono i benefattori dei loro fratelli, e così operando fanno regnare nella società la sicurezza e la pace. Quelli, perché non hanno la fede, perchè il loro sguardo resta fisso alla terra, sono egoisti, senz'amore, senza pietà per i loro simili; nemici d'ogni bene, sono nella società una causa di perturbazione e di regresso per l'incivilimento.
Mescolati gli uni cogli altri, i buoni ed i cattivi, i credenti e gl'increduli, formano le due città descritte da S. Agostino. L'amore di se stesso potendo progredire fino al disprezzo di Dio costituisce la società chiamata comunemente "il mondo", l'amore di Dio portato fino al disprezzo di se stesso produce la santità e popola "la città celeste".
Di mano in mano che il nuovo concetto della vita, portato in terra da N. S. Gesù Cristo, entrò nelle intelligenze e penetrò nei cuori, la società andossi modificando; il nuovo punto di vista cangiò i costumi, e sotto l'influenza delle idee e dei costumi, le istituzioni si trasformarono. La schiavitù disparve, e invece di vedere i potenti assoggettarsi i loro fratelli, furono visti sacrificarsi fino all'eroismo per procurare loro il pane della vita presente, ed anche e soprattutto il pane della vita spirituale, per sublimare le anime e santificarle. Non si fece più la guerra per impadronirsi dei territori altrui e menare uomini e donne in schiavitù, ma per togliere gli ostacoli che impedivano la dilatazione del regno di Cristo e procurare agli schiavi del demonio la libertà dei figlioli di Dio.
Facilitare, favorire la libertà degli uomini e dei popoli nelle pratiche del bene, divenne lo scopo a cui tendevano le istituzioni sociali, se non sempre il loro fine espressamente determinato. E le anime aspirarono al cielo e si adoperarono a meritarselo. La caccia ai beni temporali per il godimento che se ne può avere, non fu più l'unico nè il principale oggetto dell'attività dei cristiani, almeno di quelli che erano veramente imbevuti dello spirito del cristianesimo, ma bensì la aspirazione ai beni spirituali, la santificazione dell'anima, l'aumento delle virtù che sono l'ornamento e le vere delizie della vita terrena, e nello stesso tempo il pegno della beatitudine eterna.
Le virtù acquistate cogli sforzi personali si trasmettevano mercè l'educazione da una all'altra generazione; e così si formò a poco a poco la nuova gerarchia sociale, fondata, non più sulla forza e sui suoi abusi, ma sopra il merito: in basso le famiglie, che si limitarono alla virtù del lavoro; nel mezzo, quelle, le quali, congiungendo al lavoro la moderazione nell'uso dei beni acquistati, fondarono la proprietà mediante il risparmio; in alto, quelle che, svincolatesi dall'egoismo, si elevarono alle sublimi virtù di sacrificarsi per gli altri; popolo, borghesia, aristocrazia. La società fu stabilita e le famiglie ordinate sul merito ascendente delle virtù, trasmesse di generazione in generazione.
Tale fu l'opera del medio evo. Durante il suo corso, la Chiesa adempì una triplice missione. Essa lottò contro il male proveniente dalle diverse sètte di paganesimo e lo distrusse; trasformò i buoni elementi che si trovavano presso gli antichi Romani e nelle diverse razze dei barbari; infine fece trionfare l'idea che N. S. Gesù Cristo aveva dato della vera civiltà. Per conseguirla, studiossi dapprima di riformare il cuore dell'uomo; di qui la riforma della famiglia, come la famiglia avea riformato lo stato e la società: via inversa da quella che si vuol battere oggigiorno.
Senza dubbio, darsi a credere che nell'assetto da noi indicato non ci fosse disordine alcuno, sarebbe un inganno. Lo spirito antico, lo spirito del mondo che Nostro Signore aveva anatematizzato, non fu mai, nè mai sarà completamente vinto e distrutto. Sempre, anche nelle epoche migliori, e quando la Chiesa ottenne sulla società il più grande ascendente, vi furono uomini onesti e uomini rapaci; ma si scorgevano le famiglie salire in ragione delle loro virtù, o declinare in ragione dei loro vizi; si vedevano i popoli distinguersi fra loro mediante la civiltà, e il grado d'incivilimento giudicarsi dalle aspirazioni dominanti in ogni nazione: progredivano quando queste aspirazioni erano rette e sublimi; decadevano quando le loro aspirazioni le portavano al godimento e all'egoismo.
Tuttavia, sebbene avvenisse che nazioni, famiglie, individui o si lasciassero andare agl'istinti della natura, o loro resistessero, l'ideale cristiano rimaneva sempre e senza alterazione alcuna sotto gli occhi di tutti per mezzo della santa Chiesa.
L'impulso impresso alla società dal cristianesimo cominciò a rallentarsi, l'abbiamo detto, nel secolo XIII; la liturgia lo constata e i fatti lo dimostrano. Vi fu da prima fermata, poi regresso. Questo regresso, o meglio questa nuova orientazione, si fece presto cosi manifesta che ricevette un nome, il Rinascimento, rinascimento del paganesimo nell'idea della civiltà. E col regresso venne la decadenza. "Tenendo conto di tutte le crisi traversate, di tutti gli abusi, di tutte le ombre del quadro, è impossibile negare che la storia della Francia - la medesima osservazione vale per ogni repubblica cristiana - è un'ascensione, come storia d'una nazione, fintantochè vi domina l'influenza morale della Chiesa, e diviene una decadenza, nonostante tutto ciò che questa decadenza ha talvolta di brillante e di epico, dal momento che gli scrittori i dotti, gli artisti e i filosofi si sostituirono alla Chiesa e la soppiantarono" (Maurice Talmeyr).
(1) Videmus nunc per speculum in enigmate; tunc autent facie ad faciem. Nunc cognosco ex parte: tunc autem cognoscam sicut cognitus sum (I Cor., XIII, 12). Ora vediamo attraverso di uno specchio, e in enigma (oscuramente); allora poi faccia a faccia (chiaramente). Ora conosco in parte: allora poi conoscerò come sono conosciuto (per intuizione). Il Concilio di Firenze ha definito: Animae Sanctorum... intuentur clare ipsum Deum trinum et unum sicuti est: le anime dei santi veggono Dio chiaramente com'è nella trinità delle sue persone e nell'unità di sua natura.