Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto,
vidi e conobbi l’ombra di colui
che fece per viltade il gran rifiuto.
La notizia folgorante e sconvolgente dell’abdicazione, d’un papa merita chiaramente riflessione da parte di ogni fedele cattolico.
E’ pieno l’orbe universo di commenti che vanno dalla mera piaggeria al rispetto della decisione libera e incondizionata all’umiltà dell’uomo e della sua umanità all’accettazione del dolore, della sofferenza dei limiti della nostra fragile esistenza infine alla “modernizzazione” e alla novità di tal epocale gesto.
Il punto della questione però si manca, il punto non è l’umanità, la fragilità di Joseph Ratzinger, il punto è la soprannaturalità dell’ufficio petrino di cui i papi sono custodi, nessun uomo può aver la presunzione di poter guidare con le proprie sole risorse, con la propria sapienza, intelligenza, bontà, devozione, vigoria fisica etc.. la Chiesa universale. Nessun uomo crediamo, noi cattolici, per quanto magno, è capace di adempiere a tale missione.
Come può, come può quindi un uomo adempiere a questo divino sobbarco? Semplice : non può. Non può solo, non può senza la divina assistenza, assistenza che è garantita, promessa da Nostro Signore alla sua Chiesa e quindi inevitabilmente alla sua roccia, pietra e fondamento, al suo vicario, suo timoniere.
Non dice forse Nostro Signore a Pietro ” Quando eri giovane, ti vestivi e andavi dove volevi. Da vecchio, invece, stenderai le braccia ed altri ti vestiranno e ti porteranno dove non vorresti.”, non è quindi la vita di Pietro e dei suoi successori abbandonata ad una missione che li è superiore, che non può essere né scelta né voluta ma imposta e guidata dall’alto non per mere forze umane ma più che altro divine?
E’ questo che inquieta anche un miserabile cattolico come me, l’idea di una Chiesa abbandonata alle sue insufficienti risorse dimentica della Spirito che vive nel suo senso vivificandola.
Temiamo il rispetto del mondo che oggi viene ostentato, ne temiamo gli applausi, e commozioni affettate o sincere, temiamo l’efficientismo funzionalista che ora come precedente può infettare anche il papato, il papa non come padre, buon padre non per virtù propria ma per la condizione che assume coll’accesso al timone della barca di Pietro.
Temiamo che qualunque pastore di anime sentendo meno le forze, fisiche e/o d’animo, possa pensare a rinunce varie, in tutto in nome dell’umiltà, della fatica, della frustrazione, di ” libere decisione”, in ultimo della coscienza a questo punto formata più che dalla forza della grazia , dallo spirito dalla natura nostra, dalla carne.
La pietra è solida non per merito di chi riceve il nome di Pietro ma per promessa di Nostro Signore, non stanchiamoci di ricordarlo, ” Tu sei beato, Simone figlio di Giona, perché non la carne e il sangue ti hanno rivelato questo ma il padre mio che è nei cieli”, la rivelazione che il papa deve preservare, tramandare e confermare nei fratelli non è opera sua né lo svolgimento quindi di tale opera confirmatoria è in ultimo nelle sue mani, per quanto flebili e deboli, per quanto vigorosi e forti.
Siamo perciò stupiti dalle argomentazioni che Benedetto XVI ha apportato, argomentazioni che secondo tutto questo discorso suonano come delle scuse, scuse legittime per gli uomini del mondo non per quelli di Dio, la rinuncia si spiega in questo caso solo tramite una mancanza di volontà di conformarsi alla celeste missione, si abbandona la sequela di Cristo, si ha più sfiducia per la propria miseria che fiducia nella misericordia divina.
Temiamo poi la costituzione del precedente che si induca nel sensus ecclesiae l’idea che il papa debba corrispondere a standard, difficilmente individuabili né richiesti in alcun modo per l’esercizio del pontificato, presupponendo una diffidenza morale nei confronti del papa che non faccia scelte simili a quelle di Benedetto XVI, temiamo che i papi incomincino a comportarsi come presidenti di consigli d’amministrazione, temiamo il governo imposto dalla sociologia cangiante dei tempi e non dalla fede imperitura.
Si piccona la pietra dal seggio più alto.
Tunditur non mergitur
Filippo Deidda
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