domenica 24 febbraio 2013

CORSO FORZATO DEI BIGLIETTI DI BANCA. (Alessandro Rossi - Rivista Universale, 1867)

In Veneto Alessandro Rossi si fa sostenitore di una morale attivistica, che lega però alla centralità della religione cristiana. Identifica l'etica del successo inglese con l'osservanza del dovere, e quindi collega successo e spirito cristiano; ciò gli permette di dare una carica attivistica alla religione cristiana, e di saldare conservazione dell'ordine morale ed innovazione produttiva. Secondo lui questo permetterà di evitare di dare il paese in pasto ai «vampiri del capitale», come è accaduto in Inghilterra, ed arricchirà di grandi ideali il processo di industrializzazione. Egli delinea così una società di ispirazione santsimo-niana, fondata sul predominio dei cittadini produttivi e sulla civiltà del lavoro, che si oppone ai parassiti di qualunque strato sociale.
Storia d'Italia e d'Europa, comunità e popoli
di Massimo Guidetti – Jaca Book, 1982 – Pag. 626
RIVISTA  UNIVERSALE
PUBBLICAZIONE PERIODICA
Religione — Filosofia — Politica — Storia
Scienze — Economia Sociale — Letteratura — Belle arti — Bibliografia

ANNALI CATTOLICI
NUOVA SERIE - ANNO SECONDO
VOL. VI.

UFFIZIO DELLA RIVISTA UNIVERSALE
GENOVA FIRENZE
Mura S. Chiara, N. 42. Via del Castellaccio, N. 8.
1867.

CORSO FORZATO DEI BIGLIETTI DI BANCA. (*)

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Marzo 2012
Alessandro Rossi
Alessandro Rossi (Schio, 21 novembre 1819Santorso, 28 febbraio 1898) , imprenditore  e politico veneto.
 


 Il primo Congresso delle Camere di Commercio del Regno tenutosi a Firenze, adottando le conclusioni della relazione, che in nome della 11" Sezione ebbi l'onore di presentare all'Assemblea generale, emise nella tornata 4 ottobre il volo seguente:
«Il Congresso delle Camere di Commercio del Regno:
» Considerando gl'immensi danni che derivano al paese ed ai contribuenti pel corso forzoso de'  biglietti di Banca;
» Considerando che l'unico mezzo di redimere la finanza e la Nazione si riassume nella operosità di tutti i cittadini e di tutti i capitali, nello sviluppo del lavoro, dell'associazione degli scambi e quindi nelle istituzioni di credilo, e che tulio ciò non potrebbe aver luogo sotto il regime del corso forzoso;
» Considerando che qualsiasi provvedimento finanziario venisse preso dal Parlamento senza comprendervi il ritiro del corso forzoso rimarrebbe incompleto ed inefficace al pareggio dei bilanci dello Stato;
» Considerando d'altra parie che senza provvedimenti che valgano ad avvicinare i bilanci, la cessazione del corso forzoso non potrebbe essere assicurata senza il pericolo di un più o meno prossimo ritorno;
» Considerando che alla Banca dev'essere accordalo un tempo congruo per diminuire la propria circolazione od aumentare la sua riserva metallica, perché il cambio de'  biglietti possa farsi senza perturbazioni del credilo della medesima e del credilo pubblico;
» Fa voto perché il Parlamento prenda i necessari provvedimenti finanziari ed amministrativi per avvicinarsi al pareggio dei bilanci, affinché tenuto conto di non turbare improvvisamente le condizioni attuali della circolazione, sia al più presto tolto il corso coatto dei biglietti di banca ricorrendo all'uopo, ove occorra, anche a un prestito forzato».
Vedrete più innanzi qual era la proposta che io avea propugnala in seno della Sezione.
Ho dovuto sacrificare le modalità alla massima, perché non mi sembrò essere eguale in tutti i delegati delle diverse provincie l'apprezzamento, così dei danni del corso forzato, come delle forze morali ed economiche del paese.

(*) Dobbiamo alla gentilezza dell'onorevole Alessandro Rossi, (giustamente apprezzato dai Cattolici pel suo discorso contro la legge sull'Asse ecclesiastico) di poter pubblicare questa Relazione ch'egli faceva alla Camera di Commercio di Vicenza, dalla quale era stato delegato por rappresentarla al primo Congresso tenutosi in Firenze dalle Camere di Commercio del Regno. (N. d. Direzione).

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Se io abbia esagerato a me stesso e gli uni e le altre, vogliate giudicarlo dai criteri che sottometto al vostro giudizio, come quelli che mi guidarono in questa spinosa quistione, la quale voi mi delegaste a sostenere fra i quesiti sottoposti dalla nostra Camera di Commercio al Congresso.
Sarebbe vano assunto enumerare innanzi a voi i danni del corso forzoso de'  biglietti di banca, ma conviene tenere di conto degli argomenti di coloro che parteggiano per la continuazione del medesimo. Per me son tutt'uno coloro che si schierano dietro una falsa questione di opportunità, e coloro che si studiano a mostrare impossibile quanto non è che penoso.
I voti di moltissime Camere di Commercio ci chiamavano a trattare questo argomento vitale per il paese.
Da un lato: il progetto di legge che alla riapertura della sessione del Parlamento dovrà formar parte dei generali provvedimenti finanziari resi urgenti da un grosso disavanzo in permanenza; dall'altro una nuova emissione di 25 milioni in biglietti da lire due pel pagamento de'  residui 28 milioni al Tesoro, onde la somma a redimersi non è più di 250 ma di 278 milioni; e la minaccia di novelle emissioni per la operazione finanziaria di 400 milioni sui beni nazionali.
Voi conoscete quale fosse il progetto di legge sulla soppressione del corso forzoso che dal Ministero venne portalo alla Camera de deputati; voi conoscete dietro quali fatti e sotto quali circostanze la Commissione eletta dalla Camera presentò la relazione. La Commissione aveva a pronunziarsi sulla massima, ma non aveva a discuterne i mezzi. Questi stavano nei 600 milioni chiesti dal Ministero. Le dichiarazioni dell'onorevole Presidente del Consiglio erano esplicite, cosi nella tornata del 10 luglio alla Camera, come nella conferenza 25 luglio colla Commissione. La relazione fu presentata il giorno 27, e tutti sanno sotto a quali dure necessità il Ministro, nel giorno stesso, limitando la sua domanda a 400 milioni, dovette per allora separarne la legge sull'abolizione del corso forzoso.
Mancata la base, prorogato il Parlamento, la questione torna da capo, confortata dalle dichiarazioni del Ministro, impregiudicata, più urgente.
Tacciono i rappresentanti della nazione; che dice la stampa? Per non parlare di quelli che chiamano il corso forzoso un evidente vantaggio per tutto il paese indistintamente (Gazzella di Torino, 21 settembre), dai più se ne confessano in via sommaria i danni, e poi in lunghi articoli si conchiude che è una utopia il pensare a sopprimerlo (Perseveranza, 11 agosto). Capisco che si tratta di giornali politici, non di organi del commercio, che non abbiamo, perché è fatica a redigerli e fatica a leggerli; e quindi si ammettono i danni del corso forzoso poiché si sono uditi narrare.

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 Il fatto è che l'alto Commercio vi dice: non mi toccale la Banca! i teorici vi mandano a leggere la storia d'Inghilterra e vi additano l'America. I fiscali gridano: lo Stato, signori, l'erario, praetereaque nihil — e, curioso a dirsi, spuntano in coda contro di noi anche i protezionisti. Numeriamo dunque i nemici.
Primi e più terribili i fiscali, perché stanno con essi alcuni de'  nostri uomini di Stato. Essi dicono: non potendosi fare il meglio, pareggiamo, o portiamoci almeno verso il pareggio de'  bilanci con un largo ed aumentalo sistema di imposte e colle maggiori economie volate e da volarsi. Il rialzo della Rendita ne sarà la prima conseguenza. Aumento della Rendita è aumento di capitale, e via via, di credilo, d' attività, di prosperità, di fiducia. Aumento di fiducia è aumento, anzi parificazione naturale, spontanea del valore della moneta fittizia contro la moneta reale.
Io vi confesso, o Signori, che mi sembra lungo seguir questa genesi per arrivare alla soppressione del corso forzoso. Non è che in massima io neghi tutte quelle discendenze; anzi torno a dichiarare, come nella relazione della Commissione alla Camera, che il risorgimento della nostra prosperità starà in perfetto rapporto colla condizione delle pubbliche finanze; ma l'ente che nel raziocinio dei nostri avversarii è generato, nel nostro è generatore; quanto per essi dev'essere effetto, per noi dev'essere causa e fattore. Qual è infine lo scopo comune? La prosperità del paese come unica origine vera e duratura delle buone finanze. Voi che credete alla onnipotenza dello Stato, e non ci vedete che un ingranaggio composto di cifre, quasi che lo Stato non fosse il complesso di contribuenti che respirano e pensano, voi vi attendete la prosperità dalle imposte e dalle economie; ma imposte, in via assoluta, significano impoverimento: ma economie, in via assoluta, significano licenziamento de'  salariati dello Stato.
Non occorre una grande sapienza per raccogliere, sì bene un grande studio per seminare. Mirate il paese, che consuma 400 milioni più che non produce, povero d' industrie private, spaventato dalle grandi che fecero cattiva prova, e quindi disgustato dalle associazioni; deserto d'istituzioni di credilo, anzi avviluppalo da un monopolio bancario più o meno legale, ma effettivo: non soccorso da capitali produttivi, addormentalo sopra rendile che tremano. E voi vi figurate una prosperità che gli venga dall'alto come una specie di magnetismo, in mezzo al regime della carta inconvertibile che oggi perde 8, domani perderà forse 20 per cento!
Ebbene voi mi dite che la soppressione del corso forzoso è una utopia? Noi vi risponderemo che il pareggio dei bilanci è una illusione. Se il corso forzoso non si può sopprimere come dite de par le Roi, nemmeno
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 ad impinguare l'erario le leggi non bastano, e voi lo sapete per prova!
Sicché la prosperità nazionale, quale l'intendono gli uomini fiscali resta una frase per noi e nulla più. Noi non ci commuoviamo facilmente alle pompe oratorie. Quando vediamo passare una dopo l'altra le esposizioni finanziarie (e n'ebbimo di rosee e brillanti, e n'ebbimo di cupe e desolanti) senza produrre alle Borse significanti influenze sui nostri fondi pubblici, che seguono sempre e inesorabilmente lor china fatale, noi concludiamo che per essere penetrati delle condizioni dello Stato, convien prima penetrarsi delle condizioni del paese, dalle quali i legislatori non possono separarsi senza cadere in gravi errori economici e politici, e che per curare il male ci vuol altra fatica la quella d'innalzare il sasso di Sisifo, come io chiamerei il sospirato e mai raggiunto pareggio dei bilanci.
Non è che io voglia adossare ai nostri avversarii soltanto una situazione della quale tutto il paese diventa ormai responsabile; ma citerò a mo' d'esempio come due delle precipue condizioni necessarie allo sviluppo della prosperità nazionale rimangano pregiudicale dal valore fittizio della nostra moneta: le istituzioni di credilo, e gli scambi internazionali.
Le istituzioni di credito! ecco la magica parola che deve nel lavoro di lutti vivificare, moralizzare, ingrandire il paese, c fornir de'  veri contribuenti all'erario: istituzioni di credilo provinciali, locali, alla portala di tutti per offrire da una parte una diversa e sicura direzione e forza d'insieme a tutti i risparmi del capitale nazionale; e distribuire dall'altra un aiuto sagace, pronto, opportuno alla media e piccola industria, all'agricoltura, al medio e piccolo commercio. Ma il credito è l'onestà della parola, la coscienza del dovere, il valor personale riconosciuto: il credito è moralità, il credito è la fiducia messa in pratica. E il corso forzoso è la negazione della moralità, la negazione della fiducia. Presso i nostri proprietari, i risparmi non si fanno in biglietti di Banca; si portano piuttosto alla Banca, pagandone la custodia, e per lo più si serbano in cassa o per paura o per riserva. Carta inconvertibile non se ne vuole ammassare da alcuno, e il capitale italiano non si esporrebbe mai ai rischi di valori incerti, oscillanti, immaginari, come quelli della carta inconvertibile.
E d'altra parte qual genere di sconti potrebb'essere quello accettalo dal Commerciò ed accordato dal Banco col pericolo per entrambi che fino alla scadenza degli effetti l'aggio diverso della carta possa tre e quattro volle superare l'importo dell'interesse: imperocché base legittima d'ogni operazione di credilo non può essere che il valore reale, tanto della merce, quanto del medio di cambio della medesima. Lo stesso dicasi dei depositi, delle anticipazioni, dei conti correnti. Sarebbero tutte operazioni à forfait.

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Ma poniamo ancora per un momento che gl'Italiani, vinta per forza la repugnanza ai valori fittizii, prendano nelle loro abitudini così filosoficamente l'uso della carta nelle contrattazioni interne da non riflettere più se le loro 10 lire ne valgano 7, 8 o 9; quale resta la situazione che viene lor falla nei rapporti interazionali? Vero è che alcuni pensano che di rapporti internazionali, almeno d'importazione, una volta per tutte non se ne parlerà più: ed a quelli risponderemo più avanti. Ma è certo che tali rapporti riceveranno una grande scossa dalla differenza e dalla incertezza dei cambi. Quindi l'altra condiziono delle relazioni coll'estero, che è pur necessaria, sia per animare ed alimentare il Commercio, sia per piantare tra noi le nuove industrie, e dilatare le esistenti, non potrà attecchire sotto il regime del corso forzoso, perché per quello i valori si alterano e non trovano all'interno una corrispondente sicurezza. Tutti sappiamo che del Commercio coli' estero non possiamo dispensarci, anzi la quantità degli scambi è la stregua dell'attività commerciale; dirò più, è una necessità dei tempi moderni, è la ricchezza e la prosperità. Tutti sappiamo che r importazione molte volte è vera economia: che l'industria è cosmopolita, e che le materie prime appartengono a tutto il mondo: che l'importazione di quelle che non abbiamo è sorgente di lavoro, è un beneficio che viene ad accrescere il capitale produttivo del paese: che le macchine e gli utensili, necessari! a guarnire e migliorare i nostri opifici, almeno per un certo tempo convien prendere all'estero, dove si fanno migliori e a miglior conto; ma col corso forzoso tutti questi rapporti diverrebbero, come divennero, sospetti per l'estero e ben presto difficili e rari, mentre per noi diverrebbero sempre più onerosi e ben presto impossibili.
Ho detto che dell'attuale situazione tutto il paese diventa ormai responsabile: soggiungo che nella operosità d' ognuno e di tutti sta soltanto riposta la ragione misteriosa dei bilanci dello Stato e si compendia il nostro avvenire economico. E quindi noi dobbiamo col sacrifizio e colla attività agevolare il compito degli uomini preposti alla pubblica finanza. Ma se essi hanno bisogno che noi dividiamo con loro la responsabilità dell'avvenire, noi abbiamo il diritto che ci si spiani, o a dir meglio, che non ci si chiuda la via, non si attraversi l'iniziativa, non si spunti la volontà, con teorie astratte ed assolute; perché il corso forzoso, che Fox chiamava atto fraudolento e cagione di giorni difficili per l'Inghilterra, anneghittisce ed isola il paese.
Noi sosteniamo che il riordinamento delle finanze senza il ritiro del corso forzoso non è, nell'attuale condizione del paese, né pratico, né possibile; noi asseriamo che il ritiro del corso forzoso deve formare parte integrante dei futuri provvedimenti finanziari, ai quali la prosperità nazionale deve essere base e coronamento.
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Ma si viene a dirci: ah! volete levare il corso forzoso; sta bene; ci ritornerete fra pochi mesi, e sarà peggio di prima.
É questa, o signori, una grave asserzione, la quale in molta parte può riguardare noi stessi, e sulla quale per nostro conto ritorneremo. Ma intanto diremo che non è prova d' abilità schivare le quistioni e non affrontarle; diremo che costoro non hanno fede in se stessi e meno nel patriottismo della nazione, che lasciano inesaudita e sofferente. Questa mancanza di fede fa dubitare piuttosto che si voglia famigliarizzarci fin d'ora a considerare nella Banca Italiana, a guisa dell'austriaca, e ne' suoi torchi il futuro serbatoio del tesoro dello Stato nelle crisi economiche, e, Dio non voglia, anche nelle crisi politiche. Ma se quello dovesse essere il palladio, sotto al quale finirebbero per ricoverarsi le nuove risorse economiche d'Italia, noi dovremmo disperare affatto del nostro avvenire.
I secondi opponenti, no, diciamo piuttosto, gli amici del corso forzoso sono i partigiani più o meno sinceri degl'interessi della Banca. Questi chiamano in loro aiuto la storia del Banco di Londra dal 1797 al 1823. Ricardo dimostra che anche in Inghilterra la inconvertibilità non fu dovuta che all'intimo vincolo che esisteva fra il Banco e il Governo, e che a quel vincolo fu dovuta la continuazione. Se ne reclamò mai sempre la cessazione, e la inconvertibilità di oltre 20 anni poté essere sopportala in Inghilterra, per la grande operosità di quel popolo, per i grandi guadagni del suo commercio, reso da Nelson e dal sistema continentale padrone esclusivo dei mari, mentre all'interno il genio inventivo e pratico d' una razza di uomini d'acciaio assicurava loro a quei tempi l'esclusività industriale. E in Inghilterra si trattava di sostenere una guerra titanica, di vita o di morte; e fatta la pace, primo pensiero del Parlamento fu il ritorno alla valuta reale.
Ma le condizioni d'Italia sono affatto diverse da quelle dell'Inghilterra. Sgraziatamente noi vogliamo, o dobbiamo vivere di rendita, anziché di lavoro, giacché a questo mancano le relazioni del capitale. Quali sono le nostre industrie agricole e manifatturiere? Dove sono i banchi di Scozia? Qual'è la nostra marina? — Il governo inglese si fece dare a poco a poco 275 milioni dal Banco, senza speranza di rimborso, e ciò malgrado, lo costrinse a riprendere i pagamenti in denaro; il Banco d'Italia al contrario deve costringere il governo a rendergli il suo primo ed unico prestito, o a lasciargli l'usura del corso forzoso.
Il popolo inglese, vinta la guerra, vince la crisi economica; il popolo italiano, superata la guerra di redenzione politica, trova la guerra delle false teorie economiche.Ma prima di entrare in questo delicato argomento della Banca in un Congresso delle principali notabilità commerciali
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e industriali d' Italia, che fecero già le loro prove, e tulle più o meno passarono per le difficoltà del credilo, e guadagnarono, coli' operosità e l'intelligenza propria, più o meno una posizione finanziaria superiore, io credeva di meritarmi un giusto biasimo, facendo appello all'indipendenza dei delegali da ogni considerazione ed interesse personale in confronto al vero bene della grande classe che rappresentavano.
La questione del corso forzoso era parie integrante di quella che riguarda 1 unicità o la pluralità delle Banche. Io credo che tutti riconosciamo che il nostro sistema bancario è assai imperfetto; ma quanto a proporre un sistema perfetto, io, né banchiere, né economista, non sarei stato cosi temerario da pronunciare affermazioni assolute, sovra un problema che l'intero Congresso era chiamalo a risolvere. Anzi poiché i partigiani della Banca si compiacciono di dare il titolo di demolitori a chi li tocca, piaceva a me dichiarare che, se mentre tutta la nazione era intenta alla libertà politica, e poco o nulla alla libertà economica, ha potuto sorgere, più o meno legalmente, una Banca polente in mezzo a noi, io cotesto fallo non deplorava. Oltre alla legittima soddisfazione d' amor proprio nazionale, essa, padrona e ministra di credito, può conservare la simpatia delle borse estere, e sotto certe norme di prudenza, anche la propria utilità al governo nazionale. Ma se io ne accetto i beneficii, ne segnalo i pericoli. Né vorrei minorata la Banca ma migliorata, e lo sarebbe quando non fosse distratta dalle sue vere operazioni, quando sfuggisse l'alea degli affari di borsa, quando non coprisse un vero monopolio sotto le parvenze di esagerati o falsi vantaggi, quando finalmente lo Stato non concorresse ad abusarne e fuorviarla dal proprio centro di vera istituzione di Credito pel Commercio e l'Industria.
E noi siamo in questa condizione anormale: noi ne proviamo le conseguenze al momento di sospirare il ritiro del corso forzoso. Fu detto che il corso obbligatorio dei biglietti dì Banca venne determinato dalla vista di salvare la Banca dal fallimento. La relazione del Direttore generale per la gestione 1866 chiama cotesto un oltraggio, e cita le parole del Ministro Scialoja «il corso forzoso non fu un libero negozio, ma una dura necessità». Queste parole sono gravi, o signori, e poiché la relazione nulla soggiunge per ispiegarle, nulla ci resta per respingere i sospetti che il pubblico si è formato sulla libertà del negozio e sulla durezza della necessità.
È un fatto però che pel decreto 1° maggio 1866 i direttori della Banca possono accrescere a loro talento la quantità e dirò anche il valore dei biglietti, rimanendo nel loro capriccio che 10 lire si devano accettare oggi per 15, dopo domani per 20.
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Ebbene io non so trovare, come scrive Smith, una più evidente bancarotta pubblica di questa. Quale differenza corre tra questo principio e T altro, che io non qualifico, della riduzione della rendita?
Ma se rimane a provare chi creò la situazione, è facile provare che questa situazione conviene perfettamente alla Banca. Dal primo al secondo semestre 1866 gli utili degli azionisti della Banca si sono quasi raddoppiati. Difatti dopo il decreto 1° maggio 1866 la Banca ha potuto aumentare, oltre al mutuo di 278 milioni fatto al Governo, di più che 220 milioni la circolazione de'  suoi biglietti, e nessuna legge le vieta di portare quella somma al doppio al triplo, purché si procuri nelle casse il terzo in oro di riserva. La Banca, con 52 milioni e mezzo di capitale versato, può possedere 57 milioni di prestito nazionale, tener morti 70 milioni di depositi privati gratuiti, e avvicinarsi forse in quest'anno a un giro di due miliardi. Che se dovesse imprendere la garanzia della imponente operazione finanziaria dei 400 milioni, consacrerebbe una volta per sempre la inconvertibilità dei suoi biglietti. Innanzi ad essa vanno dileguandosi lutti gli altri istituii di credito, alcuni dei quali, cari per benefiche tradizioni, per popolarità, per veri servigi e conoscenze locali; e lo Stato si è messo in condizione di ricercarne l'aiuto e subirne le leggi.
Qual meraviglia se le azioni ottengono dividendi del 18 per cento, se il corso delle azioni è segnalo a 220 del capitale versalo? Per un semplice investimento di fondi è un enorme benefizio questo dividendo che fatalmente si accresce ogni anno in proporzione delle gravezze pubbliche e dell'impoverimento universale. Io non invidio la sorte degli azionisti della Banca, io non mi farò a indagare come sieno state emesse e da chi e per chi sottoscritte le ultime 2500 azioni che si dissero per il Veneto, ma fo una domanda soltanto: perché martoriate tanto i possessori di rendita, fra i quali molti non ritraggono che 5 a 6 per cento del capitale impiegato, mentre gli azionisti della Banca non trovano in paese che amici e protettori? Egli è, o signori, che da tutta questa situazione si distende una vasta rete di potenti interessi privali, e a caratterizzarli tali basta leggere i giornali onestissimi del resto, e credo anche convinti, che ne prendono le parti. La cessazione del corso forzoso non si discute, ma si chiamano dottori presuntuosi (Gazzetta del Popolo) ed uomini ignoranti (Perseveranza, ti settembre) coloro che ne dimostrano la necessità. Che c'entra il paese in tutto ciò? il paese per non voler sentire quelli che hanno studiato e che sanno, è stordito, non intende nulla, e si lascia menare per il naso che è una meraviglia (ivi).
Ma si viene a dirci: come volete levare in breve tratto di tempo tanti milioni alla circolazione, taluni anzi aggiungono, tanto sussidio all'industria ed all'agricoltura?
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Davvero sarebbe un bel sussidio questo, del quale tutti cercano a disfarsi appena lo possedono; ma il fatto è che finora all'industria ed all'agricoltura pochissimo o nessun sussidio prestò la Banca, se ancora non nuoce che altri ne prestino; né si deve poi confondere il capitale col medio circolante, e con un medio inconvertibile nel quale nessuno costituisce i propri risparmi; curioso a dirsi, il paese sarebbe divenuto ricco perché la caria abbonda. In Francia e in Inghilterra si dubita di ricorrere all'oro accumulalo nelle Banche, che non costa che 2 12 e 2 per cento, mentre noi dovremmo benedire i torchi della Banca che ci servono al 6 per cento! — Ma convien pensare che la perfezione d'una Banca consiste nel fornire al paese la sua circolazione col minimo possibile di moneta (Ricardo) come fanno l'Inghilterra e la Scozia. Quale difetto risentiva il paese negli anni precedenti al corso forzoso con una circolazione di 100 a 115 milioni di biglietti? — Il direttore generale della Banca confessa egli stesso nella citala sua relazione, che la ricorrenza al cambio nell'aprile 1866 non era promossa dal bisogno di numerario, ma da mancanza di fiducia. In ogni modo di questa circolazione malsana che ci guasta il sangue è complice il paese? Create il credilo, e introdurrete nelle arterie della nazione una circolazione assai più economica, assai più vitale.
La Banca dovrebbe quindi con misure graduali e prudenti mettersi in avvertenza o di rimettere il metallo, o di diminuire la carta, ritornando nella responsabilità che aveva prima del fatale decreto 1" maggio 1866, e il paese non sarà imbarazzato a riprendere la circolazione mista anteriore al medesimo, tanto più che in questo tempo il maneggio della carta-moneta si è più diffuso nel popolo. Infatti questa tutela della Banca sulla circolazione cartacea inconvertibile noi la respingiamo, una volta che il debito dello Stato si venga a redimere.
Ma allora vi si risponde: la Banca dovrà elevare l'interesse, restringere non solo, ma anche sospendere gli sconti, perfino ai buoni del Tesoro, rifiutare d'un tratto le anticipazioni, realizzare il suo portafoglio. Certamente, o signori, la Banca dovrà prendere, per un breve tratto di tempo, d'altronde da lutti previsto, una parte di queste misure. Ma la Banca può fare anche tutto cotesto insieme. Essa che può sembrare, come abbiamo visto, temeraria nelle proprie operazioni per se medesima, è sempre austera, non sempre imparziale, e può esser tratta a diventare terribile per gl'interessi pubblici. I direttori della Banca hanno la potenza di produrre un panico; la Banca che dispone del credito del paese, e fors'anco della situazione del Tesoro, può essere ministra di crisi. Tutto ciò sia nella situazione attuale del credito in Italia. Il Presidente Jakson nel 1856, per rigenerare il credilo negli Stati Uniti, incontrò se non provocò la crisi violenta che tutti sanno; a noi si minaccia la crisi per soffocarlo.

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Ma se andiamo per la via degli eccessi, che rispondereste a quelli che vi dicessero: si fallisca come in America, ma si prosperi come in America? Quanto a me io dichiaro che nulla v'ha di peggio che questo stato idropico in cui, a forza di paure, si vuol tenere l'Italia.
Però mi accorgo di essermi troppo inoltralo. Noi lutti conosciamo l'abilità e il patriottismo degli eminenti uomini che dirigono la Banca, ed hanno saputo portare questo stabilimento di credito a tanta altezza. E qui onorandone giustamente le persone, noi non abbiamo il menomo dubbio ch'essi risponderanno all'appello del paese, adottando fin d'ora que' provvedimenti di prudenza che valgano, entro un dato tempo, non solo a prevenire qualunque perturbazione di credilo e di circolazione, ma ben anco a far rientrare la Banca nell'orbita naturale della sua istituzione dalla quale non avrebbe dovuto sortire giammai. Essa ne otterrà facilmente lo scopo, alienando le residue azioni, compiendo i suoi versamenti, ricostituendo pel fatto stesso dell'abolizione del corso forzoso il suo patrimonio in valori effettivi, onde non avrà che più credito, realizzando con utile parte de'  suoi titoli pubblici aumentati, e sfuggendo sopratutto l'alea degli affari di borsa, per rimanere non il monopolio, ma il vertice del credilo d'un grande paese, dal quale deve guadagnarsi la benemerenza.
Ma badate, si replica, che il denaro in questi 16 mesi ha dovuto emigrare all'estero; ponete mente allo sbilancio di 400 milioni sulle nostre importazioni pagale in denaro. Quest'asserzione assoluta non si può ammettere, senza ammettere del pari che in breve tempo l'Italia non avrà più una moueta d'oro.
Lo sbilancio d'importazioni in confronto delle esportazioni non data già dall'epoca del corso forzoso, ma dopo il regime del medesimo, 1 aumento dei cambi esteri (senza tener conto delle perdite dello Sialo) gravò effettivamente il paese di un soprapprezzo di 30 milioni sulle merci importate che è la differenza fra l'oro e la carta. Questa differenza a nostro danno emigrò propriamente ali' estero, come emigrerebbe uè più né meno, a me pare, se invece di materie prime o manifatture avessimo importala quel!' altra merce che si chiama oro.
Una qualche esportazione avrà avuto luogo, specialmente pei grandi acquisti di Rendila; però parecchie transazioni seguono come prima e l'importazione dell'oro non è cessala, perché anche la Banca ritirò dalla Francia dopo il corso forzoso egregie somme; se non che, pel corso forzoso, gli scambi si sono alquanto paralizzali, anche per la mancanza di fiducia. Ma credete voi, o Signori, che il paese non trovi più i metalli preziosi ne' quali accumula i propri risparmi?

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— Siatemi testimoni, io diceva, che le nostre sete, i nostri oli, le nostre derrate non si cambiano in carta inconvertibile, al di là del puro bisogno della circolazione. 11 paese non vuol saperne di carta inconvertibile. Ma qual'è la conseguenza? l'immobilizzazione dei capitali incoraggiata dal corso forzoso.
Io non escludo che qualche difficoltà momentanea non possa succedere nella circolazione, però l'inconvertibilità di alcuni milioni di biglietti da lire 2 potrebbe, per qualche mese di più del termine fatale, venir colle debite cautele protratta; conviene anche considerare che le difficoltà previste si superano più facilmente, ma questi piccoli ostacoli scemano d'importanza di fronte a una misura provvidenziale di questa natura: tanto più che il denaro all'estero abbonda in quest'anno; fu sufficiente il nostro raccolto di cereali, non è scarso quello dei vini, e buono fu quello delle sete.
Del resto la istituzione dei Banchi provinciali economizzerà di mollo la circolazione, perché non è la quantità del danaro circolante che forma la ricchezza d' un paese, ma la differente ripartizione del medesimo. Lo dimostra la circolazione dell'Inghilterra, paese le mille volte più attivo del nostro; onde ne consegue che il bisogno della moneta, merce come un' altra, non è assoluto ma relativo; e per noi è relativo specialmente alla instaurazione del credito e della fede pubblica, del lavoro e della produzione, non già collegato a teorie assolute ed a frasi vuote di senso e nude di applicazione.
Questo argomento, delle importazioni mi porta naturalmente a dire una parola degli ultimi avversari della soppressione del corso forzoso, i protezionisti. Per essere questi i più speciosi non sono i meno temibili, perché parecchi d'essi appartengono a taluna delle più attive Provincie d' Italia, e trovano un facile eco in qualche altra del mezzogiorno. Ma non è questo il momento di entrare in una questione cosi delicata, e degna della più grave considerazione. Sulle tariffe daziarie fu emesso un voto del Parlamento; e tutte le Camere di Commercio del Regno stanno per rispondere all'inchiesta del Ministero. Così si fossero consultale prima di stringere i vigenti trattati di commercio. Si sarebbe potuto conservare lo spirito liberale dei medesimi, e nullameno evitare diverse anomalie, analizzar meglio alcune industrie sofferenti, e sopratutto tener ferma una perfetta reciprocità.
Non intendo dunque pregiudicare la questione facendomi a rettificare alcuni giudizi che colla nostra hanno rapporto. — Parlano i più reputati loro giornali: «il corso forzoso è una barriera a favore delle industrie nazionali... le condizioni generali lo impongono finché la produzione e la esportazione si equilibrino col consumo e la importazione... il disaggio sulla carta-moneta sia perciò la nostra valvola di sicurezza, l'ostacolo provvidenziale all'uscita del denaro, tantoché torni senza urlo la circolazione metallica» (Gazzetta Piemontese, 11 luglio).

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Ma questi signori che vorrebbero rendere, con teorie cosi assolute di protezionismo, l'Italia ricca come la Spagna, mi saprebbero dire perché in Austria, dove questo compenso di scambi è avvenuto, anzi l'esportazione supera di molli milioni l'importazione, le note di banca perdono ancora il 20 per cento? Ma è egli possibile, è egli utile chiudersi in casa in pieno secolo XIX? abbiamo noi tutte le industrie che la bravura del genio umano seppe invitare a soddisfare i bisogni della società civile? abbiamo noi la capacità istantanea d'introdurre da per noi quelle che ci mancano? abbiamo noi tutte le materie prime, le macchine e il mobiliare relativo? abbiamo noi più di lutto quella istruzione moderna, quella energia individuale che sole sono capaci di redimere dalla concorrenza il più felice e il più intelligente paese del mondo? Ah! l'esempio degli Stati Uniti vi conviene per la loro carta-moneta, per le loro nuove tariffe daziarie, risultato inesorabile d'una guerra più inesorabile, e senza esempio nella storia. Ma vi conviene poi r istruzione avvanzata, l'energia indomita, l'operosità universale di quel popolo, che perciò solo può sopportare e carta e dogane, perché seppe farsi grande senza protezione? Certamente che ad alcuni industriali può ripugnare quella istruzione quel coraggio e quella operosità; ma si possono perciò incarire per una via obliqua in modo assoluto e a capriccio le produzioni, anche monche e imperfette, a danno dei consumatori e far loro credere che ciò avviene pel miglior bene di lutti? quasi che non fosse l'interesse individuale che regola alla fine tutte le contrattazioni privale, tutte le specolazioni del commercio. Od invece dell'armonia naturale che deve esistere fra consumatori e produttori, è forse il consumatore che deve correr dietro al produttore per subirne la legge in ragione della povertà della moneta che gli reca in cambio, e della difficoltà artificiale che gli creale a non provvedersi meglio? No: io ho sempre considerato i capi d'industria come benefattori della società, non già' come monopolisti; e tanto in questo argomento come in quello del credilo, noi dobbiamo sostenere principii più alti, più sicuri, più benefici, più liberali.
Potea dunque io sperare allora di avere sgombrato il terreno dalle contraddizioni dei nostri opponenti? No, o Signori; dessi tornano in campo tutti riuniti sotto lo scudo della così della impossibilità dei mezzi, e lo dicono si alto e in tutti i tuoni, che dalla gente timorosa giungono a farsi credere.
Certamente io non potea farmi illusione sulle condizioni economiche del paese. Però io considerava che l'Italia per redimersi cosi presto dallo straniero non avea poi sofferto grandissimi sacrifici di denaro in confronto di altre nazioni. Un solo prestito all'interno, e, per vari prestiti all'estero, molti interessi, che in gran parte essa stessa riscuote. Gravi le imposte, ma non molto più che altrove: gravissima e massima quella del corso forzoso.

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Ma io concludeva che se il segreto delle pubbliche finanze sta nella operosità di lutti, per uscire dalle strette del corso forzoso son necessari il patriottismo e la fede; e nell'uno e nient'altro caso il paese deve salvare se stesso. Noi ci aggiriamo da un pezzo in un circolo vizioso e fatale, dal quale non si esce senza alti di eroismo. L'Inghilterra e l'America sursero prospere dopo la guerra, perché non attinsero che nella loro propria virtù le fonti della prosperità nazionale. E l'Italia dopo la guerra è spossata ed attonita, perché si vuol farla scimmieggiare e non agire per sé, perché noi abbiamo i difetti e non le qualità, sì dell'indole antica che dell'indole nuova, e perché, corporazioni e privati, siamo divenuti un popolo che domanda, e non un popolo che opera.
E qui nel nostro caso la soppressione del corso forzoso bisognava operarla, non domandarla. È questo un sacrifizio momentaneo che s'impone da sé al paese. Pensasse il Parlamento ad avvicinare con provvedimenti finanziari i bilanci dello Stato, e noi proponiamogli un prestito obbligatorio di 278 milioni per pagare alla Banca il debito dello Stato.
Questo prestito io lo proponeva assegnalo per Provincie come il nazionale, lasciando ai Consigli Provinciali le ripartizioni a seconda delle circostanze locali e delle classi a cui beneficio ridonda più specialmente; esenti le classi meno agiate e i bassi stipendi; Io proponeva coperto dal popolo italiano e non da istituti, emesso al pari, frullante 5 per cento, pagabile in sei rate bimestrali da fin gennaio 1868 in avanti, le quali rate corrispondessero, 15 giorni dopo, alla redenzione di altrettanta carta moneta, e redimibile per estrazioni in 5 anni da 1872 in avanti. Non occorre ripetere che il prestito dovev'avere per condizione gli altri provvedimenti finanziari legislativi che giovino ad approssimare i bilanci dello Stato a una ragione normale. Mi pareva che la proposta stessa di liberarci con un sacrifizio penoso dal corso coatto de'  biglietti di Banca fosse allo di vitalità e di energia che dovesse influire sul nostro credito all'estero, che una ostinata sfiducia deprime ogni giorno più alla borsa di Parigi, la quale regola i corsi de fondi italiani, che in massima parte possediamo noi stessi.
Ho detto che si trattava di un sacrifizio momentaneo, perché lo Stato pagherà il prestito col benefizio del prestito medesimo, aumentandosi le entrale e diminuendosi le uscite pel solo ritorno della circolazione monetaria, e il paese prestando un capitale con interesse, e in non lontane epoche redimibile, si solleverà d'un tratto dal danno reale e non redimibile che gli apporta il corso forzoso.
Se l'Austria in condizioni finanziarie ed economiche assai critiche ha potuto nel 1854, per opprimere meglio i suoi popoli, operare un prestito obbligatorio di lire 37 per testa su tutta la sua popolazione,

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noi potremo noi fare di lire 11 50, per rigenerarci economicamente e quindi politicamente, liberandoci da questa oliava piaga d'Egitto? 0 si dirà che nei governi liberi la volontà di pagare si spegne? Quanto a me, la libertà del non pagare io non l'ho compresa mai. Noi proporremmo spontanei un prestito coattivo a redimerci dal corso coattivo, ed avremmo evitato che fatali necessità fra non mollo tempo c'impongano un prestito coattivo col corso coattivo. Non possiamo sperare che alcuno paghi per noi: era il minore dei mali a scegliere. Alla impopolarità di un prestito obbligatorio sarebbe contrapposta la grande popolarità del ritorno alla valuta reale.
Ma si potea dire (e qui riprendo un argomento lasciato in sospeso) che alla prima necessità di Stato, alla prima complicazione politica dovremo, malgrado il nostro eroismo d' oggi, ritornare al corso forzoso domani. Certamente, o Signori, che il patriottismo non basta senza la fede e fede operosa. Mi parea tempo ormai che la nazione si scuotesse e si ponesse in armonia di pensieri e di opere. Se la soppressione del corso forzoso dev'essere in armonia col ristauro dei bilanci e questo con quella, lo Stato dev'essere in armonia coi contribuenti, il paese colla operazione finanziaria in corso, che dal campo delle ardenti discussioni è passata ormai nel campo neutro dei fatti, la legislazione commerciale coli' interessi bene compresi e particolari del paese, le imprese governative colle industrie locali, lo sviluppo delle industrie agricole e manifatturiere e del commercio colle più pronte e larghe istituzioni locali di credilo, e al vertice di queste, libere, autonome, sia pure la Banca, benefattrice e non assorbente e tiranna: la diffusione dell'istruzione, pane dell'anima, in armonia colla diffusione del lavoro, pane del corpo: l'associazione della scienza in armonia coli' associazione del capitale.
Tutto ciò è facile a dirsi, aspro a farsi, convengo; ma non c' era altra via. Per aspera ad astra è il motto dei Prussiani — Excelsior dicono gli Americani.
Egli è, o Signori, che in questa rigenerazione nazionale io pensava che spetta a noi una parte che non è né piccola né remota, ma grande ed immediata. Io diceva che i banchi provinciali di sconto e credito dovevano essere opera nostra, tornati in provincia: Parlamento e Ministero esser pronti a secondarci; nella situazione che ci è falla dell'esistenza della Banca, io dissi che si dovesse considerare l'organizzazione bancaria nel Belgio, dove fanno Io sconto i banchi provinciali cointeressati. É un felice concetto ed una economica ripartizione di capitale: un sistema proposto dal nostro illustre prof. Luzzalli che ne fece gli studi sui luoghi e che si potrebbe intanto con qualche modificazione introdurre presso dì noi per un pronto effetto. Ma conveniva occuparsi, prima ancora di separarsi, di redigere uno statuto comune.

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Opera nostra dovere essere la propagazione e io sviluppo delle industrie e dei commerci: dell'attività nazionale noi, sentinelle del mattino, farsi l'esempio, se ci premeva la redenzione del paese e il nostro stesso avvenire.
Se non che, allora un pensiero funesto m'assaliva di nuovo sui pericoli che l'imminente operazione finanziaria può suscitare nelle relazioni fra lo Stato e la Banca, lo non conosco i secreti né dell'uno né dall'altra, ma comprendo che tutto il secreto sta ancora, e sempre, pel patriottismo del paese. Risponderà il paese alla fiducia del Ministro? lo fo il merito al Presidente del Consiglio dei Ministri di non aver cercalo una vana popolarità nelle sue dichiarazioni alla Camera sulla cessazione del corso forzoso: della necessità di consacrarlo adesso coll'intervento della Banca nell'operazione sui beni nazionali, sia egli stesso giudice e responsabile.
Eccovi, o Signori, esposte le mie idee su questo argomento, quali le leggeste riassunte nei motivi della deliberazione accettati dal Congresso.
È un sistema complesso di misure, parte già prese e da prendersi dal Parlamento, parte da prendersi dalla nazione per accrescere e svolgere la pubblica ricchezza, e tulle queste combinate in tal guisa che procedano concordi e parallele sulla base del concorso e del patriottismo di tutti i cittadini; del nostro, prima di tutti.
Il Congresso dunque accettando unanime la massima del prestito, ed a maggioranza, del prestito anche forzalo, che segno di buona volontà e di patriottismo. La decisione del Congresso, che ha una grande importanza, segna un punto di mezzo fra l'ottimismo degli uni e il pessimismo degli altri. Quanto a me, se dilazione dovesse esserci, nelle circostanze in cui siamo mi equivalerebbe abbandono. Quanto a me, non vedo innanzi a noi che due vie:
L' una che comincia col sacrifizio, coli' abnegazione, col patimento, e a forza di volontà, di energia, di lavoro, di fratellanza, di patriottismo ci condurrà alla prosperità e alla dignità di nazione.
L'altra che comincerebbe col primo miliardo di carta a corso forzoso io, Italiano, non ve la voglio descrivere.
ALESSANDRO ROSSI.


Fonte:

http://www.eleaml.org/