Roberto il Guiscardo nominato duca da Papa Niccolò II.
La morte improvvisa e inaspettata di Enrico III e la giovanissima età del suo successore, lasciarono, per così dire, il Papato in balia di se stesso e delle forze locali di Roma. Il nuovo pontefice, il cardinale Federico di Lorena, Stefano IX (1057-1058) venne eletto senza chiedere l’intervento della corte imperiale. Tuttavia, il nuovo Papa inviò in Germania una delegazione, di cui faceva parte il Cardinale Ildebrando di Soana, strenuo sostenitore della riscossa morale del Papato e consigliere ascoltato dei pontefici, per ottenere il riconoscimento sovrano alla sua elezione. Anche il pontificato di Stefano IX fu breve. Morì infatti a Firenze l’anno dopo la sua elevazione, il 29 marzo 1058. Prima di morire il pontefice aveva indicato in Ildebrando un degno successore, raccomandando caldamente il clero romano a designarlo al soglio papale. La nobiltà romana decise allora di elevare al soglio petrino un proprio candidato, Giovanni, vescovo di Velletri, che intronizzato il 5 aprile 1058, assunse il nome di Benedetto X. I Cardinali, però, non vollero legittimare la sua elezione e fuggirono dall’Urbe. Ilde- brando, allora, dopo qualche mese di attesa, nel dicembre 1058, propose la candidatu- ra del pio vescovo di Firenze, il borgognone Gerardo, che si fece chiamare, Nicolò II (1058-1061). La città rimase in mano alla fazione di Benedetto, finché, grazie all’in- tervento del principe normanno Riccardo di Capua, l’Urbe fu liberata e l’antipapa condannato e deposto (aprile 1060). Mancando l’appoggio imperiale, la carica papale rischiava così di ricadere nelle mani delle fazioni romane. Nicolò decise allora d’intervenire in ordine alla elezione pontificale in modo da escludere, per quanto possibile, l’ingerenza di forze estranee al clero romano. Nell’aprile 1059 si raccolse in Laterano un concilio di oltre cento vescovi. In tale solenne occasione il pontefice promulgò la bolla In nomine domini che modificava la legislazione dell’elezione papale. Solo i Cardinalivescovi detenevano il potere di designare il Pontefice romano. Il rimanente del clero romano poteva, per dir così, approvare ed aderire alla scelta già fatta, dare cioè il loro assenso: «Ideo religio- sissimi viri [cardinales] praeduces sint in promovendi pontificis electione»[Perciò sia- no quegli uomini religiosissimi a decidere della scelta del pontefice]. S. Pier Damiani, commentando il documento, scriveva: «Si assegna ai Cardinali Vescovi il giudizio principale. In secondo luogo, si consente al clero di dare l’assenso; terzo, si permette che il favore del popolo elevi l’applauso». Gli antichi attori delle elezioni papali erano ancora presenti, ma ormai solo ai Cardinali-vescovi era deferito il ruolo principale nella designazione del pontefice. Era tale scelta, o elezione, che costituiva, infine, il prelato come vero Papa: «L’eletto, tut- tavia, ottiene come vero Papa l’autorità di reggere la Chiesa Romana e di disporre di tutti le sue facoltà». Ed il ruolo dell’Imperatore? La bolla di Papa Nicolò era interventua più per sottrarre il Papato ai disordini dell’Urbe che all’influenza dell’Impero, la quale fino a quel momento era stata assai vantaggiosa alla ripresa morale dell’istituzione. Tutta- via, Nicolò pensò di limitare l’azione della potestà temporale, se non di escluderla del tutto:
«Lo eleggano – così infatti si esprime il documento papale – dal seno della chiesa di Roma, se è trovato degno, altrimenti lo si prenda da un’altra Chiesa. Salvo restando il debito onore e la reverenza verso il nostro diletto figlio Enrico che è ora chiamato re e che si spera sarà con l’aiuto di Dio il futuro imperatore, come gli abbiamo concesso, e verso i successori di lui che personalmente chiederanno questo privilegio a questa Sede Apostolica».
Il testo rimane su questo punto volutamente sfumato: «Il re, o l’imperatore, o i loro successori potranno dunque intervenire nell’elezione papale solo in virtù d’un privilegio personale liberamente accordato dalla S. Sede e non per un diretto inerente alla corona. Tale privilegio non sarà ereditario, ma apparterrà ai suoi successori solo in quanto sarà rinnovato a ciascun cambiamento di titolare». Tale intervento del sovrano non consiste più nel diritto di confermare l’eletto, ma di ricevere dal nuovo papa quell’onore e quella riverenza che sono dovuti al sovra- no in quanto maggiore e suprema dignità temporale della Cristianità. S. Pier Damiani, commentando il testo pontificio, così intende l’espressione papale: «L’autorità della maestà del Re venga consultata, a meno che non incomba un peri- colo, che constringa ad affrettare il più possibile l’elezione».