Milano, 6-9 maggio 1898
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Bava Beccaris |
È il 6 maggio: verso mezzogiorno, alcuni agenti di polizia si infiltrano tra gli operai della Pirelli di via Galilei; approfittando della pausa pranzo, in fabbrica si aggirano dei propagandisti che distribuiscono i volantini di protesta, su cui fra l’altro sta scritto che è il governo il vero responsabile della carestia che travaglia il paese. La polizia arresta sindacalisti e operai, e deve muoversi Filippo Turati (deputato dal 1896) per farli rilasciare praticamente tutti: in questura ne resta solo uno. I lavoratori della Pirelli reclamano la liberazione del compagno, e la loro protesta riceve la solidarietà delle maestranze di altre fabbriche cittadine.
La giornata volge al termine, ma non il braccio di ferro tra operai e polizia: verso sera, in risposta alla sassaiola di un gruppo di dimostranti, la polizia spara qualche colpo; una compagnia di soldati, che si stava recando sul luogo per presidiare la zona, accorre e senza neanche sapere cosa stia succedendo apre il fuoco. Il bilancio è di tre morti e numerosi feriti.
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alpini e berdaglieri, ‘ i più amati dagli italiani’
impigati nella strage.
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La popolazione milanese reagisce compatta: per il giorno seguente, 7 maggio, viene proclamato uno sciopero generale di protesta al quale la cittadinanza aderisce in massa riversandosi nelle strade principali della città. Entra in azione la cavalleria, il cui effetto viene però vanificato dalle barricate prontamente erette e dalle tegole lanciate dai tetti delle abitazioni. Nel pomeriggio di quella stessa giornata, il governo, irremovibile nel vedere dietro i disordini una inesistente trama rivoluzionaria, decreta per Milano lo stato d’assedio,
affidando i pieni poteri al generale Fiorenzo Bava Beccaris (1), che insedia sotto una tenda da campo, in piazza del Duomo, il suo quartier generale.
L’8 maggio i cannoni entrano in azione contro le barricate e la folla, composta come sempre anche da donne, vecchi e bambini. L’ordine è di sparare ad alzo zero: restano uccise centinaia di persone, e accanto ai morti si potranno contare oltre un migliaio di feriti più o meno gravi. Il numero esatto delle vittime non è mai stato precisato, ma stime ragionevoli lo fanno risultare senza dubbio superiore a quello dei milanesi “caduti per la patria” durante le famose Cinque giornate del 1848 — circa 350 (le autorità di allora giocarono al ribasso, fissando in un centinaio i morti e in circa 400 i feriti).
Va detto che nell’occasione il governo italiano si mostrò assai più efficiente di quello austriaco: a partire dal giorno successivo, 9 maggio, quando ormai l’”ordine” era stato pienamente ristabilito a Milano e nel resto del paese, il generale Bava Beccaris, appoggiato dal governo riconoscente e con la benedizione della Chiesa nella persona del cardinale di Milano, Ferrari, emanò una serie di decreti liberticidi e ormai del tutto ingiustificati – fece sciogliere associazioni e circoli “sovversivi” e cattolici, arrestare deputati e organizzatori socialisti, repubblicani, anarchici, nonché sopprimere la stampa d’opposizione. Lo stato d’assedio venne mantenuto anche quando i milanesi, allibiti, erano stati ormai ridotti in condizioni di non nuocere.
La degna conclusione di questa desolante pagina di storia patria fu il conferimento al valoroso generale Bava Beccaris della croce di Grande Ufficiale dell’ordine militare di Savoia – come si premurò di telegrafargli da Roma il capo del governo, Di Rudinì (2): «Ella ha reso un grande servigio al Re e alla patria». E meno di un mese dopo, il 6 giugno 1898, alle ore 21,20 il Re in persona mandava al Bava Beccaris il seguente telegramma: «Ho preso in esame le proposte delle ricompense presentatemi dal ministro della guerra a favore delle truppe da lei dipendenti e col darvi la mia approvazione fui lieto e orgoglioso di onorare la virtù di disciplina, abnegazione e valore di cui esse offersero mirabile esempio. A lei poi personalmente volli offrire di motu proprio [sic] la Croce di Grand’Ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia, per rimeritare il grande servizio che Ella rese alle istituzioni ed alla civiltà e perché Le attesti col mio affetto la riconoscenza mia e della patria. Umberto»
Fonte:
http://www.alessandracolla.net/…/a-milano-romba-il-cannone…/