venerdì 11 settembre 2015

LA GRAN LEGGE SOCIALE (Estratto dall'opera di mons. Delassus "Il Problema dell'ora presente" Tomo II°)

 
La legge dello sforzo, o meglio ancora, il buon uso della libertà, non è solamente la legge imposta

dal Creatore, ad ognuno di noi, pel proprio sviluppo individuale, essa è altresì la legge

dell'organizzazione sociale e del progresso della civiltà.

Ogni anno, per quanto uno sia dotato del dono dell'osservazione su quanto avviene intorno a lui, e

sopratutto ogni uomo che ha ingrandito il suo orizzonte collo studio della storia, ha visto che la

società è il teatro d'un movimento di va e vieni perpetuo. Ad ogni istante vi sono famiglie che

emergono dal terzo stato per entrare nel secondo, che è la borghesia, vi sono molte famiglie

borghesi che si elevano alla nobiltà, ed altresì ad ogni istante famiglie nobili e borghesi decadono e

finiscono col precipitarsi nei bassi fondi della società.
 
 

È cosa convenuta che dalla formazione della monarchia francese, fino alla Rivoluzione del 1789,

ogni categoria di cittadini fosse circoscritta per sempre nella classe a cui apparteneva; e che ogni

uomo nascendo in una certa condizione vi dovesse fatalmente vivere e morire. Quest'è quanto

ognuno credeva. Niente di più falso. Il vero si è che, come dice il signor Rabeau ne' suoi Artisans

d'autrefois, che l'ascensione graduale dei differenti strati sociali, era uno dei più salienti caratteri


dell'antico regime. Quasi tutte le città hanno attualmente i loro speciali eruditi, i quali, dopo d'aver

per lungo tempo lavorato in silenzio nei depositi degli archivi, mettono questa verità in una luce

d'ora in ora più risplendente.

Come esempio citiamo l'Histoire généalogique de la famille Ruffault originaria della Fiandra


Vallonae, 1313-1626 di H. Frémaux: "Si vedono delle famiglie, originarie di villaggi nel

circondario di Lilla, elevarsi a poco a poco, arrivare alla nobiltà ed occupare i maggiori uffici, non

altro che pel loro lavoro e merito, e questo non verso i tempi della Rivoluzione, ma in pieno medio

evo.

"Gli atti in data del 1313, 1314 e 1323 mostrano i Ruffault semplici contadini abitanti il casale di

Pont-à-Tressin, parrocchia di Chéreng, sulla strada da Lille a Tournai. Verso il 1370, uno dei

membri di questa famiglia, Giovanni Ruffault, lascia il suo paesello e si fa ricevere cittadino di Lilla

nel 1379.

"Nel 1380, suo figlio chiamato pure Giovanni, si fa acquirente di due piccoli feudi situati ad Avelin,

e d'un altro feudo a Sainghin.(1) Il 4 novembre 1384 divenne feudatario del conte di Fiandra per

l'acquisto del feudo-livello di Frétin, situato tra Avelin e Frétin. Un atto del 13 marzo 1425 mostra il

sigillo di Giovanni Ruffault, figlio del precedente, ornato d'uno scudo sormontato da un gallo sulla

testa d'una capra, ed il detto scudo sostenuto da un angelo e portato da due leoni. I suoi discendenti

sempre più col loro lavoro e colle loro virtù elevarono la posizione della famiglia. Son visti

occupare costantemente degli uffici nella magistratura di Lilla e contrar alleanze colle famiglie

nobili dei paese, come quelle di Pressy, di Hauteville, di Rocque, d'Altiches, ecc., ecc. Giovanni

Ruffault, sesto del nome, dopo aver servito il suo principe alla Camera dei conti di Lilla, dal più

piccolo impiego, fino all'ufficio più elevato, è promosso alle alte funzioni di tesoriere generale delle


Carlo V del Sacro Romano Impero
finanze e dei dominii di Carlo V, funzioni che equivalevano al titolo di ministro delle finanze

adoperato ai nostri giorni, e che i de Montmorency non isdegnavano. Egli sostenne quest'ufficio

fino alla morte. Aveva fatto acquisto delle signorie di Neuville-en-Ferrain, 1516, di Lambersart e di

Mouveaux 1528", ecc.

Siffatta prosperità, dirassi, fu una eccezione. Niente affatto.

Il genealogista di Ruffault lungo il suo cammino s'imbatte e ci mostra nel suo lavoro altre famiglie

che, partite da umile condizione arrivano col loro merito alla nobiltà.

Così la famiglia Leblanc, originaria di Radinghem, che acquista la borghesia di Lilla nel 1349 e

perviene ad un'alta posizione sul principio del secolo XVI;

I Verdière, originari del villaggio di Lesquin, i quali vennero a stabilirsi a Lilla nel 1331, e nel XV

secolo divennero signori di Péronne in Mélantois e giunsero alla nobiltà verso la fine dei secolo XV

in conseguenza della creazione a cavaliere d'uno dei membri di questa famiglia;

I Sarrasin, originari della città di Arras, usciti dalla piccola borghesia di quella città, di poi signori di

Lambersart, d'Allennes-les-Marais e d'Annezin, fino dagli ultimi anni del secolo XVI; uno dei

membri di questa famiglia divenne consigliere di Stato di Filippo II e finalmente arcivescovo e duca

S.M.C. Filippo II di Spagna
di Cambrai nel 1596;

I Lessauvage, usciti parimenti dalla piccola borghesia della città di Lilla, resi illustri da Giovanni

Lessauvage avvocato di questa città, che fu rivestito dell'alta dignità di gran cacciatore

dell'imperatore Carlo V nel 1505, ed i cui discendenti furono signori di Ligny, di Moisnil,

d'Escobeeque, di Bierbeck nel Brabante, ecc.

Non è dunque assolutamente vero l'asserire che solo in grazia della Rivoluzione il servo ha cessato

d'essere attaccato alla gleba, e che l'artigiano, il mecenate, il borghese di città dovevano altre volte

raffrenare la loro ambizione per seguire la carriera dei loro vecchi senza speranza d'allargare il loro

orizzonte.

Quello che è vero si è che, se vi era una classe privilegiata, le più grandi facilità erano offerte a

coloro che non vi appartenevano, per avviarneli. Dapprima fu solo mediante il servizio delle armi

che si acquistava la nobiltà. Più tardi, tutte le condizioni vi conducevano: il commercio,

l'avvocatura, la medicina, le lettere, le scienze, le belle arti erano altrettanti ausiliari per condurre

agli onori ed alla nobiltà coloro fra la borghesia che esercitavano queste professioni con maggior

lustro; e la borghesia non cessava essa pure di reclutarsi nei ranghi inferiori del popolo. Ma mentre

alcune famiglie si innalzavano, altre discendevano.

Qual'è la legge di questo movimento di va e vieni?

Per capirla, fa d'uopo prendere le cose nella loro generalità, e non lasciarsi acciecare dalle

eccezioni. Poiché vi sono delle eccezioni, specialmente nei tempi torbidi come quelli che noi già da

un secolo attraversiamo. Improvvise fortune si elevano una bella notte, come funghi nel letamaio;

quelle che provengono dall'aggiotaggio. Ma esse vivono quanto vivono i funghi, lo spazio d'un

giorno. Quante non se ne videro, e delle più brillanti, apparire e sparire come altrettante meteore!

Queste eccezioni, in luogo di contraddire la legge, vengono invece a confermarla.

Il movimento di traslazione delle famiglie dall'alto in basso o dal basso in alto è quello che risulta

dalla forza ascendente che dà la virtù, e dalla forza degradante e sovversiva che nasce dal vizio.

Tutte le famiglie contano dietro di sé il medesimo numero di generazioni. In qual modo si trovano

queste in alto della scala sociale, e quelle in basso? Esse sempre non sono state nella medesima

rispettiva situazione le une rispetto alle altre. Io ho visto il discendente diretto d'una delle più nobili

famiglie della nostra Fiandra, i cui antenati si erano resi illustri nelle crociate, mendicar il suo pane;

mentre si può nominare il villaggio in cui tale famiglia, nobile oggi, incominciò col coltivare un

campicello.(2)

Antoine Blanc de Saint-Bonnet.


Come dice B. de Saint-Bonnet: "La società non è che il vortice dei meriti". Salvo gli accidenti dei

quali non bisogna tener conto quando si guarda in faccia una famiglia nella successione delle sue

generazioni, - se la virtù vi si conserva, questi accidenti vengono ben presto riparati, - chi eleva le

famiglie è il merito continuato delle generazioni successive; chi le precipita è il demerito; e quanto

più è grande il merito, tanto più porta in alto; quanto più il demerito è scandaloso, tanto più è rapida

e profonda la caduta. Così pei loro meriti relativi, le famiglie costituiscono dei diversi piani, come

l'aria costituisce i diversi strati che si sovrappongono gli uni agli altri secondo il loro peso specifico.

Non si può impedire nell'atmosfera che l'ossigeno s'innalzi e che i miasmi carbonici restino nel

basso. Non si può impedire che le migliori famiglie, per forza d'animo, si innalzino a poco a poco al

disopra delle altre. Le persone di buon senso fra il popolo vedono questo benissimo. Quando loro si

parla di partizione eguale, non mancano di dire: "Ma domani tutto sarà come ieri, perché gli uni

avranno conservato ed accresciuto, mentre gli altri avranno speso". Vi sono delle persone e delle

famiglie che non hanno mai saputo negare a sé un godimento allo scopo di poter porre un secondo

soldo sul primo, e vi sono di quelli che hanno saputo far tacere i loro appetiti ed anche imporsi delle

privazioni per risparmiare. I primi restano nella miseria; i secondi ne escono, e se perseverano nella

temperanza, ben presto prenderanno un posto nella società.

Ma ogni grado nella scala sociale offre una nuova prova. Le famiglie che hanno fatto il primo

passo, possono oltrepassarlo, oppure arrestarvisi.

Ecco una famiglia che ha fatto delle economie: si è creato un capitale, entra nella borghesia; ma

vuole aumentare la sua tavola, od allontanare i suoi figli dalla fatica; essa non tarda guari a ricadere

nel punto ov'era stata la generazione precedente. Il benessere è la insidia che aspetta le famiglie

all'uscir dal popolo, e ve le riconduce quasi tutte. Nella stessa guisa l'egoismo è la prova che le

attende all'uscir dalla borghesia per entrar nell'aristocrazia. Il borghese che impiega al suo

benessere, al lusso, al suo orgoglio le ricchezze acquistate col lavoro e col risparmio, in luogo dì

servirsi dell'acquistata posizione e delle facoltà ch'essa gli presta per far del bene, non farà mai parte

dell'aristocrazia, quand'anche i principi gli conferissero la nobiltà. Si può appartenere all'aristocrazia

senza appartenere alla nobiltà, o viceversa. La nobiltà è la consacrazione dell'aristocrazia, la

testimonianza da parte dell'autorità. che tale famiglia appartiene al numero delle "migliori".

Lo stesso fenomeno prodotto dalla medesima legge si manifesta dunque nello stesso tempo e nelle

regioni superiori e nelle regioni inferiori della società. È la virtù che eleva e mantiene in alto rango;

come il vizio che precipita al basso.

"La società - dice de Saint-Bonnet - si può paragonare allo stato del vino in fermentazione.

Continuamente la parte pura prende l'alto: l'alcool viene a galla e la feccia resta al fondo, ogni strato

si pone in ragione del suo peso. Così circolano gli uomini in una nazionalità, operando in tal modo

il perfezionamento dell'insieme. Se il vino si guasta la feccia sale e tutto intorbidisce. È quello che

fanno le Rivoluzioni. Ohimè! noi vi ci troviamo da un secolo. Allora bisogna ricominciare la

società, ciò che costituisce una operazione assai difficile e lunga".

In tempo normale, il lavoro, poi la moderazione nei piaceri e nei godimenti producono il risparmio;

il risparmio genera la proprietà, la proprietà conservata ed accresciuta per lo stesso impero sopra di

se stesso, fa entrare nella borghesia. La nobiltà richiede altre virtù d'un ordine più elevato, cioè la

giustizia, il disinteresse, la bravura e l'onore.(3) A misura che la borghesia s'impossessa di questi

sentimenti, essa si nobilita. "Ogni bisavolo di nobile, fatte poche eccezioni - dice de Bonald - è un

plebeo. Ogni avolo d'un gran signore, è un nobilitato". E Taine ha creduto di poter scrivere che nel

1789 vi erano appena quattrocento famiglie in Francia che potevano far rimontare la loro origine

fino alle crociate. La nobiltà non ha mai costituito nel nostro paese una casta chiusa.

"Conquistate l'indipendenza - diceva il re - ed io vi conferirò la nobiltà. Quando avrete

sufficientemente guadagnato per non aver più bisogno di altri, il maggior onore al quale voi potrete

aspirare, sarà quello di passare al gratuito servizio della nazione, sia come magistrati, sia come

ufficiali. Ma anticipatamente vi avverto, che il giorno che voi farete parte della società aristocratica,

voi perderete il diritto di ingrossare il vostro peculio. Il nobile non deve più guadagnar denaro. La

costituzione fondamentale del paese dichiara ogni commercio, ogni mestiere incompatibile colla

nobiltà".

Grazie a questa costituzione, grazie a questi costumi, l'antica Francia non ha conosciuto il regno

della plutocrazia alla quale noi siamo oggi asserviti. La grande ambizione non era allora di arrivare

ad essere miliardario schiumando i risparmi delle famiglie e scorticando metodicamente tutto un

popolo, ma di arrivare ad ottenere la grazia di essere ammessi a servirlo per l'onore di servirlo.

Se si considerano le cose dall'alto, in modo da poter abbracciare d'un sol colpo d'occhio l'assieme

della storia, senza lasciarsi arrestare dal minuto ragguaglio degli avvenimenti, si vedrà che tutte le

famiglie che hanno condotto gli affari del mondo e conservata la civilizzazione, famiglie

principesche, militari, sapienti, proprietarie, rurali, erano in sostanza le migliori del genere umano:

esse meritavano la lode espressa con queste parole: famiglie aristocratiche.

Luigi Veuillot


Per ciò che riguarda la Francia in particolare, "la nobiltà - dice Luigi Veuillot - è stata, in generale,

coraggiosa, disinteressata, pronta al sacrificio, protettrice della Chiesa, soccorritrice dei poveri, il

braccio forte della giustizia e della civiltà, della quale la Chiesa era il capo. I doveri che la Chiesa le

indicava, essa, in generale, li ha adempiuti; i sacrifici che il cristianesimo le consigliava, essa li ha

sostenuti. Essa ha dato molti cuori alla Chiesa, molto sangue alla patria; essa è stata dopo la Chiesa,

e dietro le sue orme, la tutrice di quel grande e buon popolo di Francia ancora sì grande e buono.

Lontano dagli scandali della corte e delle città, il popolo diceva proverbialmente: "Nobiltà proviene

da virtù". E la nobiltà, la vera nobiltà del cuor cristiano, voleva che la virtù provenisse dalla nobiltà:

"Nobiltà obbliga". Non solamente le altre famiglie, prese in massa ed ammesse alla posizione delle

prime, come vorrebbe la democrazia, niente avrebbero creato, ma, al contrario, tutto avrebbero

divorato ed esse stesse sarebbero sparite dalla faccia della terra. Perché? Perché esse non avevano

anticipatamente acquistate le virtù necessarie alla condizione che loro sarebbe per tal modo stata

fatta, perché non ne erano provviste.

Al disopra della nobiltà vi è la santità. La nobiltà non ha cessato di alimentarsi di famiglie distinte

prodotte dalla borghesia. Parimenti l'eroismo e la santità si sono formati sopratutto nella nobiltà. E

questo si capisce; le virtù di disinteresse e di giustizia, di bravura e di onore, nelle quali

l'aristocrazia alleva i suoi figliuoli, li prepara più immediatamente all'eroismo ed alla santità che le

virtù di applicazione al lavoro e di temperanza. Questo non vuol dire che qualche volta, dal seno del

popolo non esca improvviso un eroe od un santo, un'anima che ad un tratto oltrepassi le virtù della

personalità. La storia di Francia ce ne fornisce mille esempi. E questo prova quanto l'uomo può fare

coll'aiuto di Dio. Ma, di regola ordinaria, le virtù sublimi sorgono dal fondo delle virtù d'ordine

superiore che l'educazione trasmette nell'aristocrazia di generazione in generazione.

Per convincersene basta percorrere una vita qualsiasi di santi. Stando al Breviario romano, si scorge

- l'osservazione è di B. Blanc de Saint-Bonnet - che le famiglie nobili riunite hanno prodotto più del

trentasette per cento, e le sole famiglie reali sei, cioè più del ventesimo! Anche nel diciottesimo

secolo in cui la nobiltà era tanto in decadenza, le figlie dei nostri re erano sante ed i loro nipoti eroi.

Ammettendo una famiglia nobile su cento, ed una famiglia reale o principesca su duecentomila, si

avrebbe questa proporzione: lo stesso numero di famiglie ha prodotto nella nobiltà cinquanta volte

più santi che nel popolo, e nelle case reali quattrocento volte più che nella nobiltà e ventimila volte

più che nel popolo.



S.M. Luigi XV di Francia.
"Che sono davanti a questi fatti le declamazioni della democrazia anche cristiana, sulle virtù del

popolo e sui vizi dei grandi? Certi stolti - mi si permetta questa parola - si fanno un argomento

contro l'istituzione monarchica, che è il coronamento dell'aristocrazia, dei disordini di Luigi XV.

Essi non pensano punto alle seduzioni onde fu incessantemente circondato, e davanti alle quali essi

non avrebbero fatto, senza dubbio, miglior figura. Essi più non pensano ai santi dei quali egli era

figlio e padre, ai santi ed alle sante che la famiglia di Borbone non ha cessato di produrre fino al

nostro secolo(4) sul trono di Napoli come nell'esilio. Essi non pensano all'incredibile potenza di

virtù che era necessaria ad una famiglia immersa dopo otto secoli nel bagno dissolvente delle più

grandi prosperità, per non ricadere nell'egoismo, e produrre dopo sì lungo tempo la santità.

Quanto dunque sono ignoranti e ciechi coloro che accusano la gerarchia sociale di essere contraria

alla natura, che vogliono tutto sottomettere al livello massonico dell'eguaglianza, mentre che le

classi esprimono la legge della società, legge che si verifica tanto nella prosperità quanto nella

decadenza delle famiglie e delle stesse nazioni.

Non è egli vero che noi tutti siamo nati nel peccato, e che da questo punto di partenza, siamo

chiamati alla perfezione?

Non è egli vero che tutti non vi pervengono, e che fra coloro che hanno il coraggio di mettersi in via

per arrivarvi, ve ne ha che si trovano più presto e più davvicino alla mèta che gli altri? Il di più che

in tal modo essi hanno acquistato per un migliore uso della loro libertà, lo possono trasmettere ai

loro figliuoli sia coll'educazione, sia col sangue ch'essi hanno purificato purificando la loro anima;

poiché l'anima pura purifica il corpo interdicendo ad esso gli eccessi che vi conservano o

sviluppano la corruzione.

Il fatto della eredità del male è così compensato nell'umanità dal fatto dell'eredità del bene. Quando

in una famiglia l'uomo si è elevato alle virtù superiori, e che si è sforzato di farle ammirare, amare,

praticare da' suoi figliuoli, e che questi, fedeli alle tradizioni paterne, si sono pure sforzati di

trasmetterle ai loro discendenti, questa tradizione, questa educazione, queste abitudini domestiche

elevano tali famiglie in una regione superiore a quella che occupano quelle che non hanno fatto i

medesimi sforzi o che non hanno avuto la medesima costanza. Ad essa ed a quelle che le

rassomigliano spetta di mostrare la via a quelle che vengono dietro di esse a farvele entrare, di

ricondurle al bene quando deviano, in una parola a governarle.

La Francia fu la prima fra le nazioni, perché essa possedeva la prima aristocrazia del mondo. Di lei

è stato detto: Gesta Dei per Francos. A partire dal Rinascimento la nobiltà si è abbassata, ed al


secolo XVIII si è affievolita nell'incredulità e nei licenziosi costumi. Dio ha voluto purificarla nel

sangue. Ohimè! noi non vediamo che l'ecatombe del '93 l'abbia rigenerata. Attualmente essa

distrugge la sua linea di demarcazione colla borghesia, condividendo il suo amore per le ricchezze;

e la borghesia distrugge la sua linea di demarcazione col popolo prendendo i suoi istinti. Così

mentre l'aristocrazia ha fatto brillare la Francia sopra tutte le altre nazioni per ben quattordici secoli,

in meno di cent'anni la borghesia l'ha fatta discendere dal primo al quarto rango, al disotto

dell'Inghilterra, della Germania e della Russia.

Il popolo, quando avrà soppiantato la borghesia, divorerà il suolo in un baleno, poiché nella sua

nuova condizione egli porterà gli appetiti che gli fanno consumare il proprio salario di giorno in

giorno.

Acclamare la democrazia è lo stesso che desiderare ardentemente questo rovesciamento della

nazione. Ed è così che io intendo questa frase di B. de Saint-Bonnet: "La parola democrazia, se non

è vilipesa, ci conduce alla morte".
 
Note:
(1) I plebei hanno potuto sempre comperare dei feudi, il cui possesso li rendeva nobili alla

tredicesima generazione.

(2) Il grande economista americano, Carey, raccolse nelle varie contrade dell'Europa, diversi fatti di

questo genere ne' suoi Principii di scienza sociale (Trad. franc. to. II e III).


Così, sopra i 394 pari che esistevano in Inghilterra nel 1859, ve n'erano 272 - cioè più di due terzi -

d'una creazione posteriore al 1760. Tra il 1611 e il 1819, si son visti spegnersi 753 titoli di

baronetto. Certi titoli nobiliari erano stati portati successivamente da sei, sette, otto famiglie

differenti.

Anche per l'antica Francia, l'identità di titolo non prova per nulla la comunanza di razza, e il

medesimo (titolo) ha successivamente appartenuto a più famiglie.

A Venezia, secondo Daru, i nobili Veneziani furono in numero di 2219 nel 1569; nel 1705, essi non

erano più di 1500, sebbene in questo intervallo un gran numero di famiglie nuove fossero state

ammesse alla nobiltà.

Il medesimo fenomeno per la borghesia mercantile.

Nella città di Berna, il consiglio sovrano avea ammesso alla borghesia, tra il 1583 e il 1654, 487

famiglie nuove. In meno di due secoli, ne disparvero più di tre quarti, poiché non se ne trovarono

più di 108 nel 1783.

Dal 1684 al 1784 soltanto, si son viste spegnersi a Berna 207 famiglie fregiate del privilegio di

borghesia da un tempo qualunque.

A Stettin, Roscher, l'eminente storico dell'economia politica alemanna, constatava che le 85

famiglie esercitanti il gran commercio nel 1739 erano tutte sparite prima del 1859 senza lasciar

alcuna traccia: il loro nome stesso non esisteva più in città, a meno che non fosse uno di quei nomi

assai comuni che hanno origini svariatissime e che non permettono di conchiudere per una

parentela, come sarebbero presso di noi i Durand, i Roux o i Brun.

Rispetto alla nobiltà francese, Benoiston de Chateauneuf, studiando nel 1846 la "durata delle

famiglie nobili in Francia" era venuto alle stesse conclusioni.

La nobiltà di toga non si conservava meglio che la nobiltà di corte.

(3) I nobili sono eroici, dice Montegut, pel piacere di esserlo, e perché l'eroismo è una virtù che sta

bene ad un gentiluomo.

(4) Il secolo XIX.