venerdì 21 settembre 2012

Biografie tratte dal volume "I grandi atleti del trono e dell'altare", del Barone Alessandro Augusto Monti della Corte (Vittorio Gatti Editore, Brescia 1929): Solaro dalla Margherita, uomo di Stato cattolico


Il Conte Clemente Solaro della Margarita (Mondovì, 21 novembre 1792Torino, 12 novembre 1869)



Ricordando i maggiori “reazionari” italiani — uso, s'intende, il termine generalmente accettato senza alcuna intenzione dì ostilità o di biasimo — non si può trascurare che di tale tendenza fu il più vituperato e discusso esponente.
Austriacante, nemico della causa italiana, servo dei gesuiti: sono queste le qualifiche con le quali il suo nome fu affidato alla storia dai suoi contemporanei, e il compito di mettere le cose al loro posto, riabilitando il fiero ministro piemontese, può apparire, non a torto, difficile ed ingrato.
Ma oramai, dopo quasi novant’anni. la passione di parte ha potuto attenuarsi, sicché di molte cose e di molte persone possiamo giudicare, finalmente sereni.
Ciò che ho detto a proposito di Padre Taparelli, vale sostanzialmente anche per il Solaro. Entrambi fedelissimi alla Chiesa Cattolica, ed alle tradizioni dinastiche sabaude, nel grande incendio del Risorgimento non seppero vedere la fiamma nazionale, turbati ed accecati dal fumo demagogico che con essa si alzava denso e fosco.
Però se siamo giusti, dobbiamo riconoscere che furono profeti quando era quasi impossibile, che la conciliazione fra le eterne ragioni dell'ordine mondiale, e l'assetto unitario della nostra penisola si presentava come un problema insolubile, o almeno di remota e incerta soluzione...
La cacciata dei barbari era un sogno bellissimo che sorrideva a tutti al di qua delle Alpi, ma come condizione per poterla intraprendere, molte cose meno belle, estranee al nostro genio, si volevano da molti introdurre fra noi: assemblee popolari, licenza della stampa, diminuzione del potere regio, forse un giorno repubblica, certo democrazia.... Ed i primi a confondere libertà e indipendenza, erano appunto i capi del partito “italiano”....
Se a questi non perdoniamo, in grazia al vero patriottismo, il legame a schemi sociali e filosofici erronei ed insidiosi, che dovevano pesare per tre generazioni sulle sorti avvenire dell'Italia risorta; useremo invece tutta l’indulgenza verso chi - poiché appunto ne vedeva i pericoli - all'opera unitaria non volle prestare mano.
Questa sorte di uomini, inflessibile e rude, chiusa alle suggestioni del tempo in cui viveva, ebbe il merito grande di affermare strenuamente, contro la infatuazione liberale, il valore immanente di alcuni fondamentali principii a cui - piaccia o non piaccia - ci si deve ispirare quando si voglia dare vera forza allo Stato.

* * *


II Conte Clemente Solare della Margarita — non “della Margherita” come scrivono alcuni — era nato nel 1792, da una famiglia nobile, antica e ragguardevole, che allora risiedeva nei dintorni di Cuneo.
Fanciullo e adolescente negli anni tristi e grigi, che il Piemonte sabaudo, umiliato e asservito dalla mal tollerata prepotenza francese, era ridotto a semplice provincia sotto lo scettro di Napoleone, dopo un ciclo completo e brillante di studi, intesi a prepararlo per la giurisprudenza, aveva conseguito il diploma dì laurea alla vigilia della Restaurazione. Il ritorno acclamato del sovrano legittimo gli aveva aperto subito l'accesso a una carriera, che, durando l'Impero, assai probabilmente non avrebbe voluto o potuto seguire: entro in diplomazia sotto i migliori auspici, mentre si apriva l'era della Santa Alleanza, e in tutta Europa le Cancellerie e i Gabinetti tornavano, come prima del fosco '89, ad essere i salotti dell'aristocrazia.
Epoca di solenne, compassato splendore, di elegante politica, romantica e mondana, quando l’ex-arcivescovo, Principe Talleyraud, portava zoppicando di congresso in congresso l'ironia volteriana dei suoi sorrisi arguti; ed il Visconte di Chateaubriand rappresentava a Londra Sua Maestà Cristianissima con il fasto magnifico di un gran signore artista; e il Principe di Metternich, fra un ballo e un'avventura, dirigeva da Vienna per Sua Maestà Apostolica le mosse complicate della partita asburgica, e lo Zar Alessandro, umanitario autocrate, sognava, ai piedi di una dama bionda. L’apoteosi mistica della sua pace slava....
Ma in quel mondo dorato, indulgente al piacere, il giovane e valente diplomatico sardo — dapprima addetto alla Regia Legazione di Napoli, poi, sempre nella stessa residenza, promosso segretario e consigliere — si fece notare ben presto per l'insolita, quasi monastica, austerità di costumi, e la pietà sincera e militante, cosi diversa dall'aulico bigottismo ufficiale ostentato da molti in quegli anni, per obbligo di carica e senza convinzione.
Discepolo di Padre Pio Brunone Lanteri, fondatore in Piemonte dell’Amicizia Cattolica , egli scorgeva nella Religione il cemento di tutte le costruzioni umane e nelle auguste assise della Chiesa di Roma, il presidio incrollabile dell'eterna giustizia.
Fermamente convinto che la Rivoluzione era stata la “pena” terribile e fatale delle colpe e dei vizi dilagati fra i popoli sotto l’influsso della filosofia “libertina” che aveva imperversato per tutto il '700, egli avrebbe voluto “instaurare omnia in Christo” ed a tale concetto si ispirò fedelmente nelle varie vicende della sua vita pubblica.
Sarebbe qui fuor d'opera narrarle per disteso, che a noi più del politico importa il pensatore. Ne accennerò in scorcio gli episodi salienti.
Dopo essere rimasto a Napoli otto anni, osservatore avveduto e coscienzioso delle cose e degli uomini del Regno, fu inviato Ministro alla Corte di Spagna ed ebbe parte attiva alle competizioni che per la successione di Ferdinando VII vi ponevano in urto liberali e carlisti.
Egli naturalmente si schierò coi secondi, e in quel giuoco serrato d'intrighi e di congiure ebbe campo di dare non equivoche prove di abilità e di energia. Lasciò Madrid nel 1834, e dietro sua richiesta fu nominato a Vienna, ma non poté raggiungere la capitale austriaca, perché dopo il ritiro del Conte della Torre fu dal Re Carlo Alberto chiamato a rimpiazzarlo nell'altissima carica di Ministro degli Esteri.
Come egli stesso scrisse, fu scelto dal Sovrano che già si preparava a seguire altre vie “come l'alfiere destinato a portare l'azzurra bandiera della Real Casa di Savoia finché sorgesse il giorno di inalberare il vessillo della Rivoluzione”. E difatti a quel posto rimase tredici anni, fino all'ottobre del '47.
Durante il tempo ch'egli fu al potere tenne fede al programma della sue convinzioni. La sua fu una politica tutta municipale: senza alcun orizzonte oltre quello ristretto del vecchio regno sardo; ma, in omaggio alle antiche tradizioni della gloriosa monarchia subalpina, egli fu gelosissimo custode della sua indipendenza, della sua dignità, e del suo prestigio di fronte agli altri Stati.
Con la Spagna ci furono momenti di tensione, determinati dal favore aperto con il quale il Piemonte sosteneva Don Carlos; e così pure con il Portogallo, per l'espulsione da Genova del Console Bermudez; anche con l'Inghilterra — che in tale circostanza si era intromessa con poca discrezione — le cose non andarono sempre lisce; e tuttavia il Solaro riuscì ad uscirne bene, senza pur l'ombra di una compromissione. Con l'Austria era fautore di una stretta alleanza, per il sospetto che aveva delle mire francesi su la Savoia e la Contea di Nizza; ma anche nei suoi confronti pose ogni studio ad essere e ad apparire sciolto dalle forme servili di quasi vassallaggio che i Ministri di Vienna gli volevano imporre.
Il suo punto di vista era semplice e logico, e rifletteva il suo strenuo legittimismo giuridico, che gli faceva ritenere per sacri i trattati del ‘15, congegnati a difesa dell'ordine europeo.
Non che fosse insensibile al radioso miraggio di una corona italica per il Re suo signore: ma una corona offerta dai rivoluzionari gli sembrava una triste, sacrilega irrisione. Altre vie si potevano e dovevano percorrere per giungere con onore a quegli ingrandimenti ch'egli stesso, per primo, avrebbe vagheggiato.
Io pure. Sire — scriveva a Carlo Alberto il 2 di giugno del '46 — amo l’ingrandimento della potenza del mio Re, in quei modi che gli avi vostri seppero cosi gloriosamente conseguirla, afferrando le occasioni che la Provvidenza veniva loro offrendo. Questo mio desiderio non sarebbe già attuabile nei secoli venturi, perocché io veggo non lontani casi poi quali di nuovo gemme può venire ornata la vostra corona,... La Svizzera è dilaniata da discordie intestine; gli abitanti del Valese, i conservatori del cantone di Vaud, i Savoiardi viventi fuori del vostro regno, volgono i loro sguardi a Vostra Maestà, e quando vedranno il crollo dell'elvetico edilizio repubblicano, forse che non rinnovelleranno il voto già di gran cuore manifestato d'esser posti sotto il paterno e savio vostro governo?.... Da un altro lato vedo l'Impero d'Austria minacciato da ogni parte: quella vasta monarchia e venuta in tale stato di infiacchimento, che si apparecchia a sfasciarsi. Un profondo turbamento agita la Galizia: lo spirito liberale fomenta vieppiù negli ungheresi la speranza dell'indipendenza: la Boemia è per tal via; la Prussia sta per togliere all'Austria il primato nella Germania. Ove la guerra dovesse scoppiare all'infuori della penisola, come mai l'Austria potrebbe difendere i suoi possessi italiani? Forse che non sarà forzata ad abbandonarli? Sono fatti questi che non stanno delineati in un lontano avvenire, ma possono succedere nel tempo presente. Dati tali eventi, sarà bello il compito di Vostra Maestà: alleato o avversario dell'Austria, potrà realmente conseguire in modo glorioso e legittimo, e dietro l'assenso di tutte le Potenze, quanto i rivoluzionari Le promettono, ma non possono dare”.
Se davvero le cose fossero andate in tal modo, e — come in Francia, alcuni secoli prima — anche in Italia l'unità e l'indipendenza si fossero potute raggiungere, esclusivamente per l'opera guerriera e diplomatica di una Dinastia nazionale e di un’aristocrazia dirigente, il nostro Stato non sarebbe sorto già intimamente roso dalla tabe congenita....
La coincidenza del risveglio italico con la grande ventata libertaria e utopistica della prima metà dell’800 ha avuto le più gravi e infauste conseguenze, obbligandoci a rompere con il nostro passato e causando il divorzio del nostro patriottismo dalle forze sociali e religiose che solo possono dare vita e luce al potere.
Ma non si può rifare a piacere la Storia: non sempre uno statista è libero di scegliere la materia più adatta per le sue costruzioni, e allora è giocoforza che sappia contentarsi di quella che ha a portata, sfruttandola e adattandola, fino dove è possibile: sormontando, se occorre, le proprie ripugnanze....

* * *


Costretto dagli eventi a lasciare il potere, l'ex Ministro degli Esteri passò all'opposizione, e fu fino al '60 il capo rispettato della destra cattolica nel Parlamento Sardo. Dopo il '60 si tirò in disparte; ormai sentiva di esser superato e forse, senza dirlo, cominciava a ricredersi nei suoi giudizi circa il movimento che conduceva irresistibilmente alla realizzazione dell'unità italiana. Morì a Torino nel '69 e in lui scomparve l’ultimo campione di tutto un mondo estinto.... Eppure nei suoi scritti polemici più noti — il Memorandum storico - politico, e gli Avvedimenti politici dati alle stampe rispettivamente nel ‘51 e nel ‘53 — molte cose. a rileggerle, non sembrano invecchiate. Parlo di quello che nelle sue pagine è soprattutto spirito e pensiero, concezione teoretica della società e dello Stato, dottrina filosofica, esperienza di vita.


* * *

Le teorie fondate sulla verità sono come essa immutabili e non falliscono mai nella pratica, se rettamente applicate...”.
E’ questa la premessa e il motivo centrale a cui si riferisce di continuo il Solaro, nei ventitré capitoli dei suoi Avvedimenti, per noi più interessanti del Memorandum famoso, in cui rifà, illustrandola, la storia diplomatica del proprio ministero.
La scienza politica nei suoi principi si troverà dichiarata e svolta nei miei avvedimenti — precisa poche pagine più innanzi — non per via di massime vaghe e astratte, ma col mezzo di deduzioni certe di quegli stessi veri eterni ed immutabili, come eterna e immutabile è la volontà divina da cui procedono, a noi manifesta per mezzo della legge naturale e rivelata”.
Che altro e infatti la legge eterna da cui è governato il mondo se non la divina volontà?
Ed in cosa consiste la “vera scienza politica” se non “nel conoscere, dichiarare ed applicare agli individui ed alle società le massime che emanano dalla legge naturale, in cui si racchiude l’alta volontà del Creatore: legge esclusiva, universale, inalterabile?....”.
È l'idea stessa fondamentale dell'Haller, della quale, a suo luogo, ho rilevato, la coincidenza pratica, quanto alle conclusioni, con “l'empirismo organizzatore” di alcuni politici positivisti moderni. L'Haller e il Taparelli sono infatti i maestri più di frequente citati dal Solaro.
Il suo concetto dell’autorità si impernia, come il loro, sul Diritto Divino che nobilita insieme l'ubbidienza e il comando.
Dall'alto dominio dell'Essere Supremo deriva ogni autorità; dalla sua legge il dovere di esservi soggetti; a chi ha il potere il debito di esercitarlo, nell'ordine e secondo i fini giustissimi per cui gli fu affidato.
L'uomo che ubbidisce al Sovrano perché tiene da Dio il potere, può saviamente andar fiero di obbedire a colui cui serve il mondo, ma se obbedisce al Sovrano, perché da altri uomini ebbe l'autorità, si fa servo e degrada se stesso.
Rigettato il Diritto Divino, le società rimangono sottoposte agli arbitri della volontà dell'uomo : non hanno più base sicura....”.
Chi la pensa in tal modo non può avere indulgenza per i perturbatori dell'ordine sociale.
L'assassino e il ladro offendono gli individui - egli osserva a proposito del delitto politico, a torto circondato di un'aureola romantica - i rivoluzionari attentano ai diritti di tutta la società. O non sono infami i primi, o questi lo sono....”.
Se il potere è legittimo, chi è a capo dello Stato deve esser persuaso del proprio buon diritto ad usare, occorrendo, anche i mezzi più energici per tenere in rispetto i sudditi riottosi.
Le mezze misure sono una rovina. In nessun caso, in nessuna circostanza mai, la Ragion di Stato le ammette. Esse sono proprie degli spiriti deboli che non ardiscono affrontare le difficoltà, e cercano di evitare il pericolo presente non badando che le sole risoluzioni ferme procurano salute. Se si ha forza di resistere, si ha da resistere, se quella manca, si cada nobilmente, piuttosto che prendere quelle vie per cui, quando si cade, si perde ad un tempo stesso la reputazione.... Quando si adottano le mezze misure, non è la necessità ma il timore che le ha dettate, e il timore è pessimo consigliere...
Condannate le mezze misure accenno ai colpi di Stato. Io li definisco atti inopinati di forza per cui chi governa, senza riguardo alla legge, cambia in tutto, o in parte, la condizione politica di un paese o dei suoi abitanti. Sono giusti quando rettamente si applica la massima "salus populi suprema lex". Vi sono circostanze in cui non merita regno, né aver parte al governo dei popoli chi non sente in sé l'energia di operarli, quando la giustizia li approva.
"Fra i colpi di Stato e le mezze misure, salva sempre la giustizia, è a darsi la preferenza ai primi.
"Essi rovesciano, è vero, ciò che esiste, ma fondano un sistema, e se è buono si può col senno, consolidarlo; le mezze misure fanno traballare ciò che è: lo riducono in istato di cronicismo; quando cade non si vedono che rovine...".
E ancora, ritornando sullo stesso argomento:
"La politica di aspettazione in pochi casi è profittevole. Vi fu un Fabio che in una circostanza straordinaria, indugiando. salvò la repubblica: se ve ne fossero stati molti, Roma, non sarebbe divenuta la padrona del mondo.... ".
La sua rude certezza rifiuta gli espedienti della moderazione e della tolleranza; sdegna le transazioni che per contentare tutti e salvare capra e cavoli erigono a sistema la menzogna o l'equivoco:
"Il moderatismo è un atto di solenne vigliaccheria: sono moderati i pusillanimi che tutto temono e tentano salvarsi colle teorie di una falsa saviezza: gregge servile che non da aiuto agli amici; non combatte gli avversari, non ha il coraggio di forti opinioni; non osa sopprimere i partiti; né forma un terzo pallido ed impotente al bene; adula i vincitori, accarezza i vinti, pronto a servire sempre chi prevalga...”.
Ed a chi gli risponde sentenzioso che appunto “in medio stat virus”, ribatte prontamente:
La virtù è tra due vizi opposti; il giusto mezzo dei liberali moderati è fra il vizio e la virtù; tiene dell’uno e dell'altra. Condizione assurda : la virtù non ai amalgama col vizio, il bene col male...”.
L'agnosticismo abulico dello Stato incolore, senza una fede ed un orientamento, la sua neutralità fra le fazioni avverse, sono di quelle famose trovate liberali che la Storia e il buon senso non possono accettare.
Buoni ministri non consiglieranno mai al Sovrano di tenere la bilancia fra le diverse parti, ma di essere a ogni costo unito a quella che promuova il bene dello Stato, fosse anche la più debole. Diverrà ben presto la più forte, se si dà che, chi ha il potere, non cederà mai quando il bene pubblico non lo permette.
"Il popolo è nelle mani di chi lo governa : se è buono, in poco tempo è facile corromperlo; se è perverso con un po’ d'arte e di fermezza gli si fa cambiare natura. Ma per formare un popolo, per plasmarlo e inquadrarlo, occorre premunirlo e difenderlo bene contro il veleno delle idee cattive : esorcizzare il demone della Rivoluzione, recidere i tentacoli del mostro demagogico prima che abbiano avuto il tempo di far presa. Perciò va limitata la libertà di stampa, controllata da presso quella di associazione, temibili strumenti in mano dei malvagi.
"Si manifesti la libertà di opinione nel vasto campo delle scienze e delle arti; sì esprima come piace in quanto concerne gli interessi economici di uno Stato, la sua industria, il suo commercio, i miglioramenti che profittare possono al ben comune; ma se trascorre, se porta il dubbio sui principi della giustizia, sui diritti dell'autorità, sull’obbedienza dovuta dai popoli: tale libertà diventa perniciosa, deve vietarsi.
"La libertà divampa in un popolo virtuoso, senza eccezione di alcuno, sarà un benefizio... Si trovi però prima tal popolo!..."
Con questo non si vuole far dell'oscurantismo, come gridano i soliti zelanti del Progresso, né dare l'ostracismo alla scienza moderna; bensì impedire che con il pretesto dell’istruzione e dell'educazione del popolo, si facciano passare di contrabbando merci pericolose per la pubblica quiete.
"Quella istruzione è buona per cui l'uomo conosce che può nella condizione in cui si trova esser felice. L'istruzione disordinata, immoderata, indennità, è semenzaio di presuntuosa ignoranza....: apre il varco a desideri smodati, prepara alla società giorni funesti".


* * *


Idee semplici e sane, direi quasi banali, ora che l'nesperienza di sei generazioni e il disgusto di troppe delusioni amarissime, hanno tolto onore e credito al mito del Progresso redentore dei popoli, della Scienza maiuscola che tiene luogo di fede.