martedì 15 gennaio 2013

SVIZZERA ROMANDA: PROVE TECNICHE PER IL NUOVO ORDINE MONDIALE

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Un lunedì pomeriggio come tanti in Svizzera Romanda. Immaginate Virginie, una delle numerose mamme singole di una città del Cantone Vaud [1]. Tornata dalla mattinata di lavoro al 50% come segretaria in una grande multinazionale del tabacco, svolge le faccende domestiche. Ritira il bucato dal grande locale sotterraneo accanto alle cantine, adibito a lavanderia comune per tutto il condominio. Immaginate che questa madre, come tante altre, a malapena riesca a far fronte a tutte le spese mensili, nonostante la Cassa Generale Sociale versi il contributo mensile per il figlioletto di dieci anni, Karim [2].
Infatti in Romandia quasi nessuno può permettersi una casa di proprietà [3], nonostante il trend globale della Svizzera stia mostrando negli ultimi dieci anni un timido cambiamento [4]. La mamma lotta giorno dopo giorno per una sopravvivenza dignitosa, minacciata costantemente dall’Ufficio dei Debiti [5], pronto ad iscriverla in una sorta di “lista nera” qualora non riuscisse ad onorare in tempo le numerose fatture, comprese quelle per le spese mediche [6]. Questa situazione non fa di lei una persona indigente, tuttavia i poveri veri, nella sua regione, sono il 10% della popolazione [7].
Virginie, dopo il divorzio da Ahmed, è stata quindi totalmente assorbita dal lavoro, dal far quadrare i conti, dalle faccende domestiche e dalla cura del bambino. La donna fieramente dichiara di non credere in alcuna religione organizzata, come più di un quinto della popolazione della regione [8], provenendo da una famiglia senza alcuna appartenenza religiosa. L’esperienza col suo ex-marito musulmano ha inoltre inasprito questo suo rifiuto. Ha regalato il vestito della cerimonia del matrimonio, e buttato via tutte le foto [9]. Nonostante questo, qualche volta ha anche partecipato, invitata da una sua amica cristiana evangelica, alla preghiera comune di Taizé [10], che si svolge regolarmente in una parrocchia cattolica [11].
A cena, la sera, presso l’abituale ritrovo della comitiva di amici (immaginate un ristorante thailandese, cinese, vietnamita, libanese o etiope), ripete ai commensali di credere comunque in un Essere Superiore. A prova di questo, ultimamente ha rispolverato l’I-Ching e finalmente si è decisa a tornare a frequentare le sedute di yoga in uno dei tanti atelier della città [12]. Ammette di averne tratto immenso beneficio spirituale. Assieme a suo figlio, però, festeggia Natale e Pasqua. Come rinunciare ai regali, alle luci e ai mercatini del periodo natalizio, e al tradizionale coniglietto pasquale di cioccolata?
Quel lunedì pomeriggio, dunque, la nostra mamma è indaffarata col ferro e con i panni sul tavolo da stiro aperto al centro del modesto salottino del suo appartamento, mentre il figlioletto siede sul pavimento, intento a fare i compiti. Tutto attorno il silenzio delle decine di ammennicoli provenienti dai viaggi in Marocco, Tunisia, Costa d’Avorio, Sri Lanka, Bangladesh, che trasformano la stanza in una specie di variopinto bazar. Quale momento migliore per guardare la televisione assieme? Sul secondo canale della Tv Svizzera Romanda danno la replica di una trasmissione settimanale di successo, intitolata “Temps present” [13]. Quel pomeriggio si parla di un tema caldo: l’eutanasia in Svizzera [14]. Quel “sacrosanto” diritto [15] di cui Virginie, simpatizzante del Partito dei Verdi [16], ha dibattuto a lungo con le sue amiche.
Sua madre, nonna materna di Karim, infatti, è morta di una malattia degenerativa qualche anno prima. Il marito, padre di Virginie, non ne ha voluto sapere di metter fine ai giorni e alle sofferenze della consorte. Ogni giorno Virginie pensa al gesto egoistico del padre, che non ha risparmiato le indicibili sofferenze della nonna a lei e al suo piccolo Karim. Intanto le immagini del documentario scorrono: viene mostrato il presidente dell’associazione “Dignitas” [17], che assiste le persone che vogliono mettere fine alla propria vita. Ludwig Minelli è un ottantenne ex avvocato Svizzero, dall’aspetto mansueto, accusato recentemente di aver accresciuto la sua ricchezza personale lucrando sui malati terminali che si rivolgono a Dignitas [18]. Una profonda preoccupazione scuote l’animo di Virginie: e se anche a lei succedesse? Il figlio potrebbe tollerare nuovamente ciò che ha vissuto con la nonna? Deve quindi ricordarsi di prendere contatti con una delle due associazioni, Dignitas o Exit [19], e diventare membro, il prima possibile. Certo, tutta la procedura burocratica, per quei pochi ml di barbiturico, costa oltre diecimila Franchi Svizzeri (quasi novemila Euro) [20]. Spera tuttavia in una sorta di “liberalizzazione del mercato”, ora che un referendum nel Cantone Vaud è risultato in una schiacciante vittoria di quanti vogliano una regolamentazione dell’eutanasia, espressamente menzionata nelle leggi [21]. Per il momento infatti, le associazioni che assistono i malati nell’eutanasia approfittano di una “zona grigia” normativa; nonostante questo, più della metà dei decessi in Svizzera è dovuto a eutanasia passiva o attiva [22].
Il documentario va avanti: il filmato mostra gli ultimi giorni di Michèle Causse, scrittrice e militante lesbica francese che ha deciso di porre fine ai suoi giorni in Svizzera, proprio tramite Dignitas [23]. La nostra mammina ha una viva ammirazione per il mondo LGBT. Non le sembra vero che siano sempre quasi solo gli esponenti della comunità gay ad essere in prima fila nella lotta per i diritti civili fondamentali: aborto ed eutanasia innanzitutto. Michèle Causse nel filmato mostra una vitalità eccezionale, nonostante l’osteoporosi a causa della quale ha deciso di porre fine alla propria vita. Ecco che scorrono le ultimi immagini del documentario [24]. “È un bene che Karim veda tutto questo?” pensa fra sé e sé la mamma. Poi annuisce: è bene che suo figlio prenda coscienza già da piccolo sul da farsi nel caso in cui la mamma non fosse più in grado di accudire a se stessa, nel caso in cui addirittura dovesse soffrire. “Sì, è giusto”, ripete ancora. Gli ultimi fotogrammi: la pozione avvelenata, le palpebre della suicida che si chiudono lentamente, il viso che si pietrifica. Virginie ha un sussulto: spegne la TV, con la scusa di aver terminato di stirare. Lo shock è tale che continua ad indugiare col pensiero sugli ultimi istanti di quella donna. “Mamma ho finito i compiti, posso uscire fuori a giocare?” la interrompe bruscamente Karim. La mamma sorride e annuisce. Se lo squadra da capo a piedi: con il cappellino da baseball e il maglione che starebbe largo forse anche a lei. Il suo amore ha già una “crew” con i suoi amici di scuola. Che bell’ometto diventerà.
Congedato il figlio, basta televisione, ora ci vuole un po’ di relax. Virginie si vuole mettere comoda in poltrona, dopo aver passato in rassegna la scarna libreria Ikea. Oltre all’opera omnia di Sophie Kinsella e di Marc Levy, fanno mostra di sé, tra l’altro, “Tibet, la roue du temps”, “Le nombre d’or”, “La Deesse Sauvage. Les divinités féminines”, “La Voie et sa vertu”, “Saint coran français seul poche”. Che leggere? Un libro attira la sua attenzione: “Sur les chemins de l’amor” di Nadine de Rothschild [25], con l’autrice fotografata in copertina davanti al Taj Mahal. “Già, l’India!” Tutti le hanno parlato bene di questo posto lontano e le sue amiche sono tornate entusiaste, cariche di vibrazioni positive. E intanto, sprofondando nei cuscini della poltrona, sogna una vacanza in questo posto misterioso e lontano, assieme a Karim e ad un uomo che possa finalmente essere quello giusto: un buon compagno e un buon padre.
Stefano Andreozzi
Note
 
 
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