domenica 13 gennaio 2013

Nuovo post sul disastro gay. Valanga di studi scientifici descrivono lo sfacelo sociale omosex

cecchiluxuria
 
 
Dopo il post pubblicato precedentemente ( Studio della prestigiosa “Social Science Research”: il disastro sociale della “famiglia gay” ) e le forti reazioni che certamente susciterà , abbiamo deciso di “sommergervi” nuovamente con una valanga di studi scientifici che certificano lo sfacelo omosex.
 
Prima di passare alla nuova raffica, una precisazione sul testo riportato in precedenza e su alcune critiche all’autore Mark Regnerus:
 
Quando furono firmati appelli perché l’Università del Texas licenziasse in tronco il ricercatore, un’indagine interna è stata avviata, per verificare la scientificità dello studio. Il 29 agosto però sul sito web dell’Università del Texas è apparso questo comunicato: «L’Università del Texas ha stabilito che nessuna indagine formale può essere giustificata sulle accuse di cattiva condotta scientifica presentate contro il professore associato Mark Regnerus riguardo al suo articolo pubblicato sulla rivista “Social Science Research”». Secondo l’Università «Non ci sono prove sufficienti per giustificare un’inchiesta», e di conseguenza «la questione si considera chiusa dal punto di vista istituzionale». L’indagine interna ha dunque riconosciuto la legittimità del lavoro e la fedeltà al protocollo previsto dalla metodologia di ricerca.
L’Università del Texas è al 67° posto fra le migliori università del mondo, secondo il “US News and World Report”; al 35° posto nel mondo per la “Shanghai Jiao Tong University”, e al 49° posto migliore secondo “The Economist”. La ricerca di Regnerus è stata approvata anche da New York Times, certo non sospetto di simpatia verso posizioni tradizionali. Il quotidiano ha scritto che «gli esperti esterni, in generale, hanno detto che la ricerca è stata rigorosa, fornendo alcuni dei migliori dati sul tema», da un gruppo di 18 scienziati e docenti universitari tramite un comunicato sul sito della “Baylor University” e da diversi psicologi e psichiatri che hanno scelto di prendere posizione, riconoscendo l’attendibilità degli scomodi risultati. (stessa fonte)
E ora la sana valanga:
[...] L’impossibilità fisica delle coppie omosessuali di unirsi verso la procreazione ha una puntuale corrispondenza nella dimensione psicologica e spirituale, dal momento che l’essere umano è corpore et anima unus: queste pseudo-unioni sono inesorabilmente condannante ad una fragilità estrema, che le rende – al di là di eventuali intenzioni sincere da parte di qualcuno – strutturalmente inadatte ad accogliere e prendersi cura di un’altra fragilità, quella del bambino da educare (cfr. C. Navarini, Gay marriage: le nuove sfide alla famiglia , ZENIT, 4 aprile 2004).
Il filosofo Giacomo Samek Lodovici, in un articolo apparso sulla rivista “Il Timone”, riporta stime eloquenti: “un ampio studio (Bell & Weinberg 1978) svolto su un campione americano, mostrava che su 574 uomini omosessuali soltanto tre avevano avuto un unico partner, l’1% ne aveva avuti 3-4, il 2% 5-9, il 3% 10-14, l’8% 25-49, il 9% 50-99, il 15% 100-249, il 28% 1000 mille e più” (G. Samek Lodovici, Solo il matrimonio può essere riconosciuto giuridicamente, “Il Timone”, n. 37, novembre 2004, pp. 6-7, reperibile in formato elettronico in http://www.totustuus.it/modules.php?name=News&file=print&sid=846).
Ciò conferma il fatto che la famiglia fondata sul matrimonio, inteso come unione indissolubile di un uomo e una donna in un vincolo di amore, è l’unica realtà capace di garantire la stabilità di cui i figli, e gli sposi stessi, hanno bisogno. Non fa stupore che all’interno del mondo omosessuale si registrino percentuali molto alte di depressione e di invincibile solitudine: la persona con tendenze omosessuali che cerca la sua realizzazione attraverso il rapporto fisico con persone dello stesso sesso non la troverà, e facilmente si rivolgerà a sempre nuove avventure omosessuali, alla ricerca di quella felicità che la proprio lo snaturamento dell’amore umano non gli consente. Così, i rischi di abbandono alla disperazione e di suicidio fra le persone omosessuali sono alti (cfr. J. Bradford et al., National Lesbian Health Care Survey: Implications for Mental Health Care, in Journal of Consulting and Clinical Psychology. 1994; 62:239; D. Fergusson et al., Is Sexual Orientation Related to Mental Health Problems and Suicidality in Young People? , in Archives of General Psychiatry. October 1999; 56).
E poi ci sono i figli. Si cerca affannosamente di esibire studi “scientifici” che confermano la totale innocuità di una struttura pseudo-familiare come quella formata da una coppia omosessuale con eventuali figli adottivi o concepiti artificialmente mediante fecondazione artificiale eterologa. Soprattutto, si cita un pronunciamento dell’Accademia Americana di Pediatria, del 2002, che mostrerebbe come i figli cresciuti da genitori dello stesso sesso non presentino “alcuna alterazione” rispetto a chi viene educato nelle famiglie “tradizionali” (cfr. American Academy of Pediatrics, Committee on Psychosocial Aspects of Child and Family Health, Coparent or second-parent adoption by same-sex parents, in Pediatrics. 2002; 109: 339-340).
In realtà, vari membri dell’Accademia, nei mesi successivi la pubblicazione, hanno espresso il loro dissenso, dissociandosi pubblicamente dalle conclusioni a cui il testo perviene. Altri pediatri, non membri, si sono indignati presentando dettagliate e pesanti critiche.
Ironia della sorte, la contestazione più argomentata viene da una pediatra spagnola, Ana Martin-Ancel, del Dipartimento di Pediatria e Neonatologia di un ospedale di Madrid, che sulle pagine della medesima rivista scientifica, Pediatrics, ribadisce come i dati disponibili sullo sviluppo psico-emotivo dei bambini allevati da coppie omosessuali siano scarsi e poco attendibili (A. Martin-Ancel, Adoption by Same-Sex Parents, in Pediatrics. 2002; 110: 419-420).
Ad esempio, molti studi sono stati compiuti su gruppi ristretti di volontari, reperiti attraverso la pubblicità apparsa sulle riviste per omosessuali, e quindi preventivamente selezionati per indurre una valutazione positiva del fenomeno. Oppure, hanno perso in considerazione madri lesbiche che al momento del concepimento vivevano nell’ambito di relazioni eterosessuali, poi abbandonate, e i cui figli hanno dunque vissuto i primi anni di vita con il padre.
Inoltre, i gruppi di controllo utilizzati per valutare il comportamento dei figli era spesso formato da donne sole o divorziate e non da “un ambiente familiare in cui padre e madre collaborano armoniosamente all’educazione dei figli” ( ibid. , p. 419). Infine, i risultati raccolti riguardavano spesso bambini molto piccoli, in cui i disturbi legati alla formazione di una personalità equilibrata verosimilmente non si sono ancora manifestati, pur essendo magari già latenti.
Al contrario, gli studi condotti più seriamente sembrano mostrare differenze significative nell’orientamento sessuale dei figli cresciuti da “genitori” omosessuali rispetto a quelli cresciuti da eterosessuali. La studiosa ne riporta due: uno, del 1996, è stato compiuto su 46 bambini allevati da madri lesbiche, che, seguiti fino all’età adulta, hanno mostrato comportamenti omosessuali nel 24 % dei casi, di contro allo 0% dei soggetti allevati da madri single eterosessuali. Quasi un quarto dei figli cresciuti da donne omosessuali, dunque, ha avuto a sua volta relazioni – non solo tendenze – dello stesso tipo (cfr. S. Golombok, F. Tasker, Do parents influence the sexual orientation of teir children? Findings from a longitudinal study of lesbian families, in Dev Psychol. 1996; 32:3-11).
Un altro studio, del 1995, condotto su 75 “figli” di “padri” omosessuali o bisessuali, ha mostrato il 9% di comportamenti non eterosessuali in età adulta, che rappresenta una percentuale sensibilmente più alta dell’1% normalmente individuato nelle indagini sulla popolazione (cfr. J.M. Bailey et al., Sexual orientation of adult sons of gay fathers, in Dev Psychol. 1995; 31:124-129).
Negli ultimi anni gli studi sul tema si stanno moltiplicano, offrendo dati e risultati sempre più chiari.
Nel gennaio 2004 l’American College of Pediatricians denunciava – appoggiandosi ad una nutrita bibliografia – gli squilibri psico-evolutivi legati all’assenza di riferimento alla bipolarità sessuale, soprattutto relativamente alla formazione dell’identità, che nasce da una sana identificazione con “il” genitore dello stesso sesso (cfr. American College of Pediatricians, Homosexual Parenting: Is It Time For Change? , 22 gennaio 2004). Anche in assenza di manifestazioni apertamente omosessuali, dunque, permane il maggior rischio di patologie e disagi nei “figli” delle unioni omosessuali, comunque vengano definite e formalizzate: “matrimoni”, unioni legali, Patti Civili di Solidarietà (Pacs) o altro.
Il Family Research Council (USA) riporta una quantità ingente di studi e ricerche sui bambini cresciuti con coppie omosessuali e più in generale sulle distorsioni della famiglia e della società che il movimento gay incessantemente ingnora. In un commento del 2001, ad esempio, afferma che le unioni omosessuali non possono sostituire la famiglia. Anzi, paradossalmente, la esigono, o esigono comunque l’unione fra maschio e femmina. Fra i diritti più fermamente rivendicati, infatti c’è appunto quello al figlio, un figlio che per forza di cose verrà da unioni fra persone o fra gameti di sesso diverso (cfr. T.J. Dailey, Homosexual Parenting: Placing Children at Risk, in Insight of Family Research Council. , 2001; 238).
 
Come è possibile allora che la pretesa di diritti inesistenti come quello al “matrimonio gay” venga presa seriamente in considerazione, al punto da divenire parte di un programma di governo? Solo una tragica miopia etica, politica e sociale può spiegare come una nazione possa giungere ad annichilire se stessa sgretolando la roccia della convivenza civile, la famiglia, in nome di un’uguaglianza assurda, che per abbracciare tutti non valorizza, e non tutela, nessuno.
 
Fonte:
 
Zenit.org