martedì 1 gennaio 2013

MALI DELLA LEVA - LA LEGGE PICA

 
 
Giuseppe Pica (1813-1887).png
 
 
di Luisa Sangiuolo



27 ottobre 1860: nello storico incontro di Teano (1) Garibaldi consegna l'Italia meridionale a Vittorio Emanuele. Il Re, premurato dal Cavour, dopo l'invasione delle Marche e dell'Umbria (2) da parte dei generali Fanti e Cialdini, dopo la sconfitta dei papalini a Castelfidardo (3) e la presa di Ancona (4), viene a togliere a Garibaldi il comando dei volontari e a rivendicare a sé l'iniziativa della conquista d'Italia.
Un'Europa esterrefatta ha seguito il successo del partito d'azione attraverso l'impresa dei mille; l'Inghilterra desiderosa di sminuire il prestigio della Francia sul continente, se n'è compiaciuta. Cavour per opportunità politica lascia fare; il suo Re non può permettersi di diventare impopolare tra i futuri sudditi; via, si tratta pur sempre della conquista di un Regno! In effetti ha cercato di impedire in mille modi (5) la spedizione dei mille, facendo sorvegliare Garibaldi ed ostacolando il suo sbarco in Calabria …
La burocrazia sabauda si mette subito all'opera per smobilitare l'esercito garibaldino; il ministro della guerra Fanti minaccia addirittura le dimissioni se le operazioni non si concludono in via breve, nei mesi di novembre-dicembre 1860. Solamente un piccolo numero di ufficiali può essere inquadrato nell'esercito regolare, gode di tale beneficio il colonnello Giuseppe De Marco nella provincia di Benevento, gli altri sono mandati a casa; se hanno i documenti in regola ricavano un compenso in danaro, altrimenti nessun riconoscimento (6). I garibaldini chiedono di arruolarsi come carabinieri o Guardie Nazionali.
La risposta negativa per buona parte è determinata dall'atteggiamento intransigente di Francesco De Sanctis che, quale governatore di Avellino, li ha presi in uggia dal settembre scorso.
"Ho trovato qui [ad Avellino] delle colonne insurrezionali addette al mantenimento dell'ordine e che per la loro indisciplina hanno accresciuto il disordine. 
Partite queste per Benevento secondo gli ordini del Dittatore, ho dovuto di urgenza per supplirvi, organizzare prontamente una forza sotto il nome di Carabinieri Nazionali che ora potrebbe prendere il nome di Guardia cittadina" (7). 
Essi devono essere sicuri per onestà e fede politica (8).
Al De Sanctis, non pare che i garibaldini abbiano dato prova bastevole e sicura di lealismo monarchico. (Vittorio Emanuele è d'accordo). C'è però bisogno di soldati per mantenere l'ordine pubblico e frenare il brigantaggio. I Generali piemontesi si dicono propensi a ricevere nei ranghi gli ex soldati borbonici, ma questi vincolati dal giuramento fatto a Francesco II o chiedono la pensione anticipata, o si mettono in aspettativa, o dichiarano per iscritto di essere disposti unicamente al servizio sedentario.
I garibaldini del meridione, confortati da questo esempio di non collaborazionismo, disgustati per il trattamento riservato al loro generale costretto ad andare in esilio a Caprera il 9 novembre 1860, prendono la via dei monti e si fanno briganti.
La situazione interna diviene preoccupante; Vittorio Emanuele ha bisogno di almeno 70.000 uomini, pertanto con decreto del 20 dicembre successivo chiama alle armi i soldati di leva delle classi 1857, 1858, 1859, 1860, rinnovando la ferma borbonica di 8 anni obbligando a servire nell'esercito i giovani dai 18 ai 25 anni (9). Le famiglie contadine sono alla disperazione; il nuovo re, nel bando non contempla nessuna eccezione.
C'è da meravigliarsi se rimpiangono i Borboni? Ferdinando II con la legge del 1834 concedeva l'esenzione dal servizio militare ai figli unici e agli ammogliati, accontentandosi che le famiglie con due o tre figli dessero un soldato e le più numerose, due. Permetteva il cambio militare in ragione di 240 ducati; Vittorio Emanuele che è avido di danaro, ne chiede ora 729.
Dove trovare tutti questi soldi?
Non c'è quindi da stupirsi se i contadini del Sud, esasperati dall'esosa richiesta, si diano alla macchia e rispondano all'altra chiamata alle armi, quella di Francesco II.
I briganti aumentano considerevolmente di numero; la leva proclamata con metodi draconiani non dà il gettito sperato. Silvio Spaventa segretario generale del Dicastero dell'Interno e Polizia, il 25 aprile 1861 ricorre alle Guardie Nazionali (10) per arginare la rivolta contadina.
Il risultato è deludente. Come al solito nei piccoli centri, si va a caccia delle cariche; i più si accaparrano la carica di ufficiali; pochi risultano i soldati. Dove sono le armi? non ci sono. Quando si danno, sono razionate con estrema parsimonia.
Le cartucce non vanno sprecate; un colpo deve uccidere un brigante, come se questi sia disposto graziosamente al bersaglio, pazientemente ad attendere che la Guardia Nazionale prenda la mira. Insomma, Vittorio Emanuele vuole o non provvedere le Guardie Nazionali di fucili e munizioni?
No. Nutre per le Guardie Nazionali la identica diffidenza mostrata per i garibaldini spediti a casa. Di questo passo, ogni considerazione diventa superflua. Vittorio Emanuele vuole che i briganti o favoreggiatori siano fucilati e i soldati piemontesi eseguano fedelmente l'ordine reale.
Se si astengono dal dare il colpo di grazia ai feriti, è solamente per sadismo, per vederli morire in carcere senza l'assistenza del medico, tra le atroci sofferenze causate dal tetano (11).
Saccheggiano ed incendiano interi villaggi, mentre i deputati dell'Italia meridionale se ne stanno inerti e passivi. Gli eletti, si scuotono dalla loro indifferenza una prima volta, allorché l'on. Marzio Francesco Proto duca di Maddaloni, nella tornata del 20 novembre 1861 denuncia le atrocità della repressione ed invoca una inchiesta parlamentare (12). Si commuovono finalmente quando il 2 dicembre successivo l'on. Giuseppe Ferrari radicale, rievoca la distruzione di Pontelandolfo e Casalduni. "...Intendo la vostra voce, signori, l'immortale voce di tutti i burocrati italiani, non si poteva fare diversamente".
Il coraggioso deputato milanese lascia capire che le rappresaglie militari contro gli inermi non hanno mai sortito buon esito; la popolazione civile è più che mai disposta a dare aiuto ai briganti, a collaborare. Il governo moderato tuttavia non mostra alcun cedimento; approva che su larga scala sia praticato l'arresto dei parenti dei briganti fino al terzo grado.
Lo scopo è quello di indurre i loro congiunti a presentarsi. Di fronte al ricatto morale, ai genitori anziani che languono in prigione e alle mogli in attesa di un figlio, molti briganti cedono.
Si presentano ai sottoprefetti e ai giudici di mandamento più disposti alla benevolenza e alla comprensione; gli incauti che si consegnano ai comandanti militari, vanno incontro alla fucilazione. La distruzione di Pontelandolfo e Casalduni, presa dall'on. Ferrari a simbolo di "più di ottanta paesi, taglieggiati, sconvolti, insanguinati, abbandonati al saccheggio" nell'Italia meridionale in nome di Vittorio Emanuele, diventa argomento di discussione tra i parlamentari. Gli uomini di governo e di opposizione non riescono a dimenticare le sue parole "... Dopo la distruzione di Pontelandolfo e Casalduni, non vi parlerò di alcuna altra città meridionale, perché ho troppo rispetto per il vostro dolore e troppo ne sono partecipe".
I tentativi di metterlo a tacere o risultano fiacchi o suscitano scalpore, come quello di Marco Minghetti "...del campo della sicurezza pubblica il Governo ha il compito di reprimere, non di prevenire, la prevenzione è compito dei governi assoluti, non dei governi liberi".
Per tutto un anno, Ferrari continua implacabile a ripetere che il brigantaggio è una specie di guerra civile. Si parla troppo dell'argomento, per metterlo a tacere. Il 16 dicembre 1862, viene di conseguenza nominata la commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio; essa è composta dai deputati Saffi, Sirtori, Romeo, Castagnola, Ciccone, Argentino, Bixio e Massari quale relatore.
Si dà il via ai lavori preparatori. Nella serie delle proposte, si inserisce la relazione distinta in misure preventive e repressive che il Deputato Mosca presenta ai componenti della Commissione.
Destinata a rimanere segreta, la relazione è largamente divulgata a Benevento e nelle limitrofe zone di Terra di Lavoro, dal sindaco di S. Pietro Infine Ercole Baimondi, già maggiore garibaldino (13). I rimedi preventivi sono: sociali politici amministrativi.
Quale rimedio sociale si prospetta la divisione dei beni ex feudali; i fondi del demanio e delle manomorte devono essere dichiarati enfiteutici in modo da permettere ai contadini di riscattare le terre in venti anni, all'interesse del 5 %.
Se i beni del demanio si mettono in vendita a precipizio, daranno un prodotto minore in valore capitale; gli speculatori ricchi acquisteranno le proprietà e lo Stato vedrà vanificato il proposito di frenare la rivoluzione sociale. Casse di prestito agrario devono dare soldi a modico interesse ai contadini al fine di iniziare le coltivazioni a tempo giusto e con i mezzi necessari.
Per evitare soprusi, è bene nominare quali Commissari Governativi i giudici di mandamento; nessuno meglio di loro può far rispettare la legge e garantirne la esecutività; per accelerare i tempi non è fuor luogo che nella loro opera siano affiancati da Commissari Municipali di nomina prefettizia. I rimedi politici poggiano sulla fine del clientelismo.
Se al vertice della piramide si pratica la disonestà, è inutile pretendere l'onestà dall'apparato burocratico. Baimondi con puntualizzanti commenti alla proposta Mosca, vorrebbe che i prefetti dichiarassero nulle le nomine dei funzionari municipali e degli ufficiali delle Guardie Nazionali di tendenze retrive, da non rieleggere per un triennio in conformità dell'antico principio romano circa la incapacità di rielezione dei colpiti da sentenza censoria.
Tra i rimedi amministrativi raccomanda la eliminazione dei contratti di appalto tipo monopolio improntati a lungaggini di esecuzione.
Per quanto attiene le misure repressive del brigantaggio, i delegati di Pubblica Sicurezza non sempre sono all'altezza del compito. Alcuni politici propongono di affidare l'incarico di tutori dell'ordine ai giudici di mandamento. Non è il caso.
O sono troppo giovani e mancano di esperienza, o sono troppo anziani, rimasti al primo gradino della magistratura per scarse capacità; nell'uno e nell'altro caso hanno troppo da fare negli uffici per sobbarcarsi a quest'altro obbligo. E' preferibile perciò conservare in servizio i delegati, spostando quelli provinciali e circondariali nei mandamenti e quelli mandamentali presso Prefetti e Sottoprefetti.
In questo modo ci saranno funzionari efficienti nei mandamenti, gli altri meno brillanti garantiranno un buon servizio perché manovrati direttamente dai Prefetti e Sottoprefetti. Le invasioni dei comuni sono diventate più rare nel 1862; giova pertanto stanziare i distaccamenti di truppa più nei casali dove i briganti vanno a fornirsi di viveri e di armi, che nei paesi.
Se la truppa vuole difendere adeguatamente le due province di Benevento e Terra di Lavoro, è opportuno che sorvegli i contrafforti delle montagne ed entrambe le sponde dei fiumi al confine. Non serve tutelare bene una zona e lasciare allo scoperto l'altra appartenente alla provincia viciniore; per i briganti è addirittura un gioco da bambini aggirare l'ostacolo e mettersi in salvo. Baimondi è uomo d'armi e non può fare a meno di osservare che "la mala distribuzione dei distaccamenti e la mai scelta sede del comando e la troppo ristretta autonomia di questi pei fatto de' quarti battaglioni che si vollero impiegare a tal servizio, ingenerò gare e confusioni ed allontanò dallo scopo i faticosi sforzi dell'esercito, come si vide non seria talvolta la destinazione dell'arma, trovando su per le montagne i grossi e pesanti granatieri mentre passeggiano per Napoli i vispi e svelti bersagliere, e così la cavalleria ove si vorrebbe fanteria, e viceversa" (14).
Il frequente avvicendamento dei distaccamenti provoca molti danni; i comandanti perdono tempo a conoscere le località. Di qui l'inefficienza delle operazioni, cui si può porre riparo mobilizzando le Guardie Nazionali del posto in ragione di un terzo della forza militare; esse conoscono i luoghi e fanno risparmiare all'erario le spese di trasporto di interi battaglioni che, per essere spostati di continuo e affidati ora al comando di un capo militare ora di un altro, diventano indisciplinati ed incontrollabili.
Si esagera troppo con le fucilazioni, non di rado, capita che i militari uccidano pacifici contadini, scambiandoli per briganti. Ecco perché è necessario obbligare i sindaci a rilasciare fogli di riconoscimento a tutti gli amministrati, con connotati precisi che non diano luogo ad equivoci.
Le autorità con apposite ordinanze, fanno divieto per un periodo di tempo non breve ai pastori e contadini di accedere in montagna o zone collinari infestate dai briganti, in quanto li ritengono i naturali loro favoreggiatori, disposti a fornirli di munizioni e viveri.
La pastorizia e l'agricoltura soffrono gravi danni; il malumore è grande. Mentre si avvia in modo globale il discorso sul brigantaggio, arriva al Prefetto Sigismondi a Benevento una capziosa circolare del Ministro Peruzzi, datata Torino 1 gennaio 1863. Il Prefetto deve obbligare tutti i comuni e i privati a sottoscrivere consistenti offerte in danaro a favore delle vittime del brigantaggio "per consolare le sventure domestiche e premiare gli atti di coraggio" Il clero della provincia, in massa, si rifiuta di sottoscrivere. In particolare, quello cerretese dotto ed evoluto, replica seccamente che sotto la maschera della previdenza sociale, si cela l'incentivo alla guerra fratricida (15). E' presumibile che altre circolari e disposizioni dello stesso ministro, siano in arrivo per invogliare i cittadini dietro compenso, a denunciare veri o presunti briganti.
Non è difficile che vengano messe forti taglie sui capi, per legalizzare una spietata caccia all'uomo. Ricordino i cerretesi che la religione, proibisce lo spargimento di sangue. Il clero del circondano di Benevento e di S. Bartolomeo in Galdo, pur non rilasciando dichiarazioni ufficiali, si mostra parimenti irremovibile.
La popolazione in nome della religione, si rifiuta di contribuire (16). Il ministro Peruzzi, con la circolare 7 febbraio e con le istruzioni del 1° marzo, svela chiaramente il significato che intendeva dare agli "atti di coraggio". Gli arresti su delazione di pochi malvagi, non si contano. I cittadini di umili condizioni (non i proprietari terrieri), a centinaia vanno in prigione insieme con i parroci.
Non si lamentano per la loro condizione, chiusi in fiero riserbo. Un muro di silenzio si leva tra le autorità e l'opinione pubblica; i militari ne sono scossi; ignorati dai paesani, sentono pesare su di sé il marchio di soldati di occupazione. La Commissione d'inchiesta, ultimati i lavori, riferisce alla camera dei deputati nelle sedute segrete del 3, 4, 5 maggio 1863.
Nel corso della sua indagine, ha raccolto elementi più che positivi di dissenso da parte dei politici, funzionari statali ed alti ufficiali delle varie armi. Il relatore on. Massari quando legge la sua relazione, non ne fa alcun accenno, né illustra le proposte presentate alla Commissione per le quotizzazioni dei beni demaniali, né spiega che la mancata repressione del brigantaggio deriva dal contrasto tra autorità civili e militari.
Alcuni deputati capeggiati da Nino Bixio, osservando che le leggi ordinarie non sono sufficienti a riportare l'ordine nel paese, avanzano la proposta perché sia approvata una legge eccezionale. L'on. Giuseppe Pica rappresentante la provincia di Aquila, propone la sospensione.
Gli occorre un pò di tempo, per raccogliere le firme di 41 deputati della destra in appoggio al progetto che va elaborando (17). I deputati della sinistra cercano di bloccare la sua iniziativa, proponendo che la Camera sieda in permanenza fino alla conclusione del dibattito, di suscitare consensi per la proposta Menabrea di uno stanziamento di 20 milioni nel Sud, per la realizzazione di opere pubbliche. Conclusione: viene respinta la proposta Menabrea. I deputati di destra hanno calcolato giusto; è tempo d'estate e gli onorevoli sono ansiosi di andare in vacanza, pronti ad approvare qualsiasi progetto. Giusto in tempo, per il 15 agosto 1863…
la legge Pica viene approvata come emendamento al progetto sospeso della Commissione d'inchiesta. In applicazione della legge Pica, i briganti di Benevento, sono deferiti al Tribunale Militare di Guerra in Caserta. I giudici comminano pene severissime.
Con estrema disinvoltura, condannano a morte chi si presenta volontariamente o chi è imputato di reati comuni e non di brigantaggio. Danno l'ergastolo alle donne colpevoli di essere mogli di briganti; assegnano dai dieci ai quindici anni ai bambini, rei di avere avuto il padre fuorilegge.
Questi esempi, convincono i briganti a rimanere tali. Preferiscono morire combattendo nello scontro frontale con le truppe, anziché fucilati nella schiena da un plotone d'esecuzione.

NOTE

1.Il generale Federico Menabrea nelle sue Memorie, racconta invece che l'incontro tra Garibaldi e Vittorio Emanuele è avvenuto a Caiazzo.
2. Invasione delle Marche e dell'Umbria: il settembre 1860.
3. Il Lamoricière generale della truppa papalina fu sconfitto a Castelfidardo il 18 settembre 1860. Vittorio Emanuele aveva convinto Napoleone III a consentirgli il passaggio attraverso lo Stato Pontificio, per proteggere lo Stato della Chiesa contro l'avanzata garibaldina. Si veda con quale risultato!
4. Ancona è assediata dalla flotta piemontese comandata dal Persano; capitola il 29 settembre 1860.
5. Solo Francesco Crispi esortò Garibaldi alla conquista del Meridione. Sua unica preoccupazione le condizioni del mare - Io vi garantisco il mare -gli disse Garibaldi il 2 maggio 1860. Ed io - rispose Crispi - vi garantisco la terra.
6. Franco Molfese - Lo scioglimento dell'esercito meridionale garibaldino in Nuova Rivista storica, 1960, n. 1.
7. Archivio di Stato Napoli - Ministero Polizia - Fascio 1078 - Intendenza del Principato Ulteriore - Primo ufficio, n. 4083, Avellino, li Ottobre 1860. Francesco De Sanctis al Ministero di Polizia Napoli.
8. Archivio di Stato Napoli - Ministero Polizia - Fascio 1078 - Lettera del Governatore di Avellino ai sindaci e ai capitani della Guardia Nazionale del primo distretto. Intendenza di Principato Ulteriore. Primo ufficio, terzo carico, Avellino, 24 settembre 1860.
9. Giacinto De Sivo - Storia delle due Sicilie dal 1847 al 1861, Trieste, 1868, pagg. 444-445.
10. La costituzione delle Guardie Nazionali, risale al 1806; fu voluta dalla borghesia napoletana per soffocare la reazione borbonica dei lazzari contro il sistema napoleonico. Ferdinando II le dette nel 1833 un nuovo ordinamento, consentendo l'arruolamento agli uomini dai 21 ai 50 anni che fossero di comprovata fede monarchica. Garibaldi, come era logico, con decreto 17 settembre 1860, escluse dalle Guardie Nazionali i filo-borbonici e i simpatizzanti in genere del potere assolutistico.
11. Marzio Francesco Proto - La verità sopra gli uomini e le cose del Regno d'Italia, Napoli, 1862.
12. La presidenza della Camera dei Deputati respinse la richiesta dell' on. Proto perchè la sua mozione fosse messa in discussione.
13. Ercole Raimondi - dà alle stampe a S. Pietrinfine di Terra di Lavoro il 31 dicembre 1862 un commento alla proposta Mosca dal titolo "Provvedimenti pel brigantaggio
14. Ibidem, pag. 13.
15. Franco Molfese - Storia del brigantaggio dopo l'unità, Milano, Feltrinelli, 1964 e 1966, parte II: Attacco e liquidazione del brigantaggio.
16. Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento - Documenti inediti brigantaggio 1863 - Il prefetto Sigismondi sollecitò più volte i sindaci dei comuni della provincia per indurre i cittadini al pagamento dei contributi.
17. Tra gli altri, dettero la loro adesione Bonghi, Sella, Boggio, De Cesare, Nisco, Barracco, Castagnola, Massari.


Fonte:

"Il Brigantaggio nella Provincia di Benevento 1860-1880", Luisa Sangiuolo, De Martino, Benevento, 1975