Papa Leone X
Si giunse, tuttavia, al 1516 per la definitiva soluzione delle relazioni tra le due supreme potestà. Il Re di Francia Francesco I, infatti, e Papa Leone X stipularono a Bologna un concordato che, tra l’altro, regolava con certezza la collazione delle digni- tà episcopali e abbaziali nella monarchia transalpina. Con esso il monarca rinunciava definitivamente alle pretese della Pragmatica di Bourges, mentre il Sommo Pontefice concedeva una sanzione giuridica alla questione delle nomine episcopali ed abbaziali (benefici maggiori). Il principio era semplice: nomina da parte del Sovrano, istituzione canonica del Papa. L’Ordinanza reale del 13 marzo 1517, riprendendo la Bolla pontificia Sacro approbante Concilio (14 gennaio 1517) così stabiliva: «Nelle Chiese metropolitane e cattedrali del Regno, Delfinato e Contee di Die e Va- lenza … rimaste vacanti … ora o in futuro, anche a seguito di unioni fatte nelle nostre mani, o dei nostri successori, i canonici non potranno procedere all’elezione o alla postula- zione del futuro prelato … il Re di Francia, invece, potrà nominare a Noi, e ai nostri suc- cessori, Pontefici Romani, una persona .. e con tale persona, così designata dal Re, sarà da Noi e dai nostri successori provveduto alla sede vacante». L’elezione era così soppressa. Il Papa e il Sovrano sono gli unici attori della de- signazione. Il diritto di nomina del monarca è sottomesso alle norme canoniche d’età e attitudine: il futuro prelato deve avere almeno 27 anni, essere laureato in teologia e in utroque iure (diritto canonico e civile) ed essere presentato entro sei mesi dalla va- canza della sede. Il Papa può rifiutare l’istituzione canonica nel caso in cui giudichi il designato ‘non qualificato’. Al Sovrano, allora, rimangono tre mesi per nominare un altro can- didato. Qualora il Re trascuri di farlo, sarà direttamente il Pontefice a compiere l’ele- zione. Il diritto di nomina del principe è limitato da due eccezioni: 1) le chiese, che possono dimostrare un diritto d’elezione confermato dalla Santa Sede, lo mantengono anche nel regime concordatario; 2) La Santa Sede si riserva, infine, la nomina dei be- nefici, il cui titolare è morto a Roma (vacantia in Curia). Il Concordato di Bologna divenne il modello per altri simili trattati tra gli Stati Cattolici e la Chiesa, come quello del 1737 con la monarchia delle Due Sicilie, quello stipulato nel 1741 con il Re di Sardegna, quello del 1753 con la Spagna, quello del 1817 con la Baviera, quello del 1855 con l’Impero asburgico ecc. Esso rimase in vigore in Francia fino alla Rivoluzione. Fu, in qualche modo, riaffermato da quello bonapartista del 1801, e cessò di operare solo nel 1905, quando la Santa Sede, dopo il fallimento del raillement, a seguito della scandalosa politica anti-cattolica della Terza Repubblica massonica, denunciò unilateralmente il Concor- dato. Occorre ricordare, infine, che la Chiesa non riconosce al potere politico non cat- tolico che un intervento negativo in ordine alle nomine episcopali. Così, infatti, scri- veva, il 20 luglio 1900, il Segretario di Stato di Leone XIII, Card. Rampolla del Tin- daro ai vescovi di Prussia, Hannover e del Reno Superiore, ove, non vigendo alcun concordato, la modalità d’elezione era riservata ai Capitoli delle cattedrali: «Questa Sede non riconosce alle autorità non cattoliche che un intervento negativo nelle elezioni dei vescovi, e questo intervento consiste nel fatto che i candidati meno graditi allo Stato non vengono scelti. Nello scegliere i più degni, i Canonici devono, quindi, fare in modo di designare quello più gradito al Governo». Fin dalla sua nascita, la Monarchia sacra non ha cessato d’esercitare, seppure con intensità diversa nel corso dei secoli, il proprio diritto-dovere in ordine alla scelta dei prelati destinati a ricoprire posti d’autorità (vescovi, abati) nella Chiesa. Tale azione è stata ratificata quasi subito dalla gerarchia ecclesiastica e non è mai stata negata di principio. Essa, infatti, trova la propria giustificazione nella ne- cessaria alleanza tra potere temporale legittimo e autorità ecclesiastica, ossia in quel- l’unità, nella distinzione, che è alla base della società cattolica. Il monarca legittimo ha esercitato, d’accordo col Clero docente, per secoli, in modo praticamente incontrastato, anche in quest’ambito, una sorta di potere quasi- sacerdotale indiretto in sacris.