[…] Il 25 aprile del
1861, Carlo Melegari, bersagliere di Sua Maestà Vittorio Emanuele II, fu
promosso Maggiore e prese il comando del 18° battaglione di stanza a Borgo San
Donnino. Dopo due mesi di dure esercitazioni in montagna, il neo promosso
maggiore ebbe ordine dal Comando della Divisione di Piacenza di partire per
Napoli agli ordini del luogotenente Generale Cialdini. Era il 3 agosto ed il
caldo soffocante fiaccava le forze della truppa. Cialdini, sapendo che l'ozio
origina sempre i vizi, per mantenere in forma i suoi soldati, li spedí sulle
Mainarde a conoscere il terreno e a riparare i fili del telegrafo che i
partigiani sudisti avevano distrutto. L'11 agosto il maggiore Melegari ricevette
l'ordine tassativo di rientrare immediatamente in Napoli con il suo battaglione.
I giornali riportavano la notizia della rivolta contadina di Pontelandolfo e
Casalduni; poiché ormai la stampa era solo filogovemativa, la notizia venne
artatamente data dalle redazioni della Luogotenenza. Il Cialdini era consapevole
che bisognava ubriacare l'opinione pubblica di sdegno contro i briganti,
e perché ciò si avverasse abbisognava che i quotidiani piú importanti, a
tiratura locale e nazionale, parlassero continuamente delle nefandezze e delle
malvagità contadine. Le popolazioni del Sud venivano dipinte come primitive,
barbare, invasate di religione, analfabete; i partigiani regi venivano fatti
passare per briganti che scannavano e decapitavano i soldati piemontesi. Il 12
agosto al maggiore Melegari fu ordinato di presentarsi dal generale Cialdini;
con solerzia si recò alla luogotenenza, dove lo ricevette il generale
Piola-Caselli, che lo fece accomodare e gli disse: - Maggiore, lei avrà
sentito parlare di sicuro del doloroso ed infame fatto di Casalduni e
Pontelandolfo; ebbene, il generale Cialdini non ordina, ma desidera che quei due
paesi debbano fare la fine di Gaeta, ossia devono essere rasi al suolo ed i suoi
cittadini massacrati. Ella, Sig. Maggiore, ha carta bianca ed è autorizzata a
ricorrere a qualunque mezzo, e non dimentichi che il generale desidera che siano
vendicati i soldati del povero Bracci. Infligga a quei due paesi la piú severa
delle punizioni e ai suoi abitanti faccia desiderare la morte. Ha ben capito?.
Melegari:- Signorsí, so benissimo come si devono interpretare i desideri
del generale Cialdini. Sono stato con lui in Crimea e con lui ho fatto tutta la
campagna del 1859, cosa devo fare. Cialdini in un'altra stanza stava
istruendo il generale De Sonnaz che doveva dirigere le operazioni. Melegari
partí con una compagnia di quattrocento soldati e il 13 mattina giunse a
Solopaca; a mezzogiorno nei pressi di Guardia. Alle due del mattino del 14
agosto Melegari ed i suoi quattrocento eroi avevano invaso San Lupo; fece
svegliare il capitano della Guardia Nazionale al quale disse: -Capitano, mi
occorrono duecento uomini, devo attaccare i briganti. - Maggiore, i briganti
sono tanti e bene armati. Ci faranno a pezzi se andiamo sul loro terreno! -
rispose l'ufficiale della guardia nazionale. Melegari: - Capitano, niente
di tutto questo, non sono venuto qui per combattere contro Giordano, ora è
troppo forte. Sono venuto qui per punire gli abitanti di Casalduni; a
Pontelandolfo sta dirigendosi De Sonnaz. So cosa devo fare. Lei deve occupare il
promontorio da cui si domina la valle ed aspettare miei ordini. Qualcuno,
forse qualche parente del capitano della guardia nazionale, corse ad avvertire
il sindaco di Casalduni, Ursini. Da quel momento iniziò l'esodo dei casaldunesi
verso le montagne difese dai partigiani di Giordano .….. Ursini, conoscendo la
storia del Piemonte, conoscendo la barbarie dei suoi ufficiali e la viltà di
Cialdini, conoscendo bene le idee liberali massoniche e sapendo che quelle erano
idee di conquista, idee di s'opraffazione dell'uomo sull'uomo, idee di
arricchimento di pochi a spese dei piú, di libertà di pochi sui piú; idee di
democrazia limitata, democrazia di ladri e ladroni; libertà di imbrogliare la
gente, libertà di fare brogli elettorali, libertà di ingannare il popolo; idee
di conquistare un regno felice e ricco, dove per tutti c'era lavoro; idee di
rubare ai Meridionali le loro ricchezze per trasferirle al Nord, fece spargere
per la città la voce che i piemontesi stavan6 per arrivare. Tutti, o quasi,
corsero sui monti. Rimasero in paese solo qualche malato e qualcuno che non
credeva ad una dura repressione; qualche altro pensava di farla franca restando
chiuso in casa. Alle quattro del mattino il 18° battaglione, comandato dal
maggiore Melegari e guidato verso Casalduni dal liberale Jacobelli e dalla spia
Tommaso Lucente, ricco nobilotto di Sepino, aveva già circondato il paese.
Melegari si attenne agli ordini ricevuti dal generale Piola-Caselli e fece
disporre a schiera le quattro compagnie di cento militi ciascuna. Dovevano
aprire il fuoco di fila per incutere paura ai partigiani, che, secondo le
informazioni ricevute, avrebbero dovuto difendere Casalduni da attacchi esterni;
e poi attaccare il paese, baionetta in canna, di corsa, concentricamente. Le
quattro compagnie ebbero il comando di carica alla baionetta dall'eroico
Melegari e cominciarono la carneficina ed il saccheggio delle case e delle
chiese come erano soliti fare per poi passare ad incendiarle. La prima casa ad
essere bruciata fu quella del sindaco Ursini, indicata alla truppa dal servo
nonché traditore Tommaso Lucente da Sepino. Sentendo gli spari e le grida dei
bersaglieri, i pochi rimasti in paese uscirono quasi nudi; cercavano la montagna
e trovarono la morte, infilzati dalle baionette dei piemontesi. Un certo Lorenzo
D'Urso commerciante, fattosi sull'uscio per salutare i soldati, fu
crivellato di colpi e poi infilzato dalle baionette; e cosí moltissimi cittadini
inermi. L'eccidio fu meno feroce che a Pontelandolfo perché appunto, la gente,
avvertita, era scappata. Dopo aver messo a ferro e fuoco Casalduni ed aver
sterminato gli abitanti ivi rimasti, l'azzurro ed eroico maggiore Melegari
chiamò a sé il tenente Mancini e gli ordinò di andare a Pontelandolfo per
ricevere istruzioni dal generale De Sonnaz. Dopo un' ora il tenente ritornò,
scese da cavallo e rivolgendosi al suo maggiore disse: - Possiamo tornarcene
a San Lupo1 il colonnello Negri ha distrutto completamente
Pontelandolfo. Ho visto mucchi di cadaveri, forse cinquecento, forse ottocento,
forse mille, una vera carneficina!. Melegari: - Ci hanno fregati quelli
del 36° fanteria! Casalduni era quasi vuota, qualcuno ha avvertito la
popolazione!. Dalle alture i partigiani osservavano ciò che stava accadendo
nei due paesi sanniti. Vedevano tanto fumo, sentivano gli spari dei bersaglieri,
si sentivano impotenti di fronte a tanto orrore …… Molti volevano attaccare i
piemontesi, anche sapendo di andare incontro a morte certa, visto il divario
delle forze in campo …….. Giordano e i suoi scortarono oltre duemila casaldunesi
fino alle porte di Benevento. Una volta in città Ursini chiese udienza al
governatore. Fu incarcerato ! I morti furono tanti a Pontelandolfo e Casalduni,
molti di piú che a Montefalcione, San Marco e Rignano, pure eccidiate ed
incendiate ……. A Pontelandolfo e Casalduni i morti superarono sicuramente il
migliaio, ma le cifre reali non furono mai svelate dal governo piemontese, come
mai è stato svelato il numero dei morti della guerra civile del 1860-70. Il
Popolo d'Italia , giornale filo governativo e quindi interessato a
nascondere il piú possibile la verità sui morti, indicò in 164 le vittime di
quell'eccidio (8), destando l'indignazione
persino del giornale francese Patrie, filo unitario, e quella del mondo
intero. Ma nessuno intervenne presso il governo dei carnefici piemontesi.
L'invasione del Sud costò la vita, l'espatrio, il carcere ed il manicomio ad un
milione di persone, costò la libertà e la dignità del popolo meridionale, ma,
una cosa è certa, la gente del Molise, degli Abruzzi, del basso Lazio, della
Terra di Lavoro, del Sannio, della Capitanata, della Basilicata ha venduto cara
la propria pelle; ha dimostrato ai piemontesi ed al mondo di avere carattere e
coraggio. Francesco II e la Regina Sofia sui bastioni di Gaeta disprezzarono la
morte. Vittorio Emanuele III di Casa Savoia nel 1943 ha dimostrato di essere un
codardo. Cosí il generale Cialdini, un vero assassino e criminale di guerra, a
Custoza scappò come un coniglio di fronte all'esercito austriaco. Il colonnello
Gaetano Negri (9), milanese purosangue, scrivendo al padre
dopo l'eccidio di Pontelandolfo, non mostrò alcun segno di pentimento e di
umanità. Questo signore fu eletto sindaco del capoluogo lombardo negli anni
ottanta. Riportiamo qui di seguito uno stralcio di quella lettera:
Napoli, agosto 1861-
Carissimo papà, Le notizie delle province continuano a non essere molto
liete. Probilmente anche i giornali nostri avranno parlato degli orrori di
Pontelandolfo. Gli abitanti di questo villaggio commisero il piú nero tradimento
e degli atti di mostruosa barbarie; ma la punizione che gli venne inflitta,
quantunque meritata, non fu per questo meno barbara. Un battaglione di
bersaglieri entrò nel paese, uccise quanti vi erano rimasti, saccheggiò tutte le
case, e poi mise il fuoco al villaggio intero, che venne completamente
distrutto. La stessa sorte toccò a Casalduni, i cui abitanti si erano uniti a
quelli di Pontelandolfo. Sembra che gli aizza tori della insurrezione di questi
due paesi fossero i preti; in tutte, le province, e specialmente nei villaggi
della montagna, i preti ci odiano a morte, e, abusando infamemente della loro
posizione, spingono gli abitanti al brigantaggio e alla rivolta. Se invece dei
briganti che, per la massima parte, son mossi dalla miseria e dalla
superstizione, si fucilassero tutti i curati (del Napoletano, ben inteso!), il
castigo sarebbe piú giustamente inflitto, e i risultati piú sicuri e piú
pronti.. (10)
Una vera bestia
immonda. Se simili personaggi hanno fatto l'Italia una, oggi non dobbiamo
piangere sulle due Italie: una ricca e prospera e l'altra povera. Questi
personaggi hanno distrutto le ricchezze del Sud, hanno massacrato e fucilato gli
uomini migliori, mentre hanno costretto all'emigrazione una grande moltitudine
di Meridionali. Il 15 agosto 1861 il Generalissimo Enrico Cialdini, dalla sede
dell'alto Comando di Napoli, telegrafò al ministro della guerra piemontese e
quindi al mondo intero: "ieri all'alba giustizia fu fatta contro
Pontelandolfo e Casalduni" […].