sabato 2 giugno 2012

Napoleone e i suoi massoni



Recensendo sul Corriere delle Sera I dieci errori di Napoleone di Sergio Valzania, Luciano Canfora, sempre suggestivo nelle sue analisi, scrive: “Valzania non è insensibile alla tematica del «tradimento», all’interferenza cioè di questo micidiale fattore, non sempre percepito dagli storici nella sua rilevanza, e considerato piuttosto come un condimento romanzesco della ricerca. Si tratta della questione del mancato arrivo di Grouchy, e della sua colonna nel momento cruciale della battaglia di Waterloo”.
Il tema del tradimento, del tradimento militare, è effettivamente intrigante perché offre prospettive impensate ai non addetti ai lavori. Io, per esempio, nelle letture a tappeto che ho fatto su risorgimento e massoneria nella biblioteca della Civiltà Cattolica, sono caduta dalle nuvole quando mi sono imbattuta in un libro mezzo mangiato dai topi scritto da un tale Luigi Parascandolo, sacerdote napoletano. Nel suo La Frammassoneria in questo ultimo decennio (Napoli 1880), Parascandolo sostiene che la meravigliose vittorie dell’esercito napoleonico siano imputabili al tradimento. La prospettiva, rispetto a quella di Valzania-Canfora, sembrerebbe rovesciata perché Valzania parla di sconfitta mentre Parascandolo di vittorie. Ma chissà che, a conti fatti, se tradimenti ci sono effettivamente stati, questi non abbiano riguardato entrambe le facce della guerra: le vittorie come le sconfitte.
Veniamo alle affermazioni di Parascandolo. Il sacerdote analizza le campagne bonapartiste all’interno di un quadro che spiega le vittorie strategiche della Francia rivoluzionaria, inspiegabili a partire dal rapporto di forze sul campo, col tradimento di funzionari e generali giacobini che parteggiano per il nemico francese, anteponendo un vincolo ideologico di tipo settario massonico alla fedeltà alla patria. Detto per inciso: so per esperienza quanto ragionamenti simili siano determinanti per spiegare in modo inconfutabile la conquista del regno delle Due Sicilie all’epoca della spedizione dei mille.
Parascandolo racconta come “le orde repubblicane” entrarono senza colpo ferire in Belgio, Olanda, Savoia, Magonza, Treviri, Spira, Worms e Francoforte “Per una lunga serie di tradimenti”, perché “in tutti i paesi del Reno, i massoni tradirono la loro patria tedesca”. I francesi conoscevano in anticipo i piani di battaglia e le strategie difensive, mentre i generali tedeschi non davano ordini al momento opportuno o eseguivano male quelli dati e si arrendevano senza sparare un colpo. Succede così che “Milizie agguerrite, che poco prima avevano dato saggio di bravura, all’improvviso si mostravano come divenute impotenti, ed i generali sembravano ciechi”.
Le campagne napoleoniche non fanno eccezione: l’irresistibile e fulminea avanzata di Bonaparte si spiegherebbe con l’aiuto che i fratelli gli danno in ogni occasione. Parascandolo cita, fra gli altri, il caso del generale Mack, artefice della sconfitta dell’esercito napoletano di quarantamila uomini contro seimila francesi, fuggito a Parigi e nondimeno incaricato da Francesco II d’Austria del comando di vari reparti “tutti battuti presto e bene”, fino a che “chiusosi in Ulma con trentamila uomini, lasciò passare a Napoleone il Danubio, e capitolò il 15 ottobre, senza colpo ferire con tutto il suo esercito intatto”.
Sconfitti tutti i regni, posti suoi familiari e amici a capo delle nazioni un tempo cristiane, Napoleone firma un concordato con la chiesa ed acquista un’autonomia impensata, simile alla “tirannide”. Succede così che, all’improvviso, le sue meravigliose qualità militari sembrino svanire: male informato, male obbedito dai generali, “nei momenti decisivi vedevasi privato del soccorso di numerosi corpi di Milizie”.
A ben vedere l’unica differenza fra quanto scrive Canfora e quanto scrive Parascandolo è che, mentre il “sacerdote napoletano” attribuisce alla massoneria la causa di vittorie e sconfitte delle armate rivoluzionarie e napoleoniche, Canfora si limita a parlare di tradimenti senza accennare all’identità dei possibili traditori.


Di Angela Pellicciari, da La Bussola Quotidiana, 24 marzo 2012