PREFAZIONE
Ho letto con molto interesse libri,
fascicoli e siti internet su cosiddette teorie cospirative secondo le
quali dietro alle vicende politiche ed economiche ci sarebbero potenti Logge
massoniche. Fin qui nulla di strano. Non si può negare infatti che la maggior
parte di queste Società Segrete fin dalle loro origini erano composte da
influenti personaggi della vita pubblica, politica e militare. La cosa però che
ha destato la mia curiosità è l’onnipresenza di un nome ben preciso. Un comun
denominatore rappresentato dai Rothschild. Questa famiglia, perché di famiglia
si tratta, appartiene secondo molti all’organizzazione elitaria chiamata gli
Illuminati di Baviera 3, e governerebbe l’intero
sistema bancario mondiale con tutto quello che ne consegue. Se è vero che questo
gruppo di burattinai muove le fila della finanza, dell’economia e della politica
mondiale, perché allora il nome non figura mai da nessuna parte? Avete mai letto
su giornali o sentito alla televisione dei Rothschild e delle loro
vicissitudini? Sarebbero dietro le quinte di tutti i più importanti affari e
nessuno ne parla, non è un po’ strano? Per la verità, vedremo alla fine che qualcosa è
trapelato dai media. Chi ha ragione? Gli autori di svariati libri che puntano il
dito contro un sistema occulto, in cui la famiglia Rothschild riveste un ruolo
di primaria importanza, in grado di controllare l’intero sistema, o invece chi
al contrario afferma che tali ipotesi sono semplicemente frutto di menti malate
in preda ad allucinazioni e manie di persecuzioni? L'esperienza mi suggerisce
che la verità sta sempre nel mezzo! Quindi prima di avanzare qualsiasi ipotesi
in merito andiamo a vedere chi sono e soprattutto cosa fanno oggi i Rothschild.
Per ripercorrere le origini torniamo indietro nel tempo di circa duecento anni
spostandosi in Germania, precisamente a Francoforte. L'anno è il 1743. L'Adamo
non proprio biblico della nostra storia è Amschel Moses Bauer, un
semplice orafo tedesco con la passione, che oggi possiamo chiamarla
predisposizione, per prestiti e finanziamenti. Semplice orafo per modo di dire
naturalmente, visto che è il capostipite che ha dato origine a un impero
economico da mille e una notte. Un impero nato sotto le ali protettive
dell'aquila romana contornata da uno scudo rosso. Tale infatti è il sigillo che
Amschel aveva collocato sull'entrata della propria azienda. Un logo che divenne
presto la rappresentazione figurata dell’attività di Bauer. «La ditta dello
Scudo Rosso» veniva infatti chiamata. Quello che non tutti sanno invece è che lo
Scudo Rosso in lingua tedesca è Rothschild. Per essere più precisi: Scudo Rosso
è Rothen Schild, e da qui Rothschild. Questo particolare è molto
importante perché quando il figlio di Moses, Mayer Amschel ereditò da suo padre
la società cambiò nome in Rothschild, e tale è rimasto immutato fino ai giorni
nostri. Mayer Rothschild da Gertrude Schnapper ebbe cinque figli: Amschel
(1773-1855), Salomon (1774-1855), Nathan (1777-1836), Karl (1788-1855) e Jacob
(1792-1868). Non appena i ragazzi furono istruiti a dovere sull’attività
economica e finanziaria partirono alla volta di altrettante capitali europee per
aprire filiali ed espandere l'impero esclusivamente patriarcale. Le donne
avevano un ruolo secondario nella gestione. Il primogenito Amschel essendo il
più anziano rimase a Francoforte per controllare la società base, Salomon invece
andò a Vienna, Nathan a Londra, Karl a Napoli e Jakob a Parigi. La famiglia
cresce, e cresce anche la necessità di un nuovo emblema che li rappresenti al
meglio. Cinque frecce che s'incrociano intersecandosi in un unico punto è il
nuovo stemma. Le frecce rappresentano i cinque fratelli e il punto
d'intersezione è lo scopo che unisce tutta la famiglia. Avrete già capito qual è
questo scopo. Senza nulla togliere all'operato dei fratelli, è d'obbligo
«spezzare una freccia» - visto che siamo in tema - in favore di Nathan, il quale
si distinse immediatamente per fiuto e capacità imprenditoriali. Ricordiamo che
agli inizi dell’Ottocento l’Europa stava cambiando velocemente e questo poteva
creare certamente molte occasioni per uomini intelligenti e soprattutto ricchi.
Nathan approfittò di questa situazione e aprì a Manchester un'impresa tessile.
Il rapido declino delle esportazioni tessili britanniche durante il blocco
continentale costrinsero però Nathan a tornare a Londra per estendere le proprie
attività in ambito finanziario. Le attività del figliol prodigo s'impennarono in
potenza e prestigio grazie anche al matrimonio con Hannah Barent Cohen
(1783-1850), la figlia di uno dei più ricchi mercanti ebrei londinesi. I
conti li sapeva fare molto bene! Conti che dirottavano sempre più verso
operazioni finanziarie speculative su titoli britannici ed esteri, cambi valute,
metalli preziosi, ecc... Qualche esempio? Il Duca di Wellington non avrebbe
potuto pagare il suo esercito nella battaglia di Waterloo senza la mano, anzi il
portafogli, dei Rothschild. Dopo questa vittoria, la banca di Nathan vinse il
contratto per i pagamenti dei tributi agli alleati europei. Anche il governo
francese dovette usufruire dei fondi privati per rimpinguare le casse nazionali
svuotate dall’estenuante guerra franco-prussiana. Salomon Rothschild a Vienna
finanziava intanto il debito estero austriaco attraverso contratti di prestito
al Principe Metternich. I cinque fratelli, pur lavorando a distanza, portavano
avanti la stessa tecnica, quella della riserva frazionale bancaria. Questo
permise la loro autonomia e indipendenza in ogni Paese in cui operavano. Con
queste enormi risorse economiche riuscirono a intervenire persino a favore della
Banca d’Inghilterra, quando la crisi di liquidità del 1826 piegò le gambe al
governo britannico. Grazie ad una immissione di un grosso quantitativo di oro fu
scongiurato il peggio. Ma la storia non finisce qui, perché nel settore pubblico
si distinsero per i finanziamenti della rete ferroviaria in Francia, Italia,
Austria, per il Canale di Suez, permisero l’acquisto dei terreni minerari in
Spagna, Sud America, Sud Africa e Africa Occidentale. L'oro era così importante
e fondamentale per i Rothschild che dal 1919 fino ai nostri giorni la banca ha
ospitato e presieduto per due volte al giorno il fixing mondiale del
prezzo dell'oro. Vi rendete conto: stabilivano anche il prezzo mondiale
dell'oro! Addirittura sembrerebbe, e il condizionale è d'obbligo, che una banca
della famiglia abbia finanziato John David Rockefeller (1839-1937) per la
sua monopolizzazione della raffinazione del petrolio che portò alla fondazione
della Standard Oil. Cosa dire delle ricostruzioni postbelliche? Nelle
guerre si sa, non vi sono mai vincitori. Di per sé una guerra è sempre una
sconfitta sia per chi la provoca ma soprattutto per chi la subisce. Dall’ottica
di un banchiere però, una guerra è sempre una ghiotta opportunità di
investimenti, di prestiti, di ricostruzioni. Infatti dopo la Prima Guerra
Mondiale, precisamente nel 1922, i Rothschild misero a disposizione fondi per la
ricostruzione in numerosi paesi come Francia, Germania, Cecoslovacchia,
Ungheria. A questo punto ho dovuto scacciare con la forza dalla mia mente un
dubbio tremendo. è possibile che
banchieri senza scrupoli fomentino a proprio piacimento le guerre, magari
finanziando entrambe le fazioni e innescando la miccia fornendo poi i soldi per
la ricostruzione? In via molto ipotetica sì. Scatenare una guerra non è così
difficile: si forniscono le armi a entrambe le parti e si trova una motivazione
sufficiente: religione, petrolio, terrorismo, ecc... No! La perfidia umana non
può arrivare a tanto! Giusto? A questo punto negare o far finta di non vedere che l’impero dei Rothschild fin dai primi anni del
XIX secolo ha influenzato la politica, l’economia e la finanza del mondo intero
è un’offesa alla comune intelligenza. E oggi? Come sono messi, anzi, visto che
interessa pure la nostra cara Italia come siamo messi? Forse la famiglia si è
ritirata a vita privata e si sta godendo un meritato riposo? Sbagliato.
Certamente la vita è rimasta sempre molto privata. Non riesco infatti ancora a
spiegarmi come la stampa, sempre più ricca di pettegolezzi e gossip e
meno di informazioni utili, non s’interessi della vita di questi personaggi
affascinanti e al limite del misteriosofico. Riescono - i media - a
scovare una star televisiva che si sta abbronzando nuda dentro la caldera di un
vulcano in pieno inverno e nessuno fà un servizio sugli appartenenti alla
famiglia più potente del pianeta. Non è un po' strano? Lungi da me l'idea che
gli editor non possano fare servizi su certi banchieri internazionali,
rimane allora la spiegazione che forse a nessuno interesserebbe. Strano perché
personalmente preferirei leggere qualcosa su i «veri controllori» piuttosto che
leggere e/o vedere qualche personaggetto estivo che pur di apparire nei giornali
venderebbe la propria anima al diavolo, in questo caso fotografi e giornalisti.
Tornando al discorso di prima, oggi la famiglia Rothschild non ha perso
prestigio e potere, semmai con il passare degli anni lo ha consolidato
ulteriormente. Incredibile ma vero. Passano gli anni e i loro sistemi si
adeguano. Oggi hanno sviluppato una divisione per il finanziamento d’impresa al
servizio di fusioni e acquisizioni. Operazioni queste all’ordine del giorno.
Basta aprire un qualsiasi giornale finanziario per leggere che la multinazionale
ics si è unita, o è in procinto di farlo, con la transnazionale ipsilon. Fusioni
il cui unico risultato è la creazione di megacorporazioni amministrate da
pochissimi e composte da migliaia tra affiliate e holding. In fisica per
innescare una fusione nucleare tra atomi serve molta energia qui le fusioni
necessitano solo di soldi. Moltissimi soldi. Chi possiede tutti questi soldi se
non i banchieri? Vediamo adesso nel dettaglio dove i tentacoli economici dei
Rothschild sono arrivati nel 3° Millennio. Per problemi di spazio cito solamente
le società più conosciute e/o riguardanti il nostro Paese, ma chiunque volesse
approfondire consiglio di entrare nel sito ufficiale della famiglia e stamparsi
l'elenco completo. Fate scorta di carta! Tra le straniere spiccano: De
Beers (quella dei diamanti), la Enron (fallita da poco), British
Telecom, France Telecom, Deutch Telekom, Alcatel,
Eircom, Mannesmann, AT&T, BBC, Petro
China, Petro Bras, Canal+, Vivendi, Aventis,
Unilever, Royal Canin, Pfaff, Deutch Post, e
moltissime altre. Torniamo adesso un momento in Italia poiché ce n'è per tutti i
gusti: Tiscali, Seat Pagine Gialle, Eni, Rai,
Banca di Roma, Banco di Napoli, BNL Banca Nazionale del
Lavoro, Banca Intesa, Bipop-Carire, Banca Popolare di
Lodi, Monte dei Paschi di Siena, Rolo Banca 1473,
Finmeccanica. Vi può bastare? Penso proprio di sì! Mi avvio a concludere
nella speranza che questa piccola e incompleta illustrazione possa almeno aver
fatto nascere qualche dubbio e/o curiosità in più su questa incredibile e
decisamente atipica famigliola. Non posso confermare ma neppure smentire le
pesanti e inquietanti affermazioni che svariati autori pubblicano sui
Rothschild. Tengo a sottolineare che la cosa più incredibile è come i media in
generale evitano di trattare tali argomentazioni. Passi il discorso sulla
cospirazione globalizzata alla George Orwell (1903-1950), ma qui i
fatti parlano chiaro. Le trame e gli intrecci economici pure. Sono sotto gli
occhi di tutti. Almeno di chi vuol vedere. Non posso accontentarmi di leggere su
La Stampa, del 7 giugno 1996, che Lady Rothschild era l'ipotetica spia
del KGB a Londra, o su Il Giorno, del 29 agosto 2000 la cronaca
della morte per overdose all'età di ventitre anni di Raphael, figlio di
Nathaniel Rothschild. Queste rientrano nel deleterio e purtroppo tanto seguito
gossip. Le cose serie e importanti sono altre.
Marcello Pamio |
I
La casa dell'«insegna rossa» nella
vecchia via degli ebrei a Francoforte:
Culla ed inizi di una dinastia finanziaria
Johann Wolfgang Goethe (1749-1832)
ha così descritto l'aspetto dello Judengasse, il quartiere ebraico di
Francoforte: «Una via stretta, angosciante e sporca, con case imbrattate di
fumo e una popolazione brulicante». In quella via c'era una casa ornata con
un'insegna rossa, (in tedesco roth schild). È a questa insegna, a questo
scudo rosso che si ricollega il nome della famiglia che divenne la più opulenta
dell'Universo. Una dinastia di un nuovo genere doveva uscire da questo luogo
desolato. Un certo Mosé Anselmo (Moses Amschel), rigattiere di curiosità
e di vecchie medaglie, si guadagnava da vivere vendendo la sua merce di
villaggio in villaggio, con la sua modesta sacca sulla schiena. Di lui si
racconta un episodio che ben descrive la sua caratteristica prudenza. Un giorno,
strada facendo, incontrò uno dei suoi correligionari, anch'egli venditore
ambulante, ma più fortunato di lui poiché possedeva un asino. Su offerta cortese
del suo collega, Moses Amschel si alleggerì del suo fardello, che depositò sul
somaro. Arrivati sul bordo di un profondo burrone su cui era stato gettato un
traballante ponte di tavole, Moses Amschel fermò l'asino e riprese la sua sacca
rispondendo al suo compagno che lo scherniva: «Talvolta accadono degli
incidenti in passaggi come questo, e poiché questa bisaccia contiene tutto ciò
che possiedo, non mi potete impedire di essere prudente». E fece bene perché
l'asino e il suo conducente si erano appena avviati sul ponte che crollò sotto
di essi trascinandoli nell'abisso 4. Suo figlio
Mayer Amschel nacque nel 1743. Destinato dai suoi genitori a diventare
rabbino, venne mandato a Fürth per seguire un corso di teologia ebraica; ma non
aveva alcuna vocazione. Il suo gusto lo portava a collezionare e a trafficare
antiche medaglie e vecchie monete; si mise in contatto con i numismatici che
apprezzarono la sua sagacia e il suo giudizio, ed entrò come impiegato nella
Banca degli Oppenheim, ad Hannover. Vi restò per alcuni anni, godendo di molta
stima da parte dei capi di questa Banca. Sobrio, avveduto e attivo, egli mise da
parte un po' di denaro e si mise per per conto suo, acquistando e vendendo
medaglie e monete, unendo a questo commercio, in cui in passato era un vero
esperto, quello degli oggetti d'arte, dei metalli preziosi e degli avanzi di
depositi, fino al giorno in cui potè dedicarsi esclusivamente alle operazioni di
banca. Fu lui che concluse l'acquisto della vecchia casa con l'insegna rossa
nello Judengasse di Francoforte. Entrandovi, ne prese il nome, e divenne
il primo Rothschild.
Da sinistra: lo
Judengasse, la casa dello «scudo rosso» e Mayer
Amschel.
|
La fortuna firmò questa denominazione.
Vi si stabilì con la moglie, Gutle Schnapper (1753-1849), la madre di
tutti i Rothschild, i cinque moderni Creso. Questa umile ebrea non stava forse
diventando come Marie-Lætitia Ramolino (1750-1836), la
madre della stirpe dei Napoleone? Diciamo, en passant, che ella non
acconsentì mai a lasciare, per un più brillante soggiorno, la casa dell'insegna
rossa: vi abitò fino al 1849, anno in cui si spense dolcemente nel suo
novantaseiesimo anno di vita. Alla sua reputazione di abilità, Mayer Amschel
Rothschild univa quella di una rara integrità. Era soprannominato «l'ebreo
onesto». Egli si seppe guadagnare la fiducia del Langravio 5 o Elettore di Hesse-Cassel, Guglielmo IX
(1743-1803). Questo sovrano aveva accumulato un tesoro, un ammasso d'oro e di
pietre preziose. Nel 1806, sopraggiunse il grande crollo dei piccoli prìncipi
tedeschi: i loro principati furono invasi da tutte le parti dagli eserciti di
Napoleone Bonaparte (1769-1821). A Guglielmo IX venne annunciata
l'invasione dei suoi piccoli Stati: precipitosamente, egli fece venire in
segreto, nel suo palazzo, Mayer Amschel. Da questo incontro e da ciò che ne
seguì iniziò la grandezza della casata dei Rothschild. I dettagli precisi sono
quasi sconosciuti. Le memorie di un testimone, di un contemporaneo, del Generale
barone Jean-Baptiste-Antoine-Marcelin de Marbot
(1782-1854), fanno un po' di luce su questo evento; lasciamolo parlare:
«Obbligato a lasciare in fretta Cassel per rifugiarsi in Inghilterra,
l'Elettore di Hesse, che passava per il più ricco capitalista d'Europa, non
potendo portare con sé la totalità del suo tesoro, fece venire un ebreo di
Francoforte di nome Rothschild, un banchiere di terz'ordine e poco
ragguardevole, ma conosciuto per la scrupolosa regolarità con cui praticava la
sua religione, il che convinse l'Elettore a affidargli i milioni in contanti.
Gli interessi di questo denaro sarebbero rimasti al banchiere che era unicamente
tenuto a rendere il capitale. Quando il palazzo di Cassel venne occupato dalle
nostre truppe, gli agenti del Tesoro francese vi trovarono oggetti di valore
considerevole, soprattutto quadri; ma non venne trovato denaro liquido. Sembrava
tuttavia impossibile che, nella sua fuga precipitosa, l'Elettore avesse portato
con sé la sua immensa fortuna. Ora, poiché secondo le vigenti leggi di guerra, i
capitali e i redditi dei valori trovati in un Paese nemico appartengono di
diritto al vincitore, si volle sapere che ne era stato del tesoro di Cassel.
Siccome le notizie acquisite a questo riguardo avevano accertato che prima della
sua partenza l'Elettore aveva trascorso una giornata intera con l'ebreo
Rothschild, una Commissione imperiale si recò da quest'ultimo, la cui cassa e
cui registri furono minuziosamente esaminati. Ma tutto fu vano: non si trovò
nessuna traccia del deposito fatto dall'Elettore. Le minacce e l'intimidazione
non ebbero alcun successo, cosicché la Commissione, persuasa che nessun
interesse mondano avrebbe indotto un uomo religioso come Rothschild a
spergiurare, gli impose un giuramento. Egli si rifiutò di prestarlo; si pensò di
arrestarlo, ma l'imperatore si oppose a questo atto di violenza, giudicandolo
inefficace. Si fece allora ricorso ad un espediente poco onorevole. Non potendo
vincere la resistenza del banchiere, si tentò di convincerlo con l'esca del
guadagno: gli si propose di lasciargli la metà del tesoro se avesse consegnato
l'altra metà all'amministrazione francese; quest'ultima gli avrebbe consegnato
una ricevuta pari al totale, corredata da un atto di pignoramento, che provava
che aveva ceduto unicamente di fronte alla forza, documento che lo avrebbe messo
al riparo da ogni reclamo da parte del proprietario; ma la rettitudine
dell'ebreo respinse anche questo stratagemma, e alla fine venne lasciato in
pace. I quindici milioni restarono nelle mani di Rothschild dal 1806 fino alla
caduta dell’impero, nel 1814. A quell’epoca, essendo l'Elettore rientrato nei
suoi Stati, il banchiere di Francoforte gli rese esattamente il deposito che gli
aveva affidato. Vi figurate quale somma considerevole aveva prodotto, in un
lasso di tempo di otto anni, un capitale di quindici milioni tra le mani di quel
banchiere ebreo di Francoforte?... Risale anche a quell’epoca la ricchezza della
casa dei fratelli Rothschild, che devono così alla lealtà del loro padre
l’elevata posizione finanziaria che ancora oggi occupano in tutti i paesi
civilizzati» 6.
Da sinistra: Gutle
Schnapper, Guglielmo IX e il generale de
Marbot.
|
Non fu il vecchio Mayer Amschel ad avere
la consolazione di rimettere tra le mani dell'Elettore il tesoro affidatogli.
Questo compito venne lasciato a suo figlio Nathan, nel 1814. Il fedele
depositario era morto il 13 settembre 1812. Prima di morire, egli aveva riunito
attorno al suo letto i suoi cinque figli, Amschel, Salomon, Nathan, James e
Charles, e aveva detto loro: «Restate sempre fedeli alla legge di Mosé; e non
separatevene mai; non fate niente senza i consigli di vostra madre; se
osserverete questi tre precetti che vi do diventerete ricchi tra più
ricchi, e il mondo vi apparterrà» 7.
Le predizioni del vecchio di Francoforte dovevano realizzarsi. Una dinastia
finanziaria era stata fondata 8.
II
Nathan Rothschild
e il duca di Wellington
Nathan Rothschild
e il duca di Wellington
Alla morte del padre, i cinque figli,
pur restando uniti, si sparsero per il mondo: Salomon andò a Vienna,
Nathan prese dimora a Londra, James si recò a Parigi,
Charles andò a Napoli, mentre Amschel, il maggiore, quello che
portava il nome del padre, rimase nella casa di Francoforte. I cinque Rothschild
si erano così insediati nei cinque grandi mercati finanziari d’Europa. Forti
della loro unione, dei loro capitali accumulati, del nome di loro padre, erano
pronti ad approfittare degli avvenimenti che stavano per precipitare, dei
cambiamenti che dovevano portare alla caduta dell'impero, imminente e prevista.
Sentinelle di un nuovo tipo, essi rimasero in contatto tra loro grazie ai loro
osservatori, scambiando la parola di guardia degli antichi bastioni di
Gerusalemme: «Sentinella, quanto resta della notte? Sentinella, cos’hai visto
nella notte»? (Is 21, 11). Il Rothschild di Londra era Nathan. Fu lui
che era stato incaricato dal padre di riportare all'Elettore di Hesse i quindici
milioni affidati. Li avevano avuti, del resto, in loro possesso fin dal 1806,
per farli fruttare: «Mio padre mi aveva spedito questi fondi, da cui trassi
così buono partito che
più tardi il principe mi fece dono di tutto il suo vino e della sua
biancheria» 9. Questo Rothschild inglese era il
più originale della famiglia. Quando si era stabilito in Inghilterra e aveva
tentato la fortuna allo Stock-Exchange (la Borsa di Londra), le prime
volte, pochi si erano occupati di lui, «e le teste grigie dei veterani della
Borsa trattarono con qualche disdegno il figlio del banchiere di
Francoforte». Ma aveva conquistato velocemente il suo posto, quando lo si
era visto «in cinque anni moltiplicare 2.500 volte il suo capitale,
organizzando un servizio speciale di poste, investendo somme considerevoli
all’acquisto di piccioni viaggiatori, moltiplicando i mezzi d’informazione
sicuri e pronti». La caduta dell'impero e la battaglia di Waterloo dovevano
fornirgli l'opportunità decisiva di inaugurare, sul primo mercato del mondo, la
sua supremazia finanziaria 10. Nathan Rothschild
aveva per amico Arthur Wellesley, il duca di Wellington (1769-1852).
Questa amicizia datava dalla guerra contro la Spagna. Il governo britannico,
molto imbarazzato di dover far pervenire regolarmente al duca di Wellington i
fondi che gli erano necessari, si era rivolto alla casa dei Rothschild. Si
sdebitò di ciò con puntualità, inaugurando una neutralità che consisteva nel
fornire dell'oro a quelli che si battevano in duello. Il poeta ha detto: «Per
paura di indossare la corazza, servi con fedeltà una damigella di ghiaccio che
si chiama Neutralità» 11. Nella casa dei
Rothschild, la damigella era d'oro... Questa missione di intermediario valse
all'opulenta casa, in otto anni, 1.200.000 sterline (trenta milioni di franchi),
e creò dei rapporti stretti tra il duca di Wellington e Nathan Rothschild.
L'Europa respirava da quando Napoleone era stato relegato nell’isola d'Elba: era
il trionfo dell'Inghilterra. Esplose improvvisamente, come un tuono a ciel
sereno, la notizia dello sbarco dell'imperatore al golfo Juan, della sua marcia
veloce su Parigi e della fuga dei Borboni. L'Europa fu sconcertata e il mercato
di Londra sconvolto. Poco dopo, il duca di Wellington prese, in Belgio, il
comando delle forze inglesi; e Nathan Rothschild, il suo amico, che comprese che
la sorte dell'Europa dipendeva dalla prima battaglia, e fidandosi poco della
sagacia dei suoi corrispondenti, lasciò Londra e arrivò a Bruxelles. Poi, seguì
lo Stato Maggiore del duca di Wellington a Waterloo.
Salomon
| <><>
>
Nathan
| <><>
>
James
|
Charles
| <><>
>
Amschel
| <><>
>
Il duca di
Wellington
|
III
Mont-Saint-Jean: L'agonia dell'aquila
sotto gli
occhi dell'avvoltoio
«Dopo avere volato di campanile in
campanile, fino alle guglie di Notre-Dame», l'aquila era venuta a posarsi su
di un albero del campo di Waterloo. Dalla parte opposta, su di una rovina, la
guardava un avvoltoio. L'albero malinconico dell'aquila non è solo una leggenda.
Un contemporaneo di quella solenne giornata sembro essersi appoggiato a quella
pianta; il celebre scrittore François-René de Chateaubriand
(1768-1848) ha potuto scrivere: «Mi trovai di fronte ad un pioppo piantato
all'angolo di un campo di luppolo; attraversai la strada e mi appoggiai in piedi
contro il tronco dell'albero, con il volto girato in direzione di Bruxelles. Il
vento del Sud che si era alzato mi portò più distintamente il rumore
dell'artiglieria. Questa grande battaglia ancora senza nome, di cui ascoltai
l'eco ai piedi di un pioppo e di cui un orologio di un villaggio aveva appena
finito di suonare il funerale sconosciuto, era la battaglia di Waterloo!
Ascoltatore silenzioso e solitario del formidabile arresto dei destini, sarei
stato meno commosso se fossi stato nella mischia: il pericolo, il fuoco, la
calca della morte non mi avrebbero lasciato il tempo di meditare; ma, solo sotto
ad un albero, nella campagna di Gand, come il pastore delle greggi che
pascolavano intorno a me, il peso delle riflessioni mi prostrò. Di quale
combattimento si trattava? Era definitivo? Napoleone era là in persona? Sul
mondo, come sulla veste di Cristo, era stata gettata la sorte? Successo o
rovescio di uno o dell'altro esercito; quali sarebbero state le conseguenze di
quell'avvenimento per i popoli: libertà o schiavitù? Ma quale sangue colava?
Ogni rumore che giungeva al mio orecchio non era forse l'ultimo sospiro di un
francese? Era una nuova Crécy, una nuova Poitiers, una nuova Azincourt di cui
avrebbero goduto i nemici più implacabili della Francia? Se trionfavano, la
nostra gloria sarebbe andata perduta? Se Napoleone avesse prevalso, che ne
sarebbe stato della libertà»? 12. Napoleone era
certamente là in persona. Aveva nuovamente confidato nella sua fortuna sui campi
di battaglia, per acquisirvi il diritto di ogni potere a suo piacimento. Come ai
tempi barbari, i sovrani, riuniti a Vienna, avevano messo una taglia di due
milioni sulla sua testa. Tre eserciti, il cui l'effettivo doveva superare gli
800.000 uomini, si erano messi in marcia per schiacciarlo sotto il loro peso:
gli inglesi, agli ordini di Wellington; gli austriaci, comandati dal principe
Karl Phillip von Schwarzenberg (1771-1817); i prussiani, guidati da
Gebhard Leberecht von Blücher (1742-1819). Ma Napoleone era ancora il
genio delle battaglie; aveva appena inflitto perdite enormi a Blücher davanti a
Fleurus, nel villaggio di Ligny; e quarantott'ore dopo, l'aquila nell'ultimo
volo impetuoso attaccò Wellington a Mont-Sanit-Jean, presso Waterloo. Ma
l'aquila era anche la sua vecchia guardia. Al contro dei sovrani che l'avevano
escluso in modo così strano dalle leggi dell'umanità mettendo una taglia sulla
sua testa, i suoi soldati non desideravano altro che a versare un'ultima volta
il loro sangue per difenderlo.
Da sinistra: de
Chateaubriand, von Schwarzenberg e von
Blücher.
|
Al suo ritorno dall'isola d'Elba, aveva
detto loro, rendendoli aquile a loro volta, e presentando il piccolo battaglione
che l'aveva accompagnato nella sua isola: «Soldati! Ecco gli ufficiali del
battaglione che mi ha accompagnato nella mia disgrazia: sono tutti miei amici;
sono cari al mio cuore. Tutte le volte che li vedevo, mi ricordavano i diversi
reggimenti dell’esercito. Tra questi seicento coraggiosi, ci sono uomini di
tutti i reggimenti; tutti mi ricordavano quelle grandi giornate il cui ricordo
mi è così caro: perché tutti sono coperti di onorevoli cicatrici ricevute in
quelle memorabili battaglie. Nella calamità, siete voi tutti, soldati
dell'esercito francese, che amavo! Vi riporto queste aquile; che vi servano per
unificarvi; dandoli alla guardia, li do a tutto l'esercito; il tradimento e
alcune circostanze disgraziate li avevano ricoperti di un velo funebre; ma,
grazie al popolo francese e a voi, riappaiono splendenti in tutta la loro
gloria. Potete giurarci che si troveranno sempre e ovunque l’interesse della
patria li chiamerà! Che i traditori e quelli che vorrebbero invadere il nostro
territorio non possano sostenere mai i loro sguardi»! Un brivido generale
nelle schiere della guardia era stato la risposta di una devozione che giunse
fino alla morte: questa abnegazione doveva manifestarsi a Waterloo. Ecco
l'aquila! Di fronte ad essa, guardava l’avvoltoio. Non siamo noi che abbiamo
affibbiato a Nathan Rothschild questo appellativo; non facciamo che riferirlo. In un opuscolo che abbiamo sotto gli occhi,
datato 1846, abbiamo trovato questo doloroso passo: «La corruzione genera i
versi. I cadaveri attirano gli avvoltoi. Le grandi catastrofi fanno vivere
l'aggiotaggio 13. I destini dell'Europa
stavano per essere decisi a Mont-Saint-Jean. L'avvoltoio aveva seguito
le tracce dell'aquila. Nathan Rothschild era in Belgio, con gli occhi
fissi su Waterloo» 14. In queste poche righe,
quale ritratto! Né mantello broccato d'oro, né titoli di nobiltà, correggeranno
mai la fisionomia di questo Nathan, venuto per speculare su questo solenne
disastro. I libri di storia naturale caratterizzano l'avvoltoio per gli occhi
sgranati: quali occhi a fior di pelle doveva dare l'ansietà del guadagno al
finanziere che seguiva lo Stato Maggiore del duca di Wellington! Si spiegò
allora l'ultimo volo dell’aquila; poi la sua agonia. A Mont-Saint-Jean,
Wellington si era fortificato in una posizione difensiva, molto favorevole al
freddo coraggio britannico. Vedendolo quasi addossato ad una foresta senza via
d'uscita, l'imperatore calcolò che poteva causargli un disastro, e malgrado la
stanchezza dei suoi soldati e un terribile fango, non resistette a questa
tentazione. Separato dagli inglesi da un piccolo avvallamento, al di sopra del
quale la sua artiglieria pesante li martellava, incaricò il Maresciallo
Michel Ney (1769-1815) di superare questo spazio e di sfondare il loro
centro. Le pendenze vennero avvallate; Ney si stabilì sul lato opposto. Alcuni
cannoni, truppe fresche e la battaglia era vinta. Ma, volendo seguirlo, i pezzi
restarono impantanati ai piedi delle alture, e allo stesso tempo le riserve
furono obbligate a fare improvvisamente fronte a 30.000 prussiani apparsi sulla
destra. Era l'avanguardia di Blücher comandata da Graf Friedrich von
Bülow (1755-1816). Nonostante questi incidenti, i francesi mantennero le
posizioni, e gli sforzi di Wellington finirono solamente per ritardare la sua
disfatta fino alle sette della sera. Si credeva perduto, quando improvvisamente
una voce percorse il campo di battaglia. Che cosa diceva questa voce? Dopo aver
sconfitto Blücher a Ligny, Napoleone aveva incaricato Emmanuel de Grouchy
(1766-1847) di sorvegliarlo e di impedire di passare, mentre avrebbe attaccato
Wellington a Mont Saint-Jean. Ora, a metà della giornata, l'avanguardia
prussiana era giunta in soccorso degli inglesi: era passata. E verso sera,
Blücher in persona, essendo passato anch'egli, si presentò con il resto delle
sue forze sul campo di battaglia di Waterloo 15.
«Ecco Grouchy! In ritardo, ma ancora in tempo», si dicono tra loro gli
estenuati soldati dell'esercito francese! Terribile delusione, senza eguali
nella storia dei combattimenti! Questi soldati erano spossati, mentre le truppe
di Blücher erano fresche. Una nuova battaglia, alle otto della sera, era
diventata impossibile: si buttarono gli uni sugli altri. Non era più una lotta,
ma il massacro in una spaventosa disfatta. La guardia, tuttavia, rimase
impassibile. Si raggruppò in numerosi quadrati; con essa, l'aquila seppe
morire!
Da sinistra: Michel Ney,
von Bülow ed Emmanuel de Grouchy.
|
«Attorno a questa falange immobile,
lo straripamento dei fuggiaschi trascinò tutto, tra i fiotti di polvere, di fumo
ardente e di mitragliamento, nelle tenebre solcate da razzi, nel mezzo dei
ruggiti di trecento pezzi d'artiglieria e dal galoppo di 25.000 cavalli: fu come
l’epilogo finale di tutte le battaglie dell'impero. Due volte i francesi hanno
gridato vittoria! Due volte le loro grida sono state soffocate sotto la
pressione delle colonne nemiche. Il fuoco delle nostre linee si spense; le
cartucce si esaurirono; alcuni granatieri feriti, circondati da 40.000 morti, da
100.000 pallottole insanguinate, raffreddate e attaccate ai loro piedi,
restarono appoggiati in piedi al loro moschetto scarico con la baionetta
spezzata. Non lontano da essi, l'uomo delle battaglie, seduto in disparte,
ascoltava, con l'occhio fisso, l'ultima cannonata che avrebbe sentito nella sua
vita» 16. Chiese di entrare in un quadrato
della sua guardia per perire con essa: i suoi Generali lo portarono con la
forza. Ma torniamo ad altre ansietà, quelle dell'uomo del guadagno: «Nathan
Rothschild si è mescolato allo Stato Maggiore del duca di Wellington. Durante
tutta la memorabile giornata del 18 giugno, non lasciò mai il campo,
interrogando ansiosamente Pozzo di Borgo, il Generale Alava, il barone Vincent,
il barone Müffling, passando con essi dal timore alla speranza, vedendo tutto
compromesso quando Napoleone lanciò sui quadrati inglesi un massa di 20.000
cavallerizzi, i più agguerriti e più temibili d'Europa, stimando tutto perduto
quando la guardia risalì, fucile alla mano, il burrone di Mont-Saint-Jean. Su
questo grande tappeto verde dove si giocavano i destini d'Europa, era in gioco
anche la sua rovina o la sua fortuna. La sua stella gli arrise; vide
l'invincibile colonna oscillare sotto le ripetute scariche di oltre duecento
pezzi d'artiglieria, come un immenso serpente colpito alla testa, e capì che
tutto era salvo quando l'avanguardia di Blücher sbucò dal passo di
Saint-Lambert» 17. Spronando allora
il suo cavallo, raggiunse tra i primi Bruxelles, si gettò nella sua diligenza e,
la mattina del 19 giugno, arrivò ad Ostenda.
IV
LA BARCA DEL MILIONARIO ATTRAVERSO IL TEMPORALE
E IL COLPO DI BORSA A LONDRA
Il mare era molto mosso. Nessun
pescatore voleva rischiare l'attraversata. Vanamente, Rothschild offrì 500, 600,
800, 1.000 franchi: nessuno osò accettare. Ma, c'è forse qualcosa di
insormontabile per la cupidigia? Infine, uno di essi acconsentì a trasportare
dall’altra sponda dello stretto il milionario, mediante una somma di 2.000
franchi che Nathan aveva consegnato alla moglie. Il pover uomo dubitava
fortemente che avrebbe rivisto la sua capanna e la sua compagna! La barca
si allontanò. Al
largo, la tempesta si calmò. Mai il proverbio secondo cui la fortuna è con gli
audaci trovò più completa applicazione. Strana barca, come ben ricorderai, per
la tua felice audacia, quella di Cesare, ma non ricordi più che proprio su
questo mare del Nord la barca dei normanni che fece piangere Carlo Magno?... La
stessa sera, Nathan Rothschild sbarcò a Dover. «Esausto, riuscì tuttavia a
procurarsi alcuni cavalli. L'indomani, lo si ritrovò al suo posto abituale,
appoggiato ad una delle colonne dello Stock-Exchange, il viso pallido e disfatto
come quello di un uomo che ha appena ricevuto un colpo terribile. Lo smarrimento
e lo stupore regnavano in Borsa, e l'abbattimento di Rothschild non era affatto
rassicurante. Lo si osservò, si scambiò con lui alcuni significativi colpi
d'occhio e si attendevano disastrose notizie. Nessuno sapeva che era appena
arrivato dal continente e che i suoi agenti vendevano e compravano. Nella vasta
sala silenziosa, scossa da momenti di rumorosi clamori, gli speculatori erravano
come anime in pena, discutendo a voce bassa sull'atteggiamento affossato del
grande finanziere. Fu molto peggio quando corse voce che un amico di Rothschild
disse che Blücher, con i suoi 117.000 prussiani, era andato incontro ad una
terribile disfatta, il 16 e il 17 giugno, a Ligny, e che Wellington, ridotto ad
un pugno di soldati, non poteva sperare di tenere testa ad un Napoleone
vittorioso, libero di disporre di tutte le sue forze. Questo vociare si sparse
come una striscia di polvere per tutta la città. I titoli calarono
ulteriormente; si pensava che tutto fosse perduto. Tuttavia, alcuni matti
sembravano tenere ancora duro, perché si segnalavano, in certi momenti, alcuni
importanti acquisti, seguiti da una tregua. Vennero attribuiti ad ordini venuti
dall'esterno, dati alla vigilia della battaglia da speculatori male informati;
si produssero quando lo scoraggiamento si accentuava, intermittenti e come per
caso. Quella giornata e la mattinata successiva trascorsero così. Solo nel
pomeriggio esplose la notizia della vittoria degli alleati. Nathan, con il viso
radioso, la confermava a chi voleva sentirla. D'un tratto la Borsa risalì alle
vette più elevate. Si compiangeva Rothschild; si valutava la cifra delle sue
perdite; si ignorava che, se aveva fatto vendere tramite mediatori conosciuti,
aveva fatto acquistare, su scala ben più vasta, da agenti in incognito, e che,
lungi dall'essere in perdita, aveva incassato più di un milione di sterline di
profitti» 18. Un colpo di rete da trenta
milioni di franchi: mai il mare del Nord si era rivelato così
pescoso!
V
Giudizio sul guadagno
dei trenta milioni
Che cosa si deve pensare di un simile
guadagno? E quale impressione è rimasta negli spiriti? Sembra che da un punto di
vista morale si devono considerare cinque cose intorno al lucroso affare di
Waterloo:
- L'impresa;
- Le probabilità;
- L'operazione finanziaria;
- Il silenzio osservato da Rothschild
sull'esito della battaglia;
- L'astuzia con cui ha
agito.
- L'impresa? Per lui è stata piena di
stanchezze e di pericoli;
- Le probabilità? All'inizio sono state
incerte, poiché nessun pescatore voleva dirigere la sua fragile imbarcazione, e
che ha rischiato, davanti ad un mare in tempesta, di essere inghiottito dai
flutti;
- L'operazione finanziaria? Gli era
permessa, dato che la Borsa di Londra esisteva già dal 1571, inaugurata da
Elisabetta I (1533-1603), con il nome di Royal-Exchange. In ciò
ebbe l'esempio da molti banchieri e finanzieri;
- Il silenzio sull’esito della battaglia
di Waterloo? Non era tenuto a rivelare ciò che già sapeva, visto che era un
semplice cittadino, privo di un ruolo ufficiale, senza alcun dovere di informare
il pubblico.
- Ma la scaltrezza con cui ha agito?
Ecco la linea nera sul guadagno dei trenta milioni. Vedendo nella sala del Borsa
il volto abbattuto e funebre di Rothschild, porgendo orecchio al racconto della
disfatta di Blücher a Ligny, ci si affrettò a vendere, sbarazzandosi dei suoi
titoli. Ci si chiede: li avrebbero ceduti senza questo volto, senza questo
racconto? Alcuni dicono: «È probabile». Altri affermano: «Le cattive
notizie che giungevano dalle fonti ufficiali, confermate dagli uomini di Stato,
bastavano al cedimento del mercato». E aggiungono: «Rothschild non era
tenuto ad avere un volto diverso dagli avvenimenti conosciuti, né a divulgare
altri racconti diversi da quelli che si leggevano sulla stampa ufficiale. La
cosa migliore per l'israelita era certamente quella di tenere certe cose per sé,
pur facendo acquistare in ribasso da agenti in incognito i titoli sotto
l’impressione del crollo, ma senza aumentare e premere il crollo con la sua
presenza affossata e la sua aria lugubre».
Dopo questa investigazione di carattere
morale, si deve forse ritenere che il tornaconto di Waterloo cade sotto
l’influenza della sentenza di Padre Jean Mabillon o.s.b. (1632-1707): «Le
fortune enormi e male acquisite sono un rivoltante scandalo pubblico».
Indubbiamente, certi pareri saranno condivisi in un mondo superficiale. Ma il
chi è favorevole a Nathan Rothschild farà fatica a spiegare e a dissipare la
dolorosa impressione che è rimasta negli spiriti, e di cui riportiamo solamente
l'eco più rispettosa: «Impossibile vedere una fortuna la cui l'origine sia
più onorevole (il deposito affidato dal langravio di Hesse-Cassel). Ma un
fiume, chiaro alla sua sorgente e libero dal fango, non scorre sempre verso la
sua foce con ondate così limpide [...]. L'indomani della battaglia di
Waterloo, Nathan Rothschild realizzò, senza imbarazzo e senza rimorso, un pesca
da trenta milioni di franchi» 19. Imbarazzata
da questa deviazione, ancor più che dalle altre interpretazioni sfavorevoli,
l'opulenta famiglia si sforzò, in seguito, di ricordare la purezza della sua
sorgente e di respingere il fango, scavando, nel mezzo della sua colossale
fortuna, un letto superbo alla beneficenza: la morale cristiana ispirerebbe
anche di meglio!...
VI
Un nuovo impero all'orizzonte
Parlando delle trattative degli alti
personaggi dopo gli avvenimenti che abbiamo appena narrato, Chateaubriand definì
il potere di uno di essi con questa frase: «Il padrone dei re ripartì:
bisogna sapere se gli si lascerà il tempo»! 20.
Potrebbe sembrare, dalla maestosità dell'epiteto e alla sufficienza della
risposta, che lo scrittore si riferisse all’episodio di Napoleone a Dresda, che
mentre stava dettando legge all’Europa, era circondato da una corte plenaria di
re. Non illudiamoci: si trattava di Rothschild. La penna di Chateaubriand non ha
affatto sbagliato scrivendo «il padrone dei re». Infatti, la sera stessa
in cui finì e scomparve l'impero napoleonico, un altro iniziò a spuntare
all'orizzonte. Che strano impero! Non assomiglierà per nulla a tutti quelli che
l'hanno preceduto. Fin dal 1815, il nome preso in prestito dall'insegna rossa
brillava già come quello di una casata sovrana: «il padrone dei re» si
annuncia! Rothschild si servì dei mezzi che Napoleone aveva utilizzato per
introdurre e consolidare la sua dinastia, ma in una forma necessariamente
ebraica: Napoleone entrò nella famiglia dei re come un soldato incoronato, con
armi e bagagli; il suo matrimonio fu una conquista. Rothschild vi entrò non per
la camera nuziale, ma attraverso la camera del Tesoro; e la vecchia Europa non
rimase meno
stupefatta, né meno silenziosa. Napoleone aveva immaginato di fare dei re. Non
dava forse dei troni a tutti suoi fratelli, «per creare dei punti d‘appoggio
e dei centri di corrispondenza per il grande impero»? La casa dei Rothschild
si installò e troneggiò ben presto in cinque capitali d'Europa: a Francoforte, a
Londra, a Vienna, a Napoli e a Parigi. Disponendo di enormi capitali, i cinque
fratelli stabilirono in tutti gli angoli d'Europa degli uffici di
corrispondenza. Essi erano informati delle più piccole fluttuazioni dei fondi
pubblici. Operavano solamente a colpo sicuro, e le loro operazioni erano avvolte
dal segreto più impenetrabile. L'oro affluiva sempre nelle loro casse come una
crescente marea. Da un'estremità all’altra dal continente, i re li colmavano di
onori. Napoleone diceva: «Dov’è Drouot»? All'artiglieria; «Dov’è
Murat»? Alla cavalleria. I re e i governi diranno: «Dov'è
Rothschild»? è la coalizione
dei capitali che comincia, diversamente potente da quella degli eserciti.
Conquistatori di un nuovo genere, i capitali funzionano molto meglio, per
assicurarsi la supremazia, della stessa spada di Cesare. Strano e insolito
impero! Ridiciamoci sopra. Non rimarrà che la Chiesa che, passando davanti
all’insegna rossa, saluterà con la stessa fierezza con cui i primi cristiani,
entrando nell'arena, accompagnavano il loro saluto a Cesare: «Ave, Cæsar, te
judicaturi salutant» 21. L'antica cattedrale di
Notre-Dame di Parigi, che ha visto l'incoronazione del Cesare delle aquile
(Napoleone), ha sentito anche questa fiera e commovente perorazione, in cui la
profezia si mescola alla storia: «Quando l'imperatore Giuliano l'Apostata
attaccò il cristianesimo con quello stratagemma e con quella violenza che porta
il suo nome, e che assente dall'impero, era andato a cercare nelle battaglie la
consacrazione di un potere e di una popolarità che doveva, nel suo pensiero,
portare a termine la rovina di Gesù Cristo, uno dei suoi collaboratori più
intimi, il retore Libanius, incontrando un cristiano, gli chiese, per deriderlo
e con tutto l'insulto di chi pensa di avere già la vittoria in tasca, cosa stava
facendo il Galileo; il cristiano rispose: “Sta fabbricando una bara”. Qualche
tempo dopo, Libanius pronunciò l'orazione funebre di Giuliano l'Apostata davanti
al suo corpo contuso e al suo potere tramortito. Ciò che faceva allora il
Galileo, lo fà sempre, qualunque sia l'arma e l'orgoglio che si oppone alla Sua
croce. Sarebbe lungo riportare tutti gli esempi più famosi; ma ne abbiamo alcuni
che ci toccano da vicino e per mezzo dei quali Gesù Cristo, all'estremità delle
epoche, ci ha confermato la nullità dei Suoi nemici. Così, quando Voltaire si
strofinava di gioia le mani, verso la fine della sua vita, dicendo ai suoi
fedeli: “Fra vent'anni Dio ne vedrà delle belle”, il Galileo costruiva un
feretro: era la bara della monarchia francese. Così, quando un potere di un
altro ordine, ma in qualche modo derivato da quello di San Pietro, tenne il
Sommo Pontefice in una cattività che presagiva la caduta almeno territoriale del
Vicario di Gesù Cristo, il Galileo fece una bara: era la bara di Sant'Elena. E
sempre così sarà: il Galileo non fà che due cose: vivere della Sua persona e
seppellire tutto ciò che non è Lui» 22. Questa
enumerazione richiede un supplemento, una domanda e una risposta
all'incalcolabile e preponderante fortuna del «padrone dei re»: il Galileo gli
sta preparando una bara? Sì, certamente. Ma voglia il cielo che questa bara sia
il sepolcro stesso del Golgota! Perché, nelle vicinanze, il pentimento e la
ricchezza potrebbero rinnovare magnificamente il più acclamato dei trionfi:
quello delle lacrime e dei profumi della Maddalena, la ricca ebrea di
Magdala! 23. Tutto ciò che precede è stato estratto
dal bel libro lavoro intitolato Napoléon 1er et les
israélites 24, ma essendo questo studio sui
Rothschild troppo breve per la nostra cornice, l'Autore ci ha autorizzato a
completarlo con un capitolo preso in prestito da un altro libro uscito dalla sua
penna tanto sapiente quanto feconda 25: Dopo avere
parlato dell'apostasia contemporanea e della fisionomia così odiosa dei figli
delle tenebre, lo scrittore espone l’insolenza del piano settario:
- Insolenza del numero: i popoli che si
dispongono contro Dio;
- Insolenza dello scopo: l'uomo che si
sostituisce ovunque a Dio;
- Insolenza nell'esecuzione: poiché è
della Francia e dell’Italia che di preferenza ci si serve;
- Insolenza nel modo d'esecuzione: le
leggi si ritorcono contro Dio e contro la Sua Chiesa;
- Infine, si arriva all'insolenza negli
ausiliari del piano satanico.
E qui, lasciamo nuovamente parlare il saggio Autore.
E qui, lasciamo nuovamente parlare il saggio Autore.
VII
IL RUOLO DEL GHETTO
NELL'APOSTASIA CONTEMPORANEA
Nello spaventoso piano che viene
eseguito c'è anche l'insolenza delle ausiliari. L'imperatore Giuliano
l'Apostata (331-363), quando aveva tentato invano di distruggere la
religione cristiana, aveva chiamato alla riscossa due gregari: il paganesimo -
di cui rianimò le false divinità, le usanze e le feste - e il giudaismo, e per
questa ragione tentò di ricostruire il Tempio di Gerusalemme distrutto dai
romani nell'anno 70 d.C.). L'apostasia moderna, erede del piano di Giuliano
l'Apostata, ma con aspirazioni maggiori, si è ricordata dei due antichi
collaboratori. L'aiuto del primo si è spiegato con fragore all'apertura della
Rivoluzione Francese, ed è rimasto
celebre, giacché dal 1789 alla costituzione dell'impero napoleonico, i costumi
riconducibili alla Roma pagana, ad Atene o a Sparta, rovesciarono i loro flutti
impuri nella vita di una nazione cristiana, e i boia danzarono, come gli antichi
satiri, sui corpi dei sacerdoti e dei cristiani massacrati; ma l'ausilio del
paganesimo si è esaurito, ed ora è il turno dell'ebraismo come assistente
persecutorio. Affrettiamoci a dire che la maggior parte degli israeliti non è
costituita da persecutori e che molti di essi sono animati di disposizioni
fraterne verso i loro concittadini cristiani, ma che la malevolenza inveterata
del giudaismo a riguardo del cristianesimo è persecutrice. Inoltre,
l'immaginazione d'Israele non ha mai smesso di essere abitata da un sogno di
dominio universale; di modo che, a causa di queste disposizioni innate e
tradizionali di ostilità, e a questo sogno del dominio, tutti gli ebrei
partecipano - volente o nolente - al ruolo di persecutori giocato da un certo
numero di essi che hanno preso posto nelle Logge massoniche, e addirittura le
dirigono. Essi fanno causa comune; tacitamente, accettano questa responsabilità,
e la migliore prova è che nessun rabbino o nessun israelita di una certa fama si
è alzato per protestare contro la persecuzione che affligge i cattolici. In
tempi non lontani, i Papi si sono alzati per proteggere gli ebrei perseguitati;
fino ad oggi, non un solo rabbino ha espresso la sua riconoscenza. Dunque, tutto
il popolo ebraico può essere considerato se non come appartenente al campo dei
persecutori, almeno come suo alleato; assenti al Golgota, gli ebrei attuali non
hanno smentito il crimine dei loro padri, e portano sul loro capo il peso del
Sangue di Cristo; assenti dalle Logge massoniche, anche gli israeliti onesti
portano il peso della persecuzione contro i cattolici, perché non hanno ancora
avuto il coraggio di biasimarla e di smentire il loro coinvolgimento. Satana ha
guardato questo popolo, e ha dovuto dire: «Lo detesto, mi detesta, e tutti
gli altri popoli lo detestano. Lo detesto, perché da esso è nato il Figlio di
Dio e perché deve servire agli ultimi disegni della Provvidenza. Mi detesta,
perché, malgrado la nostra intesa sul Calvario, rimane contro di me il difensore
dell'unità di Dio. E i popoli lo detestano, perché attira a sé tutte le borse
dell'oro. Tuttavia, è esso che diventerà, ancor più del paganesimo, l'aiutante
più prezioso nella lotta contro il cattolicesimo che detesto sovranamente».
Riprendi coraggio, Satana, ci sarà la mischia degli odi! Infatti, per la prima
volta, dai tempi in cui Giuliano l'Apostata aveva cercato di ricostruire il
Tempio di Gerusalemme, il popolo ebraico è tornato all'attacco, chiamato
positivamente dall'apostasia moderna. E l'insolenza accompagna tutti i suoi
movimenti: l'insolenza della sua fortuna di fronte alle disgrazie dei cattolici.
Quale gioia, prima segreta e ora rumorosa, ha generato in lui questa
persecuzione? «Ora tocca a noi: la rivincita del Talmud sul Vangelo!
Viva il 1789, il nostro nuovo Sinai»! Per troppo tempo si è detto: «Dagli
all’ebreo»! Non è dunque un male che oggi si dica: «Dagli al prete»!
Insolenza nelle compiacenze a riguardo dell'apostasia dei cristiani. Alcuni
ministri della guerra hanno vietato ai soldati francesi di assistere alla Messa,
persino nel giorno di Pasqua; ma per i militari ebrei, alcune circolari emanate
dal Gabinetto del ministro, scritte di suo pugno, ingiungono a tutti i capi
dell'esercito di permettere agli ebrei di poter rientrare nei loro focolari per
celebrare la loro Pasqua. Le eccezioni, i favori e le adulazioni prodigate agli
ebrei sono ancora più ripugnanti negli altri ministeri. Le patrie cristiane
muoiono, e a questi senza-patria vengono aggiudicate le loro spoglie! Insolenza
nel fasto. Solo ieri, l'ebreo era la favola e lo zimbello dei popoli, fuggiasco
e senza dimora fissa; e oggi, esso si è installato in sontuosi hotel e
nei palazzi reali. Le riserve dei parchi principeschi gli appartengono. I re si
prostrano davanti al suo scettro. Padre Henri-Dominique Lacordaire
o.p. (1802-1861) aveva detto, a proposito dei costumi che
cominciavano a ridivenire pagani sotto Luigi XIV (1638-1715): «Nella
camera in cui ha dormito San Luigi IX, Sardanapale era coricato; Stambul aveva
visitato Versailles e si trovava a suo agio». Oggi, usando il suo magnifico
linguaggio direbbe: «Lo Judengasse ha visitato Versailles e si è trovato a
suo agio; nella camera dove hanno dormito i re di Francia, si appresta a
distendersi qualche spettro, lo scheletro di una razza fatta appassire; e se i
matrimoni misti continuano ad essere ricercati dalle corone di duchi in preda
allo sconforto, i giacigli reali non sono
più al sicuro»! Insolenza nel tono dei suoi giornali. Non è precisamente il
tono di un villano rifatto, perché è stato re: popolo-re con Davide e con il
divino Messia! No, è il tono crudele e pieno di alterigia di un umiliato che è
rimasto orgoglioso, e che sente che sta per ridiventare padrone. Quali ingiurie
ignobili e grossolane non scaricano giornalmente i vili di cui acquista la penna
sull'augusto Capo della Chiesa e sui cattolici? Mai questa frase pronunciata da
un tiranno dell'Alta Finanza è stata così reale: «Non so veramente cosa
faranno i piccoli cristiani per sopravvivere fra cinquant'anni»! Quale
insolente dominio si prepara sotto le unghie degli avvoltoi dell'Alta Finanza!
Insolenza nei suoi modi persecutori. C'è qualcosa di strano nella persecuzione
contemporanea; infatti, non è la violenza a caratterizzarla, ma l'astuzia,
l'ipocrisia, la tenacia e la pazienza. «Essa smaschera Caifa»: è il
brivido generale! Nulla è a caso nei fendenti che colpiscono i cattolici; tutto
è calcolato, meschino e strisciante. La società cristiana non è esposta negli
anfiteatri alle tigri e ai leopardi; la si fà sanguinare lentamente, alla
maniera ebraica. Con una derisione che fà esultare la sètta massonica, ciò oggi
che resta del regno temporale dei Papi, il Vaticano, un tempo era l'area
dell'antico ghetto all'epoca in cui San Pietro venne a Roma; ora, di connivenza
con l'apostasia, l'Alta Finanza avvolge e strangola il Vaticano con costruzioni
insolenti, per soffocare il Papato; il fumo delle fabbriche penetra nei giardini
del Papa, indizio di disprezzo e preludio dell'asfissia. Ecco l'aiutante! Il
sogghigno di Satana e del piano séttario non è immotivato: «Questa volta non
vincerai, Galileo»! Le cronache raccontano che quando Giuliano l'Apostata
decise di ricostruire il Tempio di Gerusalemme, alcuni globi di fuoco uscirono
improvvisamente dalle viscere della terra e divorarono, con una parte degli
operai terrorizzati, i cantieri dell'audace ricostruzione. Lasciamo in serbo
all'Onnipotente il segreto del fuoco che, certo, farà pentire gli ebrei massoni
o astiosi del loro concorso fornito all'apostasia dei Giuliani moderni, e
preoccupiamoci solamente degli israeliti onesti e ben disposti, ricordando loro
un episodio della loro storia che, con la grazia di Dio, potrà diventare, per
essi, un faro. Israele era in marcia verso la Terra Promessa. Avendo appreso del
suo passaggio, il re di Moab, pieno di collera e di furore, fece venire in suo
aiuto dalle rive dell'Eufrate Balaam, un celebre indovino. Gli offrì dei doni e
gli disse: «Ecco un popolo è uscito dall'Egitto; ricopre la terra e si è
stabilito di fronte a me; ora dunque, vieni e maledicimi questo popolo; poiché è
troppo potente per me; forse così riusciremo a sconfiggerlo e potrò scacciarlo
dal paese». Segue questa scena famosa in cui Balaam, condotto
successivamente dal re su tre diverse vette da cui si vedeva Israele accampatosi
sotto le tende e distribuito in tribù, benedì ogni volta anziché maledire, e
pronunciò queste commosse parole: «Come imprecherò, se Dio non impreca? Come
inveirò, se il Signore non inveisce? Anzi, dalla cima delle rupi io lo vedo e
dalle alture lo contemplo [...]. Come sono belle le tue tende, Giacobbe,
le tue dimore, Israele! Sono come torrenti che si diramano, come giardini lungo
un fiume, come àloe, che il Signore ha piantati, come cedri lungo le acque»
(Nm 23, 8-9; 24, 5-6). Oh, israeliti onesti che non non avete paura della
luce, Balaam, che ha benedetto i vostri padri con accenti commossi e pieni di
grandezza, è stato soprannominato «il profeta delle nazioni»; tutti i profeti
sono usciti da Israele, eccetto uno, e, quando soggiogato dallo spirito di Dio
che lo aveva visitato, pronunciò la sua profezia, le sue labbra, in mancanza del
suo cuore, si profusero lodi e in benedizioni su Israele che gli si chiedeva di
maledire. Ebbene! Oh, israeliti retti nella giustizia e per i disegni di Dio!
Ecco presto venire la felice opportunità di rendere alle nazioni cristiane e
alla Chiesa loro Madre, la benedizione che vi fu data nel paese di Moab.
All'apostasia che conta sul vostro concorso per il compimento finale
dell'orribile piano che ha concepito, dite con magnanimità: «Mi hai chiamato come aiutante nell’odio! Ma come maledirò io
quelli che Dio non ha maledetto affatto? Come detesterò quelli che il Signore
non detesta»? E possiate aggiungere, vedendo che la Chiesa trasporta i suoi
accampamenti, come una sublime viaggiatrice, attraverso il mondo, intatta e
fiera nella sua bella ordinanza, mentre le rivoluzioni sconvolgono tutti gli
Stati, con l'unità dei suoi Vescovi intorno al Papa, la devozione dei suoi
sacerdoti, l'ubbidienza di tutti i suoi figli, possiate, non solo con le labbra,
ma dal cuore, aggiungere: «Come sono belle le tue tende, Giacobbe, le tue
dimore, Israele»! Ma prima che si produca questo atto di illuminazione e di
magnanimità, per quali dolorose purificazioni dovranno passare i resti di
Israele e i resti delle nazioni cristiane? Infatti, come termine finale del
piano séttario, si preparano, per l'umanità, adorazioni mostruose. L'uomo ha
bisogno di adorare. Questo sentimento, questo culto, è inseparabile dalla sua
natura avida di essere soddisfatta. Essendo il suo essere finito e limitato, e
non trovando in sé di che cosa saziare le sue ambizioni aperte sull'infinito, si
precipita ai piedi di tutto ciò che gli porta un poco della pienezza sognata e
inseguita. Se è religioso, comprende che solo Dio è capace di colmare gli abissi
del suo essere, e adora solamente Lui. Al contrario, se è irreligioso, o
semplicemente frivolo, dissemina e prodiga le sue adorazioni a tutto ciò che
sazia le sue brame e accontenta i suoi capricci. Nelle riunioni mondane, si
profana questa parola, trovando adorabili le cose più futili. In breve, l'uomo
ha bisogno di adorare. Ora, se il piano séttario si ostinerà a distogliere i
popoli da Dio, verso chi o verso cosa trascinerà le adorazioni della
moltitudine? Poiché anche le moltitudini hanno bisogno di adorare, esse gridano:
«Cercateci degli errori! 26 Cercateci
degli idoli»! Il piano séttario ci ha pensato. Questi idoli non
somiglieranno in nulla a quelli dell'antico paganesimo, perché i popoli
trasformati dal cristianesimo sono diventati troppo intelligenti per portare i
loro omaggi a simulacri di legno, di metallo o di pietra. Saranno impersonali, e
per ciò stesso più difficili da estirpare. Preparando questi idoli in rapporto
con l'umanità - che deve sostituirsi alla divinità - il piano séttario ha detto
alle moltitudini: «Adorerete tre cose che sono le fonti di tutti i favori e
di tutti i godimenti: l'oro, la prostituta e il potere».q C'è l'adorazione dell'oro. Mai
le viscere della Terra sono state più zelanti a fornirne, e la sete di a
possederne è mai stata più ardente e più ansimante. Gli antichi riderebbero, se
vedessero le loro superate forme di adorazione riapparire: tra le rovine di
Pompei è stata scoperta una bottega con questa insegna: «Salve lucro»;
oggi, la società moderna è in ginocchio davanti a questa insegna. Gli ebrei
danzarono intorno al vitello d'oro: lo spirito del secolo è diventato ebraico,
e, nell'accresciuto cerchio di danza, tutti i popoli fanno a gara e si
precipitano trascinati. Rothschild appare alle folle come il principe dei beati,
e, di tutti i tempi, nessun luogo è più frequentato né universalizzato della
Borsa. Anche quelli che credono al Vangelo si lasciano pervadere dalla febbre
del guadagno. Il Vangelo raccomanda: «Cercate prima il regno di Dio e la sua
giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,
33). Ahimè! Prima di tutto si cerca il guadagno, e il regno di Dio è divenuto il
sovrappiù. In verità, a partire dalla Rivoluzione Francese, l'oro è diventato la
prima divinità democratica, e per essere ammessi a baciare l’estremità del suo
scettro, non c'è bassezza che non si faccia e ignominia che non si
sopporta.q C'è l'adorazione della
prostituta. Il Libro dei Proverbi contiene un'allarmante
raccomandazione di cui i governi, quando erano buoni, avevano fatto la loro
linea di condotta per la salvaguardia dei cittadini, con la stessa sollecitudine
delle madri di famiglia: «Ora, figlio mio, ascoltami e non allontanarti dalle
parole della mia bocca. Tieni lontano da lei il tuo cammino e non avvicinarti
alla porta della sua casa». Qual'è la casa che i Libri Santi, le madri di
famiglia e i buoni governi consigliano di evitare? Quella della donna di
malaffare. Il Libro dei Proverbi aggiunge: «Stillano miele le labbra
di una prostituta e più viscida dell'olio è la sua bocca; ma ciò che segue è
amaro come assenzio, pungente come spada a doppio taglio. I suoi piedi scendono
verso la morte, i suoi passi conducono agli inferi» (Pro 5, 7-8;
3-5). Ora, volete cogliere con un balzo del pensiero tutta la strada che
l'apostasia ha fatto percorrere alle patrie cristiane? Che si cerchi la risposta
pubblica, ufficiale e clamorosa che i governi danno oggi all'antico consiglio di
prudenza: «Non avvicinarti alla porta della sua casa». Qual'è la casa che
designano con questa interdizione? La casa di Dio, la chiesa! Se vi avvicinate
ad essa, se vi si vede superare la sua porta, il vostro stipendio sarà
soppresso, il vostro posto vi sarà tolto, la vostra carriera sarà compromessa.
Invece, per voi la casa della prostituta è aperta e non avete bisogno di deviare
il vostro cammino. Così è stato stabilito e stabilizzato questo spaventoso
contrasto: la casa di Dio è proibita, mentre la casa della donnaccia viene
avvantaggiata. All'inizio della Rivoluzione Francese, si vide un giorno, nella
cattedrale di Notre-Dame di Parigi, l'altare del Dio vivente spoglio, e una
prostituta in trono posta al di sotto di esso; dopo un secolo, ciò che si era
osato nel tempio è continuato ed è stato universalizzato nei costumi; gli
adoratori sono stati tolti a Dio e aggiudicati alla
prostituta.q C'è l'adorazione del potere. In un
Stato democratico senza Dio, l'esercizio del potere, dal portafoglio del
ministro fino alla funzione del guarda-caccia, suscita e favorisce l'intesa tra
la tirannia e l'adulazione. Per arrivarvi, si consente al vergognoso
compromesso, alle ignobili promiscuità, alle basse e odiose misure contro le
persone per bene e contro la Chiesa di Dio.
- «Avrai questo posto di magistrato,
ma dovrai ordinare degli arresti». «D'accordo, ordinerò degli
arresti»;
- «A te questo portafoglio di
ministro, purché ti impegni a fare passare quella legge». «Farò passare
quella legge»;
- «Sarai deputato, ma voterai in
questo senso». «Voterò in questo senso».
Il celebre Vescovo di Magonza,
Mons. Wilhelm Emmanuel Freiherr von Ketteler (1811-1877), dotato
di un colpo d'occhio profetico, aveva annunciato in questi termini, più di
vent'anni fa, la deificazione dello Stato: «Nel firmamento c'è un
astro nebuloso di cui è difficile dire se cresce o se diminuisce, e, in
quest'ultimo caso, se non diminuisce che temporaneamente per poi crescere con
una rinnovata forza ed esercitare sul mondo la sua malefica azione. Questo astro
è la deificazione dell'umanità sotto forma del dio-Stato
[...]. Prima c'è stata la deificazione dell'uomo, e adesso viene la
deificazione del genere umano. Ora, la forma che meglio si adatta alla
deificazione dell'umanità è la forma dello Stato, e infatti è là che oggigiorno
affluiscono, come altrettanti piccoli ruscelli, le opinioni più diverse. Il
dio-Stato, lo Stato senza Dio: ecco il tratto distintivo dello Stato moderno e,
se non mi sbaglio, la tendenza delle Società Segrete. Si degni il Cielo di
preservarcene in un prossimo avvenire! Se i nostri timori si realizzassero,
sarebbe un segno che siamo giunti a quei tempi di terribili combattimenti di cui
parla la Sacra
Scrittura» 27. Da quando queste parole
profetiche sul pericolo della deificazione dello Stato sono state scritte, le
cose hanno progredito rapidamente: l'adorazione di questo mostro non sta forse
diventando pratica per le adulazioni e per l'esercizio del potere? Dedicarsi
anima e corpo allo Stato; acconsentire, per avere una carica, a tutto ciò che
chiede la sétta, è una delle forme d'adorazione in una democrazia senza Dio. Si
vedono andare e venire mute di ambiziosi, simili a cani che si contendono la
preda; si affrettano, si succedono e si rovesciano. Gli ultimi arrivati leccano
le sozzure dei loro precursori, e tutti, come i cani che leccarono il sangue di
Nabot il giusto (1 Re 21, 19), sono pronti a litigarsi i brandelli della
Chiesa cattolica! Adorazione dell'oro, adorazione della prostituta, adorazione
del potere; culto ammaliante, culto lussurioso, culto democratico; ecco il
presente; il genere umano si prosterna e la sétta massonica applaude! Ora,
dietro a questa tripla adorazione, si prepara un'insolente adorazione, il
termine finale degli intrighi dell'inferno: quale? L'adorazione arrogante
dell'Anticristo. Se un giorno, alla società, privata di Dio, si presentasse una
potente personalità che ricapitolasse in sé tutti gli strumenti di seduzione
inventati dal progresso moderno, e alla quale il genio del male, Satana, avesse
elargito tutte le attrattive seduttrici tenute in riserva per il «figlio di
perdizione» (2 Ts 2, 3); se questa personalità, consumando e abusando
del suffragio universale, trascinasse le moltitudini, e disponesse anche dei
popoli grazie a vittorie da conquistatore, cosa accadrebbe? Così, riprendendo ed
estendendo la persecuzione intrapresa da Giuliano l'Apostata, egli soffocherebbe
in modo ancor più opprimente la Chiesa con leggi ipocrite e feroci, e
diminuirebbe il numero dei servitori di Dio. Colpiti dal potere straordinario di
questo tiranno, gli ebrei lo riconoscerebbero come il Messia temporale che si
ostinano ad aspettare, e l'appoggerebbero con tutto il loro potente capitale,
mentre dal canto suo l'Anticristo li farebbe trionfare sui cattolici. E se,
giunto a questo apogeo, un simile despota, un mostro di potenza anticristiana,
invitasse ed eccitasse i popoli, asserviti e abbagliati, alla ricerca sfrenata
dell'oro, dei godimenti voluttuosi e delle cariche dello Stato, distribuendole
alle sue basse creature, questo tiranno, questa formidabile personalità, non
sarebbe forse l'Anticristo? Ora, così come ha rivelato l'Apostolo delle genti,
l'uomo del peccato avrà la sfrontatezza di chiedere per sé l’adorazione:
avversario di Dio, si innalzerà fino a sedersi nel Tempio di Dio, facendosi
passare per Dio stesso. Ma, aggiunge l'Apostolo, il castigo di questa delittuosa
arroganza, non si farà aspettare: Gesù Cristo lo distruggerà con il soffio della
Sua bocca, ossia con la più grande facilità (2 Ts 2). Queste parole
indiscutibili di San Paolo, paragonate a ciò che accade ai nostri giorni e a ciò
che si prepara nelle Logge della sétta massonica, assolvono dal rimprovero di
temerarietà le nostre ipotesi che possono diventare delle realtà storiche, nel
modo che solo Dio sa. Il grande Vescovo di Magonza termina con queste parole il
bellissimo opuscolo citato più sopra: «Cristo o Anticristo: questa antitesi
racchiude tutto il mistero dell'avvenire» 28.
Perciò, dobbiamo ringraziare di tutto cuore Leone XIII (1810-1903), per
aver prescritto la recita di questa preghiera che si dice alla fine di ogni
Messa, in tutti i punti del globo, dal sacerdote, al quale si uniscono tutti i
fedeli: «San Michele Arcangelo, difendeteci nel combattimento; siate il
nostro soccorso contro la malizia e le insidie del diavolo. Che Dio lo
sottometta, ve ne supplichiamo. E Voi, Principe della milizia celeste, per la
divina potenza, ricacciate nell'inferno Satana e gli altri spiriti maligni che
vagano per il mondo a perdizione delle anime. Così sia» 29.
Note
1 Traduzione
dall’originale francese Rothschild, apparso sulla rivista Les
Contemporains (nº 173, del 2 febbraio 1896), a cura di Paolo Baroni. L'Autore (1836-1915) era
un ebreo convertitosi al cattolicesimo e divenuto sacerdote insieme al fratello
Augustine.
2 Scritto reperibile alla
pagina web
3 Sètta massonica fondata
dall’ebreo Adam Weißhaupt (Spartacus) in Baviera, il 1° maggio 1776.
4 Cfr. J. Reeyes, The Rothschilds, Londra
1887; «Les grandes fortunes en Angleterre» («Le grandi fortune in
Inghilterra»), in Revue des Deux-Mondes, 1888.
5 Nella Germania
medievale, era un titolo attribuito ad alcuni conti e feudatari.
6 Cfr. Mémoires du
général baron Marbot, vol. I, cap. XXXI.
7 Cfr. J. Reeyes, op. cit.
8 Il giornale Le
Pélerin, del 18 dicembre 1892 (n° 833, pag. 713) così si espresse: «Una
famiglia ebraica possiede da sola più di tre miliardi di franchi, vale a dire
tanto quanto tutte le comunità riunite dieci volte. E il padre di questa
famiglia tedesca, venuta da Francoforte solamente un secolo fà, Amschel Mayer
Rothschild, vendeva, in questa città, articoli di paccottiglia con la borsa in
spalla». «I tre figli di Noè - scriveva M. Dubourg - si divisero
il mondo per popolarlo; i cinque figli di Rothschild si divisero l’Europa per
sfruttarla. Amschel, il maggiore, ebbe Francoforte e la Germania. Salomon ebbe
Vienna e l’Austria. Nathan scelse Londra e l’Inghilterra. La disfatta di
Waterloo arrotondò la sua piccola fortuna di venti milioni. In Inghilterra si
dubitava del successo, e i fondi diminuivano senza sosta. Egli, da buon ebreo,
appena seppe del disastro, informato dagli ebrei che seguivano
l’esercito per finire i feriti e derubare i cadaveri, arrivò per
primo in Inghilterra grazie ad una spaventosa tempesta e acquistò tutto quello
che poteva e annunciò la sua vittoria… dopo la borsa. Charles si stabilì a
Napoli, ma fuggì davanti all’unità d’Italia, e la sua famiglia ora è in Francia.
James, il Beniamino della sua famiglia, si è aggiudicato la parte del leone, a
Parigi e in Francia. È il fondatore della dinastia francese d’Israele; è morto
nel 1868, lasciando cinque figli: 1) Alphonse, che abita a Parigi nel magnifico
hotel de Talleyrand, in rue Saint-Florentin; 2) Nathaniel, morto. Ha avuto due
figli; uno, Edmund, che perse, giocando contro l’unione generale, nel 1881 e si
suicidò; l’altro, Arthur, che è il proprietario del principesco yacht “Eros”; 3)
Salomon, morto; 4) Gustave, che ha perso, qualche tempo fa, parecchi milioni in
Borsa. Si sarebbe accontentato volentieri dei milioni che gli restavano; ma la
famiglia, che non la pensava così, riunì in fretta il Consiglio per togliergli
l’amministrazione dei suoi beni; 5) Infine, Edmund, che è un ardente
collezionista: ultimamente ha pagato 600.000 franchi per un vecchio cassettone.
Tre miliardi per un mezza dozzina di ebrei fanno giusto 500 milioni per
ciascuno, che equivale a possedere 500 castelli da milionari con dipendenze e
redditi assortiti. Com’è possibile che il ghetto sia arrivato a queste vette?
Grazie ai prestiti che hanno necessitato le nostre guerre e le nostre
rivoluzioni, grazie alla finanza a tutti i livelli, e infine grazie alla stampa.
Nel 1840, diceva un rabbino al Congresso di Cracovia: “Propongo con un attacco
immediato contro la stampa di tutti i Paesi. Dobbiamo raggiungere ad ogni costo
il monopolio della stampa”. Oggi, i bollettini finanziari e tutti i grandi
giornali sono al soldo degli ebrei. L’Austria, l’Inghilterra, l’Italia e la
Germania sono invase dalla stampa ebraica. Si pretende a torto - diceva
l'Autore - che coloro che reggono la Francia siano i nostri deputati, i
nostri senatori, i nostri ministri. Ebbene! no; questi signori regnano, ma non
governano, e, pur essendo chiamati “dirigenti”, sono tuttavia governati. In
generale, dietro di essi c’è tutto il ghetto, e la dinastia dei Rothschild in
particolare. Penetrate in tutti i retrobottega del giornalismo, della finanza,
dei teatri,della Camera e del Senato, e vi troverete degli ebrei che stanno
contando del denaro, mentre cercano di acquistare qualche
coscienza».
9 Cfr. J. Reeyes, op. cit.
10
Ibid.
11 Da una poesia di
François Maynard (1582-1646). Ecco il testo originale: «De peur d’endosser la
cuirasse, Tu sers avec fidélité, Une damoiselle de glace, Qu’on appelle
Neutralité».
12 Cfr. F.-R. de Chateaubriand, Congrés de
Vérone.
13 Reato di chi
provoca variazioni artificiali nei prezzi di merci o valori mobiliari allo scopo
di trarne profitto (N.d.T.).
14 Cfr.
Rothschild, Parigi 1846.
15 Gli inglesi hanno
difeso Grouchy contro Napoleone: «L'imperatore lasciò che i prussiani
scappassero dopo la loro disfatta di Ligny, e impartì un falso ordine al
Maresciallo Grouchy di inseguirli con 33.000 uomini. In seguito a questo
movimento male ordinato, Grouchy, mentre si combatteva a Waterloo, era a Wavre,
dove si impegnò in un combattimento inutile con il Corpo prussiano di
Thielemann, lasciando Blücher libero di prestare soccorso a Wellington. In ogni
istante, durante queste giornate, Napoleone si mostrò negligente, inattivo,
inavvicinabile e più simile ad un Dario che ad un Alessandro» (cfr. Seeley, History of Napoleon,
I).
16 Cfr. F.-R. de Chateaubriand, op.
cit.
17 Cfr. J. Reeyes, op. cit.
18
Ibid.
19 Cfr. E. De Mirecourt, Les Contemporains:
Rothschild.
20 17 Cfr. F.-R. De Chateaubriand: Négociations,
colonies espagnoles, cap. LXXVII.
21 Poiché i gladiatori
entravano nell’arena salutando Cesare e dicendo: «Te morituri...» («chi
morirà...»), i cristiani dicevano fieramente: «Te judicaturi...» («chi ti
giudicherà...»).
22 Cfr. H. Lacordaire, 43ª conferenza: Des
efforts du rationalisme pour dénaturer la vie de Jésus-Christ («Gli sforzi
del razionalismo per snaturare la vita di Gesù Cristo»).
23 Secondo l'etimologia
ebraica, il termine «Magdala», una città della Galilea che ha dato il suo nome
alla Maddalena, significa «magnificenza».
24 Cfr. P. J. Lemann, La Religion de Combat
(«La religione del combattimento»), Lecoffre, Parigi 1891.
25 Cfr. Napoléon 1er
et les israélites («Napoleone I e gli ebrei»), Lecoffre, Parigi
1894.
26 «Videte nobis
errores»; «Essi dicono ai veggenti: “Non abbiate visioni” e ai profeti:
“Non fateci profezie sincere, diteci cose piacevoli, profetateci illusioni»!
(Is 30, 10).
27 Cfr. Mons. W. E. Ketteler, L'Allemagne après la guerre
de 1866 («La Germania dopo la guerra del 1866»), éd. Gaume, Parigi, pagg. 205,
207.
28 Ibid., pag.
208.
29 Sancte Michael
Archangele, defende nos in proelio, contra nequitiam et insidias diaboli esto
præsidium. Imperet illi Deus, supplices deprecamur: tuque, Princeps militiæ
coelestis, Satanam aliosque spiritus malignos, qui ad perditionem animarum
pervagantur in mundo, divina virtute, in infernum detrude. Amen. Purtroppo,
la riforma liturgica voluta da Paolo VI (1897-1978) ha cancellato questa
bellissima - e più che mai oggi necessaria - preghiera (N.d.T.).
Fonte:
http://www.centrosangiorgio.com/index.htm