venerdì 15 giugno 2012

Beati Martiri delle Stragi di Settembre




La Chiesa
venera, sotto il nome di “Beati Martiri delle Stragi di Settembre” un folto gruppo di martiri uccisi in odio alla fede cattolica in quattro prigioni a Parigi, tra il 2 e 3 settembre 1792, nel tragico contesto della Rivoluzione francese. Se la Chiesa enumera centonovantuno martiri, in stragrande maggioranza ecclesiastici, la loro morte deve comunque essere necessariamente vista nella realtà più ampia di una serie di sfrenate atrocità che causarono la morte di moltissime altre persone che caddero per la loro fede, inclusi alcuni il cui nome è rimasto ignoto ed oltre quaranta ragazzi con meno di diciotto anni. Il massacro avvenne illegalmente ed i pochi archivi ufficiali rimasero distrutti nell'incendio dell'Hotel de Ville a Parigi nel 1871. Le principali fonti d'informazione sono costituite dai testimoni oculari, in particolare quei pochi sacerdoti che riuscirono a sfuggire all'eccidio. Promulgata la Costituzione Civile del Clero il 12 luglio 1790, l'Assemblea Costituente effettivamente alienò così ogni possibile sostegno che la Chiesa avrebbe potuto offrire alla Rivoluzione. Dichiarando che il clero francese era al servizio del pubblico e non alle dipendenze della Santa Sede, si richiese a ciascun ecclesiastico di giurare fedeltà alla Costituzione. Inizialmente per coloro che avessero rifiutato fu prevista la confisca di tutti i beni, ma successivamente, dal 1792, la condanna venne tramutata in pena di morte.
Alcuni ecclesiastici, persino quattro vescovi ed un certo numero di sacerdoti, provenienti in gran parte da zone suburbane, non concependo questo gesto quale rinnegamento della fede e della morale, prestarono giuramento. La maggioranza fu invece refrattaria, pensando infatti fosse una mossa politica contro la Chiesa cattolica volta a creare al suo posto una Chiesa nazionale gallicana, scismatica.
Sebbene le autorità gerarchiche avessero immediatamente condannato il decreto come illegale, la Chiesa s'indebolì per le differenti posizioni assunte poi localmente. Questa condanna fu comunque confermata solo dieci mesi dopo, il 10 marzo 1791, da papa Pio VI, otto anni dopo anch'egli martire della Rivoluzione. Il pontefice definì il decreto “eretico, contrario all'insegnamento cattolico, sacrilego, e in contrasto con i diritti della Chiesa”. Per tutto il 1791, fu fatta pressione sui refrattari affinché pronunciassero il giuramento; alcuni espatriarono, e tra quelli che abbandonarono le loro parrocchie, non pochi si trasferirono a Parigi, dove vissero anonimamente tra i lazzaristi, i sulplici o presso altre congregazioni. L'atteggiamento antireligioso dell'Assemblea Legislativa si rafforzò ed il 29 novembre si decretò che ogni sacerdote che non avesse prestato giuramento entro otto giorni sarebbe stato accusato di avere “mauvaises intentions vers la Patrie”, in altre parole di essere un traditore. Nell'aprile del 1792, tale accusa fu rivolta a quasi tutti i sacerdoti, senza tenere conto della loro reale opinione. La Francia aveva dichiarato guerra a una lega capeggiata dall'imperatore austriaco, Giuseppe II, e da Federico Guglielmo II, re di Prussia, ed il papa era stato persuaso da sacerdoti emigrati a Roma a dichiarsi favorevole alla coalizione.
Bollati ora esplicitamente quali nemici della Rivoluzione, gli ecclesiastici comparvero in modo prominente accanto ai membri dell'aristocrazia ed a molti altri che vennero arrestati durante la seconda metà dell'agosto 1792. Il giorno 23, la fortezza a Longwy si arrese alle armate della coalizione, il 30 Verdun fu assediata, e la rivolta contadina della Vandea controrivoluzionaria rese ulteriormente instabile una situazione già incerta. Lo stato d'animo che regnava a Parigi era un miscuglio di panico, terrore e trionfalismo. La monarchia era stata appena abolita e la famiglia reale deportata e messa a morte: in primis il re Luigi XVI, con la moglie Maria Antonietta, il piccolo uigi XVII, la sorella del re Elisabetta ed una cugina, Maria Teresa di Savoia, principessa di Lamballe. Ci fu un'euforia marziale, quando il Concilio Esecutivo Provvisorio reclutò trentamila volontari, ma allo stesso tempo il popolo si convinse che, una volta che le truppe fossero partite, Parigi sarebbe stata in preda ad una fuga di massa dalle prigioni. Nulla può comunque giustificare ciò che accadde successivamente, ma parte della colpa risiede indubbiamente nel linguaggio infiammato e nell'atteggiamento laissez-faire dei capi della Rivoluzione. Domenica 2 settembre, Marat affermò retoricamente su L'Ami du Peuple: “Cittadini, il nemico è alle porte! [...] Non un singolo nemico deve restare a Parigi per godere della nostra disfatta!”.
Quello stesso pomeriggio, ben ventiquattro sacerdoti che erano stati segnalati per la deportazione vennero assaliti da una folla ostile mentre sotto scorta armata si recavano dalla mairie alla prigione Abbaye. Fin qui la situazione fu comunque contenuta, ma non appena raggiunsero la prigione una gran folla domandò che fossero “giudicati”, processo che fu sommariamente condotto dal famigerato Stanislao Maillard, che si era fatto un nome all'inizio della Rivoluzione e che ora capeggiava una compagnia di paramilitari. Quando i sacerdoti rifiutarono di prestare giuramento alla Costituzione, furono lasciati in pasto alla folla, che ne uccise la maggioranza.
Cinque sopravvissuti poterono testimoniare quanto era successo. Tra essi vi era l'abate Roch, Ambrogio Sicard, il cui imprigionamento mostrò quanto fossero diventati arbitrari gli arresti: giunto da Bordeaux a Parigi nel 1789, era immensamente popolare tra gli operai della città per aver fondato una scuola per bambini sordomuti. Tra i diciannove sacerdoti martiri vi era il confessore del re, Alessandro Lanfant, ex-gesuita.
Quello stesso giorno, ebbe ancora luogo un'altra carneficina nella chiesa carmelitana a Rue de Rennes, ove erano rinchiusi centocinquanta vescovi e sacerdoti, oltre a un laico. “Non c'è più niente da fare qui”, pare avesse affermato Maillard dopo il massacro all'Abbaye, “perciò andiamo dai carmelitani”. Diversi vescovi ed alcuni sacerdoti stavano recitando il vespro in una cappella quando i rivoluzionari assassini irruppero nel giardino ed uccisero il primo sacerdote che incontrarono. L'arcivescovo di Arles, Jean-Marie du Lau, uscì dalla cappella, seguito dal vescovo Francoise Joseph de la Rochefoucauld di Beauvais e suo fratello, il vescovo Pierre Louis de la Rochefoucauld di Saintes, per scoprire cosa stesse succedendo. L'arcivescovo di Arles fu sommariamente giustiziato non appena ammise la sua identità e nell'attacco armato che seguì il vescovo di Beauvais fu colpito ad una gamba.
Persino gli stessi esecutori del crimine pare fossero impressionati dalla casualità delle uccisioni: per porre rimedio a ciò fu nominato un “giudice” che approvasse le sentenze, seduto in un corridoio tra la chiesa e la sacrestia, dinnanzi al quale a due a due vennero condotti i prigionieri, inclusi quelli che disperatamente avevano tentato di fuggire. Nessuno fu disposto a prestare giuramento, bensì tutti erano pronti ad affrontare il martirio. Quando fu pronunciato il nome del vescovo di Beauvais, quest'ultimo a causa dell'infermità della sua gamba rispose: “Non rifiuto di morire con gli altri, ma non posso camminare. Per favore siate gentili abbastanza per portarmi dove volete che io vada”. Con queste parole zittì i suoi accusatori, ma non si salvò.
Solo verso la fine delle esecuzioni, qualcuno fu liberato ed altri riuscirono a scappare, ma al termine della giornata erano state assassinate novantacinque persone, compresi il laico, Charles de la Calmette, conte di Valfons, ee il suo confessore, Jean Guilleminet; il superiore generale dei benedettini mauristi, Ambroise Augustine Chevreux con due monaci; Francois Louis Hébert, confessore di Luigi XVI; Jacques Friteyre-Durvé ed altri quattordici gesuiti; e Jacques Galais, che, unico responsabile degli approvvigionamenti in prigione, passò al”"giudice” i trecentoventicinque franchi che doveva a chi forniva il cibo. Tra le vittime si contarono inoltre tre francescani, un fratello cristiano, trentotto membri del seminario di Saint-Sulpice, sei vicari generali diocesani, tre diaconi, e un accolito. Il massacro continuò durante la notte, senza che le autorità tentassero di porvi fine. Alla prigione di La Force invece, dove erano tenuti prigionieri molti aristocratici ed alcuni ecclesiastici, nessuno sopravvisse per narrare l'accaduto.
Anche il seminario lazzarista di Saint-Firmin fu adibito a prigione, dove, alle 5 e 30 circa del mattino seguente, 3 settembre 1792, giunse la banda di assassini. Loro prima vittima fu questa volta un sacerdote gesuita, Pierre Guérin. Quando questi rifiutò di giurare sulla costituzione, fu scaraventato dalla finestra più vicina e pugnalato nel cortile sottostante. Anche suo fratello Robert morì, così come altri cinque gesuiti. Al superiore del seminario, Louis Joseph Francois, assai amato a Parigi, venne offerta la possibilità di scappare, ma questi rifiutò di abbandonare i suoi compagni di prigionia; morì, come Ivo Guillon de Keranrun, vice cancelliere dell'università di Parigi, insieme a tre laici.
Complessivamente, circa millequattrocento persone, pari alla metà dei prigionieri detenuti a Parigi, perirono durante i massacri di settembre. La beatificazione di centonovantuno vittime, identificate come Martiri di Settembre, fu deretata il 1° ottobre 1926. L'Abbaye e La Force oggi non esistono più, Saint-Firmin è stato trasformato in un palazzo di uffici, mentre l'antico convento carmelitano è divenuto sede dell'Istituto Cattolico.


I quattro gruppi di martiri sono commeorati dal Martirologio Romano suddivisi come segue:

90374 - Beati Giovanni Maria du Lau d'Alleman, Francesco Giuseppe e Pietro Ludovico de la Rochefoucauld e 92 compagni – 2 settembre

93169 - Beati Pietro Giacomo Maria Vitalis e 20 compagni – 2 settembre

93169 - Beati Andrea Abel Alricy e 71 compagni – 3 settembre

93170 - Beati Giovanni Battista Bottex, Michele Francesco de la Gardette e Francesco Giacinto le Livec de Tresurin – 3 settembre



Scritto da:

Il Giacobita