Il vecchio Impero e il vecchio mondo con la loro
infedeltà, avevano oltrepassato i limiti della giustizia divina: tanto
spargimento di sangue di martiri gridava vendetta. L'idolatria tanto combattuta
e tanto avvilita dalla santità della Chiesa era sopravvissuta nonostante tutti
gli sforzi, in regioni dell'Impero e nel popolo; la corruzione morale immergeva
l'Impero in un abisso di vizi e la sua decadenza era tale da gettarlo
nell'empietà di unorgoglio sfrenato. Giunse, pertanto, l'ora della giustizia di
Dio. Ma Dio distrugge per riedificare. Egli gettò a terra un edificio divenuto
immondo per rifare una società nuova e vigorosa, adatta alle grandi cose che
Egli voleva compiere per mezzo di essa nel corso dei secoli successivi.
L'inizio del Medioevo si avvicina: il terribile castigo divino sarà seguito da una straordinaria rinnovazione ma la Chiesa dovrà prima trionfare dei barbari che devasteranno l'Impero. Se il vecchio Impero l'aveva coperta con un oceano di sangue e di vizi, l'invasione barbarica la sommergerà di rovine. Oltre a ciò, ai suoi inizi l'invasione barbarica darà un appoggio vincente all'eresia ariana. Il trionfo della Chiesa sui barbari non é meno splendido di quello che essa ebbe sul mondo pagano e fa apparire con uguale evidenza il carattere divino della sua istituzione.
I barbari, ossia i popoli che non appartenevano
all'Impero Romano, facevano parte di tre famiglie principali: i germani, gli
slavi e i popoli "gialli" (in particolare gli unni): furono i primi a fornire
gli elementi del nuovo ordine. Lo storico Tacito ben descrive il loro carattere
quando parla della fierezza "cripto-cavalleresca" e avventurosa delle
popolazioni germaniche, del loro amore per il combattimento, della loro passione
per la libertà e della perpetua necessità di cambiare luogo di vita. Fra i
germani nessun lusso, comodità e mollezza, nessuna di quelle abitudini delle
civiltà effeminate d'Oriente e della Roma gallo-romana. Tutto nei popoli
germanici, persino le vesti, é virile e austero. Il cristianesimo troverà senza
dubbio in questi popoli molta rudezza, ma anche molta forza ed energia.
La Chiesa di fronte ai barbari.
L'Impero Romano, sotto i potenti colpi delle invasioni barbariche, poteva solo soccombere. La sua rapida caduta era stata preparata da molte cause: saturo di conquiste e avido di piaceri materiali, il popolo romano aveva abbandonato i campi per i piaceri della città e, quel che é peggio, la sua popolazione era molto calata di numero; i progressi del lusso, l'immoralità e il divorzio, avevano minato la famiglia. Non riuscendo più a resistere alla lenta infiltrazione e alle invasioni brutali dei barbari, era da tempo come un corpo malato che sopravvive solo grazie a procedimenti artificiali. Se l'Impero Romano avesse corrisposto alle meraviglie che la Chiesa aveva operato al suo interno si sarebbe ricomposto e salvato. Ma la società all'inizio del IV secolo, nel momento in cui l'Impero si fece cristiano, era già stata tanto invasa dal materialismo amante dei piaceri, che l'influenza delle idee cristiane non poté salvarla dalla rovina; l'opera della Chiesa riuscì comunque a limitarle.
I vescovi della Chiesa di questo periodo furono dei veri capi e, per il modo in cui difesero e servirono le popolazioni, ricevettero da esse il titolo di difensori della città. S. Agostino difese Ippona dai Vandali, celebri in tutta l'Africa per le loro crudeltà e devastazioni. S. Agnano, vescovo di Orleans, affrontò Attila fermandone la marcia per un po' di tempo e permettendo così alle legioni romane di raggiungerlo e infliggere alle sue orde barbariche la sanguinosa sconfitta dei Campi Catalani.
I vescovi riuscivano a fermare i barbari grazie al prestigio della loro alta dignità, e, quando era necessario, non esitavano a sacrificare i beni della Chiesa per ottenere la libertà dei loro popoli, come fece Papa S. Leone Magno davanti ad Attila e a Genserico. Così in mezzo alla disgrazia e all'abbandono delle popolazioni da parte dell'autorità di Roma, la Chiesa fece di tutto per rimuovere i mali e diminuire la miseria delle popolazioni.
La conversione dei barbari.
Non riuscendo ad impedire che i barbari si stabilissero in diverse regioni dell'Impero Romano, la Chiesa si impegnò nella loro conversione: è evidente che il lavoro che si accingeva ad intraprendere era assai arduo.
In un certo senso infatti, mai come allora la Chiesa ha corso il rischio di essere sommersa e mai é stata sotto una tempesta più terribile: sotto il cesarismo romano che la schiacciava, Essa godeva perlomeno dell'ordine materiale regnante nell'Impero, della potente centralizzazione e della unità politica, che, a dispetto delle persecuzioni, le aprirono la strada e servirono al progredire del cristianesimo. Ma la Chiesa in questo periodo, a causa delle persecuzioni dei barbari e del fatto che essi, nella grande maggioranza, erano eretici ariani (la cui persecuzione era meno universale, ma violenta quanto quella anteriore), era in pericolo proprio perché l'unità politica non esisteva più.
Le strade erano interrotte un pò ovunque, ostacoli si
alzavano da tutte le parti, le province erano piene di pericoli e un terribile
disordine regnava per ogni dove. Il saccheggio, il sangue e l'assassinio,
segnalavano da ogni lato il passaggio delle orde devastatrici.
Se si cercavano sul trono gli aiuti per una società in rovina, non si vedevano se non imperatori indegni di questo nome.
Rimaneva in piedi un unico potere, quello che il vecchio mondo aveva giurato di uccidere e che gli assalti dei barbari attaccavano ora furiosamente: questo potere era la Chiesa, che non solo restava in piedi, ma agiva. Essa lavorava in questa società barbara che avrebbe potuto schiacciarla; la Chiesa la conquisterà per vie misteriose e soavi, e la storia contemplerà il prodigio della conversione delle nazioni barbare e della scomparsa di quelle che si saranno intestardite nell'errore: o lasceranno il campo libero, o, come avevano di frequente annunciato i profeti, tutte cadranno sotto lo scettro di Gesù Cristo.
La Chiesa e Attila, re degli unni.
Un episodio significativo nella lotta fra la Chiesa e
i barbari é quello relativo all'invasione degli unni. Gli unni appartenevano
alla razza mongolica e terrorizzavano i popoli occidentali; probabilmente la
loro migrazione fu la causa immediata delle grandi invasioni. Infatti,
muovendosi in direzione di Roma, essi spinsero i popoli slavi a lanciarsi a loro
volta sulle popolazioni germaniche e queste si precipitarono sulle frontiere
dell'Impero Romano. Essi passavano la vita errando in enormi carrozze o sulla
sella dei loro cavalli. Il loro volto era ossuto con due piccoli occhi, il naso
largo, le orecchie enormi e lontane, la pelle color cenere e tatuata. Vestivano
pelli di animali selvaggi che cambiavano solo quando erano ormai imputridite. In
questo tempo avevano per re Attila che agli occhi del suo popolo rivestiva quasi
un carattere divino. Questi si faceva chiamare "il flagello di Dio", e diceva
che l'erba non sarebbe più cresciuta dove fosse passato il suo cavallo.
Quando Attila lanciò i suoi barbari sull'Occidente (erano circa 700.000) fu come un vasto e irresistibile torrente di fuoco. Egli passò il Reno, mise a ferro e fuoco il Belgio, distrusse Metz e 20 altre fiorenti città. Prese da un terrore indicibile le popolazioni fuggirono davanti agli unni. In questa tempesta di fuoco e di sangue i santi furono gli unici protettori delle popolazioni spaventate. Troyes venne salvata dal suo vescovo S. Lupo. Davanti all'approssimarsi dei barbari, il santo riunì il popolo e comandò che si facessero pubbliche preghiere. Poi, quando Attila giunse alla porta della città, gli andò maestosamente incontro rivestito degli abiti pontificali e circondato dal suo clero: "Chi sei?", chiese al terribile capo. "Sono il flagello di Dio", rispose Attila. "Noi rispetteremo quel che viene da Dio - disse il santo- ma tu, flagello col quale Dio ci vuole castigare, ricordati di non fare altro che quel che ti é permesso". Attila, soggiogato dalla sua autorità, passò per la città senza compiere alcun eccesso.
A Parigi fu un'umile pastorella, Santa Geneviève, a trattenere il torrente con la forza delle sue suppliche.
Gli Unni marciarono su Orleans; là il vescovo S. Agnano fece sì che il suo popolo compisse prodigi di valore. Le mura di cinta, che erano semidistrutte, vennero ricostruite e tutti si prepararono a sostenere il terribile scontro animati da lui. Orleans non avrebbe potuto comunque reggere l'assalto, ma S. Agnano, che univa all'energia la fervente preghiera, chiese l'aiuto del generale romano Ezio, e mantenendo la resistenza fino alla fine, vide giungere i soccorsi prima della caduta della città. Ezio accorse con un esercito composto da romani e da loro alleati barbari: visigoti, franchi, poari, francosari e burgundi. Tali espedienti (alleare alle truppe romane delle popolazioni barbare per difendersi da altri barbari) ben mostrano la marcescenza dell'Impero. Attila indietreggiò, cercando un campo di battaglia più favorevole nella piana di Chalan-sur-Saone. Là tutte le razze si mescolarono in una lotta terribile, e, al termine, 160.000 morti coprirono il campo in questa carneficina: Attila fu vinto. Egli si ritirò in un campo circondandosi di carri, e, al mattino del giorno seguente i vincitori videro in questo campo un'enorme pira fatta con delle selle di cavallo: Attila vi era sopra e i suoi unni, reggendo delle torce accese, erano pronti ad incendiarla qualora il recinto fosse stato forzato; come un leone inseguito dai cacciatori fino all'ingresso della tana si volse indietro e lanciò i suoi terribili ruggiti. I romani non osarono affrontare la disperazione degli unni e lasciarono che Attila rientrasse in Germania.
L'anno dopo, il 452, il "flagello di Dio" uscì dal
suo rifugio ebbro di nuovo furore e penetrò in Italia devastandola e
distruggendone le città. Roma era perduta, non possedendo i popoli italici un
esercito per difenderla, ma Papa San Leone Magno si adoperò per la sua salvezza,
andando intrepidamente fino al campo di Attila con i rappresentanti
dell'Imperatore.
Contro ogni previsione umana, Attila, a cui non bastava che far avanzare il cavallo per prendere la città dei cesari, magnifico oggetto a cui ambivano i barbari, concesse a S. Leone la pace e la sua ritirata dall'Italia. Interrogato più tardi sul motivo di questa concessione al Papa, Attila risponse di aver visto, a fianco del grande pontefice, un altro personaggio in abiti sacerdotali e con una spada nella mano che lo minacciava di morte qualora non avesse ceduto: Attila mantenne la sua promessa e la moltitudine dei barbari, avidi di sangue e di rapina, riattraversò il Danubio.
Alcuni mesi più tardi, nel 453, Attila morì in una città di questa regione segnando così l'inizio del dissolvimento del suo immenso Impero.