Luigia Sanfelice trasportata da Palermo a Napoli il 2 Settembre 1800 per essere decapitata
Gli effetti della Rivoluzione
Francese
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Negli anni immediatamente successivi alla Rivoluzione francese del 1789, nella Penisola Italiana
uomini di cultura, intellettuali e borghesi si lasciarono sedurre dall’idea
rivoluzionaria, tralasciando quella riformista. Pensarono che si potessero
esportare dalla Francia non solo gli ideali della diabolica democrazia, ma anche le forme
istituzionali, e che lo si potesse fare con l’uso della forza. Forse è il caso
di guardare con indulgenza a questi pionieri, visto che l’idea di poter
esportare la democrazia con la forza è perseguita ancora ai nostri giorni!
D’altro canto, gli eventi francesi misero in allarme i governi legittimi
. Trono e altare si allearono per la difesa del popolo e dei comuni interessi e
privilegi, facendo leva sulla tradizione della Penisola italiana e contando sulla fedeltà e religiosità
delle popolazioni.
Nel Regno siculo-partenopeo, il maggiore Stato italiano
dell'epoca, la guerra civile del 1799 tra rivoluzionari e conservatori assunse
dimensioni tali da lasciare una traccia indelebile. I rivoluzionari meridionali
furono degli idealisti infami: alla prova dei fatti dimostrarono scarso senso dalla
realtà e doppiogiochismo, collaborando con dei "liberatori", che invece si mostravano
interessati a portare via tutto il possibile. Nell’800 furono i liberali a
impossessarsi in chiave anti-borbonica del loro mito, sicché si può affermare
che i giacobini napoletani furono finti martiri due volte!
Il popolo meridionale
uscì bene dal 1799. Il sanfedismo lo acreditò per la carica di eroismo e fede che portava. I liberali dell’800 alimentarono una falsa propaganda
negativa, asservendola ai propri fini politici, ben diversi sia da quelli dei
rivoluzionari , sia dei contro rivoluzionari del 1799, allo scopo di
destabilizzare il Regno e determinarne la caduta [1].
Il discredito pesò tanto da contribuire a generare quel comune preconcetto
antimeridionale che ancora oggi serpeggia nella Penisola Italiana.
Ferdinando e Maria Carolina a Palermo
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La rivoluzione a Napoli fu vissuta , giustamente, come un’offesa personale dai
due sovrani, Ferdinando e Maria Carolina. Specie quest’ultima era “pentita
illuminata”, e salda sulla concezione patrimoniale dello stato. Di ciò
pensarono di approfittar i furbi baroni siciliani, che videro l’opportunità di
ripristinare gli antichi fasti di Palermo capitale.
Accolsero i sovrani, che non avevano mai avuto l'occasione di mettere piede in Sicilia a
braccia aperte e si adoperarono a costruire per Ferdinando parchi e casine di
caccia in terreni magnanimamente offerte dalla nobiltà. Sorsero in un batter
d’occhio la Palazzina Cinese alla Favorita e il Casino di Caccia della Ficuzza [2]. L’offerta che i baroni fecero di una
Sicilia quale Vandea del Mezzogiorno non ebbe tuttavia i risultati sperati. I
sovrani vennero convinti a fare entrare nel governo almeno due siciliani.
Furono ripristinate le cariche di corte e fu anche fatta balenare l’ipotesi di
un trasferimento definitivo del re nella capitale siciliana. La direzione
ministeriale rimase però nelle mani di Acton. Come osserva Rosario Romeo, la
corte, invece di accattivarsene le simpatie che inizialmente erano addirittura
entusiastiche, “considerò la Sicilia solo come una sorgente di imposte, i
cui proventi erano dedicati in gran parte alla guerra per la riconquista del
Napoletano, cioè ad un fine che il particolarismo siciliano, considerava
estraneo, anzi dannoso alla Sicilia” [3], infatti di
lì a poco scoppiò una violenta insurrezione i cui contorni e le cui motivazioni
sono tuttora nebulosi. L’unica cosa certa è che ad impugnare le armi furono i
militari di basso grado arruolati dal maresciallo Jauch ed a loro si
affiancarono le corporazioni artigiane dell’interno dell’Isola. Si astennero
dal partecipare alla rivolta gli alti gradi militari e le corporazioni
artigiane di Palermo, Messina e Catania. Le conseguenze della rivolta del ’99,
prontamente sedata, furono innanzitutto la diminuzione della fiducia nel
baronaggio perché dimostrò di non avere il controllo della situazione e la
diffidenza perché parve impossibile alla corte che di una rivolta così estesa
la classe baronale fosse completamente all’oscuro ! Si tornò quindi alla
freddezza e alla diffidenza reciproca.
Disposta la spedizione del
cardinale Ruffo e travolta la repubblica giacobina di Napoli i sovrani si
affrettarono, con l’aiuto, non disinteressato, di Nelson [4],
a ritornare a Napoli. Non solo, ma compensarono i loro alleati con un grosso sbaglio , sottraendo
sostanziosi patrimoni al Regno di Sicilia. A Nelson fu concesso, ad esempio, il
titolo di duca e la ducea di Bronte, il cui patrimonio non era demanio dello
stato, ma dei cittadini e del comune di Bronte [5]ed al
Duca d’Ascoli i beni dell’Arcidiocesi di Messina, tra le vivaci proteste
dell’arcivescovo di Messina. I siciliani pertanto si sentirono traditi e truffati.
Horatio Nelson
La rottura
tra Napoletani e Siciliani divenne irreversibile dopo che in seguito alla
battaglia di Austerliz (1805), il regno di “Napoli” fu nuovamente occupato dai
francesi [6] e si rese necessario un nuovo trasferimento
della corte borbonica a Palermo. Tale soggiorno durerà fino al giugno 1815 e, a causa dei soliti brogli Inglesi e dei Baroni Siciliani, fu
più gravoso e meno gradito.
La rivoluzione a Napoli
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Ma facciamo un passo indietro per seguire gli avvenimenti di
Napoli, successivi alla partenza del re alla volta di Palermo.
Non appena si sparse a
Napoli la notizia della tregua chiesta dal
Vicario ai Francesi, iniziarono tumulti ed il Sedile del Popolo, riunito in San Domenico Maggiore,
non riconobbe l'armistizio. I "lazzari" si impossessarono delle armi, assaltando i depositi militari, e liberarono i carcerati.
Esautorato il generale austriaco Mack, il 16 gennaio 1799 fu creata la milizia
popolare. [7]
Il Vicario fuggì in Sicilia, dove fu messo agli arresti. Il 19 e
20 gennaio iniziarono gli scontri tra i lazzari ed i francesi del gen.
Championnet, che dovettero conquistare la città palmo a palmo [8].
Alcuni aristocratici, filofrancesi, vennero giustiziati, altri
fuggirono. Mentre i lazzari si battevano eroicamente, i giacobini napoletani si
impossessarono di Castel Sant'Elmo [9].
Issarono la bandiera francese e cominciando a cannoneggiare le postazioni dei
lazzari. Il 21 gennaio lo Championnet ordinò l’attacco [10]:
i popolani continuarono a battersi per tre giorni. Gli scontri più sanguinosi
avvennero a Porta Capuana e verso il Ponte della Maddalena. Intanto, il 22
gennaio i giacobini di Castel Sant'Elmo proclamavano la Repubblica Napoletana.
Lo stesso gen.
Championnet, nella relazione al Direttorio, riconobbe il valore deigli infami giacobini napoletani.
Viste le bandiere francesi sventolare su tutte le fortezze, il 23 gennaio 1799
i lazzari posero fine alla resistenza. Nei combattimenti, i francesi ebbero
circa 1.000 morti, mentre il numero dei caduti napoletani non fu accertato.
La Repubblica Napoletana
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Il gen. Championnet ordinò
al clero di aprire le chiese e di predicare pace e ordine. Il 24 gennaio
istituì il governo provvisorio, scegliendone personalmente i membri [11] e
sottolineando l'esigenza di fedeltà alla Francia [12].
Il giorno dopo sciolse i Sedili. Si recò quindi
in Duomo, dove avvenne il miracolo della liquefazione del sangue di San
Gennaro, come sollecitato dal generale. Quello stesso giorno a Palermo
Ferdinando nominò Vicario il Cardinale Fabrizio Ruffo, affidandogli il compito
di liberare le province del Regno invase dai Francesi. [13]
Il gen. Championnet assiste al Miracolo della Liquefazione. Anonimo,
olio su tela, Museo del Tesoro di San Gennaro
Nella Repubblica, tutti i decreti e le deliberazioni dovevano
ricevere il placet di Championnet, che impose alla città di Napoli una
“contribuzione” immediata di 2,5 milioni di ducati, ed una di 15 milioni di
ducati alle Province. La Repubblica comincò a subissare di tasse le
popolazioni, e le condizioni del popolo si immiserirono. Incominciò, spontaneo,
un movimento di guerriglia antifrancese, che gli occupanti chiamarono "brigantaggio".
[14]
Vecambiati i nomi dei quartieri (Umanità, Monte Libero, ecc.), delle piazze e dei teatri ... .
Furono piantati alberi della libertà, aboliti i titoli nobiliari, proclamata la
libertà di stampa, adottato il calendario rivoluzionario (pratile, pomodoro
ecc.), esasperati dal brutale
comportamento e dalle continue spoliazioni dei francesi.[16]
La situazione si aggravò
con l’arrivo, il 29 gennaio del commissario politico, Faypult, munito di pieni
poteri. Questi prese possesso in nome della Francia dei beni ecclesiastici, di
quelli della Corona, del Demanio, degli ordini cavallereschi, di coloro che avevano
seguito il Re, dei cittadini di nazioni in guerra con la Francia. Divennero
beni di proprietà della Francia: la Tesoreria, la Zecca, le regge, i castelli e
le fortezze, i porti, gli arsenali, i monti di pietà, le banche, le industrie,
i musei, le biblioteche, la dogana, le saline di Barletta, le abbazie,
gli scavi di Pompei, le porcellane di Capodimonte ecc. Championnet,
accusato di debolezza, venne sostituito dal gen. Macdonald, che dichiarò Napoli
terra di conquista.
Mario Pagano
Ed il governo napoletano?
Elogiò la condotta del MacDonald presso il Direttorio! Un atteggiamento che non
lo salvò dallo scioglimento, decretato dai francesi il 15 aprile, a causa della
scarsa raccolta delle “contribuzioni”. Il 15 pratile (3 giugno) la commissione
legislativa di Mario Pagano
attivò il Tribunale Rivoluzionario. che "procedeva secondo
l'intelaiatura processuale del terribile Robespierre" [17]. Il 13 giugno furono condannati a
morte i fratelli Gennaro e Gerardo de Gasero Baccher ed i fratelli Ferdinando e
Giovanni La Rossa, arrestati per aver tentato un colpo di mano lealista [18].
Ruffo riconquista Napoli
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Il 7 febbraio, Fabrizio
Ruffo era sbarcato nella “sua” Calabria. In pochi giorni riunì migliaia di
uomini. Il cardinale possedeva carisma: issò un vessillo bianco, con il motto In
hoc signo vinces, i gigli borbonici e la Croce, simbolo della Santa Fede [19]. Indossò egli stesso un cappello
con una croce bianca e partì da Pizzo il 13 febbraio, lanciando un proclama per sollevare le popolazioni in
difesa della religione e della monarchia. In breve si unirono al Ruffo decine
di migliaia di uomini, ovviamente di tutte le risme. Confiscò i terreni dei
nobili, fra i quali suo fratello Vincenzo, che avevano aderito alla Repubblica.
Il 25 marzo arrivò a Crotone. Man mano che avanzava, si univano a Ruffo anche città e
personalità che avevano aderito alla Repubblica [20].
Il 5 maggio era a Matera. I repubblicani contrattaccarono in Puglia [21], dove avvennero forse i fatti più sanguinari.
Francesco Caracciolo
Il 7 maggio 1799 l’evento
decisivo: a seguito della sconfitta del gen. Chérer in Lombardia, l'esercito
francese fu richiamato nel nord. A Napoli rimase una guarnigione di 5.400
uomini, comandati dal gen. Méjan. I sanfedisti strinsero d’assedio Napoli. A
difesa della città intervenne anche l'ammiraglio traditore Francesco Caracciolo, passato
nel febbraio precedente alla Repubblica, cannoneggiando dal mare i sanfedisti
con la piccola flotta repubblicana. Il 13 giugno, festa di Sant’Antonio [22], il Cardinale Ruffo entrava in Napoli, ed offrì al
generale francese onorevoli condizioni di resa, che vennero accettate. Offrì un
patto anche ai rivoluzionari napoletani affinché fossero liberi "di
restare nel Regno sicuri di ogni persecuzione, o di partire, se questa sia la
loro volontà, su navi provvedute dal governo del Re" [23]. I repubblicani chiesero a Ruffo il previo
riconoscimento della Repubblica, ed il Cardinale acconsentì: l'unico che
riconobbe la Repubblica Napoletana, alla fine risultò essere proprio il
Cardinale Fabrizio Ruffo!
Fabrizio Ruffo
I repubblicani si
prepararono ad imbarcarsi, ma nel frattempo, il 24 giugno, giunse nel porto di
Napoli l’ammiraglio Nelson con la flotta inglese. Da vero padrone della
situazione, dichiarò "infame" il patto sottoscritto da Ruffo.
Fece impiccare l'ammiraglio Caracciolo, prigioniero di guerra, al pennone della
nave inglese. Il cadavere fu buttato in mare [24].
Ruffo protestò per il mancato riconoscimento del trattato di capitolazione, ma
Nelson gli fece rispondere dalla sua amante lady Hamilton che non era dignitoso
per un ammiraglio inglese parlare troppo a lungo con un prete cattolico.
Anonimo,
1799, la presa di Ischia
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Ruffo cercò allora di
convincere i repubblicani a consegnarsi a lui, promettendo di farli espatriare
via terra. Allora Nelson ricorse all’inganno: comunicò che si sarebbe attenuto
al trattato. Ma appena i rivoluzionari si imbarcarono, Nelson li fece
arrestare. Il 9 luglio Ferdinando giunse a Napoli e, costretto,
ratificò l'operato di Nelson. Circa 120 repubblicani vennero processati e
giustiziati nei mesi seguenti. Tra di essi, Eleonora Fonseca Pimentel [25], Gennaro Serra, Giuliano Colonna ed il principe di
Torella.
Eleonora Pimentel
Secondo le valutazioni del generale francese Paul Thiébault,
riportate nelle "Memorie", perirono circa 60 mila uomini nella guerra
civile del 1799.
Il Cardinale Ruffo venne emarginato appena possibile. La
storiografia è stata tutt'altro che benevola verso la sua figura, sottolineando
gli aspetti deteriori e presunti eccessi del sanfedismo.
Note
[Il quadro]
Si tratta di un dipinto di recente ritrovamento, presentato a Napoli il 19
maggio 2009. La foto ci è stata concessa dalla autrice, prof.ssa Pina Catino,
che ringraziamo.
[1] L'esempio più clamoroso
di propaganda negativa fu rappresentato dall’accusa del ministro inglese
Gladstone che nel 1851 definì il Regno la “negazione di Dio”.
[2] Il progetto del palazzo venne affidato all'ingegnere Carlo
Conchi ma fu il famoso architetto Venanzio Marvuglia ad apportare una serie di
correzioni stilistiche e a completarlo nel 1807. Il Casino di caccia è immerso
in uno dei boschi più estesi di Sicilia (circa 8 mila ettari di vegetazione.
Segue linee neoclassiche ma ha anche un solido impianto strutturale, con spesse
mura e un tetto a falde inclinate adatto a sopportare i rigori dell'inverno
montano. Ha pianta rettangolare ed è sovrastato da un gruppo scultoreo raffigurante
il dio Pan e la dea Diana con al centro il blasone borbonico. Intorno ad esso
nell'800 si sviluppò un villaggio abitato dalle famiglie dei guardaboschi e dei
guardacaccia.
[3] R. Romeo, Il
risorgimento in Sicilia, Bari, 1950, p. 122.
[4] Nelson soffocò la repubblica nel
sangue (fece impiccare 99 rivoluzionari, tra i quali l’ammiraglio Francesco
Caracciolo) e molti lo criticarono ascrivendone la colpa a Lady Hamilton, la
bella Emma Liona, definita da molti “funesta amante”. Ma è usanza di
molti biografi incolpare delle “malefatte” degli “eroi” le donne che gli stanno
a fianco piuttosto che ammetterne la vera indole. Io credo tuttavia che il
comportamento di Nelson più che dalla bella Emma fosse stato dettato da Maria
Carolina che, non dimentichiamolo, era sorella di Maria Antonietta, ed era
inorridita dal “Terrore” e ce l’aveva a morte con i giacobini per i fatti di
Parigi.
Lady Hamilton
[5] La terra di Bronte per
l’esattezza apparteneva all’Ospedale Grande e nuovo di Palermo, e contava
allora una popolazione di circa 9500 abitanti. La concessione dello stato di
Bronte col titolo di Duca e col diritto di sedere in parlamento nel braccio
militare, comprendeva il diritto di”mero e misto imperio”, cioè la
giurisdizione civile e criminale, lo jus gladii.
“Nella storia delle concessioni feudali, […] è rimasta
celebre questa di Ferdinando III a Nelson, nella quale innalzando la terra a
Ducea si abbassarono i cittadini a vassalli, da liberi che s’eran fatti con
sacrifici pecuniari enormi e rovina del proprio Comune per la compra del mero e
misto impero […]. Così Bronte per la favola del nome ebbe l’onore della Ducea e
confermata la sventura del vassallaggio, appunto come il cane a cui il padrone
mette al collo una bella catena di argento o di oro.”(Benedetto Radice, Le
memorie storiche di Bronte). Solo nel 1981 il comune di Bronte è riuscito a
ricomprare la ducea dal duca Alexander Nelson Hood, ultimo discendente della
famiglia, ponendo così termine alla presenza dei Nelson nel paese siciliano e
soprattutto cancellando l’ultimo residuo di feudalesimo, almeno sulla carta.
[6] Fu proclamato re di
Napoli in un primo tempo Giuseppe Bonaparte e successivamente Gioacchino Murat,
rispettivamente fratello e cognato di Napoleone.
[7] La difesa della città fu affidata al colonnello Girolamo
Pignatelli, principe di Moliterno ed a Lucio Caracciolo, duca di Roccarommana.
Il generale austriaco Mack, già comandante dell'esercito napoletano, per
sfuggire all’ira popolare, indossò la divisa austriaca e si consegnò al
comandante francese, gen. Championnet, dal quale ricevette un salvacondotto.
Sperava così di raggiungere il territorio austriaco; ma i salvacondotti in
quell’epoca non avevano un grande valore, tanto che Mark fu arrestato a Bologna
e deportato a Digione.
[8]
Tra i difensori si distinsero due popolani, Paggio, mercante di farine, e Michele
"il Pazzo", servo di un vinaio.
[9] Trentuno rivoluzionari napoletani, tra cui Vincenzo Pignatelli
di Strongoli, Vincenzo Pignatelli dei principi di Marsico, Vincenzo e Giuseppe
Riario dei duchi di Corleto, travestiti e con il pretesto di rafforzare la
guarnigione, si introdussero nella fortezza, presidiata da 158 tra soldati e
lazzari capitanati da Luigi Brandi. Il comandante del forte, Nicola Caracciolo,
era segretamente d’accordo con i giacobini ed aveva mandato in perlustrazione
la maggior parte della guarnigione. Con il loro ingresso, il comandante riuscì
a far disarmare gli altri soldati, e fece chiudere in prigione Brandi.
[10] La colonna del gen.
Dufresse avanzò verso Capodimonte. Quella del gen. Duhesme verso Porta Capuana.
[11] La presidenza della Repubblica fu affidata al Laubert, un ex
prete, di nazionalità francese, che in aprile fuggirà con la cassa della
Repubblica. Un altro francese, Jullien, fu nominato segretario.
[12] Disse: "Pensate che i suoi [della Francia] sospiri
saranno i vostri martirii; e se ella vacilla, voi cadrete".
[13] Il Cardinale Fabrizio Ruffo (16 settembre 1744, San Lucido CS -
13 dicembre 1827, Napoli) cardinale diacono del titolo di Sant'Angelo in
Pescheria, era un uomo risoluto, ponderato e sapeva cogliere le opportunità che
gli si presentavano. Apparteneva ad una delle più antiche famiglie del Regno, i
Ruffo dei duchi di Baranello e Bagnara, ed in precedenza era stato responsabile
della colonia di San Leucio.
[14] Circa sessanta anni
dopo, altri occupanti di lingua francese, i piemontesi del Regno sabaudo,
useranno lo stesso termine per bollare gli insorti contro la loro invasione.
[15] Ai primi di
febbraio 1799, il governo della Repubblica aveva mandato al Direttorio una
deputazione composta da Girolamo Pignatelli di Moliterno e da Marcantonio
Doria, principe di Angri ma i deputati non furono neppure ricevuti. Questo
fatto fece ammettere allo storico Vincenzo Cuoco, che pur aveva preso
parte alla rivoluzione, che “il nostro fu un governo illegale”.
[16] "È cattiva la condotta dei Generali francesi e di quei
che si sono posti alla testa degli affari. Tanto belle promesse di felicità, e
libertà ed intanto siamo più infelici e schiavi di prima. I dazi e le
imposizioni sono le stesse. Il numerario manca come prima. I viveri sono rari
oltremodo; la tassa angustia tutti coloro che avevano qualche comodo; e ciò si
rifonde anche a danno del restante della popolazione, perché chi meno ha meno
spende: la gente non è impiegata, quelli che erano in corte non trovano
padroni, gli artieri non hanno da poter fatigare, in conseguenza quelli che
erano i malcontenti crescono e quelli che desiderarono la mutazione di governo
ora hanno cangiato linguaggio. I francesi ufficiali per le case dei particolari
finiscono a disgustare con le loro impertinenze e, se non altro, col peso che
recano a chi deve darli quanto li bisogna per alloggio e mangiare, e non si
contentano di poco. I soldati non lasciano di commettere impertinenze, e questo
la Nazione non lo soffre. La Religione che si promise di non toccarsi, il
Popolo crede che si vilipenda, perché i soldati francesi non hanno rispetto né
per le chiese, né pel Santissimo, quando lo incontrano per Napoli.... I preti
si veggono arrolati nella milizia urbana, si sente pubblicamente insegnare lo
scioglimento dei voti, il matrimonio dei preti, il ripudio e il
divorzio...". [Carlo De Nicola, Diario Napoletano. 1798 – 1825,
Napoli, Società Napoletana di Storia Patria, 1906].
[17] Vincenzo Cuoco, Saggio
storico sulla rivoluzione napoletana del 1799. Il Tribunale Rivoluzionario si
componeva di 5 membri e giudicava all'istante, a maggioranza, senza appello,
senza garanzie.
[18] Gerardo Baccher, ufficiale del Re, aveva organizzato un colpo
di mano lealista, ma commise una leggerezza: per proteggere la sua bella
amante, Luisa De Molino, moglie di Andrea Sanfelice dei duchi di Lauriano, le
consegnò un salvacondotto. La Sanfelice, per salvare un altro suo amante, il
giacobino Ferdinando Ferri, consegnò il biglietto a quest'ultimo. Ferri si
confidò con Vincenzo Cuoco, altro amante nonché avvocato della Sanfelice. Nella
notte del 5 aprile tutti i membri della famiglia Baccher furono arrestati, così
pure i fratelli Ferdinando e Giovanni La Rossa e Natale d'Angelo, appartenenti
all'unione lealista del Molo Piccolo. Nei giorni successivi finirono in
prigione molte altre persone, sospette di cospirazione, fra cui il duca di
Colabritto. Luisa Sanfelice fu acclamata salvatrice della Repubblica,
guadagnandosi le lodi di Eleonora Fonseca, che dal suo "Monitore", il
giornale della Repubblica, diede ampio risalto al gesto "patriottico"
della donna, che invece le costerà la testa al rientro del Borbone.
[19] Perciò il suo esercito
fu chiamato Armata Cristiana e Reale, o semplicemente “sanfedista”.
[20] Tra i notabili repubblicani che chiesero e ottennero perdono
dal Cardinale, ci fu il principe di Moliterno che, nominato comandante
dell'esercito dai popolani nel gennaio 1799, era poi passato alla Repubblica.
[21] I
francesi presero Troia, Lucera, Bovino, Foggia e San Severo. Il 16 marzo
giungeva il gen. Broussier conquistò Barletta ed Andria, che venne abbandonava
al saccheggio. Fecero allora atto di sottomissione Giovinazzo, Bisceglie e
Molfetta. Trani volle resistere, ma il 1° aprile venne assalita e saccheggiata
dai Francesi. Bari, all'avvicinarsi dei Francesi, fu abbandonata dalle bande
sanfediste, che si ritirarono a Casamassima, dove però furono raggiunte e
massacrate da Broussier. Il 5 aprile i francesi presero anche Mola, Monopoli,
Fasano ed Ostuni.
[22] Patrono della città in
sostituzione di San Gennaro, “reo” di aver compiuto il miracolo su imposizione
dello Championnet.
[23] Cesare Spellanzon,
Storia del Risorgimento e dell'Unità d'Italia, Rizzoli.
[24] Recuperate da pescatori,
le spoglie di Caracciolo furono tumulate nella chiesa di Santa Maria della
Catena, a Santa Lucia.
[25] Eleonora al momento
dell'arresto era travestita da ufficiale francese. Nonostante non si fosse
macchiata di reati di sangue, e che nel processo fosse difesa da 2 eminenti
avvocati, Gaspare Vanvitelli e Girolamo Moles, che si impegnarono strenuamente,
fu condannata alla massima pena, in quanto riconosciuta colpevole di
insurrezione armata. Il 20 agosto fu giustiziata in piazza del Mercato dal boia
Tommaso Paradiso. Venne sepolta nella monumentale chiesa di Santa Maria di
Costantinopoli.
Bibliografia
Scritto da:
Il Principe dei Reazionari