martedì 26 giugno 2012

L’era ferdinandea e il rafforzamento delle Due Sicilie nel contesto europeo

Medaglia in bronzo del 1832 coniata per il matrimonio di Ferdinando II con Maria Cristina di Savoia (collezione Francesco di Rauso, Caserta) clicca sull'immagine per ingrandire

Testo di Giuseppe Ressa
Editing e immagini a cura di Alfonso Grasso
Negli anni immediatamente seguenti alla bufera napoleonica, il Regno delle Due Sicilie, guidato da Ferdinando I e successivamente dal figlio Francesco I, continuò a soggiacere all’influenza sia dell’Austria sia dell’Inghilterra, ma successivamente, sotto la ferma guida di Ferdinando II, diventò uno stato veramente indipendente anche se la Francia, l’Austria e l’Inghilterra cercarono, comunque, di attirarlo nella loro sfera di influenza perchè la sua posizione strategica al centro del Mediterraneo era strategicamente decisiva, sia a livello politico sia commerciale.
Ritratto di Ferdinando II, Reggia di Caserta
Succeduto nel 1830 al padre Francesco I, che aveva regnato dal 1825 (anno della morte del padre Ferdinando I), Ferdinando II, appena ventenne, aveva subito mostrato la sua forte personalità che avrebbe segnato i suoi 30 anni di regno.
Nel giro di pochi mesi diede seguito al programma di risanamento finanziario, già avviato dal precedente primo ministro Medici, abolì i cumuli di più retribuzioni, diminuì drasticamente il suo appannaggio, restituì al pubblicò le riserve di caccia dei sui avi, ridusse le imposte, quella sul macinato addirittura della metà, concesse un’amnistia; fatto questo, diede un forte impulso all’economia, costruì strade, ponti e ferrovie, stipulò numerosi accordi commerciali (solo tra il 1845 e il 1847 ce ne furono ben sette con: Gran Bretagna, Francia, Russia, regno di Sardegna, Stati Uniti, Danimarca e Prussia). Stipendiò i parroci nei comuni dove non c’erano le scuole elementari per fornire una istruzione di base al popolo, proibì l’accattonaggio avviando i mendicanti in istituti nei quali era insegnato loro un mestiere.
Epigrafe biografica di Ferdinando II. Palermo, Museo del Risorgimento. Clicca sull'immagine per ingrandire
Potenziò l’esercito e la marina con l’intento di affermare in via definitiva l’indipendenza del Sud d’Italia dalle potenze straniere, covava un grande rancore verso l’Inghilterra a causa delle sue brame di protettorato verso la Sicilia, che si erano palesate durante l’occupazione della stessa durante la crisi napoleonica, aveva in antipatia l’Austria, la cui occupazione militare del Regno dal 1821 al 1827 aveva, oltretutto, pesato in maniera disastrosa sul bilancio dello stato. Non nutriva nessuna avversione per la Francia, anzi, il suo modello di governo fu la monarchia amministrativa di stampo napoleonico con uno stato fortemente centralizzato, per questi motivi chiamò al suo fianco uomini che avevano servito il Murat e anche esiliati politici per i moti del 1820, fin dall’inizio dichiarò di essere contrario alla concessione di una Costituzione perché, secondo la sua opinione, il popolo meridionale non era maturo per un sistema rappresentativo.
Cominciò ad affermare la sua presenza militare con due dimostrazioni della flotta davanti alle coste africane che convinsero, nel 1833 i tunisini e nel 1834 i marocchini, a non intralciare più, come avevano fatto per secoli, i commerci della flotta mercantile meridionale [erano i temutissimi “pirati barbareschi” che si cercava di avvistare dalle quasi 400 “torri saracene” costruite sulle coste meridionali e di contrastare con un pattugliamento navale che durava da maggio a novembre]. I primi cinque anni del regno di Ferdinando II furono così proficui che persino il premier Robert Peel, in pieno parlamento inglese, ne fece lode.
Medaglia in argento del 1837 coniata per il matrimonio di Ferdinando II con Maria Teresa d'Austria (collezione Francesco di Rauso, Caserta) clicca sull'immagine per ingrandire
Dopo le piccole potenze, furono le grandi a dover saggiare la caparbietà di Ferdinando II il quale cominciò a “dare fastidio“ nel 1836; all’epoca lo sviluppo dell’economia e della marina mercantile meridionali imponevano la ridiscussione di contratti commerciali stipulati anni addietro, quando non erano così floride, e nacque così la “questione degli zolfi” (la Sicilia deteneva il 90% delle riserve mondiali di quel minerale, indispensabile per l’industria chimica dell’epoca, in particolare quella degli esplodenti). “La questione degli zolfi, per chi non la conoscesse, è presto detta. Fin dal 1816 vigeva tra Londra e Napoli un trattato di commercio, dove l’una nazione accordava all’altra la formula della «nazione più favorita». Subito ne approfittarono i mercanti inglesi per accaparrarsi l’intera, o quasi, produzione degli zolfi, allora fiorente in Sicilia. Compravano a poco e rivendevano a prezzi altissimi. Di questo traffico poco o nulla si avvantaggiava il reame e meno ancora i minatori e i lavoranti dello zolfo. Ferdinando II volle reagire a questo sfruttamento, tanto più che, avendo sollevato la popolazione dalla tassa sul macinato, aveva bisogno di ristorare le casse dello Stato in altro modo. Fece perciò un passo forse audace: diede in concessione il commercio degli zolfi ad una società francese che lo avrebbe pagato almeno il doppio di quanto sborsavano gli inglesi.[1]
Lord Palmerson
I britannici, poiché non avevano ricevuto soddisfazione dallo scambio di note diplomatiche sempre più dure con il regno delle Due Sicilie, fecero ricorso alla forza: “Palmerston mandò la flotta nel golfo di Napoli, minacciando bombardamenti, sbarchi e peggio. Ferdinando II non si smarrì, ordinò a sua volta lo stato d’allarme nei forti della costa e tenne pronto l’esercito nei luoghi di sbarco. Pareva dovesse scoppiare la scintilla da un momento all’altro. Ci si mise fortunatamente di mezzo Luigi Filippo e la Francia prese su di sé la mediazione [anche perché l’Austria aveva negato il suo appoggio, consigliando di cedere]. Il risultato fu che lo Stato napoletano dovette annullare il contratto con la società francese e pagare gli inglesi per quel che dicevano d’aver perduto e i francesi per il guadagno mancato. È il destino delle pentole di terracotta costrette a viaggiar tra vasi di ferro. Chi ci rimise fu il povero regno napoletano; ma l’Inghilterra se la legò al dito come oltraggio supremo.” [2]
Giuseppe Ressa

Note
[1] Carlo Alianello, La conquista del sud, Rusconi, 1982
[2] Carlo Alianello, op. cit., p.15-16.