Medaglia in bronzo del 1832 coniata per
il matrimonio di Ferdinando II con Maria Cristina di Savoia (collezione
Francesco di Rauso, Caserta) clicca sull'immagine per
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Testo
di Giuseppe Ressa
Editing
e immagini a cura di Alfonso Grasso
Negli
anni immediatamente seguenti alla bufera napoleonica, il Regno delle Due
Sicilie, guidato da Ferdinando I e successivamente dal figlio Francesco I,
continuò a soggiacere all’influenza sia dell’Austria sia dell’Inghilterra, ma
successivamente, sotto la ferma guida di Ferdinando II, diventò uno stato
veramente indipendente anche se la Francia, l’Austria e l’Inghilterra cercarono,
comunque, di attirarlo nella loro sfera di influenza perchè la sua posizione
strategica al centro del Mediterraneo era strategicamente decisiva, sia a
livello politico sia commerciale.
Succeduto nel 1830 al
padre Francesco I, che aveva regnato dal 1825 (anno della morte del padre
Ferdinando I), Ferdinando II, appena ventenne, aveva subito mostrato la
sua forte personalità che avrebbe segnato i suoi 30 anni di regno.
Nel
giro di pochi mesi diede seguito al programma di risanamento finanziario, già
avviato dal precedente primo ministro Medici, abolì i cumuli di più
retribuzioni, diminuì drasticamente il suo appannaggio, restituì al pubblicò le
riserve di caccia dei sui avi, ridusse le imposte, quella sul macinato
addirittura della metà, concesse un’amnistia; fatto questo, diede un forte
impulso all’economia, costruì strade, ponti e ferrovie, stipulò numerosi accordi
commerciali (solo tra il 1845 e il 1847 ce ne furono ben sette con: Gran
Bretagna, Francia, Russia, regno di Sardegna, Stati Uniti, Danimarca e Prussia).
Stipendiò i parroci nei comuni dove non c’erano le scuole elementari per fornire
una istruzione di base al popolo, proibì l’accattonaggio avviando i mendicanti
in istituti nei quali era insegnato loro un mestiere.
Potenziò l’esercito e la
marina con l’intento di affermare in via definitiva l’indipendenza del Sud
d’Italia dalle potenze straniere, covava un grande rancore verso l’Inghilterra a
causa delle sue brame di protettorato verso la Sicilia, che si erano palesate
durante l’occupazione della stessa durante la crisi napoleonica, aveva in
antipatia l’Austria, la cui occupazione militare del Regno dal 1821 al 1827
aveva, oltretutto, pesato in maniera disastrosa sul bilancio dello stato. Non
nutriva nessuna avversione per la Francia, anzi, il suo modello di governo fu la
monarchia amministrativa di stampo napoleonico con uno stato fortemente
centralizzato, per questi motivi chiamò al suo fianco uomini che avevano servito
il Murat e anche esiliati politici per i moti del 1820, fin dall’inizio dichiarò
di essere contrario alla concessione di una Costituzione perché, secondo la sua
opinione, il popolo meridionale non era maturo per un sistema
rappresentativo.
Cominciò ad affermare la sua
presenza militare con due dimostrazioni della flotta davanti alle coste africane
che convinsero, nel 1833 i tunisini e nel 1834 i marocchini, a non intralciare
più, come avevano fatto per secoli, i commerci della flotta mercantile
meridionale [erano i temutissimi “pirati barbareschi” che si cercava di
avvistare dalle quasi 400 “torri saracene” costruite sulle coste
meridionali e di contrastare con un pattugliamento navale che durava da maggio a
novembre]. I primi cinque anni del regno di Ferdinando II furono così proficui
che persino il premier Robert Peel, in pieno parlamento inglese, ne fece
lode.
Dopo le
piccole potenze, furono le grandi a dover saggiare la caparbietà di Ferdinando
II il quale cominciò a “dare fastidio“ nel 1836; all’epoca lo
sviluppo dell’economia e della marina mercantile meridionali imponevano la
ridiscussione di contratti commerciali stipulati anni addietro, quando non erano
così floride, e nacque così la “questione degli zolfi” (la Sicilia
deteneva il 90% delle riserve mondiali di quel minerale, indispensabile per
l’industria chimica dell’epoca, in particolare quella degli esplodenti). “La
questione degli zolfi, per chi non la conoscesse, è presto detta. Fin dal 1816
vigeva tra Londra e Napoli un trattato di commercio, dove l’una nazione
accordava all’altra la formula della «nazione più favorita». Subito ne
approfittarono i mercanti inglesi per accaparrarsi l’intera, o quasi, produzione
degli zolfi, allora fiorente in Sicilia. Compravano a poco e rivendevano a
prezzi altissimi. Di questo traffico poco o nulla si avvantaggiava il reame e
meno ancora i minatori e i lavoranti dello zolfo. Ferdinando II volle reagire a
questo sfruttamento, tanto più che, avendo sollevato la popolazione dalla tassa
sul macinato, aveva bisogno di ristorare le casse dello Stato in altro modo.
Fece perciò un passo forse audace: diede in concessione il commercio degli zolfi
ad una società francese che lo avrebbe pagato almeno il doppio di quanto
sborsavano gli inglesi.”[1]
I
britannici, poiché non avevano ricevuto soddisfazione dallo scambio di note
diplomatiche sempre più dure con il regno delle Due Sicilie, fecero ricorso alla
forza: “Palmerston mandò la flotta nel golfo di Napoli, minacciando
bombardamenti, sbarchi e peggio. Ferdinando II non si smarrì, ordinò a sua volta
lo stato d’allarme nei forti della costa e tenne pronto l’esercito nei luoghi di
sbarco. Pareva dovesse scoppiare la scintilla da un momento all’altro. Ci si
mise fortunatamente di mezzo Luigi Filippo e la Francia prese su di sé la
mediazione [anche perché l’Austria aveva negato il suo appoggio, consigliando di
cedere]. Il risultato fu che lo Stato napoletano dovette annullare il contratto
con la società francese e pagare gli inglesi per quel che dicevano d’aver
perduto e i francesi per il guadagno mancato. È il destino delle pentole di
terracotta costrette a viaggiar tra vasi di ferro. Chi ci rimise fu il povero
regno napoletano; ma l’Inghilterra se la legò al dito come oltraggio supremo.”
[2]
Giuseppe Ressa
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