mercoledì 14 marzo 2012

RICOMINCIARE DAI COMUNI GUARDANDO ALLE “CITTA’-STATO”


Non tutti si soffermano con la necessaria attenzione sul fatto che la civiltà comunale ebbe origine in Italia centro-settentrionale attorno all’XI secolo, e interessò in età medievale vaste aree dell’Europa occidentale. Con la rinascita delle città nell’XI secolo e la ripresa delle attività artigianali, i nuovi ceti urbani si riunirono per liberarsi dai vincoli feudali e dall’autorità imperiale, creando una nuova realtà politica, il Comune come forma di governo locale.
Il Comune nacque quindi con l’intento di esprimere la lotta per l’emancipazione dalla soggezione feudale, che dà luogo a una profonda trasformazione sociale, caratterizzata dal rifiorire delle attività commerciali e l’emergere della borghesia. Mario Ascheri [«Le Città-Stato» Edizioni il Mulino] ci ricorda che il Comune compare nelle fonti documentarie a partire dalla fine dell’XI secolo come commune (Le Mans, 1070) ma anche communitas (Cremona, 1078) e più tardi universitas – termine del diritto romano per indicare un «tutto», un complesso unitariamente considerato. Come ancora oggi, Comune ha indicato in passato, in Italia e altrove in Europa, ogni istituzione di governo locale, quale che fosse la dimensione della comunità amministrata e quale che fosse l’ampiezza delle sue competenze e dei suoi poteri; si trattasse di città o anche di centri minori, di castelli e di insediamenti montani e rurali pur di scarso spessore demografico. La città-Stato recepì in pieno la nozione romana di cittadinanza come connotato precipuo di appartenenza. Nella crisi del Regno d’Italia, ci si identificava con la città anziché con il regno. Le istituzioni locali divennero la salvaguardia, la tutela naturale di ogni diritto e la rappresentanza dei cittadini nei rapporti con i poteri esterni alla città.
In un primo tempo e in qualche ambiente civis poté indicare un ceto sociale, anziché la generale condizione del membro della collettività urbana. Così nella Milano già molto complessa socialmente del primo XII secolo la popolazione è divisa in «ordini»; compaiono gli ecclesiastici e, divisi nettamente tra loro, i milites, i combattenti a cavallo (non per questo esclusi da attività imprenditoriali), e i cives.
Nella cultura costituzionale di queste città c’è piena adozione del principio maggioritario per le votazioni assembleari, divergente dalla massima politica che proprio allora, traendo da un passo del Digesto di Giustiniano, sanciva che «quel che tocca tutti da tutti deve essere approvato» (quod omnes tangit ab omnibus adprobari debet), il famoso principio passato anche nell’Oculus pastoralis, ma divenuto fondamento precipuo del parlamentarismo medievale per ceti.
Il parlamentum delle città-Stato dette sempre l’idea dell’assemblea della collettività tutta, operante sin dall’XI secolo e poi decaduta, sostituita nel corso del XII secolo dai più efficienti e istituzionalizzati consigli comunali basati sulla rappresentanza dei quartieri cittadini. Nelle città-Stato rimasero momenti di esercizio diretto della sovranità collettiva, ma normalmente le deliberazioni furono frutto delle assemblee unitarie rappresentative dei vari quartieri e ceti della cittadinanza. E gli effetti benefici di questa civiltà sono ben illustrati negli affreschi di Ambrogio Lorenzetti (Siena, ca. 1290 – Siena, 1348) che fu uno dei maestri della scuola senese del Trecento. “Le Allegorie del Buono e Cattivo Governo e dei loro Effetti” possono ancor oggi essere ammirate nel Palazzo Pubblico di Siena.
È da sottolineare che nella civiltà comunale, quasi dappertutto le cariche ‘rappresentative’ sono di breve durata e non comportano compensi di sorta. In più ci sono solo due categorie di cittadini che non hanno diritto al voto: i ricchi (perché possono comprare i voti) ed i poveri (perché il voto lo potrebbero vendere). Ma si tratta di due categorie numericamente scarse. I ricchi per ovvie ragioni, i poveri, perché si tratta per lo più di persone senz’arte né parte, braccianti alla giornata et similia.
Per riscontrare elementi di democrazia dovranno passare secoli. E si dovrà riconoscere che l’espressione “democrazia diretta” è affetta da un pleonasmo e che l’espressione “democrazia rappresentativa” costituisce un ossimoro. Dove c’è democrazia, infatti, c’è decisione popolare diretta (nel senso appena indicato). Dove, invece, vi è rappresentanza non v’è democrazia. La distinzione, ben tracciata, di là dall’Atlantico, da James Madison (con la sua opposizione tra la “pure democracy” e la “republic”) trovò, peraltro, la sua più chiara formulazione in Emmanuel-Joseph Sieyès, nel suo decisivo intervento alla Costituente, il 7 settembre del 1789: il «concours immédiat» alle decisioni pubbliche è quello che «caractérise la véritable démocratie»; il «concours médiat», invece, «désigne le gouvernement représentatif». Pertanto, «la différence entre ces deux systèmes politiques est énorme
Oggi il miglior esempio d’esercizio democratico è rappresentato dal Comune di Sassello (SV), che giusto in queste ultime settimane ha modificato il suo Statuto (attraverso l’opera lungimirante del Sindaco Paolo Badano), cosa per la quale sono legittimati i Consiglieri comunali ed il governo centrale non c’entra nulla.
All’art. 34 – referendum, di detto Statuto è chiaramente scritto:
1. È prevista l’organizzazione di Referendum abrogativi, di rettifica, di conferma e di iniziativa.
2. A richiesta di 111 cittadini-elettori sassellesi qualsiasi delibera del Consiglio Comunale approvata in seduta pubblica deve essere sottoposta a Referendum abrogativo o di rettifica. La richiesta di Referendum dovrà contenere l’indicazione dell’eventuale conseguente modifica di bilancio. […]
15. Il referendum Comunale sarà sempre valido e vincolante, qualunque sia il numero dei votanti.
Non ci stancheremo, dunque, d’affermare che nel modello costituzionale [qualsiasi sia lo Stato, se democratico] rispettoso della “sovranità” popolare il referendum è la regola, l’inammissibilità costituisce l’eccezione. Che per consentire l’effettiva partecipazione dei cittadini all’attività amministrativa può essere prevista (in ossequio al Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 «Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) l’indizione e l’attuazione di referendum sia «d’iniziativa» sia «di revisione» tra la popolazione in materia di esclusiva competenza comunale [o provinciale]. Che per «iniziativa», s’intendono azioni tese ad imporre a Sindaco, Giunta e Consiglio comunale, deliberazioni su argomenti che interessano l’intera comunità. Per «revisione», s’intendono quelle deliberazioni che, già assunte dalla Amministrazione comunale, si vogliono, eventualmente, prese con differenti norme. In ambedue i casi: «d’iniziativa» e «di revisione» i referendum siano validi con qualsiasi numero di partecipanti al voto.
Soltanto così potremo cominciare quella “educazione” alla democrazia e all’impegno civico dei molti cittadini che vorrebbero ancora delegare ai politici designati dai partiti, a dispetto di quanto recentemente rilevato dal Censis (l’80% ha sfiducia nella politica dei partiti), e come questi abbiano dimostrato quanto reali ed illuminati siano stati gli ammonimenti di Jean Jacques Rousseau: «Non abbiamo bisogno di buoni politici, ma di buoni cittadini.» E nemmeno si può dimenticare Norberto Bobbio (vedi, «Il futuro della democrazia», Einaudi, Torino, 1984, p. 33): «La richiesta così frequente in questi anni di maggiore democrazia si esprime nella richiesta che la democrazia rappresentativa venga affiancata o addirittura sostituita dalla democrazia diretta. […] gli istituti di democrazia diretta nel senso proprio della parola sono due: l’assemblea dei cittadini deliberanti senza intermediari ed il referendum
Una volta avviata questa “educazione” ai livelli più vicini e tangibili alla cittadinanza, sarà più facile intervenire anche a livello legislativo regionale e parlamentare, diminuendo sensibilmente anche i desideri di tutti i partiti, partitini e caste, con la diminuzione delle ricche poltrone, e l’assottigliamento del tasso di corruzione.
Per il momento osserviamo la “rivolta” di molti Comuni, ed anche della giunta regionale del Veneto che ha incaricato il professor Mario Bertolissi di seguire la pratica per l’impugnazione (che dovrebbe sfociare in un ricorso alla Corte Costituzionale) del provvedimento governativo teso a devolvere le proprie liquidità di cassa alla Tesoreria unica, norma del governo Monti che ucciderà la già limitata autonomia finanziaria dei comuni.
Bisogna proprio dire che Henry David Thoreau in «Disobbedienza civile», ben comprese la questione. Egli accettò di tutto cuore l’affermazione che “il governo migliore è quello che governa meno”, e disse: «vorrei vederla messa in pratica con maggiore rapidità e sistematicità. Se attuata, essa conduce a un’altra affermazione, della quale sono pure altrettanto convinto: “Il miglior governo è quello che non governa affatto”, e – quando gli uomini saranno pronti – sarà proprio questo il tipo di governo che avranno. Il governo è nella migliore delle ipotesi solo un espediente; ma quasi tutti i governi sono di solito espedienti inutili, e tutti i governi lo sono in certe occasioni. Le obiezioni che sono state sollevate contro l’esistenza di un esercito permanente (e sono molte) sono consistenti e meriterebbero di prevalere, e potrebbero essere sollevate anche contro l’idea di un governo permanente. L’esercito permanente è solo un altro braccio del governo permanente. Il governo stesso, che è soltanto la forma con la quale il popolo ha scelto di esercitare la propria volontà, è – come l’esercito – suscettibile di abusi e di deviazioni, prima ancora che il popolo possa usarlo come strumento.»
Supponiamo che i lettori avranno provato, leggendo queste righe, un sentimento di déjà vu. Infatti, come non rilevare che la crisi politica del Belgio è durata 541 giorni, e malgrado ciò il PIL è stato +2,4% [http://www.movimentolibertario.com/2011/07/19/belgio-400-giorni-governo-e-pil-24/], e per il fatto che sia uno stato federale, ha fatto sì che il Belgio non risentisse più di tanto della mancanza di un governo stabile, visto che molte competenze sono dei governi locali.

di ENZO TRENTIN