mercoledì 7 marzo 2012

Le verità sulle vicende "Risorgimentali" nel Regno delle Due Sicilie(1860-1861):(Parte 21°): I traditori si annidano anche nella famiglia Reale Duo Siciliana.

Salerno in una foto del 1860



Voglio ricordare che tale documento e stato scritto da un testimone dei fatti,quindi data la preziosa importanza del testo ne consiglio un attenta lettura.

Il 24 Agosto, la brigata Bosco, alla quale io apparteneva, mosse da' Granili per Salerno, ove si riunirono circa dodici mila uomini di buona truppa con artiglieria di montagna e di campagna, e cavalleria; vi era l'intero Reggimento Cacciatori a cavallo. Vi erano due brigate di fanti, una comandata da Bosco, l'altra da de Mekel: comandante in capo delle due brigate era stato scelto dal Re il ministro Pianelli. Questi temporeggiava sempre a recarsi al suo posto di onore, e fu in sua vece mandato il Maresciallo Gaetano Afan de Rivera.
Il Pianelli che simulatamente spacciava di voler combattere Garibaldi, ora in Calabria ora in Salerno, imbarcava i suoi cavalli, divulgando prossima la sua partenza pel Campo: quando poi sentiva una vittoria di Garibaldi, correa a sbarcarli. Questo imbarco e sbarco di cavalli lo rinnovò più volte, per modo che ne' soldati quando si volea rimproverare ad un tale che non adempiva le sue promesse, o le procrastinava, si dicea: tu imbarchi e sbarchi cavalli!
Il Pianelli condotto a termine quello che sanno i nostri benevoli lettori, mentre i
suoi fratelli d'armi si batteano contro il nemico, il 2 Settembre si dimise da Ministro, e il 5 andò a Roma; il Papa lo cacciò.
Potea bene andarsene a Capua o Gaeta, ove lo chiamava il suo onore e il suo dovere militare: ma egli si contentò andarsene prima in Francia, e poi a Torino per ottenere il posto che gli apparteneva. Il generale Pianelli tutt'ora afferma che si resse con lealtà nella catastrofe della dinastia e del Regno delle due Sicilie. Io ripeto quello che dissi a proposito del generale Lanza: che gli uomini e la storia giudicano de' fatti, dell'interno dell'anima nostra giudica il solo Iddio. Gli uomini e la storia, metteranno il generale Pianelli assai beneficato da' Borboni ne' cinque uomini fatali alla dinastia e al Regno delle Due Sicilie.
Salerno, Città Capo-luogo di provincia, si vuole che avesse avuto cotesto nome da due piccoli fiumi, i quali bagnano il suo territorio, Sele ed Erno.
Salerno dista 30 miglia da Napoli ed è abitata da circa trentamila anime, e giace sul golfo del suo nome: le sue strade sono strette e selciate di lava del Vesuvio: vi è però una bellissima passeggiata alla marina ed è considerevole il palazzo
dell'Intendenza.
È celebre per la tomba di S. Gregorio VII, per la sua università fondata da Roberto Guiscardo nel secolo IX, e per l'antica scuola di Medicina, dalla quale uscirono uomini illustri ed opere insigni. È patria del celebre filosofo Antonio Genovese. Questa Città abbonda d'ogni ben di Dio, e la sua posizione è amena e ridente.
Al Campo di Salerno si aggiunsero altri piccoli campi di truppe intermedie, cioè a Cava, a Nocera di Pagani ed una brigata ad Avellino.
Salerno era allora una città esaltata, e direi anche rivoluzionaria, però con non poche eccezioni. Ciò nonostante rimasero tutti tranquilli; e non fecero mancare i viveri alla truppa.
I soldati di Salerno erano spettatori dolenti del passaggio de' compagni d'armi che ritornavano dalle Calabrie. Quegl'infelici erano disarmati, laceri e digiuni, non pochi feriti e si strascinavano a stento, che era una pietà a vederli. Quella vista sconfortava ed opprimeva gli animi già costernati del resto della truppa, la quale dovea battersi tra poco. Però le due brigate di Salerno aveano una grande fiducia ne' loro capi Meckel e Bosco. Questa fiducia le faceva ardite ad affrontare un nemico che vinceva a furia di tradimenti.
Dalle Calabrie assieme alle catastrofi militari giungevano le notizie de' governi provvisorii stabiliti in quelle province, ove si bruciavano archivii, si pubblicavano liste di proscrizione contro i cittadini più rispettabili, si tassavano i ricchi, e si sorvegliavano tutti coloro che non si mostrassero intieramente devoti alla rivoluzione: a quest'anarchica tirannia, al solito, si dava il nome di libertà e di redenzione. Quello però che più spaventava le popolazioni, erano le vendette private perpetrate da' malvagi contro le persone oneste.
I fatti di Calabria commossero il Regno: i rivoluzionarii di tutte le province si davano a lavorare a favore di Garibaldi: ove non erano soldati si proclamarono il
governo provvisorio; e lo proclamarono pure in que' paesi ov'era la truppa con capi vili o felloni, come avvenne a Potenza.
Giovanni Matina e il modenese Luigi Fabrizi, accozzarono un duecento tra rivoltosi, e gente che si presta a tutto, e si recarono in Basilicata, ove gridarono Garibaldi Dittatore. Il Sottointendente di Sala, Luigi Guerritore, con solenne atto del 30 agosto riconobbe il governo provvisorio, e dichiarò di mettere nelle mani del colonnello
Matina e del cittadino Fabrizi tutti i poteri militari e civili. Questi due si dichiararono il primo Prodittatore, (non gli bastò l'essersi fatto colonnello), il secondo capo dell'insurrezione. S'impossessarono, già s'intende, del danaro pubblico: fecero un'ordinanza pel disarmo dei cittadini, e minacciarono fucilazioni a chi non avesse sostenuta la rivoluzione.
Ribassarono il sale, e misero in libertà tutti i carcerati per qualunque siasi delitto.
Un Lorenzo Curzio, il 27 agosto proclamò Garibaldi Dittatore in S. Angelo di Fasanella nel distretto di Campagna.
Stefano Passero fece lo stesso il 31 agosto a Vallo, e s si fece comandante di esercito, creando governi a Gioj, a Stio, a Laurino. Tutti i governi provvisorii erano seguiti da spoliazioni di pubbliche casse; difatti alcuni maligni non cantavano più «la case d'Italia son fatte per noi, -ma le casse
d'Italia sono fatte per noi.» In seguito venivano le persecuzioni agli impiegati e funzionarii che si mostrassero aderenti alla rivoluzione: in ultimo lo sfogo di popolo,
cioè le vendette private.
In terra di Lavoro i rivoluzionarii aveano poco da fare, perché la truppa era vicina, e quelle popolazioni erano poco disposte a novità. Pur nondimeno l'Intendente Conte Viti servitore ed adulatore de' Borboni con parole e con iscritti, coadiuvato dal Giudice Ruspoli spedito da D. Liborio, riunì sul Matese un trecento giovani e li mandò a Garibaldi.
Nelle Puglie furono rivolture e reazioni. A Matera si uccisero i liberali, a Bari si gridò viva Francesco II, si assalì la Guardia Nazionale faziosa, e si scacciarono i ribelli dalla Città. Però il Ministero liberale mandò soldati per opprimere coloro che non volessero l'unità italiana, e che erano fedeli al Re. Ad Ariano, il 4 settembre scoppiò la reazione, si uccisero molti liberali, ed altri fuggirono.
In Foggia, il 17 Agosto accadde un moto rivoluzionario.
Ivi erano due squadroni del 2° Dragoni comandati dal maggiore Maresca; costui lasciò fare senza opposizione alcuna. Il maresciallo Flores, che poi si diede alla rivoluzione, trovandosi allora in Bari, e sentendo i moti di Foggia, mandò soldati per soffocarli: ma un ordine ministeriale li fece tornare addietro.
In Ostuni ne' primi di Settembre si stabilì il governo provvisorio. Tutta la truppa che trovavasi nelle Puglie fu chiamata in Capua ne' primi di settembre, e quelle Province proclamarono il governo provvisorio.
I soli lontani Abruzzi stavano cheti. Vi era però il generale de Benedictis che comandava quelle province, e nutriva il fuoco sotto la cenere per farlo divampare a tempo opportuno. Di questo generale tanto beneficato dai Borboni ne parlerò a lungo tra non guari, essendosi distinto tra la classe de' felloni e traditori.
Mentre le Province del reame erano in quello stato che abbiamo detto, in Napoli le sorti della Monarchia andavano sempre di male in peggio.
Si diceva che il Campo di Salerno era una utopia, che que' soldati non si sarebbero battuti contro Garibaldi, e che costui sarebbe entrato in Napoli senza tirare un colpo di fucile. Difatti lo stesso Garibaldi, che sapea quel che diceva, dalle Calabrie profetava che il dì 8 settembre dovesse funzionare da Sovrano in Piedigrotta. Gli amici del Re non si davano pace riflettendo, che, un Regno fornito di tutti i mezzi possibile a far la guerra, dovesse cadere inonoratamente al solo comparire di pochi avventurieri!
In que' giorni fu tolto Ritucci dal comando della Piazza, e messo in sua vece Cutrofiano; Ischitella prese il comando della Guardia nazionale. Il Cutrofiano, in onta all'opposizione de' ministri, proclamò il vero stato di assedio, minacciando giudizii militari a' contravventori. Si capì che quegli ordini erano contro i rivoluzionari, e quindi maledizioni e calunnie a danno del generale Cutrofiano.
Ciò spiacque al ministero perché volea ordinanze draconiane contro i soli amici del Re. Ad aggravare i sospetti contro quel comandante della Piazza di Napoli, il 29 agosto apparve a' cantoni della Città un indirizzo col titolo: Appello di salute pubblica - Il popolo napoletano al suo Re Francesco II.
Questo appello dicea, pregarsi il Re di liberare il suo popolo e la monarchi dall'estrema ruina, e dall'imminente schiavitù sotto il dominio di avventurieri che famelici si avanzavano sopra la Capitale, e che avrebbero distrutta l'indipendenza del Regno, la ricchezza, e la religione. «Sire, continuava, salvate il vostro popolo in nome di tutti que' diritti e doveri che avete verso questo Regno, sguainate la spada di Carlo III vostro predecessore, e liberateci dagli stranieri, come quegli liberò i nostri padri dal giogo tedesco. Sire, la patria pericolante vi chiede quattro provvedimenti: 1° Il ministero è traditore: discacciatelo. Chiamate alla potestà uomini onorati e devoti al popolo, alla corona, alla costituzione 2° Molti stranieri cospirano contro il trono e la nazione: espelleteli 3° In Napoli sono molti depositi d'armi: si sequestrino 4° Tutta la polizia è del nemico: mettete invece di essa una polizia onesta e fedele. Sire, questo vi chiede il popolo napoletano. L'esercito è devoto: sguainate la spada, e salvate il paese. Quando è per voi il diritto e la giustizia, è Dio con voi.»
La setta, se bene trionfante, nondimeno, a quell'indirizzò impaurì, segno non dubbio della sua debolezza.
Si cercò l'autore dell'indirizzo, e si seppe per mezzo di un tale Diana garzone della tipografia Ferrante, l'autore essere un Prete francese, Ercole Sangliers, che abitava via S. Teresa. Il Prete Francese fu arrestato, ma non era stato egli l'autore dell'indirizzo. I realisti napoletani sapendo per prova come erano trattati dalla polizia settaria, si servirono di quel prete straniero per istampare l'indirizzo e pubblicarlo.
D. Liborio in persona si recò alla Tipografia Ferrante, ove sequestrò ottomila copie di quell'indirizzo. D. Liborio e Pianelli, pieni di sacro orrore dell'attentato de' realisti, si recarono dal Re, e gli dissero che il trono e la patria aveano oramai ottenuta salvezza, essendo state sequestrate ottomila copie dell'indirizzo che gli aveano fatto i sanfedisti.
Il Re rispose poche parole, ma che riassumevano mirabilmente lo stato di Napoli, e la politica di que' due ministri. Ecco testualmente le parole di Francesco II: «Siete più bravi a scoprire cospirazioni realiste che settarie.»
I ministri e i liberali accusarono il fedele ed energico Cutrofiano, e l'ottimo Conte di Trapani zio del Re, come autori di quell'indirizzo. Intanto la sera del 1° settembre al Teatro Nuovo si gridò viva Garibaldi, e tutto il seguito: né D. Liborio né Pianelli trovarono nulla da osservare sopra quella dimostrazione antidinastica, e contro l'indipendenza del Regno.
Cavour avea mandato a Napoli il generale Alessandro Nunziante, credendolo onnipossente nell'armata napoletana, e costui nulla ottenne dopo tanti conciliaboli tenuti con Persano, con Villamarina, con Carrano uffiziale dello Stato maggiore di Garibaldi, col Conte di Siracusa, con D. Liborio, con Nisco, con Poerio, e con alcuni uffiziali traditori. Cavour restò scornato, e forse dolente di essersi insudiciato in un uomo che avea tradito i suoi benefattori. Nondimeno volle tentare l'ultima prova, scrisse a Persano e gli ordinò che facesse dar fuori una proclamazione al generale Nunziante per far disertare i battaglioni napoletani: costui ossequente ai nuovi padroni schiccherò la seguente proclamazione.
«Compagni d'arme, già è pochi dì, lasciandovi l'addio, vi esortava ad esser forti contro i nemici d'Italia, e dar prove di militari virtù nella via aperta dalla Provvidenza a tutti i figli della patria comune. Ora è giunto il momento. Da voi lontano si è accresciuto in me il pensiero della vostra gloria e prosperità; e studiate le italiche ed europee condizioni, forte mi sono convinto non esservi altra via di salute per voi e per cotesta bella parte d'Italia che l'unirsi sotto il glorioso scettro di V. Emmanuele: di questo ammirevole monarca, già dall'eroico Garibaldi annunziato alla Sicilia, e scelto da Dio per costituire a grande nazione la nostra patria indegnamente spogliata.
Tal pensiero mi ha condotto a voi, e mi spinge a compiere fraternamente il santo mandato di cui ne' supremi bisogni della patria ciascuno è investito. Sinchè Dio volle l'Italia divisa, fui più che altri fido alla causa che mi trovava avere abbracciata. Ma quando l'Onnipotente tende ad unirla, chiunque non ne siegue l'impulso è traditore della Patria. Questa santa verità si rivela da sè alla coscienza e vi spinge a diserzioni parziali. Ma tal via è funesta all'Italia. Vittorio, nel quale è l'Italia incarnata, ha bisogno di aver tutti uniti per rivolgere le vostre braccia contro lo straniero.»
Questa proclamazione ottenne un risultato contrario a quello che si sperava il Nunziante e consorti. I soldati la respinsero conoscendo esserne l'autore un Alessandro Nunziante, prima consigliere di tirannide, or fatto arnese di setta per migliorare le proprie condizioni. Egli avea l'impudenza di proclamare il Regno delle due Sicilie indegnamente spogliato da' Borboni! egli fatto ricco sotto i Borboni! ed osava chiamar traditori coloro che non tradissero come lui! Buon per lui che non si fece vedere dai soldati, ma invece si facea condurre per Napoli vestito da pagliaccio.
In quel pandemonio napoletano anche quel gran galantuomo di Napoleone III fece sentire la sua voce chioccia per accrescere il baccano.
Dimandò riparazione delle libere bastonate largite al suo ministro Brenier; egli che non avea niente da notare contro l'arresto del prete francese Sanglier perché questi era amico de' realisti; volea poi soddisfazione dal governo del re per quelle bastonate largite al suo ministro, da quel popolo ch'egli volle a forza sovrano. Quel crimine coronato (come lo chiamò poi il Re di Prussia), per mezzo del suo ministro degli esteri Thouvenel, domandò pure il ristoramento di tutti i danni sofferti da' francesi in Sicilia; come se que' danni fossero stati arrecati dalla sol truppa. Il ministero liberale si affrettò a pagar tutto col danaro dello Stato, e mandò a Parigi il duca di Caianello con autografo del Re diretto al Sire francese. Dopo queste e tante altre scelleraggini commesse da quel tristo imperatore a danno della dinastia e del Regno, vi furono degli uomini così detti dotti, eminenti e politici, che ancora si vantano borbonici, i quali consigliavano re Francesco a sperare in Napoleone III anche nell'esilio di Roma!
Il generale Cutrofiano comandante della Piazza di Napoli, per mantenere l'ordine avea messo soldati nelle strade di questa Città. Il Ministero corse al Re ed accusò Cutrofiano, pregandolo il cacciasse da Napoli. Il Re per contentare que' traditori, si decise di sacrificar tutto anzi che negarsi, ed acquistare la nota di reazionario. In cambio andò comandante della Piazza il generale Cataldo. Ischitella lasciò il comando della Guardia nazionale, e fu surrogato dal generale de Sauget. Il Ministero e la stampa proclamarono Cataldo e de Sauget degnissimi di quei posti, e que' due Generali non ismentirono gli elogi de' settarii. E così il Ministero respirò libero con tutta la setta che rappresentava e capitanava.
I Capi della Guardia nazionale furono dal Re assicurati, che in Napoli non vi sarebbe guerra: e il Ministro degli esteri de Martino avea fatta la proposta di fare Napoli neutrale per salvarla dagli orrori della guerra civile.
Il Re, dovendo tentare la sorte delle armi per salvare la Monarchia, il 29 agosto invitò il Ministero a risolvere come difendere Napoli da un conflitto. I ministri risposero, che, se volea continuar la guerra, Napoli non si sarebbe potuta salvare dalla guerra civile: unico mezzo, dissero, lasciare il Regno a Garibaldi, e andarsene in esilio che gioia di Ministero..! Il Re accomiatò que' ministri, e disse che andrebbe a combattere, e penserebbe ad evitare il sangue nella capitale.
Re Francesco avea già ben capito cosa volesse quel Ministero, e come durando al potere quegli uomini, nulla avrebbe potuto fare a vantaggio del popolo e della Monarchia. Si argomentò di fare un nuovo ministero liberale ma dinastico. Chiamò Ischitella, Falcone, Cenni, Gigli, e Lauria, ma tutti trovarono difficoltà ad imbarcarsi in quel mare procelloso. Alcuni bene accetti in corte, nella bufèra trepidarono ad accettare un posto che era stato il più bello ideale della loro vita. La gloria non si può acquistare senza vincere le grandi difficoltà, e quanto queste sono più grandi altrettanto è il merito di averle superate. Essi accettando, dopo di avere usati tutti i mezzi convenienti, se non avessero potuto salvare la dinastia ed il Regno, la loro caduta sarebbe stata un insigne trionfo. Spesse volte la gloria rifulge più smagliante sul capo del vinto che su quello del vincitore.
Fu chiamato in ultimo il Marchese Pietro Ulloa, per formare un nuovo ministero,
e costui consigliò il Re di lasciare il ministero Spinelli come trovavasi quantunque fedifrago; imperocchè, dicea con la rovina del Regno peserebbe più terribile l'infamia sul capo di quei ministri traditori. Dimostrò inoltre, la questione essere puramente militare, e voler formare in que' momenti un ministero onesto, e dinastico si sarebbe ritenuto come un colpo di Stato.
Questo consiglio si ritenne arguto e sapiente, ed io mi sottoscrivo in quanto all'infamia non peritura toccata in retaggio a quel ministero senza Patria e senza Dio.
Intanto la dinastia cadde, il paese divenne tributario d'altre province, tutto si perdè fuor che l'infamia del ministero liberale..! Che monta pel benessere e la vita di un popolo? L'obbligo di un re non è quello di perdere un Regno per infamare i suoi nemici, e i traditori, ma egli dee pagar questi con la stessa moneta che spacciano. I nemici operavano con audacia, con altrettanta si dovea a loro rispondere: si dovea dar bando a quegli scrupoli di un così detto colpo di Stato. I colpi di Stato, con l'aggiunta d'insanguinare le città, sono forse leciti a' soli rivoluzionari coronati e senza corona? Si dovea prima pensare a salvare la dinastia e il Regno, e poi il Re potea mostrare la sua clemenza mantenendo la Costituzione, giacchè la giudicava utile a' suoi popoli.
Irivoluzionari hanno un'altra sciocca pretensione, cioè che i sovrani costituzionali debbono essere ligi alla giurata Costituzione; essi poi si possono servire di questa per congiurare, infamarli, e detronizzarli: e se i sovrani si difendono, sono proclamati reazionarii. Difatti nel 1848 si servirono della Costituzione per riunirsi al palazzo Gravina in Napoli e fare quella buffonata detronizzando Ferdinando II, dopo che questo sovrano avea mandato un corpo di esercito sul Po contro i Tedeschi. Perché costui si difese, e sospese la Costituzione, ancora si grida contro quel Re, come se il giuramento obbligasse i soli sovrani; mentre mancando una parte contraente, l'altra non è più obbligata ad adempiere il giuramento.
Mi si dirà che un colpo di Stato fatto nel 1860 da Francesco II, avrebbe insanguinata Napoli: non lo credo; anzi sono di avviso che questa Città sarebbe rientrata nella sua calma abituale. Componendo il Re un Ministero onesto, dando il comando della Piazza ad un Generale di sua fiducia, sciogliendo la Guardia nazionale, e la polizia de' Camorristi,
arrestando o cacciando i comitati rivoluzionari, e tutti gli stranieri settarii; distruggendo quella stampa immonda, Napoli sarebbe divenuta un cenobio. L'audacia dei rivoluzionari era fondata sulla indecisione della Corte e sulla protezione del Ministero Spinelli, principalmente sopra D. Liborio, Ministro dell'interno, e capo di fatto di tutto il Ministero.
IIRe avea tutti i mezzi di fare quel così detto colpo di stato; la gran maggioranza della popolazione era con lui, la truppa gli era fedelissima, ed io che vissi in mezzo alla stessa, e che godea la fiducia di tutti, posso assicurarlo francamente; Capua, il Garigliano, e Gaeta confermarono quanto io asserisco. Sarebbe stato sufficiente un sol battaglione di soldati per mettere a dovere tutti que' cicaloni di Napoli, che faceano tanta paura agli imbecilli. Non mi si dica che quei soldati avrebbero profittato171
gittandosi al saccheggio, ed avrebbero costretti i cittadini alla resistenza e quindi alla guerra civile e al sangue. Ripeto che io conoscea bene i soldati, e posso assicurare essere questa una vera calunnia spacciata da' rivoluzionari o nemici del Re. E concesso pure che i soldati avessero saccheggiato, e che Napoli fosse stata teatro di guerra civile e di sangue, quando con questi sacrifizi si fosse salvata la Monarchia, e il benessere di molti e del Regno, questi mali sarebbero stati di gran lunga minori al saccheggio che ha sofferto il reame, ed al sangue che si versò poi. La guerra è un gran flagello, ma spesso è necessaria per evitare mali maggiori.
Infine mi si potrebbe opporre la marcia trionfale di Garibaldi sopra la Capitala: baie! Tolto a questo duce rivoluzionario la base della sua forza che era il Ministero Spinelli ed i suoi aderenti, il distruggerlo era la cosa più facile. Abbiamo già veduto il come vincesse quel condottiero di rivoluzionati, cioè con le solite tragicommedie guerresche disarmava o scioglieva intieri corpi di eserciti, perché in Napoli invece di comandare Francesco II, comandava Garibaldi sin dal momento che questo Sovrano diede la Costituzione, e che afferrarono il potere D. Liborio Romano e il generale Pianelli.
Alla monarchia rimaneano cinquantamila buoni soldati desiderosi di cancellare le patite onte. A capo di que' soldati si sarebbe dovuto mettere un Generale di fiducia del Re, e di quegli onesti e prodi che non ne mancavano, ed ove fossero mancati, sarebbesi potuto creare da un semplice uffiziale. Si doveano formare due o tre corpi di eserciti, e scagliarli addosso a que' disordinati garibaldini. Il primo successo non della truppa avrebbe distrutta irreparabilmente l'opera tragicomica di Garibaldi, avrebbe fatto abbassar la cresta a' rivoluzionati di tutto il Reame, ed alzare agli amici della dinastia: il resto veniva da se. La guerra cruenta sul Volturno, benchè i soldati fossero più abbattuti moralmente, e che Garibaldi avesse acquistata altra forza morale e materiale, prova che si potea battere e distruggere costui facilmente nelle pianure di Salerno.
Restava a provvedere per la flotta. I comandanti settarii e traditori della flotta napoletana al sentire che Napoli non era più dominata da D. Liborio e compagnia, avrebbero pensato al proprio interesse; avrebbero riflettuto che in Napoli aveano le famiglie, che i cannoni de' forti erano nella mani degli amici del Re, e che le ciurme erano fedeli al proprio sovrano; e tutta questa salutare meditazione avrebbe loro impedito di far pazzie e fellonie. E così l'ammiraglio sardo Persano sarebbe rimasto col desiderio d'impossessarsi a qualunque costo
della flotta napoletana, ad onta che avesse gettata una grossa àncora all'imboccatura del porto militare e messa la fregata Carlo Alberto
in quel luogo fingendo di pescarla; ma la vera ragione era per impedire i legni regi di uscire dal porto. Persano avrebbe dovuto mutar tattica e politica secondo gli ordini del suo padrone Cavour, ed avrebbe dovuto scrivere a costui, che tutto era perduto anche l'onore!...
La setta s'impossessò di Napoli e del Regno, non per le sole fellonie de' traditori, ma principalmente pel modo di operare degli stessi amici e devoti al Re, i quali nel momento della crisi perdettero la testa non ragionarono più, non ebbero né senno né cuore di dare al giovine sovrano appoggio, e consigli energici tanto necessarii in quelle difficili circostanze. Gli uomini di stato si conoscono nelle crisi sociali, come i buoni piloti nelle tempeste. Speciosa fu poi l'osservazione fatta dal Marchese Pietro Ulloa, cioè che la monarchia cadde perché non si trovò un generale per sorreggerla: ed io aggiungo, cadde perché non si trovò un uomo politico di cuore per salvarla, dapoichè questi avrebbe trovato il Generale che si desiderava.


(Estratto dal libro di Giuseppe Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta).