domenica 4 marzo 2012

Carlismo e "Cruzada" (1936-1939)

Benedizione di un Tercio carlista prima della battaglia


tratto da: Voci per un «Dizionario del pensiero forte».

L'apporto carlista al tentato alzamiento del 10 agosto 1932 -guidato da José Sanjurjo y Sacanell (1872-1936) contro la Repubblica proclamata nel 1931 dopo la vittoria elettorale di repubblicani e di socialisti- è immediato e i giovani carlisti affrontano comunisti e anarchici in sanguinosi scontri.
Nelle elezioni del 1933 la CEDA, la Confederación Española de Derechas Autónomas, il fronte delle destre, ottiene circa duecentodieci deputati; ma non ha gli stessi obiettivi dei carlisti e il fallimento della sua politica è determinante per esasperare gli animi e per accentuare il carattere anticattolico e rivoluzionario del governo repubblicano, ormai egemonizzato dai socialcomunisti.
La Comunión Tradicionalista passa alla cospirazione e all'azione diretta. Sotto la guida di Manuel Fal Conde (1894-1975), giovane avvocato andaluso, capo della Comunión Tradicionalista, di José Luis Zamanillo González Camino (1904-1981), delegato nazionale dei requetés, e del generale José Enrique Varela Iglesias (1891-1951), capo militare, i carlisti si preparano alla ribellione.
Dal primo giorno dell'alzamiento, l'insurrezione del 18 luglio 1936, i reparti carlisti guidati da Sanjurjo, da Emilio Mola Vidal (1887-1937) e da Gonzalo Queipo de Llano y Sierra (1875-1951) partecipano alla Cruzada che vivono come una sorta di Quarta Guerra Carlista. Indalecio Prieto y Tuero (1883-1962), ministro della Marina repubblicana nel 1936, quando sa dell'alzamiento del generale Mola in Navarra, esclama: "Vi sono i requetés. Siamo perduti!". Inizia quindi l'ultimo atto bellico dei carlisti, di cui la Guerra Civile del 1936-1939 rappresenta l'epico epilogo. La Cruzada non è più solo lotta dinastica, ma una lotta per la difesa della Spagna contro la nuova barbarie.
La morte di Alfonso Carlos, il 29 settembre 1936, e l'unificazione imposta nel 1937 dal generalissimo Francisco Franco Bahamonde (1892-1975) con la Falange Española y de las JONS - Juntas de Ofensiva Nacional-Sindicalista -, fondata nel 1933 da José Antonio Primo de Rivera y Sáenz de Heredia (1906-1936), tolgono alla Comunión Tradicionalista influenza sulla Nuova Spagna.
Dal 1939 la Comunión Tradicionalista come movimento politico svolge un ruolo di secondo piano. Esistono molti circoli culturali che raccolgono l'eredità dottrinale del carlismo e alcuni movimenti politici, non unificati, che si dichiarano continuatori della Comunión Tradicionalista.

4. L'ideario

Il pensiero politico carlista, sintetizzato nel lemma Diós, Patria, Fueros, Rey, è stato esposto nel corso degli anni da diversi autori, che hanno elaborato quanto ha contraddistinto le posizioni e le scelte del movimento. Fra essi ricordo Antonio Aparisi y Guijarro (1815-1872), Enrique Gil Robles (1849-1908), Ramón Nocedal y Romea (1844-1907), Juan Vázquez de Mella y Fanjul (1861-1928), Guillermo Estrada y Villaverde (1834-1895), Gabino Tejado y Rodríguez (1819-1891), don Félix Sardá y Salvany (1844-1916), Matías Barrio y Mier (1844-1909), fino a Francisco Elías de Tejada y Spínola (1917-1978) e al vivente Rafael Gambra Ciudad.

Dio e Patria.
Dio è al centro dell'attività umana nel mondo, ma soprattutto in Spagna, che il grande erudito e critico letterario Marcelino Menéndez y Pelayo (1856-1912) descrive come "evangelizzatrice di mezzo mondo, martello degli eretici, luce di Trento, spada di Roma, culla di sant'Ignazio"; perciò la Spagna o è cattolica o non esiste come entità statale organizzata, perché la patria spagnola comporta l'unità nella fede cattolica. Da questa fede derivano le esigenze di subordinare la politica alla maggior gloria di Dio, di dichiarare la religione cattolica religione di Stato e di ispirare la legislazione e le istituzioni alla dottrina sociale della Chiesa.

Fueros.
Il termine castigliano "fuero" deriva dal latino forum, "luogo dove viene amministrata la giustizia". Passa poi a significare la giurisprudenza o insieme di sentenze emesse dai giudici. Quindi, seguendo il cammino della formazione del diritto, passa a significare il complesso di privilegi riconosciuti dallo Stato a una città o a una categoria, per giungere finalmente a indicare l'insieme di norme specifiche con le quali si reggono le popolazioni spagnole. Il richiamo ai fueros comporta il riconoscimento dell'uomo come essere concreto e non come ente astratto; il fatto che le libertà, ossia gli ambiti operativi di ciascuno s'inseriscono, in ogni popolo, nelle consuetudini legali e sociali generate dalla sua tradizione specifica e non in leggi esterne; il primato della libertà nella competizione fra uguaglianza e libertà e la preferenza per i sistemi di libertà concrete delle diverse tradizioni regionali spagnole rispetto all'astratta libertà rivoluzionaria. Insomma, i fueros sono usi e costumi giuridici creati dalla comunità, elevati a norma giuridica con valore di legge scritta dal riconoscimento concordato con l'autorità del loro effettivo carattere consuetudinario, quindi, diversamente dalle "dichiarazioni di diritti" o dalle "costituzioni di carta", costituiscono garanzie di autentica libertà politica.

Re.
Nell'ideario carlista l'accento non è posto né sulla persona del re, né sulla dinastia, ma sulla Corona, situata al vertice della piramide delle istituzioni politiche, che deve essere cattolica, storica, sociale, responsabile, forale ed ereditaria. Cattolica significa che la Corona deve assoggettare la politica generale ai princìpi della morale cattolica, essere rigidamente fedele agli insegnamenti della Cattedra Romana e favorire in ogni modo quanto promuove l'instaurazione del Regno Sociale di Cristo; storica significa che è caratterizzata dal cumulo dei diritti storici sempre perfettamente identificabili; sociale significa che deve essere non assoluta ma limitata, anzitutto dalla coscienza cattolica, morale e religiosa del re, quindi dalle barriere giuridiche dei fueros e dalle decisioni delle Cortes, o giunte, che rappresentano gli interessi regionali e nazionali; responsabile significa che non è accettata la distinzione fra regnare e governare, tipica delle monarchie costituzionali: nella monarchia carlista il re esercita personalmente il governo, aiutato dai Consigli della Corona o Consigli Reali, e risponde se lui o i suoi agenti non rispettano le regole dell'ordinamento giuridico di quello che si potrebbe chiamare "Stato sociale di diritto"; forale significa che il re esercita le sue facoltà di governo a norma dei diritti che storicamente e costituzionalmente gli competono in ognuno dei suoi domini, per cui quanto in una regione corrisponde a un fuero in altra può essere addirittura contrario; finalmente ereditaria vuol dire che, nella disputa fra legittimità di origine e legittimità di esercizio, se quest'ultima prevale sulla prima, non si rinuncia ad attribuire importanza anche al collegamento dinastico.


Per approfondire: vedi il mio «I carlisti e la guerra di Spagna», tesi di laurea, anno accademico 1977-1978, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, relatore professor Gianfranco Bianchi; e Francisco Elías de Tejada y Spínola (a cura di), «Il Carlismo», trad. it., Edizioni Thule, Palermo 1972.

 Roberto Gavirati