L’odierna negazione di tale verità è soltanto un tributo all’idolatria del pensiero unico multiculturalista, al Leviatano del relativismo religioso e una potente manifestazione della crisi nella Chiesa. Le responsabilità della gerarchia vaticanosecondista al riguardo sono immense. L’attesa che la Restaurazione tradizionale promessa a Fatima si compia. Note su un intervento di Introvigne.
Al Direttore - Su Il Foglio del 23 agosto scorso Massimo Introvigne non nasconde il suo compiacimento a proposito della visita di Benedetto XVI alla sinagoga di Colonia, nel solco di quella di Wojtyla al tempio ebraico di Roma; e, più ancora, plaude alla fine della teologia della sostituzione, vale a dire del tradizionale insegnamento della Chiesa a proposito del giudaismo post-biblico. In forza di tale insegnamento, infatti, dopo il deicidio del Golgota, dopo la crocifissione di Gesù Cristo, è la Chiesa e la Chiesa soltanto l’autentica erede delle Scritture e delle profezie messianiche dell’Antico Testamento, realizzatesi poi nel Nuovo Testamento. Introvigne proclama che la teologia della sostituzione non sarebbe “mai [stata] insegnata dal magistero cattolico in modo ufficiale, ma ampiamente diffusa per secoli nei manuali e nella predicazione”.
Non intendo polemizzare con chi, approdando ad altri lidi, proviene da quello stesso ambiente cattolico-tradizionalista al quale lo scrivente si onora di appartenere. Osservo anzitutto che il fatto stesso che una verità sia stata insegnata e predicata per secoli, già offre un indizio e cioè che questo non poteva essere fatto senza l’approvazione, quanto meno tacita, del Supremo Magistero. Ma c’è di più: si chiama autorità della Sacra Scittura e la sua inerranza, San Paolo in particolare, ma anche San Pietro. Ma c’è di più ancora: salvo smentite, San Pietro consterebbe essere stato Papa e dunque il suo insegnamento e la sua predicazione pubblica, con quelli di Nostro Signore Gesù Cristo, costituiscono anche il Magistero per eccellenza, o no? E cos’hanno insegnato il Divino Maestro e gli Apostoli Pietro e Paolo? Seguiamone le tracce assieme a un celebre saggio di Monsignor Pier Carlo Landucci (che Introvigne non può ignorare, visto ch’è stato palestra di comune formazione per tutta una generazione di cattolici fedeli al perenne insegnamento della Chiesa) intitolato “La vera carità verso il popolo ebreo”. Il saggio fu pubblicato sulla rivista Renovatio (n. 3, 1982, pp. 349-363) fondata dal Cardinale Arcivescovo di Genova Giuseppe Siri e ristampato in epoca più recente proprio da una Casa Editrice vicina ad Alleanza Cattolica (”Cristianesimo e giudaismo”, di Francesco Spadafora, Edizioni Krinon, Caltanissetta 1987, pp. 112-126).
Bene. Cosa prova Monsignor Landucci, Bibbia e San Paolo alla mano? Che solo in Gesù Cristo vi è la salvezza; che ricade sui giudei la colpa, sia soggettiva che oggetiva, di non aver voluto riconoscere il Messia (“Se non fossi venuto e non avessi loro parlato, non avrebbero colpa; ma ora non hanno scusa per il loro peccato … Se non avessi fatto tra loro le opere che nessun altro ha fatto, non avrebbero colpa; ma ora, benché abbiano veduto, pure odiano me e il Padre mio, Gv. 15, 22-24); che il deicidio è fondato, si pensi solo alle parole di San Pietro il primo Papa, rivolte al Sinedrio: “Sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele che nel nome di Gesù Cristo Nazareno, che voi crocifiggeste e che Dio resuscitò dalla morte … quest’uomo sta davanti a voi risanato”, Atti 4, 10 e ancora “e tutto il popolo rispose: «Ricada il suo sangue su di noi e sui nostri figli»” Mt. 27, 25); che persecuzioni, battiture, tentativi di assassinio erano esperienza quotidiana degli Apostoli e dei primi cristiani da parte israelitica (“I giudei dell’Asia, veduto Paolo nel tempio, sobillarono tutta la folla … e impadronitisi di Paolo … tentavano di ucciderlo. .. Togli dal mondo costui: non è degno di vivere … I giudei ordirono una congiura e si votarono con anatema a non mangiare e non bere, finché non avessero ucciso Paolo”, Atti 21, 27-31; 22, 22; 23, 12; 26, 21); che da alcune correnti giudaiche lo Stato d’Israele è considerato il Messia, il che spiegherebbe perché quella regione non trova mai pace, né la troverà fin tanto che non venga adorato il vero Dio e l’autentico culto cristiano-cattolico; che gli ebrei postbiblici sono “rami stroncati … dalla santa radice; recisi per la loro incredulità” (Rm. 11, 17-17, 20), giudei che “uccisero il Signore Gesù e i Profeti e ferocemente hanno perseguitato noi; a Dio spiacenti e nemici del genere umano, impedendoci di predicare ai Gentili per salvarli; colmando così sempre più la misura dei loro peccati. Ma l’ira di Dio è ormai su di essi totale definitiva” (1a Tess. 2, 14-16); che Dio conserva gli ebrei in testimonianza delle Sacre Scritture e che l’irrevocabilità delle promesse di Dio verso di essi, di cui parla San Paolo, non si applica a coloro che continuano a rifiutare Gesù come Dio: infatti solo “se non persistono nell’incredulità [saranno] innestati di nuovo” (Rm. 11, 23); che la conversione in massa degli ebrei è prevista alla fine dei tempi, di cui costituisce uno dei segni più importanti.
La conseguenza logica di tutto ciò è non solo che la teologia della sostituzione è la teologia cattolica, ma che fare proselitismo è un dovere, eccome!, non soltanto verso i cattolici dispersi o ingabbiati nelle moderne ideologie anticristiane; non soltanto verso gli appartenenti a sette e denominazioni protestanti non facenti parte della Chiesa, sola arca di salvezza; ma anche verso quanti non riconoscono il nome di Cristo, islamici, buddisti, idolatri o ebrei che siano, affinché tramite una sincera e libera conversione pervengano alla vita eterna.
Capisco che tutto ciò la faccia a pugni con il pensiero unico multiculturalista; che la tentata giudaizzazione della Chiesa in questo quarantennio vada bene a chi o per carriera o per compiacere certi poteri mondani, mondanissimi, anzi anticristiani o magari più prosaicamente per trovare impiego presso qualche compagnia delle opere, spera così d’ingraziarsi qualche favore; che le terribili ambivalenze del vaticano II, calamitoso concilio pastorale, “il 1789 della Chiesa”, come fu definito dal Cardinale Suenens, producono sfasci a non finire (sul vaticano II si esercitarono fortissime pressioni israelite, ma non solo, c’è tutta una storia di cedimenti dei padri conciliari a protestanti, comunisti ecc., per non dire dei tradimenti in materia di Sacra Scrittura, di Stato cattolico, di libertà delle false religioni, di liturgia ecc.); capisco tutto questo e che sia terribilmente urtante richiamare gli ebrei a tali aspre verità. Ma quanto accaduto il 7 aprile del 30 d.C., la messa a morte di Dio venuto sulla terra per espiare i nostri peccati e salvarci, l’Olocasuto per definizione, non è una bazzeccola, un particolare insignificante della storia, bensì la data spartiacque di tutta la storia umana, sia di quella personale che di quella collettiva, dalla creazione fino a che il sole e la luna daranno luce, anzi anche dopo, poiché “i cieli e la terra passerano, ma le mie parole non passeranno”, “caelum et terra transibunt, verba mea non praeteribunt” (Mt. 24, 35). Tutta la teologia della storia, tutta la storia della salvezza, tutta la storia profana con la confluenza e conversione del mondo greco-romano nel cristianesimo, per dar luogo ad un’unica civiltà che chiamiamo classico-cristiana, la sola autentica, sta lì a dimostrarlo.
È vero amore allora, domando, quello che vigliaccamente tace, condannando all’errore e all’ignoranza chi giace fuori dalla Chiesa, nelle tenebre laiciste, relativiste, indifferentiste, pseudoreligiose o richiamare alla sola verità che salva? I gesti di Woytila e di Ratzinger, sia verso i giudei che verso i musulmani, le visite a sinagoghe e moschee, i baci al Corano, il pantheon innalzato al mondialismo religioso in Assisi nel 1986, ove tutte le sette del mondo furono convocate da Giovanni Paolo II, vanno perciò considerati per quello che sono: non gesti coraggiosi (che coraggio c’è nel sottomettersi alla canea del mondo e ai poter forti?), ma tradimenti. Di cui dovranno rendere conto a Dio. Da ben altra coraggiosa franchezza era animato il Prìncipe degli Apostoli, quando così parlava agl’israeliti: “Questo Gesù è la pietra che, scartata da voi, costruttori, è diventrata testata d’angolo. In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (Atti, 4, 11-12). Quel Dio che, attraverso la Santa Vergine , ha promesso a Fatima: “Infine il mio Cuore Imacolato trionferà”. Il futuro, perciò, di là dagli apparenti vincitori del momento, non appartiene a modernisti, ecumenisti, relativisti, giudaizzanti e tampoco ai maomettani, bensì alle verità eternamente insegnate dalla Chiesa. Spiacevoli, spiacevolissime forse per chi non vuol intenderle, ma vere. Pegno di una vittoria futura quaggiù e del premio eterno nell’aldilà.
Maurizio-G. Ruggiero
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