martedì 6 marzo 2012

CARLO EDOARDO STUART: L’ULTIMO EROE SCOZZESE

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Carlo Edoardo Stuart con la candida Coccarda dei legittimisti


Carlo Edoardo Luigi Giovanni Casimiro Silvestro Maria Stuart, detto anche Giovane Pretendente o Bonnie Prince Charlie (Roma, 31 dicembre 1720Roma, 31 gennaio 1788), discendente del casato degli Stuart, fu figlio di Giacomo Edoardo Stuart e nipote di Giacomo II Stuart, ultimo re della dinastia, proclamata decaduta in occasione della cosiddetta Gloriosa rivoluzione (che in realtà di glorioso non ebbe nulla). Fu il legittimo re di Scozia come Giacomo VIII dal 1745 al 1746 , e anche come Carlo III d'Inghilterra e Scozia.
Giacomo II Stuart
Giacomo II Stuart (Londra, 14 ottobre 1633 – Saint-Germain-en-Laye, 16 settembre 1701)

Dopo l’illegittima abdicazione cui fu costretto Re Giacomo II nel 1689, per nessun altro motivo se non la sua fede religiosa cattolica e la nascita di un erede maschio che ne avrebbe perpetuato la stirpe, i suoi discendenti Giacomo III e Carlo III continuarono giustamente a reclamarne il trono, ben sapendo di essere dalla parte della ragione contro il torto e l’usurpazione più spudorati. A sostenerli nella loro lotta ci furono in prima linea i cugini di Francia, Luigi XIV e Luigi XV, che non fecero mai mancare il loro appoggio alla causa giacobita e la sostennero sempre lealmente con uomini e mezzi, e poi naturalmente i Papi, dei quali Re Giacomo III e suo figlio Carlo furono sempre protetti e presso i quali vissero (sia Giacomo che Carlo morirono infatti a Roma e sono sepolti nelle Grotte Vaticane accanto ai Pontefici, privilegio unico per dei sovrani temporali, per di più decaduti, anche se ingiustamente). Alla morte del padre, che aveva tentato di riprendere il suo trono purtroppo infruttuosamente nel 1715 (la cosiddetta prima rivolta giacobita, che in realtà fu ben più di una rivolta visto che vide numerosi scozzesi  e anche inglesi insorgere per la giusta causa). Dopo questi tristi eventi Re Giacomo III trovò riparo presso i Papi come dicevamo, a Roma, dove ottenne una pensione per poter mantenere il rango che gli spettava come legittimo sovrano. Va detto che in tutti i suoi travagli terreni Giacomo fu sempre sostenuto dalla grande figura della madre, Maria Beatrice d’Este, nota nel suo regno come Mary of Modena (Maria di Modena, dalla città capitale della sua patria, il ducato estense di Modena e Reggio appunto, e che rimarrà tra l’altro l’unica nostra compatriota mai ascesa al trono britannico); fu una vera santa, perché nonostante le traversie e i torti malvagi che dovette subire, fu sempre fermissima nella difesa dei principi di legittimità dinastica, nel sostegno al marito esiliato, cui fu sempre amorevolmente accanto, e del figlio che sostenne in ogni momento, retta da un’incrollabile fede cattolica.

Giacomo Francesco Edoardo Stuart (Londra, 10 giugno 1688Roma, 1º gennaio 1766)Giacomo III d'Inghilterra e Giacomo VIII di Scozia. Padre di Carlo Edoardo Stuart.


Il piccolo Carlo, suo nipote, figlio di Re Giacomo e della Regina Clementina Sobieska (figlia dell’Eroe di Vienna Giovanni III Sobieski, Re di Polonia), crebbe dunque in Italia, in particolare tra Roma e Bologna; il padre si stabilì nella Città Eterna insieme alla moglie sotto la protesione di Papa Clemente XI che gli riconobbe giustamente il suo rango sovrano. I sovrani ebbero in totale due figli maschi, che fecero sperare (purtroppo a torto) che la stirpe stuardiana avrebbe vissuto ancora per reclamare il trono dei propri avi e cacciare gli impostori che l’avevano usurpato: il primogenito Carlo appunto, legittimo Principe di Galles e Duca di Rothesay, e il secondogenito Enrico Benedetto, legittimo Duca di York e d’Albany. Quest’ultimo verrà poi ordinato cardinale da Papa Benedetto XIV nel 1747, a riconferma dell’appoggio della Chiesa cattolica alla sacrosanta causa giacobita (va inoltre sottolineato che in occasione dell’ordinazione di Enrico il Papa diede ordine personale di sparare salve di cannone da Castel Sant’Angelo, trattandosi di un figlio di Re).

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Ritratto di Carlo Edoardo Stuart in giovanissima età


L’avventura che farà di Carlo Edoardo un vero eroe, l’ultimo eroe scozzese, con il nome di Bonnie Prince Charlie, Bel Principe Carletto, è quella che si svolge tra il 1745-46, un’avventura costellata di atti valorosi e di eroismo commovente, schiacciato da una repressione brutale e disumana che ridurrà la Scozia nella schiavitù più oltraggiosa per secoli e di cui ancora oggi purtroppo gli scozzesi non si sono del tutto liberati (anche se il momento, a Dio piacendo, si sta forse avvicinando, ma questa è un’altra storia). Carlo, dopo che la rivolta del 1715 era stata repressa, nonostante le meravigliose imprese dell’eroico Visconte Dundee, che guidò i giacobiti a una grande vittoria a Killckrannie, e la lealtà di Lord Erskine che preferì l’esilio accanto al suo unico e vero Re piuttosto che sottomettersi agli usurpatori, memore della splendida fedeltà degli scozzesi e dei giacobiti tutti (tra cui moltissimi inglesi e irlandesi), decise di ritentare l’impresa nell’anno 1745, trent’anni esatti dopo il padre. Dopo essere stato nominato Principe Reggente dal padre e averne così assunto la legittima autorità, l’ardimentoso Carlo salpò a bordo di due navi, la Elisabeth e la Du Tellay, con le quali sbarcò a Eriskay nelle Ebridi, il 23 luglio 1745; qui radunò immediatamente i Clan, ovvero l’ancestrale struttura tribale su cui da sempre si reggeva la società scozzese, e che verrà annientata dalla repressione hannoveriana; tutti i più importanti Clan delle Highland risposero all’appello: Maclean, Macleod, Murray, Macdonald, Cameron, Fraser.

Bonnie Prince Charlie, dipinto di John Pettie

 Molti Clan delle Lowlands invece si lasciarono comprare dagli usurpatori e preferirono tradire la propria Patria e il proprio Re: a riprova della grandezza dei giacobiti va ricordato che anche i traditori più sfacciati, quando vennero catturati, vennero sempre trattati con il massimo rispetto: in particolare Donald Cameron di Lochiel, il cavalleresco e leale capo del Clan Cameron, impedì sempre che su di loro venisse usata anche la minima violenza; tanta generosità, come vedremo, non sarà ripagata dal nemico vittorioso. Inizialmente la spedizione fu un successo, proprio come  Carlo aveva previsto: gli Scozzesi, avendo ormai ben compreso che gli Inglesi volevano ottenere con un tratto di penna d’oca quello che non erano mai riusciti ad ottenere in secoli di massacri e saccheggi, cioè la sottomissione della Scozia, si unirono in massa a lui e lo acclamarono Re a Edimburgo, sotto la bandiera sventolante al cielo che inalberava il Leone di Scozia, simbolo della Casa di Davide da cui i Re di Alba (questo il nome gaelico della nazione) si vantavano di discendere. Naturalmente, come abbiamo detto, non tutti purtroppo sposarono la giusta causa: chi per vigliaccheria o spossatezza, chi vendutosi all’usurpatore Giorgio di Hannover (mi rifiuterò sempre categoricamente di chiamarlo Re), cercarono di ostacolare il giusto corso degli eventi. Nonostante le trame dei traditori Carlo, sostenuto dal cuore e dal coraggio suoi dei suoi compagni e fedeli, colse una grande vittoria a Prestopans, il 21 settembre del ’45, contro le truppe di John Cope (il “Johnnie Cope” della canzone giacobita), liberando così definitavamente la Scozia dagli occupanti inglesi al soldo dell’impostore. A questo punto avviene la svolta decisiva nella nostra storia: Carlo, che sacrosantemente si considerava il Re di Inghilterra oltre che di Scozia, e fidando nell’appoggio dei giacobiti inglesi, che non erano certo un pugno di mosche all’epoca, e per la verità non lo sono nemmeno oggi, decise di muovere verso Sud, raggiungere Londra, cacciare finalmente il ridicolo usurpatore straniero, pupazzo della rapace borghesia Whig che teneva in ostaggio il Parlamento, farsi incoronare Re come gli spettava a Westminster e sanare la Nazione Britannica dalla corruzione che la stava consumando sempre di più: se questo sogno si fosse realizzato la storia dell’Inghilterra, della Scozia, e di tutto il mondo sarebbe stata diversa e probabilemnte migliore. Purtoppo tutto ciò rimase, appunto, un sogno: i 6.000 bravi scozzesi che mossero verso l’Inghilterra e gli inglesi che si unirono a loro giunsero fino a Derby, giunsero a intravedere Londra, ma si dovettero fermare: gli inglesi, assuefatti all’usurpazione e corrotti dalla brama di ricchezze e potere, i nuovi “valori” o pseudo tali che borghesi e mercanti avevano imposto alla “moderna” società per schiavizzare le masse, non reagirono, non si unirono alla giusta causa; certo, come abbiamo detto, molti bravi giacobiti inglesi sostennero Carlo, sopportarono la persecuzione e le patrie galere, ma non ci fu una sollevazione di grande portata come in Scozia. Intanto i servi dell’usurpatore, temendo come la peste il ritorno del legittimo Re che avevano deposto con le più misere bassezze, terrorizzati dalle giuste punizioni che ne sarebbero seguite, decisero che gli eventi dovevano essere risolti imponendo la ragione del più feroce e del più sanguinario: così venne radunata un’accozzaglia di sgherri, avanzi di galera e affini, sottoposti al comando di un criminale senza scrupoli, tale Guglielmo (William) di Hannover, ridicolmente appellato Duca di Cumberland (dato che tale titolo spettava unicamente a un membro LEGITTIMO della Casa Reale Britannica); assai più appropriatamente sarà chiamato in seguito dagli scozzesi “il macellaio” (The Butcher). Inferiori di numero, pur sostenuti dalla consapevolezza di essere dalla parte della più luminosa ragione e dal grande cuore, Carlo e suoi uomini dovettero ripiegare in Scozia; il miglior generale del Re, Lord George Murray, discendente di una valorosa razza di guerrieri e patrioti scozzesi, aveva consigliato a Carlo di non proseguire per l’Inghilterra, di proclamare l’indipendenza della Scozia e fermarsi: questo fu certamente un errore, visto con il senno di poi; non certo però dovuto, come talvolta la propaganda dei vincitori ha ridicolmente sbandierato, all’arroganza del Re, ma alle sue legittime pretese sul Trono inglese che egli sacrosantemente rivendicava (ma bisogna ricordare che per i servi sciocchi dell’impostura il rivendicare i propri diritti è sempre arroganza).

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Carlo Edoardo Stuart (1745-46 ca)


Dipinto della battaglia di Culloden (1746), durante la seconda insurrezione giacobita, nella quale il pretendente Carlo Edoardo fu sconfitto dal duca di Cumberland(The Butcher/ Il Macellaio).  dopo un tentativo di invasione dell'Inghilterra.

 Tornato dunque in Scozia, la sua Patria, tradito degli inglesi infedeli, Carlo decise di dar battaglia alla marmaglia di Cumberland; ancora una volta il saggio e fedele Murray consigliò al Re di non cercare lo scontro in campo aperto, dove l’inferiorità numerica avrebbe giocato a favore del nemico: il Re però ribattè che mai avrebbe fatto la figura del topo che scappa, ma avrebbe affrontato i suoi nemici sul campo, da uomo e da Re: parole nobilissime, ma che purtroppo non basteranno. Lo scontro finale ebbe luogo a Culloden, il 16 aprile 1746: per Carlo combatterono gli scozzesi, qualche sparuto gruppo di giacobiti inglesi e alleati francesi e irlandesi, per il macellaio Cumberland  la marmaglia e i rinnegati scozzesi comprati con denaro e ignobili titoli nobiliari. L’artiglieria inglese cominciò un bambardamento a tappeto delle linee scozzesi, prima che il Re, posizionato dietro un’altura, potesse dare l’ordine di attacco: quando lo diede, al grido unanime “Alba!” i clansmen in kilt e sciabola alla mano, caricarono, in un ultimo, disperato assalto, le linee nemiche, per il Re e per la Libertà; sul momento, la forza dell’impatto ruppe le prime linee, ma alla fine la superiorità numerica degli inglesi prevalse. Gli scozzesi e lo stesso Carlo si batterono con il medesimo eroismo, ma dovettero soccombere: i principali Capi dei Clan decisero di proteggere la fuga del Re, per salvare l’ultima speranza della loro Patria; se fosse caduto nelle mani del nemico e dell’infame Parlamento sarebbe senz’altro stato assassinato come il suo avo Carlo I. Aiutato dai suoi fedeli, in particolare da Cameron di Lochiel e da Lady Fiona Macdonald, Carlo riuscì a scappare, a lasciare la Scozia, braccato come un deliquente comune, lui, il Re d’Inghilterra e Scozia!, peregrinando in seguito per l’Europa. Per un certo tempo visse presso i fedeli alleati francesi, poi a Roma, la terra della sua infanzia, accolto come un Re, né più né meno di quello che era, dal Papa.

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Un dipinto raffigurante Carlo Edoardo in compagnia di Lady Fiona Macdonald


Così giungiamo alla parte più penosa della nostra storia: dopo la sconfitta e la fuga, come abbiamo visto, Carlo si salvò, almeno lui. Sì, perché i suoi uomini ebbero una sorte decisamente meno fortunata; caduti nelle grinfie del criminale Cumberland, per loro cominciò l’inferno: il macellaio, per prima cosa, fece massacrare tutti i feriti che ancora giacevano sul campo, primo atto disumano. Per amore della verità va detto che non tutti i suoi soldati accettarono di obbedire a quell’ordine infame: ci fu anche chi, come James Wolfe, futuro eroe della Guerra dei Sette Anni in Canada, si rifiutò di sparare sui feriti agonizzanti, ma fu purtroppo un eccezione. Poi, tutti i fuggiaschi furono inseguiti e ricercati: quelli che furono trovati furono uccisi subito, strappati alle case e alle famiglie, intere fattorie incendiate, con il consueto corollario di stupri e rapine; i meno fortunati invece vennero catturati, portati in Inghilterra e per la maggior parte stipati in prigioni disumane, torturati, affamati, umiliati, lasciati morire. Ma non era finita: quello che gli scozzesi più temevano e avevano cercato di evitare, fu realizzato poco dopo dall’ineffabile Parlamento di “Sua Maestà” (l’impostore naturalmente): con pochi atti venne abolita ogni autonomia della Scozia, si volle cancellarne la cultura, la storia, la memoria stessa di popolo: il gaelico venne proibito, venne proibito l’uso del tartan (kilt) come abbigliamento tradizionale, le terre che da sempre costituivano patrimonio comune dei clan vennero distribuite a invasori inglesi o agli scozzesi venduti, gettando così migliaia di persone nella fame  e nella disperazione, senza più casa o mezzi di sostentamento; molti furono costretti a emigrare in America, bollati come ribelli e traditori (un destino che ricorda da vicino quello del nostro Meridione dopo la scellerata occupazione sabauda), la Scozia si spopolò, venne sottomessa e schiavizzata per secoli. Solo nell’Ottocento verrà riscoperta, grazie ai romanzi di Walter Scott e alla predilezione della Regina Vittoria (paradosslamente di quella stessa stirpe di impostori che l’avevano così ridotta), che decise di trascorrere le proprie vacanze estive nella tenuta di Balmoral, nell’Aberdeenshire. Oggi il Partito Nazionalista Scozzese al governo ha indetto un referendum per dichiarare la secessione del Paese dall’illegittimo Regno Unito: ovviamente ci auguriamo che ciò riesca e che gli scozzesi recuperino la libertà che meritano e che per secoli è stata loro negata. Carlo, dopo aver a lungo peregrinato per l’Europa patrocinando, purtroppo inutilmente, la sua buona causa giunse, come abbiamo detto, a Roma. Il padre morì nel 1766 e Carlo da Reggente divenne Re Carlo III d’Inghilterra, Scozia, Irlanda e Francia; e qui bisogna parlare di un’altra pagina miserevole, quella dell’ignobile campagna di denigrazione messa in atto dai circoli pseudo-intellettuali liberali, istigati ovviamente dall’Inghilterra, per screditare la sua figura. Posto sotto la sorveglianza continua di agenti britannici, spiato, lo si accusò dapprima di essere ridicolo nel voler rispettare un’etichetta regale nella sua vita privata (ci domandiamo cosa ci fosse di sbagliato, dal momento che era Re), poi di essere un alcolizzato (quando in realtà la sua cattiva salute era solo dovuta alla depressione non curata che lo aveva afferrato, alcolizzato lo diventerà purtroppo solo alla fine della sua esistenza) e mille altre miserabili calunnie, tanto più infami in quanto non andavano a colpire su fatti di qualche rilevanza, dato che su quel punto Carlo era inattacabile, ma solo su pettegolezzi ridicoli. Nel 1753 aveva avuto una figlia naturale, Carlotta, poi legittimata come duchessa d’Albany, da una emigrata scozzese come lui, Clementina Walkinshaw; va detto che in gioventù Carlo era stato un vero donnaiolo, aiutato certamente dalla sua bellezza e dall’aura di eroe che lo circondava: prima aveva intrecciato una relazione con la cugina, la principessa di Montbazon, sposata a un membro della prestigiosa e potentissima famiglia bretone dei Rohan, dalla quale aveva avuto un figlio, riconosciuto dal marito dell’amante, ma notoriamente suo. Poi divenne l’amante della principessa de Talmont, già sui quarant’anni; ma il vero amore della sua vita fu Clementina, dalla quale ebbe la sua unica figlia legittimata. Questo personaggio sarà molto importante alla fine della nostra storia, cui ci accingiamo ad arrivare: quando  era ormai l’ombra di se stesso, ignobilmente denigrato, i suoi sostenitori, sebbene fosse ormai avanti negli anni, decisero di trovargli una sposa perché un erede legittimo portasse avanti la dinastia e non facesse morire la stirpe degli Stuart: la moglie prescelta era una principessa austriaca, Louise zu Stolberg-Gedern, figlia di un generale di Maria Teresa, assai più giovane di lui; personaggio totalmente inadatto al ruolo che doveva ricoprire, piuttosto frivola, si stancò ben presto del marito e cercò compagnie altrove, tra gli stessi “letterati” che schernivano il Re alle sue spalle. Come si sa incontrò poi Vittorio Alfieri, che da bravo rivale in amore cercò di buttare quanto più fango possibile addosso al rivale, e di fatto abbandonò il suo legittimo sposo per l’Alfieri, anche se la separazione divenne ufficiale solo dopo la morte di Carlo. Nei suoi ultimi anni, adduggiato e adombrato dall’amarezza di chi, consapevolmente dalla parte della ragione, si vede denigrato e umiliato per aver avuto il coraggio di difendere il proprio buon diritto e la propria ragione, trovò conforto nell’affetto e nelle cure della figlia, che l’aveva raggiunto a Roma; la breve convivenza tra Carlo e Clementina, i suoi genitori, era stata disastrosa: dopo la sconfitta Carlo era disperato ed era piombato in una crisi depressiva molto forte che lo portava a frequenti crisi nelle quali diventava violento. Clementina si era allora ritirata in un convento e Carlotta era cresciuta insieme alla madre in Francia senza aver praticamente conosciuto il padre, intanto stabilitosi a Roma. Una volta adulta intrecciò una relazione con un lontano parente, il cardinale di Rohan, Arcivescovo di Cambrai, dal quale ebbe tre figli, legittimati col nome dei Rohan, ai quali dedicherò un breve accenno in conclusione; quando però seppe della malattia del padre, che in breve lo avrebbe condotto alla morte, accorse subito da lui e Carlo, immensamente rinfrancato e orgoglioso della figlia, la ricompensò riconoscendola ufficilamente come erede con il titolo di Duchessa d’Albany; ormai ridotto a un relitto, piegato dall’alcool, Re Carlo III morì a Roma il 31 gennaio 1788. Sicuramente gli immondi gufi che lo spiavano saranno stati immensamente sollevati da questa notizia: l’ultimo discendente maschio legittimo della dinastia infatti, quel Cardinale Enrico di York di cui abbiamo detto all’inizio, sebbene riconosciuto Re Enrico IX, quale era di diritto, era ormai un anziano prelato senza alcuna possibilità di generare eredi legittimi: quando morì, nel 1807, in piena epoca giacobina (della quale la deposizione della sua Casa aveva segnato uno degli antecedenti principali), lasciò suo erede il parente maschio cattolico più prossimo, Carlo Emanuele IV di Savoia; fu sepolto insieme ai genitori e al fratello nelle Grotte Vaticane, mentre uno stupendo monumento funebre del Canova nella Basilica di San Pietro commemora la memoria dei legittimi Re ignobilmente spodestati.

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Carlo Edoardo Stuart (1775)

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Enrico Benedetto Maria Clemente Stuart (Roma, 6 marzo 1725Roma, 13 luglio 1807).Successore, e fratello, di  Carlo Edoardo Stuart.

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Tomba di Giacomo Francesco Edoardo Stuart, Carlo Edoardo Stuart e Enrico Benedetto Stuart, "grotte vaticane", Basilica di San Pietro


Qui termina la storia della Nobile Casa Reale degli Stuart, almeno ufficialmente: già perché esiste un’altra storia, tenuta segreta fino a poco tempo fa e disvelata solo di recente; quella dei discendenti di Carlotta d’Albany, la figlia di Re Carlo III. Dal Cardinale di Rohan ebbe infatti tre figli, due femmine e un maschio: il maschio, chiamato come il nonno Carlo Edoardo, poi conte di Roehenstart (crasi di Rohan e Stuart, le due famiglie cui apparteneva), morirà in Scozia in un misterioso “incidente” nel 1854, proprio mentre stava riallacciando i rapporti con i nobili scozzesi giacobiti (perlomeno una strana coincidenza) e anche l’altra figlia non lasciò eredi. Solo la primogenita Marie-Victoire de Rohan, mademoiselle de Thorigny, come si è scoperto di recente, si trasferì in Polonia, la terra del suo grande avo Giovanni Sobieski, dove sposò un nobile, il conte Nikorowicz, da cui discende in linea diretta il Conte Peter Pininski, nato a Londra nel 1956, autore della scoperta e di un libro molto bello, purtroppo non tradotto in italiano “The Stuart’s Last Secret”, in cui racconta l’incredibile storia della sua famiglia. Il conte Pininski è quindi l’attuale discendente diretto dell’ultimo Stuart, Carlo Edoardo: a differenza di molti impostori come il ridicolo belga Michel Lafosse, sedicente Michel d’Albany, le rivendicazioni di Pininski sono autentiche. Sono state infatti riconosciute come tali dalla Royal Stuart Society, che si occupa di preservare l’eredità giacobita, della quale lo stesso conte fa parte: il suo personale impegno in questo campo è davvero lodevole; lungi dall’approfittare dei suoi avi per farsi pubblicità, Pininski non intende avanzare nessuna pretesa al trono dei suoi avi, pretese che semmai appartengono a Francesco di Baviera, ma con molta umiltà si dedica a patrocinare associazioni giacobite, conferenze e rievocazioni storiche, per portare avanti la giusta battaglia dei suoi antenati con lo stesso spirito che li animò tre secoli fa. Concludendo con il breve ma doveroso ritratto di questa nobile figura, degno erede degli ultimi eroi scozzesi (tra l’altro la madre del Conte Pininski, Jane Graham, è una discendente del grande giacobita Donald Cameron di Lochiel, di cui abbiamo già parlato), l’unico invito che posso umilmente fare a coloro che avranno avuto la pazienza e la bontà di leggere questa storia è solamente quello di riflettere e soprattutto di non dimenticare. Mai.

Il Conte Peter Pininski(sulla sinistra)fotografato durante una rappresentazione storica.


 Scritto da:

Il Giacobita