mercoledì 23 maggio 2012

All'Olimpico fischiato l'inno di Mameli






Quello che meraviglia noi è quella "loro" meraviglia e quell’insopportabile disprezzo per ciò che stava accadendo allo stadio Olimpico di Roma.

Infatti non è pensabile che un’alta carica dello Stato ignori la dilagante presa di coscienza identitaria di un Popolo e che si sconvolga di fronte a manifestazioni spontanee di massa.

Sembra di vedere quell’autista distratto che, imboccando l’autostrada contromano, resta “sconvolto” per quella “massa di stupidi” che gli marciano contro. Egli, come il Presidente Schifani, non si rende conto che l’errore è il suo non del popolo.

Certo è che quella valanga travolgente di fischi che ha soffocato la voce della cantante impegnata invano ad intonare l’Inno d’Italia, ha avuto un’apoteosi senza precedenti, confermando il totale fallimento di quanto inutilmente speso ai danni della verità storica per finanziare una propaganda a senso unico imbastita per tenere le fila di una retorica risorgimentale ormai allo stremo.

E’ giunta l’ora della verità e questo, il Popolo, domenica, lo ha dimostrato molto bene. Ogni critica ad un sentimento comune, condiviso da milioni di telespettatori, diventa un insulto se non interpretato nel modo giusto. La storia ci insegna che “al popolo non si comanda”: che Schifani e compagnia bella la smettessero di fare i disgustati e facessero, invece, un po’ di autocritica prima che sia troppo tardi e cioè prima che quei fischi subiscano una grave e deprecabile mutazione genetica già vista nella storia del Paese.






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ANSA:


Schifani. "'I fischi all'inno di Mameli sono incivili, inaccettabili e mi hanno sconvolto: credevo che in una giornata come questa il Paese potesse unirsi sotto un inno sinonimo di solidarietà, e non che si potesse dar luogo a gesti del genere. L'inno è unità e rappresenta la nostra libertà e democrazia per le quali si sono sacrificate moltissime vite umane".




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DUE PAROLE SULL'INNO FISCHIATO

di

Gennaro De Crescenzo








Non è questa la sede opportuna per celebrare una vittoria calcistica anche se qualche considerazione positiva sulla vittoria del Napoli contro la Juventus pure sarebbe interessante visto che si trattava e si tratta della capitale del Sud contro la squadra di Torino (il consueto “Borbone contro Savoia”) e dei potentati politici ed economici di ieri e di oggi e la loro sconfitta, inevitabilmente e simbolicamente, coincide con una rivalsa storico-culturale che va oltre quel campo di calcio (e non si spiegherebbe altrimenti l’importanza pluridecennale di quella partita). Due parole, però, vanno spese per quei fischi che hanno accompagnato l’esecuzione dell’inno italiano, che hanno costretto la Rai a utilizzare ogni (inutile) mezzo per coprirli e politici e opinionisti di turno ai soliti comunicati che “stigmatizzavano” l’episodio. Troppo facile e troppo comodo liquidare il tutto con la solita dichiarazione in cui ci si definisce “indignati” per l’episodio o si definiscono “incivili” i contestatori (tutti di parte napoletana, come dimostrano i testimoni dell’Olimpico o i siti juventini che si sono prontamente associati alla “condanna”). E non si trattava dei soliti “due-trecento ultrà”: erano in trentamila a farsi sentire tra fischi e cori (“partenopei, noi siamo partenopei”) nonostante quello che scrivono i soliti opinionisti ufficiali attaccando magari in maniera paradossale e comica la “retorica sudista o neoborbonica” (mai vista prima degli ultimi anni) che ha “osato attaccare” un inno (simbolo di tutte le più abusate retoriche da un secolo e mezzo). Ed è da rilevare che appena qualche secondo dopo tutto lo stadio è stato in religioso e rispettoso silenzio durante il minuto di raccoglimento per le vittime del terremoto dell’Emilia e dell’attentato di Brindisi. Complessa e significativa, forse, la lettura: si contestavano lo Stato e i suoi simboli ufficiali (con gli esponenti politici e della lega-calcio) ma non quelli della “nazione” (le vittime settentrionali e meridionali di qualche ora prima): un segnale di rispetto e di speranza e, insieme, un grido di allarme a quanto pare (viste le dichiarazioni più o meno indignate) del tutto inascoltato. Si contestava, allora, l’assenza totale dello Stato dalle parti del Sud da circa 150 anni ed in particolare negli ultimi anni con una questione meridionale sempre più drammatica e che i politici di turno (del Sud come del Nord) hanno colpevolmente dimenticato e addirittura aggravato. Si contestavano quelle autorità sportive che per anni (ed in particolare nell’ultimo anno) sono state colpevolmente silenziose di fronte agli attacchi di razzismo che i nostri calciatori e i nostri tifosi hanno subito in tutta Italia. Si contestava tutto questo finalmente forti di un orgoglio, di un senso di appartenenza e di una voglia di riscatto che possono e potrebbero essere positivi non solo per l’ex Regno delle Due Sicilie… Erano fischi pesanti, quelli dell’Olimpico, ma certamente meno pesanti dei silenzi, delle assenze e delle colpe che spesso siamo costretti a sopportare, e da troppo tempo, fuori dai campi di calcio senza che nessuno, però, si indigni come potrebbe e come dovrebbe:

1) 150 anni di bugie storiche dopo i massacri e i saccheggi subiti dal Sud durante un’unificazione di cu quell’inno è simbolo e la Juve è continuazione simbolica; 2) una questione meridionale sempre più dimenticata e sempre più drammatica con emigrazione, disoccupazione e miseria sempre più diffuse nell’Italia del Sud e tra i nostri giovani; 3) redditi, occupazione e servizi da terzo mondo; 4) scelte politiche sempre più lontane dagli interessi dei meridionali e due Italie di fatto già separate anche dopo anni di governo leghista; 5) episodi di razzismo antinapoletano e antimeridionale sempre più numerosi sugli stadi e fuori e nessun intervento delle autorità sportive o istituzionali: non sarebbero motivi sufficienti per i quali, in trentamila, fischiare un inno (senza commettere alcuna violenza su nessuno) restando, tra l’altro, in corretto e religioso silenzio durante il minuto di raccoglimento? E qualcuno, invece di indignarsi anche per uno solo dei motivi di cui sopra, ha (a Nord o, peggio ancora, a Sud) il coraggio e la spudoratezza di attaccare e offendere quei trentamila “incivili”?

Copio da Rosario De Felice Saccone: “Sono 150 anni che ci dicono che non siamo italiani ed ora si stupiscono che gli fischiamo l'inno??? e che vulevn pure l'applauso???!!!”
 
 
Fonti: