Quello
che meraviglia noi è quella "loro" meraviglia e quell’insopportabile disprezzo
per ciò che stava accadendo allo stadio Olimpico di Roma.
Infatti non è pensabile che un’alta carica dello Stato
ignori la dilagante presa di coscienza identitaria di un Popolo e che si
sconvolga di fronte a manifestazioni spontanee di massa.
Sembra di vedere quell’autista distratto che,
imboccando l’autostrada contromano, resta “sconvolto” per quella “massa di
stupidi” che gli marciano contro. Egli, come il Presidente Schifani, non si
rende conto che l’errore è il suo non del popolo.
Certo è che quella valanga travolgente di fischi che ha
soffocato la voce della cantante impegnata invano ad intonare l’Inno d’Italia,
ha avuto un’apoteosi senza precedenti, confermando il totale fallimento di
quanto inutilmente speso ai danni della verità storica per finanziare una
propaganda a senso unico imbastita per tenere le fila di una retorica
risorgimentale ormai allo stremo.
E’ giunta l’ora della verità e questo, il Popolo,
domenica, lo ha dimostrato molto bene. Ogni critica ad un sentimento comune,
condiviso da milioni di telespettatori, diventa un insulto se non interpretato
nel modo giusto. La storia ci insegna che “al popolo non si comanda”: che
Schifani e compagnia bella la smettessero di fare i disgustati e facessero,
invece, un po’ di autocritica prima che sia troppo tardi e cioè prima che quei
fischi subiscano una grave e deprecabile mutazione genetica già vista nella
storia del Paese.
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Schifani. "'I fischi all'inno di Mameli sono incivili, inaccettabili e mi hanno sconvolto: credevo che in una giornata come questa il Paese potesse unirsi sotto un inno sinonimo di solidarietà, e non che si potesse dar luogo a gesti del genere. L'inno è unità e rappresenta la nostra libertà e democrazia per le quali si sono sacrificate moltissime vite umane".
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DUE PAROLE SULL'INNO FISCHIATO
di
Gennaro De
Crescenzo
Non è questa la sede
opportuna per celebrare una vittoria calcistica anche se qualche considerazione
positiva sulla vittoria del Napoli contro la Juventus pure sarebbe interessante
visto che si trattava e si tratta della capitale del Sud contro la squadra di
Torino (il consueto “Borbone contro Savoia”) e dei potentati politici ed
economici di ieri e di oggi e la loro sconfitta, inevitabilmente e
simbolicamente, coincide con una rivalsa storico-culturale che va oltre quel
campo di calcio (e non si spiegherebbe altrimenti l’importanza pluridecennale di
quella partita). Due parole, però, vanno spese per quei fischi che hanno
accompagnato l’esecuzione dell’inno italiano, che hanno costretto la
Rai a utilizzare ogni (inutile) mezzo per coprirli e politici e opinionisti di
turno ai soliti comunicati che “stigmatizzavano” l’episodio. Troppo facile e
troppo comodo liquidare il tutto con la solita dichiarazione in cui ci si
definisce “indignati” per l’episodio o si definiscono “incivili” i contestatori
(tutti di parte napoletana, come dimostrano i testimoni dell’Olimpico o i siti
juventini che si sono prontamente associati alla “condanna”). E non si trattava
dei soliti “due-trecento ultrà”: erano in trentamila a farsi sentire tra fischi
e cori (“partenopei, noi siamo partenopei”) nonostante quello che scrivono i
soliti opinionisti ufficiali attaccando magari in maniera paradossale e comica
la “retorica sudista o neoborbonica” (mai vista prima degli ultimi anni) che ha
“osato attaccare” un inno (simbolo di tutte le più abusate retoriche da un
secolo e mezzo). Ed è da rilevare che appena qualche secondo dopo tutto lo
stadio è stato in religioso e rispettoso silenzio durante il minuto di
raccoglimento per le vittime del terremoto dell’Emilia e dell’attentato di
Brindisi. Complessa e significativa, forse, la lettura: si contestavano lo Stato
e i suoi simboli ufficiali (con gli esponenti politici e della lega-calcio) ma
non quelli della “nazione” (le vittime settentrionali e meridionali di qualche
ora prima): un segnale di rispetto e di speranza e, insieme, un grido di allarme
a quanto pare (viste le dichiarazioni più o meno indignate) del tutto
inascoltato. Si contestava, allora, l’assenza totale dello Stato dalle parti del
Sud da circa 150 anni ed in particolare negli ultimi anni con una questione
meridionale sempre più drammatica e che i politici di turno (del Sud come del
Nord) hanno colpevolmente dimenticato e addirittura aggravato. Si contestavano
quelle autorità sportive che per anni (ed in particolare nell’ultimo anno) sono
state colpevolmente silenziose di fronte agli attacchi di razzismo che i nostri
calciatori e i nostri tifosi hanno subito in tutta Italia. Si contestava tutto
questo finalmente forti di un orgoglio, di un senso di appartenenza e di una
voglia di riscatto che possono e potrebbero essere positivi non solo per l’ex
Regno delle Due Sicilie… Erano fischi pesanti, quelli dell’Olimpico, ma
certamente meno pesanti dei silenzi, delle assenze e delle colpe che spesso
siamo costretti a sopportare, e da troppo tempo, fuori dai campi di calcio senza
che nessuno, però, si indigni come potrebbe e come dovrebbe:
1) 150 anni di bugie
storiche dopo i massacri e i saccheggi subiti dal Sud durante un’unificazione di
cu quell’inno è simbolo e la Juve è continuazione simbolica; 2) una questione
meridionale sempre più dimenticata e sempre più drammatica con emigrazione,
disoccupazione e miseria sempre più diffuse nell’Italia del Sud e tra i nostri
giovani; 3) redditi, occupazione e servizi da terzo mondo; 4) scelte politiche
sempre più lontane dagli interessi dei meridionali e due Italie di fatto già
separate anche dopo anni di governo leghista; 5) episodi di razzismo
antinapoletano e antimeridionale sempre più numerosi sugli stadi e fuori e
nessun intervento delle autorità sportive o istituzionali: non sarebbero motivi
sufficienti per i quali, in trentamila, fischiare un inno (senza commettere
alcuna violenza su nessuno) restando, tra l’altro, in corretto e religioso
silenzio durante il minuto di raccoglimento? E qualcuno, invece di indignarsi
anche per uno solo dei motivi di cui sopra, ha (a Nord o, peggio ancora, a Sud)
il coraggio e la spudoratezza di attaccare e offendere quei trentamila
“incivili”?
Copio da Rosario De
Felice Saccone: “Sono 150 anni che ci dicono che non siamo italiani ed ora si
stupiscono che gli fischiamo l'inno??? e che vulevn pure
l'applauso???!!!”
Fonti: