"L'azione profonda dell'umanesimo e del Rinascimento fra i cattolici non cessò di estendersi, in un crescente concatenamento di conseguenze, in tutta la Francia. Favorita dall'indebolimento della pietà dei fedeli - prodotto dal giansenismo e da altri fermenti che il protestantesimo del secolo XVI aveva disgraziatamente lasciato nel Regno Cristianissimo - tale azione produsse nel secolo XVIII una dissoluzione quasi generale dei costumi, un modo frivolo e fatuo di considerare le cose, un deificazione della vita terrena, che preparò il campo alla vittoria graduale dell'irreligione. Dubbi relativi alla Chiesa, negazione della divinità di Cristo, deismo, ateismo incipiente, furono le tappe di questa apostasia" (Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, Parte I, cap. III, 5C).
Cosa si intende per "Ancien Regime"
Si dà il nome di "Ancien Regime", cioè Antico Regime, al periodo di storia della Francia compreso fra il secolo XVI e la Rivoluzione Francese, così come all'insieme di istituzioni e costumi esistenti in questa epoca.
La Rivoluzione Francese abbatté la maggior parte di questa struttura, stabilendo un nuovo ordine; perciò il periodo anteriore ad essa rimase conosciuto come l' "Antico Regime", ossia, regime esistente prima della Rivoluzione.
Come dobbiamo considerare questo periodo storico
L'Antico Regime non fu assolutamente un'epoca perfetta, infatti, la società scivolava lentamente verso l'abisso della Rivoluzione Francese; essa, avendo abbandonato il suo primitivo spirito medievale, entrò in un declino storico; e quando si studia minuziosamente questo movimento discendente, si vede che non fu tanto lento.
L'Antico Regime è un'epoca nella quale si notano molte cose buone, che però non sono che aspetti del medioevo che sopravvivono. Invece, gli innumerevoli punti cattivi, corrispondono allo sviluppo dei principi rivoluzionari.
Applicando la "teoria degli intermedi" di san Tommaso d'Aquino, si può affermare che, chi dal XX secolo lancia un'occhiata all'Antico Regime e all'abisso che ci separa da esso, ha l'impressione di vedere il medioevo. Ma chi dal medioevo invece avesse guardato all'Antico Regime, avrebbe visto il lungo tragitto rivoluzionario già percorso, ed avrebbe l'impressione di vedere il XX secolo. Pertanto, il nostro elogio all'Antico Regime, e ai tratti medievali che esso ancora conserva, comporta numerose riserve.
Andiamo, in primo luogo, ad esaminare in quali punti la struttura dell'Antico Regime fu segnata dallo spirito rivoluzionario. Successivamente, vedremo i numerosi punti nei quali conservò lo spirito medievale.
Quel che l'antico regime aveva di rivoluzionario
L'assolutismo è consistito nella tendenza, sviluppatasi dal Rinascimento e durante l'Antico Regime, a concentrare tutti i poteri dello Stato nella persona del Re, promuovendo così la centralizzazione della vita della Nazione.
Se è esistita una certa concentrazione di poteri, non si può però in alcun modo paragonarla a quella dei regimi totalitari moderni, come il comunismo ed il nazismo, nei quali la centralizzazione è assai più accentuata. Nell'Antico Regime l'autorità reale era limitata in mille modi da privilegi, costumi e franchigie. Fu la Rivoluzione Francese che causò l'assoggettamento e il controllo di tutta la vita del paese.
Nel medioevo non c'era assolutismo e ancor meno totalitarismo, lo Stato era decentralizzato. Il regime medievale obbediva a quello che successivamente fu chiamato principio di sussidiarietà, secondo il quale ogni famiglia deve poter fare da sè tutto quello di cui è capace, e può essere aiutata solo sussidiariamente dai gruppi sociali superiori in ciò che supera il suo ambito. Questi gruppi, a loro volta, ricevono appoggio dal municipio solo in quel che supera le loro normali capacità, e lo stesso avviene nelle relazioni fra municipio e regione, o fra regioni e il paese.(cfr. Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, Parte I, cap. IV).
Questo principio cominciò ad essere violato col Rinascimento e l'Antico Regime, ma fu la Rivoluzione Francese che aprì la strada a tutti gli abusi successivi, come il comunismo ed il nazismo.
Questa mentalità centralizzatrice non porta solo alla distruzione della libertà, ma anche all'egualitarismo. Infatti, l'uomo rivoluzionario detesta anche la gerarchia anche sotto di lui, e, di conseguenza, è portato a distruggerla, livellando tutto.
l potere regale andò ampliandosi ed assorbendo tutte le manifestazioni della vita del paese; la Francia si trasformò in una specie di testa in cui si concentrava tutto e nella quale, una volta sferrato il colpo, tutto scoppiò. Da questo punto di vista, furono proprio i Re di Francia i grandi artefici della Rivoluzione Francese.
Decadenza dei costumi
Alla vigilia della Rivoluzione, i nobili non dimoravano più nelle terre, ma a Parigi: vivevano lontano dai loro contadini. Soltanto in una regione di Francia, il nobile conservava l'antico profilo di padre dei contadini, vivendo tra loro e cercando di risolvere i loro problemi: la Vandea. Ad eccezione di questa regione, l'unica che lottò contro la Rivoluzione e nella quale vi fu coesione controrivoluzionaria, in tutte le altre province di Francia si verificò un vero imbarbarimento, perchè il gusto per i piaceri della vita aveva assorbito tutte le virtù e tutte le qualità.
Il gentiluomo gradevole e grazioso, che era il piedistallo del trono, non era più in condizioni di far fronte alla Rivoluzione.
Nel medioevo vediamo la dignità ecclesiastica rappresentata nelle figure dei vescovi scolpiti sui portali delle cattedrali gotiche: uomini retti, dal portamento fermo, sguardo profondo e semplicità di modi, e, nello stesso tempo, di intelligenza e nobiltà completamente straordinarie. Veri pastori di anime, vere guide, principi nell'ordine dello spirito, senza alcuna preoccupazione di carattere mondano.
Nell'Antico Regime, la dignità ecclesiastica si esprimeva nell'avere i capelli tinti, usare fazzolettini e altri atteggiamenti del genere, che davano l'idea di uomini effeminati e frequentatori della società mondana.
Paganesimo, naturalismo, scetticismo religioso
Nel secolo XVIII, tale eresia provocò una dissoluzione quasi generale dei costumi, un modo frivolo e brillante di affrontare le cose, una deificazione della vita terrena, che prepararono il campo alla vittoria graduale dell'irreligione. Dubbi riguardo alla Chiesa, negazione della divinità di Cristo, deismo, ateismo incipiente, furono le tappe principali di questa apostasia.
Il naturalismo rinascimentale segnò profondamente lo spirito dell'epoca, influenzando non solo la vita temporale, ma anche quella spirituale.
Nel campo artistico, ad esempio, possiamo vedere fino a che punto lo spirito naturalista aveva segnato l'Antico Regime. La Cappella del Palazzo di Versailles porta in sè la fisionomia di una società che pensava di aver acquistato la stabilità perfetta riposando sulla volontà del Re come sul suo centro normale di gravità; con la stabilità, aveva acquistato anche la spensieratezza, l'abbondanza, il benessere nella vita terrena. Il soggetto dei quadri è di natura religiosa, ma le pose, i gesti, le espressioni dei santi sono più o meno quelle degli dei mitologici. Gli archi e le colonne hanno qualcosa di pomposo e festaiolo. In tutto si respira correttezza naturale, ordine, compostezza, ma nulla esprime misticismo e fervore soprannaturale. Sembra una cappella di uomini felici e autosufficienti, che non desiderano se non una prospera vita terrena, e che in quel luogo vanno a trovare Dio per un mero dovere di cortesia. Niente sembra predisposto per dare posto alle preghiere dell'uomo sofferente, in lotta col mondo, il demonio e la carne e le pene spirituali.
In quali punti l'antico regime aveva conservato lo spirito medievale
Il potere regale incontrava notevoli limitazioni.
Nonostante l'azione nefasta dell'assolutismo, l'antico regime conservava ancora in larga misura il carattere organico della civiltà medievale: Il potere del Re, teoricamente assoluto, aveva limitazioni che difficilmente riusciamo ad immaginare. Il sovrano era obbligato a rispettare un certo numero di regole tradizionali, dette "leggi fondamentali del regno". Inoltre, la molteplicità dei privilegi e delle franchigie della nobiltà, del clero, delle città, delle province, delle corporazioni, costituivano una forte barriera contro l'onnipotenza regale.
La figura del Re era vista dal popolo come qualcosa di sacro. Il sovrano era come un grande padre, che aiuta e protegge tutti: "Ah, se il Re lo sapesse...", fu per molto tempo l'espressione dei contadini davanti alle ingiustizie perpetrate dagli agenti del governo. Quando gli antichi autori parlano di lui, sembrano pervasi da una devozione soprannaturale.
Il Maresciallo Marmont, nato quindici anni prima della Rivoluzione, mostra, in un celebre passaggio delle sue "Memorie", il prestigio ancora goduto da Luigi XVI negli ultimi giorni della sua monarchia: "Io provavo per il Re un sentimento di difficile definizione, un sentimento di dedizione di carattere religioso.
La parola del Re aveva allora una magia, un potere che niente aveva alterato. Nei cuori retti e puri questo amore diventava una specie di culto".
Le caratteristiche regionali si mantenevano ancora molto vive
Nonostante un grande sforzo centralizzatore realizzato sotto Luigi XIV, alla volontà di decidere del governo continuava ad opporsi una grande quantità di tradizioni, contratti, promesse e diritti acquisiti, di cui bisognava tenere conto. Gli ordini più formali erano corretti ed emendati da un insieme di istituzioni, contro le quali non si poteva far praticamente nulla.
Le città e comunità del regno conservavano, del loro passato, importanti privilegi: ingiunzioni o riduzioni di imposte, libera nomina delle autorità municipali, diritto di giustizia, diritti di imporre tasse, diritto di contrarre prestiti e diritto di spendere secondo le proprie delibere. Le piccole città non erano meno accanite delle grandi nella difesa delle loro prerogative. Allargando questi esempi, immaginando le province, le città, le classi, le associazioni, gli uffici e le arti, provvisti di autorizzazioni, di diritti, di statuti, di immunità di ogni tipo, avremo un'idea di come era esercitata l'autorità regia nella Francia di Luigi XIV e Luigi XV.
Le imposte non erano applicate uniformemente su tutto il regno e non pesavano nello stesso modo su tutte le persone. I pesi e le misure variavano di nome e di valore in base al luogo. Anche la giustizia variava, conformandosi ai costumi locali. A sud della foce del fiume Charant si applicava il diritto scritto, derivato dal diritto romano, mentre al nord si applicava il diritto consuetudinario, e cioè circa 300 costumanze diverse, che variavano da un posto all'altro. La varietà nell'applicazione della giustizia, per rispetto dei costumi e delle prerogative locali, era tale che, Voltaire giunse ad esclamare: "Di luogo in luogo si cambia giurisprudenza come se si cambiasse cavallo".
Nelle province che più tardi furono incorporate alla corona, sussistettero per molto tempo degli Stati particolari, i cui poteri erano vasti: dirigevano l'amministrazione locale, organizzavano il loro bilancio particolare e mettevano ai voti le imposte generali. La situazione dei territori di Alsazia e di Lorena era abbastanza originale: "E' necessario non toccare i paesi d'Alsazia negli usi", aveva scritto un ministro di Luigi XV.
Il particolarismo delle istituzioni provinciali era una sopravvivenza del periodo feudale. Quando i Re della dinastia capetingia si annettevano dei grandi feudi o delle province straniere, ne rispettavano in larga parte le istituzioni particolari. Fortemente radicate nei loro costumi e privilegi locali, questi popoli tendevano a conservare la propria autonomia, formando dei piccoli Stati dentro al grande Stato.
In certe regioni di Francia, chiamate "Pays d'Etats", particolarmente la Bretagna, la Borgogna e la Linguadoca, l'autorità dell'intendente - l'amministratore regionale- era limitata dall'esistenza degli "Stati Provinciali", che avevano una serie di regalìe fiscali; Richelieu e Luigi XV abolirono gran parte di questi privilegi.
Durante il XVIII secolo gli Stati Provinciali lottarono per recuperare tali diritti a tal punto che, nel 1789, il potere degli Intendenti fu diminuito ed il governo estese a tutto il paese l'Istituzione degli Stati Provinciali: a causa di ciò l'autorità del Re nelle province diminuì.
Era tale il carattere organico e naturale che esisteva ancora nel regime dell'epoca, che il ministro Calonne, assolutista, in una certa occasione disse seccatamente: "In questo vasto regno non si può muovere un passo senza trovare leggi diverse, usi contrari, privilegi, eccezioni, esenzioni d'imposta, diritti e pretese d'ogni specie".
Così funzionava il regime tirannico abbattuto dalla Rivoluzione Francese!
Persino la conquista militare rispettava i privilegi regionali
Neppure la conquista militare toglieva ai sudditi il diritto ai loro legittimi privilegi e tradizioni. Nel 1668, dopo la conquista della Franca-Contea da parte della Francia, Luigi XIV firmò un documento il cui primo articolo diceva: "Tutte le cose nel Franco-Contado continueranno nello stesso modo in cui si trovano al presente quanto a privilegi, franchigie e immunità". E finiva con queste parole: "Sua Maestà promette e giura sui santi Vangeli che sia Lei che i Suoi Augusti Successori manterrano bene e lealmente tutti i privilegi, franchigie e libertà, antiche possessioni, usi, costumi e regolamenti, e che Lei farà tutto quello che un prìncipe o Conte Palatino di Borgogna ha il dovere di fare".
Il potere giudiziario conservava molta della sua antica autonomia
Uno dei più potenti ostacoli all'esercizio illimitato dell'autorità regale era costituito dai tribunali stessi: Parlamenti, tribunali fiscali, tribunali civili e penali, tribunali militari, dipartimenti delle Finanze, eccetera.
I magistrati che lavoravano in questi tribunali erano proprietari delle loro cariche, come oggi, per esempio, lo sono i proprietari degli studi notarili in diversi Stati del Brasile. Molte di queste cariche erano anche ereditarie.
Riusciamo a valutare bene l'indipendenza e la libertà che il possesso di tali cariche portava con sè? Dava la possibilità di assolvere, appoggiare e riabilitare tutti coloro che erano perseguitati dalla Corte regale, di attaccare gli agenti di questa e di mandarli a catturare, di ricusare apertamente il fisco e l'applicazione di nuove deliberazioni; insomma, di stabilire un controllo su tutta la macchina governativa.
Le "lettres de cachet"
Secondo i manuali di storia rivoluzionari, il Re, con un semplice ordine, la "lettre de cachet", poteva mandare in prigione, senza processo, qualsiasi persona. Tuttavia, la verità e ben diversa.
La "lettre de cachet" era la forma normale con la quale il sovrano manifestava la sua volontà nei confronti di qualche problema. Veniva dunque usata per ogni sorta di decisione, e non solo per ordinare l'imprigionamento o l'esilio. Fra mille "lettres de cachet" emanate dalla amministrazione regale, soltanto tre o quattro si riferiscono a delitti politici.
Le "lettres de cachet" di polizia corrispondevano al carcere preventivo dei nostri giorni. Avevano lo scopo di evitare che il criminale fuggisse, perchè il complicato processo ordinario prevedeva la ricezione di una denuncia per permettere l'apertura dell'inchiesta, il reperimento dei testimoni e la loro escussione per formare il capo d'accusa, e solo allora l'invio del mandato giudiziario di incarcerazione: fino a quel momento l'accusato rimaneva detenuto in forza di una "lettre de cachet". Il carattere segreto della stessa aveva lo scopo di proteggere coloro che colpiva e loro famiglie dal disonore al quale sarebbero state esposte dalla diffusione della notizia dell'incarcerazione.
Per secoli il popolo francese, dall'alto al basso della scala sociale, si servì delle "lettres de cachet" per preservare la moralità, il rispetto dell'autorità paterna, l'onore delle famiglie. Perciò il noto storico Funck-Brentano afferma che le "lettres de cachet" costituivano l'ossatura di libertà dell'antica Francia.
Nonostante le devastazioni dello spirito naturalista la fede si manteneva ancora viva
E' impressionante l'intensità del sentimento religioso in quest'epoca. Il contadino viveva all'ombra della Chiesa; la pratica religiosa segnava tutti gli atti della sua vita quotidiana. La religione era parte integrante della vita familiare ed anche, per molto tempo, della vita pubblica.
Durante la Rivoluzione Francese le masse contadine insorsero per difendere i sacerdoti perseguitati dai rivoluzionari; la forza che la Chiesa ancora conservava era tale che alcuni autori giungono ad affermare che l'errore principale della Rivoluzione Francese fu di attaccare la Chiesa.
Gli Stati cattolici riconoscevano ancora la Chiesa ufficialmente. I decreti dei monarchi, ad esempio, erano tutti firmati nel nome di Dio. I Re di Francia stendevano i loro decreti nel modo seguente: "Noi -per esempio- Luigi XIV, per grazia di Dio Re di Francia e di Navarra, per il buon servizio di Dio e nostro, siamo a decretare che... ".
La Chiesa era la voce con la quale lo Stato pregava ufficialmente. Quando c'erano feste o lutti, questi assumevano espressione religiosa; in occasione delle vittorie si cantava il Te Deum; se c'erano delle guerre si diceva una Messa di Requiem o un De Profundis per l'anima di coloro che morivano nella lotta; in caso di sconfitta si celebrava una Messa perchè Iddio aiutasse il popolo. Il Santissimo Sacramento di passaggio per le strade aveva diritto agli onori di un monarca, e tutti erano obbligati ad inginocchiarsi, persino le truppe in sfilata, in segno di riconoscimento che ivi c'era il vero Dio.
"Doucer de vivre" - riminiscenze dell'atmosfera sacrale del medioevo
L'Antico Regime fu un periodo complesso, nel quale il neo-paganesimo, che è culminato nel XX secolo con la crisi attuale, cominciava già a mostrarsi. Ma è anche vero che molte tradizioni cristiane di distinzione, altezza di spirito, armonia dell'anima, conservavano un grande vigore. Valori preziosi, che rendevano umana la convivenza sociale e che derivavano dal fatto che la civiltà era fondata sui beni dell'anima più che su quelli del corpo.
Il padre di famiglia conservava ancora quella vecchia dignità patriarcale, alla cui ombra vivevano tutti. Vediamola gustosa descrizione della fine di una giornata di una famiglia rurale.
"All'imbrunire, durante la cena, tutta la famiglia si trova riunita; il padre si pone come un patriarca di fronte ad un gruppo numeroso, poichè comunemente erano 22 le persone che sedevano a mensa, includendo il conduttore dell'aratro, i lavoranti del vigneto, il contadino col suo aiutante, oltre a due domestiche della casa. Tutto questo popolo si sedeva ad una sola mensa, il capo famiglia a capotavola vicino al focolare, la sposa al suo fianco badava che i commensali fossero serviti. Le domestiche, dopo una dura giornata restavano sedute, aspettando che le servissero, all'altro capo della tavola. Dopo gli sposi sedevano i figli, in ordine di età, seguiti dagli operai della fattoria, ognuno con un suo posto ben determinato. La cena diveniva perciò una riunione di famiglia, comprendendo in questa espressione, secondo le buone abitudini, i dipendenti della casa e il personale di servizio. Durante il giorno la diversità delle occupazioni non permetteva un momento di incontro di tutti. Dopo la cena, il capo famiglia faceva leggere alcune pagine della Sacra Scrittura, dando qualche spiegazione o facendo alcune considerazioni spirituali. Poi si faceva una piccola preghiera comune e i più piccoli prendevano le ultime lezioni di catechismo. Alla fine della giornata tutti andavano a coricarsi in silenzio, poichè, dopo la preghiera, le risa e le conversazioni ad alta voce erano proibite. Nei pomeriggi piovosi, sempre lunghi, il padre di famiglia, dopo la lettura del catechismo, racconta qualche storia, narra vecchie leggende della regione o commenta le novità. Chi vuole può fare le sue osservazioni, scoppiano le risa, l'ambiente è allegro. In tempo d'Avvento, si cantano vecchie melodie del Natale".
La cordialità nel tratto fra i signori e i loro servitori, in Francia si mantenne fino all'epoca della Rivoluzione. Nel 1760, un funzionario in visita ad un Duca, così commentava quel che vedeva: "Che meraviglia vedere in un giorno di festa un intero popolo venire al castello ed entrare in esso come se fosse a casa propria; i ragazzi e le ragazze vogliono guardare il signore del feudo da vicino, e quasi gli mettono la mano nel taschino per ammirare gli ornamenti dell'orologio, e tutto con grande familiarità, sempre piena di rispetto. Il buon Duca di Harcourt ascolta tutti e non lascia scontento nessuno, accomodando tutti i casi con una pazienza ammirabile".
Dell'Ammiraglio Conte di Chaffault si racconta che andava sempre per le sue terre, in Vandea, quando non era in missione. Passava il giorno tra i suoi contadini che andava a trovare nei campi. Si toglieva allora la sua bella uniforme e la lasciava appesa ad un albero perchè si metteva a guidare l'aratro. La venerazione ed il rispetto nei suoi confronti erano così grandi che tutti passavano davanti all'uniforme con grande riverenza; i contadini si toglievano il cappello davanti all'uniforme dorata, conquistata nel corso di un assedio, durante un intervallo tra due battaglie dell'Ammiraglio; le donne facevano un inchino nel passare.
Un famoso quadro del pittore spagnolo Velasquez -"Laresa di Breda"- ci mostra come, persino nella guerra, predominava la cortesia ed il tratto elevato: il marchese di Spinola, comandante delle truppe di Filippo II, riceve dalle mani di Giustino di Nassau, a Breda nei Paesi Bassi, le chiavi della città, che capitola dopo un'intrepida resistenza. La scena si svolge sul campo di battaglia, in un ambiente strettamente bellico. Ciò nonostante, l'incontro ha una nota di distinzione e affabilità che ricorda una scena di salotto. Giustino di Nassau, essendo stato sconfitto, si presenta col cappello in mano e consegna le chiavi curvandosi leggermente. Spinola, per rispetto al valoroso sconfitto, è anch'egli a capo scoperto. Dietro a lui, i gentiluomini del suo seguito, lo imitano. Il capo dei vincitori, nello stesso tempo in cui si inchina lievemente, trattiene col braccio la riverenza del gentiluomo fiammingo, e il suo sembiante è impregnato di simpatia e di considerazione. Egli elogia l'avversario per la brillante resistenza, rendendo ameno in modo cavalleresco quel che l'atto di resa ha di amaro per lo sconfitto.
Come
per il cristiano non esiste una filosofia a sé stante,
così non esiste per lui neppure una Storia puramente umana...
la Storia rappresenta il grande palcoscenico sul quale si dispiega nella sua interezza
l'importanza dell'elemento soprannaturale,
sia quando la docilità dei popoli alla fede consente a tale elemento di prevalere
sulle tendenze basse e perverse presenti nelle nazioni come negli individui,
sia quando esso si indebolisce e sembra sparire a causa del cattivo uso della libertà umana
che porterebbe al suicidio degli imperi...
così non esiste per lui neppure una Storia puramente umana...
la Storia rappresenta il grande palcoscenico sul quale si dispiega nella sua interezza
l'importanza dell'elemento soprannaturale,
sia quando la docilità dei popoli alla fede consente a tale elemento di prevalere
sulle tendenze basse e perverse presenti nelle nazioni come negli individui,
sia quando esso si indebolisce e sembra sparire a causa del cattivo uso della libertà umana
che porterebbe al suicidio degli imperi...
(Dom
Prosper Gueranger O.S.B., Abate di Solesmes)