domenica 6 maggio 2012

164° anniversario della battaglia di Santa Lucia (6 Maggio 1848 - 6 Maggio 2012).

 Battaglia di Santa Lucia (6 Maggio 1848)


L'Associazione legittimista Italica, nel 164° anniversario dalla battaglia di Santa Lucia , dedica un articolo in onore dei soldati Austro-Lombardo-Veneti che si sacrificarono per la buona causa, in nome del legittimismo e del vero amor di Patria contro l'usurpazione rivoluzionaria.

La battaglia di Santa Lucia fu un episodio della così detta "prima guerra d'indipendenza italiana". Ebbe luogo il 6 maggio 1848, quando il Re di Sardegna, il tentenna Carlo Alberto, lanciò il I Corpo d'armata dell'esercito Sardo-Piemontese all'assalto delle posizioni che l'esercito Austro-Lombardo-Veneto del feldmaresciallo Radetzky teneva sul rideau fortificato, avanti le mura di Verona.

Il 18 marzo 1848 ebbero inizio le cinque giornate di Milano. Il comandante dell'esercito del Lombardo-Veneto, feldmaresciallo Radetzky abbandonò la città dopo cinque giorni per evitare di usare l'artiglieria pesante e cannoneggiare  quella  che ormai era divenuta la sua città . Contemporaneamente manifestazioni, innescate da circoli liberali, si ebbero in diverse città del Regno .
Il giorno dopo la evacuazione del Radetzky da Milano, il re di Sardegna Carlo Alberto, approfittando del momento di confusione generale,  dichiarò guerra all'Austria ed attraversò il Ticino. L'esercito era organizzato su due corpi d'armata, il 1° affidato ad Eusebio Bava, il 2° a Ettore Gerbaix di Sonnaz.
L'inizio della campagna militare per Carlo Alberto fu tutto sommato semplice: Aveva ingannato i governi della Penisola per avere appoggi militari e l'esercito Imperial-Regio si trovò in una situazione critica dovuta dalla particolare situazione in cui si trovava l'Europa in quel nefasto 1848.
Concentrata attorno a Verona restava, comunque, una forza importante, dietro solide fortificazioni. Ma la truppe, dall’arrivo delle notizie della rivoluzione viennese, non aveva ottenuto ancora vittorie. Salvo lo scontro con i  volontari della coalizione a Castelnuovo.
L’esercito, inoltre, non poteva contare su rinforzi, salvo i reparti tirolesi, sempre fedeli . Un corpo di armata di riserva, in effetti, era in riorganizzazione oltre l’Isonzo, agli ordini del Nugent, ma avrebbe dovuto aprirsi la strada attraverso l’intero Veneto costellato da sacche di riolta liberali: Udine, Treviso, Vicenza e la  Venezia del Manin, senza contare le fortezze di Palmanova ed Osoppo.
Per finire, la situazione politica a Vienna era estremamente instabile, a seguito della rivoluzione viennese: l’opinione pubblica liberale  diffidava del vecchio feldmaresciallo considerato da loro come un bastione dell’assolutismo monarchico. Tanto che presso di lui avevano trovato rifugio l’Arciduca Alberto, inviso per il più che giusto trattamento inferto ai liberali, da governatore militare di Vienna. E che al Radetzky era stato mandato anche un giovane rampollo, Francesco Giuseppe, nipote dell’imperatore , Ferdinando I e destinato a succedergli di lì a pochi mesi.
In poche parole, quindi,  Carlo Alberto pensava che, se fosse riuscito a neutralizzare l’esercito di Verona, la guerra si sarebbe presto conclusa.
In una simile situazione, l’esercito del Radetzky non poteva far altro che chiudersi dentro le nuove mura di Verona, ed attendere tempi migliori.
La città di Verona disponeva di un imponente sistema di fortificazioni, ricostruite a partire dal 1833, sotto impulso proprio del Radetzky (dal 1834 comandante dell’esercito  nel Lombardo-Veneto).
In particolare il fronte sud-sud ovest, verso la pianura, era difeso da sette bastioni, con fossati, casematte, gallerie di contromina, strada militare interna, polveriere a prova di bombardamento e 192 cannoni. Oltre si estendeva il cosiddetto campo trincerato, meglio noto come rideau, lungo la cinta del terrazzo fluviale atesino, sulla linea Adige-Chievo-Crocebianca-San Massimo-Pellegrina-Santa Lucia-Tomba-Adige, con avamposti a Zamponi, Feniletto e Dossobuono.
Esso era stato concepito per avanzare la linea di difesa, allontanando la città-fortezza dal tiro delle artiglierie nemiche. Ciò che lasciava alla grande cinta il mero compito di respingere incursioni delle truppe nemiche, ovvero di fungere da ultima difesa.
Purtroppo, dei forti previsti lungo tale linea avanzata, erano stati realizzati solo quelli al di là dell’Adige. Tanto che quando Carlo Alberto giunse in prossimità, Radetzky dovette affidarsi ad una linea leggera, ma attestata sugli abitati (e sui cimiteri). Tuttavia ben concepita, facendo tesoro di una lunga pianificazione.
Carlo Alberto, tuttavia, intendeva, con la sua follia,  condurre una campagna più tradizionale, che non rinunciasse alla conquista delle due fortezze che si era lasciato alle spalle: Peschiera e Mantova. In fondo, questo era l’obiettivo per cui aveva condotto la battaglia di Pastrengo.
Esclusa, quindi, la possibilità di condurre un secondo assedio, contemporaneamente a quello di Peschiera, restava da esplorare la eventualità che la cellula liberale presente a Verona, informata della recente vittoria, alla vista dell’esercito sardo riuscisse a innescare l'ennesima  rivolta, costringendo in  difficoltà la, pur nutritissima, guarnigione.
Accadde così che Carlo Alberto lasciasse a riposo il 2° a di Sonnaz, che si era appena battuto, mentre ordinava al 1° affidato del Bava, di condurre una energica ricognizione (o esplorazione offensiva) sotto Verona.
Scopo dichiarato della iniziativa era l’occupazione delle alture del rideau, che avrebbe potuto ridursi ad una semplice dimostrazione di forza, ovvero provocare a battaglia le truppe dalla città, facilitando l’eventuale insurrezione dei nuclei liberali Veronesi.
Decisione che venne comunicata il pomeriggio del 5 maggio, in occasione di un consiglio di guerra tenuto da Carlo Alberto presso il quartier generale di Sommacampagna, alla presenza di tutti i generali di divisione.
Le forze complessivamente a disposizione dei due generali erano:
  • 51 battaglioni, ognuno di circa 800 uomini, 36 squadroni di cavalleria, 82 pezzi da campagna. Un totale di circa 50 000 uomini, tenuto conto di circa 800 uomini per battaglione, 250 per squadrone e circa 10 per pezzo.
  • 33 battaglioni, ognuno di circa 1 000 uomini, 36 squadroni di cavalleria, 84 pezzi da campagna, oltre ai 192 pezzi piazzati sulle mura. A questi, Radetzky aggiungeva 5 battaglioni a guardare la strada di Vicenza, 7 nella fortezza di Mantova, 1 a Peschiera. Un totale di circa 56 000 uomini, tenuto conto di circa 1 000 uomini per battaglione, 250 per squadrone e circa 10 per pezzo.
A questi andavano sottratte le truppe impegnate in fortezza: 13 000 circa per Radetzky, ed 8 000 per Carlo Alberto, che aveva lasciato la 4ª Divisione del 2º corpo, formata dalla Brigata Pinerolo e dalla Brigata Piemonte, guidate dal Federici, a bloccare Peschiera e tenere Pastrengo.
Intorno a Verona entrambe i contendenti potevano, quindi, contare su circa 42 000 uomini.  Il rideau era difeso da soli 10 battaglioni (10 000 uomini), ma assai ben fortificati.


L’esercito attaccante venne diviso su tre colonne[1]:
  • la colonna di sinistra, su Crocebianca, affidata alla 3ª Divisione del 2º corpo, formata dalla Brigata Savoia, dalla brigata Savona e dal battaglione parmense, guidata dal Broglia
  • la colonna di centro, su San Massimo, affidata alla 1ª Divisione del 1º corpo, formata dalla Brigata Regina e dalla Brigata Aosta, guidata dal d'Arvillars ma accompagnata dal comandante della battaglia, Bava
  • la colonna di destra, da Villafranca su Santa Lucia, affidata alla 2ª Divisione del 1º corpo, formata dalla Brigata Casale e dalla Brigata Acqui guidata dal maggior generale marchese Passalacqua
  • la cavalleria avrebbe dovuto tagliare la ritirata alle truppe nemiche stanziate a Tomba
  • la divisione di riserva, composta dalla brigata Guardie e dalla Brigata Cuneo affidata al —, si sarebbe tenuta a distanza per assecondare l'urto della divisione centrale.
Come d’uso, ogni colonna sarebbe stata accompagnata da cavalleria e formazioni di bersaglieri.
Giunte in prossimità del punto di attacco, le colonne si sarebbero arrestate, in attesa di essere raggiunte da una grossa retrovia d’artiglieria e cavalleria: tale linea di sosta era prevista in una zona teoricamente adatta, in quanto posta fra piccole colline.


La manovra ebbe inizio alle sette del mattino del 6 maggio, ma fu rallentata da due gravi circostanze:
  • la scarsa conoscenza del terreno, dovuta alla quasi nulla attività di esplorazione condotta nei giorni precedenti. Un fenomeno, probabilmente, legato all'incapacità dei comandanti e dalla poca motivazione dell’esercito sardo. Questo fenomeno, tuttavia, dovette essere ben chiaro ai contemporanei, che dovettero attribuirgli la giusta importanza, considerato che il Cattaneo, dall’esilio, nel 1849, si divertiva, a ragione, a schernire gli “officiali che non avevano carte geografiche. Né si trattava d'imprevista e strana spedizione in Africa o in Asia … ma in quello che … fu sempre il campo classico delle battaglie”[2].
  • il ritardo nella consegna degli ordini di manovra. Alcuni dei reparti sardi, tuttavia, giunsero alle posizioni assegnate con grave ritardo. Ciò a causa del ritardo con cui erano giunti gli ordini di marcia, diramati solo dopo le sei di sera del giorno precedente, al termine di un consiglio di guerra tenuto da Carlo Alberto presso il quartier generale di Sommacampagna, alla presenza di tutti i generali di divisione. Ad esempio, alcuni reparti stanziati a Villafranca, vennero informati solo alle sette del mattino seguente.
Di tutte le colonne, solo quella al centro, che marciava all’avanguardia, fu in grado di raggiungere all’ora stabilita (le 9’30 circa) le posizioni austriache. Come previsto e d’uso, essa era composta dalla sola Brigata Aosta, ché la Brigata Regina seguiva a regolare distanza. Ma, anziché trovarsi di fronte a San Massimo, scoprì di trovarsi di fronte a Santa Lucia. E, peggio ancora, non v’era traccia della colonna di destra, partita, come s’è visto, in ritardo da Villafranca.
Qui Bava venne raggiunto dal sovrano, accompagnato dal ministro della guerra Franzini (che non abbandonarono più la prima linea). E sorpresi da un fuoco  ben maggiore del previsto. Occorre sapere che, nei giorni precedenti, il Bava si era dichiarato convinto che il rideau costituisse una semplice linea avanzata, con mera funzione di ritardare una azione offensiva.
Accadde così che, verso le 10’00, egli comandasse all’attacco la Brigata Aosta al non previsto obiettivo si Santa Lucia.

Occupazione di Santa Lucia 


Si trattava di un antico villaggio (nell’ottocento noto come Santa Lucia della Battaglia oggi Santa Lucia Extra), sufficientemente ampio da ospitare, dal 973, un oratorio dedicato a Santa Lucia e, dal 1178, un annesso "ospitale", retto da una comunità di frati. Nell’ultimo mese esso era stato trincerato tutt'intorno, e difeso dalla brigata Strassoldo, ben schierati ed appoggiati ad alcune posizioni forti, a cominciare dal cimitero.
L’attacco venne condotto con iniziale vigore. Gli Austro-Lombardo-Veneti, si difesero tenacemente e i ripetuti assalti delle prime schiere sarde vennero infranti. L’artiglieria austriaca, in particolare, era ben schierata e protetta da forti trincee, mentre quella del
Bava, inferiore di numero e mal comandata, non poté sostenere adeguatamente l’assalto della Brigata Aosta.
Il tempo, tuttavia, giocava a favore dei Sardo-Piemontesi, in quanto si sapeva che tutte le brigate delle colonne centrale e destra si sarebbero ricongiunte, prima o poi, su Santa Lucia. La prima a giungere fu, verso le 11’00, la brigata Guardie della divisione di riserva (anch’essa indirizzata su San Massimo ma che, vedendo il comandante della giornata generale
Bava deviare,aveva saggiamente ritenuto di seguirlo). Subito schierata in linea, alla sinistra della Brigata Aosta, essa venne condotta dal Bava in persona alla conquista della Pellegrina (il caposaldo del rideau che congiungeva San Massimo a Santa Lucia).
Di lì Santa Lucia poteva essere minacciata di aggiramento. Minaccia che apparve tanto più sicura, quando, sul mezzogiorno, cominciarono a giungere i primi elementi della
Brigata Regina. Questa, che seguiva la Brigata Aosta verso San Massimo, vi era effettivamente giunta e, di lì, era stata deviata su Santa Lucia (ma la marcia avveniva fuori dalle strade principali, ed era stata rallentata, oltre che dall'incapacità generale dei comandanti,  dalla fitta rete di orti e vigneti che costellavano il territorio). Per maggior fortuna, giunse a Santa Lucia anche la Brigata Casale, avanguardia della divisione di destra. Che venne schierata a destra della Brigata Aosta.
Dopo le 12’30
Bava poté, in tal modo, condurre un assalto generale, in direzione concentrica: brigata Guardie e parte della Brigata Regina a sinistra, da Pellegrina, Brigata Aosta al centro, Brigata Casale a destra.
Alle 13’00 Santa Lucia fu presa, perchè  i difensori ricevettero l'ordine strategico di ripiegare dentro le
mura.
Nel frattempo, la colonna di sinistra, affidata al
Broglia (che assai meglio dei suoi colleghi  si era portato a Pastrengo), conduceva il previsto attacco su Crocebianca.
Anche qui, l’assalto era stato condotto follemente allo scoperto, contro un nemico superiore al previsto, per numero e fortificazioni. A soffrire era stato, in particolare, la brigata Savona, decimata dall'artiglieria austriaca.
Siché
Broglia dovette desistere, e ripiegare, anche perchè  realizzò che le truppe austriache a San Massimo non erano state per nulla impiegate. E minacciavano di aggirarlo.
Dopo la presa di Santa Lucia la truppa si arrestò per circa un’ora. Pare che
Carlo Alberto, portatosi all'estremità del villaggio, scrutasse la città, nell’attesa di scorgervi segni di una fantomatica , e al quanto improbabile, rivolta. Ovviamente non vedendone.
Lì venne raggiunto dalla notizia degli insuccessi dei paralleli attacchi a Croce Bianca: considerò la minaccia  dal centro e comandò il ripiegamento in direzione di Sommacampagna, per poi procedere ai rispettivi acquartieramenti.

Le perdite 

Al termine della giornata, i due eserciti aveva subito perdite numerose:
  • 110 morti e 776 feriti, contro circa. Incluso il colonnello Ottavio Caccia, dell’Aosta.
  • 72 morti e 190 feriti e 87 prigionieri Austro-Lombardo-Veneti. Tra le cui file caddero anche alcuni alti ufficiali, come il feld-maresciallo Salis, e gravemente feriti il generale principe Schwarzenberg, il generale Strassoldo e tre colonnelli.
Prime si mossero, incolonnate per battaglioni, la Brigata Aosta, e la brigata Guardie, che più a lungo avevano partecipato al combattimento. A copertura vennero lasciate le unità che non aveva partecipato ai combattimenti: la Brigata Acqui, sulla destra e la Brigata Cuneo, a Santa Lucia, comandata da Vittorio Emanuele.
L’erede al trono di Sardegna doveva spiegare un reggimento davanti a
Santa Lucia, l'altro un chilometro più indietro a battaglioni scalati in direzione di Sommacampagna, con artiglieria negli intervalli dello schieramento e la cavalleria alla retroguardia.
Avvedutosi del ripiegamento
Radetzky (che aveva seguito gli sviluppi della battaglia dal Bastione di Santo Spirito) fece uscire truppa da Verona per una controffensiva.Vittorio Emanuele se la cavò perchè  gli Austro-Lombardo-Veneti ,in numero scarso e con l'ordine tassativo di constatare le forze nemiche e la situazione generale, vennero fortunatamente respinti dalla Brigata Cuneo, superiore di numero.
In tale modo la ritirata poté svolgersi, almeno per la divisione di centro, con tutt'ordine e calma. Mentre quella della divisione di destra, venne attaccata da radi reparti avanzati fra le colline.
Per spiegare questi curiosi avvenimenti, occorre considerare che le forze impegnate dal
feldmaresciallo nell’apparente contrattacco furono relativamente modeste: appena sette battaglioni di fanteria, una batteria ed uno squadrone di cavalleria. Pare ben difficile immaginare che una simile piccola colonna avrebbe realmente potuto impensierire due intere brigate, anche se dell'Esercito Sardo-Piemontese.
 Si trattò, probabilmente, di una mossa volta:  a dimostrare all’esercito  ed al popolo di
Verona che il feldmaresciallo non rinunciava al combattimento,  a far capire che la rioccupazione di Santa Lucia e della Pellegrina, lasciate libere dai Sardi, erano avvenute grazie ad  un eroico contrattacco austriaco.
Se la Cuneo avesse ceduto, infatti, la sterile vittoria
sarda si sarebbe trasformata in una piccola sconfitta.

La vera preoccupazione del
Radetzky, infatti, aveva a che fare con l’atteggiamento dei liberali  veronesei, anche se erano in netta minoranza se messi a confronto con l'intera popolazione Veronese. La mattina  pubblicò un proclama in cui testualmente affermava:
« Si confida nel buon senso della popolazione, che ella valuterà le tristi conseguenze di qualunque sedizioso movimento e non porrà l'autorità militare nella necessità dolorosa di fare in tale emergenza manovre in città. »
La propaganda liberal-risorgimentalista fece credere che egli , l’11 aprile, aveva voluto dimostrare la propria "crudeltà" e determinazione consentendo l’osceno saccheggio del vicino borgo di Castelnuovo, lasciando decine di morti fra la popolazione inerme. Questa è una delle innumerevoli menzogne propagandistiche che nulla hanno a che vedere con la realtà, infatti  Radetzky non solo non saccheggiò il borgo ma nemmeno uccise alcun civile, eccezion fatta per un gruppetto di rivoluzionari intenti a creare pesanti disordini minando la sicurezza e la quiete pubblica.
In quel
6 maggio il feldmaresciallo sapeva perfettamente che buona parte della  popolazione stava con lui ed avrebbe seguito l’andamento della battaglia. Aggiunse al proclama:
« Viene riferito che gente curiosa vada su per i tetti e vi si raccolga in gran numero. Si notifica che ciò resta severamente proibito e che ogni contravventore a quest'ordine si esporrà a grave castigo. »

Tale ordine non deve essere frainteso. Esso infatti venne promulgato per evitare che i civili , incuriositi dalla battaglia, si arrecassero danno arrampicandosi sui tetti per scorgere lo scontro, ma anche per evitare che i nuclei liberal-rivoluzionari si trincerassero sui tetti e creassero probblemi.

Gli avvenimenti di quel giorno, quindi, non potevano lasciarlo del tutto soddisfatto il  Radetzky: egli  in tali circostanze  concepì la sua  controffensiva.

L’urgenza doveva essere tanta, tant’è che, appena la Cuneo sgombrò, non impegnata, Santa Lucia,
Radetzky prese a redigere l’edizione del Bollettino di Guerra pubblicato il giorno successivo. Con la sincerità che non l’avrebbe mai abbandonato, vantò, giustamente, una grande vittoria. E  si rammaricò di come l’esercito sardo avesse evitato una sconfitta totale unicamente a causa della natura del terreno, che aveva impedito l'impiego della cavalleria.
Affermazioni la cui consistenza può essere ben valutata alla luce:  dell’evidente strategico   mini-contrattacco austriaco, respinto, solamente per via di ordini successivi e per numero inferiore, dalla  Cuneo,  della circostanza che l’intera piana tra
Verona ed il rideau era stata disboscata, ed anche il ripiegamento sardo avveniva lungo stradoni larghi e dritti: ciò nonostante bisogna contare che la cavalleria austriaca non operò.
In una cosa, tra le tante, il
feldmaresciallo aveva ragione: la mancata sconfitta costituiva già un miglioramento rispetto a Milano, al ponte di Goito o a Pastrengo.


Bilancio della giornata 

La chiave per una corretta interpretazione della giornata sta, probabilmente, nell’incapacità dell'esercito sardo , anche a  Crocebianca. Qui l’attacco si era svolto secondo i piani (sebbene in ritardo): una colonna compatta aveva assalito uno dei punti forti del rideau. Ed era stata respinta. Per converso Santa Lucia era stata conquistata dall’attacco congiunto di tre brigate.
Il piano di battaglia concepito dal Bava e corretto dal Franzini, quindi, non era del tutto disequilibrato, in quanto la concentrazione di quattro brigate su San Massimo,ne avrebbe, improbabilmente, consentito un'effimera  conquista. Mentre la previsione di prendere Crocebianca e Santa Lucia con due brigate ciascuna, peccava, chiaramente, di una evidente sottovalutazione delle fortificazioni .
La deviazione del Bava su Santa Lucia, quindi, aveva effettivamente causato la mancata conquista di un secondo caposaldo.
Ciò nonostante, San Massimo avrebbe potuto essere preso il giorno successivo se non fosse stato per la chiara ostilità cittadina.

Le posizioni raggiunte, inoltre, come avevano ben servito alla difesa austriaca, lo stesso non si sarebbero dimostrate inutili ai Sardi. Poste com’erano sull’orlo superiore del terrazzo fluviale dell’Adige e, quindi, in posizione relativamente dominante rispetto a Verona. Una posizione eccellente, infine, per tenere sotto i cannoni le mura e la vasta antistante spianata.
La truppa, infine, aveva dimostrato un tutto sommato scarso spirito combattivo, attaccando con scarsa vivacità e sostenendo il combattimento staticamente per lunghe ore.

Ma era soprattutto la posizione strategica ad offrire una occasione:  una volta occupato l’intero rideau, si sarebbero definitivamente interrotte le comunicazioni di Verona con Mantova e con Legnago e  si sarebbe mantenuto un contatto diretto con l’esercito romano del Durando, stanziato a Vicenza. Impedendo, in tal modo, le due successive azioni del Radetzky su Vicenza.
Al debito caso, infine,  i liberali di Verona avrebbe potuto ribellarsi, e Carlo Alberto avrebbe anche potuto tentare una azione diretta contro la stessa Verona.Ma il numero era a favore dei legittimisti e non dei liberali, fortunatamente.
La inopinata decisione del sovrano di ripiegare, invece, rese sterile il blando posizionamento. A posteriori, segnò, anzi, la fine dell'iniziativa sarda. Che avrebbe consentito all'esercito asburgico di riprendere a manovrare.

Curiosità


Alla battaglia assistette, come accennato, anche Francesco Giuseppe, diciassettenne , che ricevette li il suo "Battesimo del fuoco".
Si distinse particolarmente a S. Lucia il 45° Reggimento Arciduca Sigismondo, composto interamente da soldati Veronesi e Rodigini. In particolare, il 3° battaglione, aggregato alla Brigata Strassoldo, fu schierato sull’estrema sinistra del fronte austriaco tra S. Lucia e la località Colombara, sostenuto da 4 compagnie di granatieri D’Anthon anch’essi italiani. In questo punto, come è noto, si esercitò il massimo sforzo offensivo dei piemontesi, che però non riuscirono a penetrare profondamente nello schieramento imperiale, e vennero ben presto ricacciati. Ancor’oggi, un monumento funebre eretto nel decimo anniversario della battaglia, ricorda i nome dei caduti imperiali del 45°: il tenente nobile Carlo Baravalle di Blaken-burg, il caporale Antonio Sandroni, il sotto caporale, Bortolo Vettore, il gregario, Giuseppe Boldrini, Teodoro Pietropan, Guglielmo Bonfanti, Antonio Lavin, Angelo Boesso, Biagio Terrini, Giovanni Bruschetta, Antonio Bolesani, Lorenzo Orlando, Antonio, Polastri, Giacomo Antonini, Sperandio Gambirasio.
Molti furono i Lombardo-Veneti che si comportarono da veri eroi combattendo contro il Tricolore rivoluzionario. Vennero insigniti di molte medaglie al valore , e furono menzionati con grande apprezzamento dal Radetzky nel bollettino di guerra.
Anche altri Reggimenti, con forte componente Lombardo-Veneta, si distinsero quel 6 Maggio, come il 44° Reggimento Arciduca Alberto che era composto interamente da Milanesi.
Fonti:

Wikipedia

http://www.traditio.it/SACRUM%20IMP/SACRUM-APP.htm

Gilberto Oneto

Scritto da:

Redazione A.L.I.