Voglio ricordare che tale documento e stato scritto da un testimone dei fatti,quindi data la preziosa importanza del testo ne consiglio un attenta lettura.
Il 2 Ottobre corse a S. Maria il Ministro della guerra Cosenz; prese il comando di tutta l'oste garibaldina, ed ordinò fortificazioni da e per ogni dove. Dall'arsenale di Napoli si cavò tutto il bisognevole, per fortificare S. Maria, S. Angelo e S. Tammaro, con fossati, barricate, feritoie, munendole con cannoni, e sbarrando ogni via d'onde potevano venire i regï. I duci napoletani invece d'impedire quelle opere, si baloccavano riunendosi a discutere se doveano o no continuare le ostilità. Garibaldi intanto con un'altra proclamazione promettea danari, - i Banchi erano a sua disposizione, - ed onori a' soldati ed uffiziali regï che disertassero dalle bandiere del Re. Quella proclamazione non ebbe alcuno effetto, e fu respinta come le altre, dappoichè neppure un soldato abbandonò le proprie bandiere.
Frattanto che i duci regi discutevano, ed i garibaldini si fortificavano, gli Abruzzi, la Campania e le Puglie erano in perfetta anarchia, e molti paesi reagivano contro i rivoluzionarii. Un de Lucia, speziale fatto governatore di Campobasso, e con poteri illimitati, corse ad Isernia con una masnada di rigeneratori e la saccheggiò, danneggiando specialmente il palazzo arcivescovile, perché quella piccola Città avea reagito contro l'esorbitanze liberalesche, e perché il proprio Vescovo Monsignor Saladino pativa e gl'insulti e la cattività dei liberali.
Appena però de Luca intese che si avvicinava il Maggiore de Liguori con 360 gendarmi appoggiati da un battaglione della guardia reale, da due cannoni, e da un plotone di Cacciatori a cavallo, fuggì assieme agli altri caporioni portandosi il repulisti che avea fatto; non avvertendo della sua fuga il resto delle bande da lui guidate. All'arrivo della truppa in Isernia, i garibaldini vollero dar resistenza, ne morirono circa 100 e 55 furono fatti prigionieri. La popolazione diede loro addosso senza dar loro quartiere, e non pochi furono salvati da' soldati contro il furore popolare. I liberali d'Isernia all'arrivo del governatore de Luca, saccheggiarono le case de' borbonici, e costoro al giungere di de Liguori, saccheggiarono le case de' liberali. Di modo che, la disgraziata Isernia, in 24 ore fu saccheggiata ed insanguinata due volte!
Un certo Jadopi, liberale, che nella reazione d'Isernia avea avuto ucciso il figlio, corse a Napoli ed ottenne che si mandasse Nullo per combattere i regï e castigare esemplarmente la sua patria. Nullo partì da Campobasso con tre battaglioni detti l'Etna, la Maiella e il Gransasso. Si afforzò per la via di una masnada di vagabondi buoni solamente a rubacchiare. Dovea seguirlo de Marco da Maddaloni con altri garibaldini,
e Pateras dagli Abruzzi, per istringere Isernia da tutti i lati. De Liguori non avea che mille uomini gli altri aveali inviati a Teano: avea però con sè tutte quelle popolazioni favorevoli, e molti villani armati di fucili e di arnesi rusticani.
La fama strombazzava Nullo il prode dei prodi, uno de' mille, e si raccontavano sul suo conto prodezze come un novello Achille. Però arrivato vicino Isernia, ed appena assalito dai soldati, fuggì..! e più non si vide..! I garibaldini condotti da Nullo che veramente diede prove di nullità rimasero senza capo e senza guida, e combatteano in disordine: furono stretti da ogni parte dalla popolazione, che ne fece un macello. Una gran quantità di que' malcapitati fuggì sopra un colle, ed incalzata anche colà, scese al piano, ove fu la maggior parte uccisa anche dalle donne accorse armate di scuri, di spiedi e di pietre. Di que' garibaldini ne sopravvissero soli 372 perché caddero nelle mani de' soldati.
Pochi fuggirono per Castelpetroso lasciando bandiere, cavalli e salmerie. De' regï fu ucciso un gendarme e pochi soldati feriti.
Tutto il distretto d'Isernia si sollevò contro i rivoluzionarii, e sebben que' popolani non avessero buone armi, nondimeno affrontarono de Marco accorrente da Maddaloni, il quale a sua volta fuggì a fiacca-collo, perdendo molti de' suoi, perché inseguiti dai villani a colpi di pietre. Tutti questi conduttori di masse disordinate, dimostrarono che erano solamente buoni a taglieggiare e saccheggiare le popolazioni, ed inveire contro i vescovi ed i preti pacifici.
Il sig. Lisck de la Grange, scrittore di cose tattiche e veterano valoroso, che avea un figlio nell'esercito napoletano, volle il permesso dal re per formare una brigata di volontari, e ne ottenne il decreto il 16 settembre. Organizzò quattro battaglioni, ed egli che servito avea nell'esercito del Papa, fu fatto Colonnello. La brigata la Grange operava negli Abruzzi, e soccorrea quelle popolazioni, quando erano taglieggiate e tiranneggiate dalle bande rivoluzionarie.
In Sora ove si era proclamato il governo provvisorio, accorse la Grange, ed i ribelli fuggirono assieme al Sottintendente Colucci, il quale dirigendosi a Napoli, fu arrestato in Isernia, e non fu ucciso da' reazionari; perché si svelò Sottintendente regio; ma avea già ricevuto un colpo di scure sulle spalle!....
Tutto il distretto di Sora alzava le armi borboniche; tutti i governi provvisori erano stati distrutti, ed i garibaldini perseguitati. Costoro si riunirono nella Valle di Roveto, sul passo degli Abruzzi. Vi accorse la Grange con seicento uomini, e molte migliaia di villani, assalirono quelle bande rivoluzionarie presso Civitella Roveto, ne uccisero 40, e fecero un centinaio di prigionieri che mandarono a Sora.
Tagliacozzo si era ribellato per opera di un certo Vacca e di un Mastroddi; reagì il 1° Ottobre, abbassò le insegne garibaldine, ed alzò quelle borboniche. Il famoso Pateras e Finelli d'Isernia con un migliaio di vagabondi, corsero a Tagliacozzo, saccheggiarono le case più ricche, e molte ne abbruciarono: avendo inteso che si avvicinava la Grange, fuggirono col bottino a Pescara.
Avezzana senza soccorso di truppa reagì l'11 ottobre, lo stesso fece Cicolano il 20. I faziosi si erano raccolti a Petrella, d'onde, armati, con tamburi e trombe, si accostarono a Tagliacozzo.
I villani si armarono di scuri e di qualche fucile, e lor dettero addosso: quelle masse furono sperperate ed inseguite da' popolani sino allo Stato Pontificio da quella parte occupata dall'esercito piemontese.
Andrei per le lunghe se volessi raccontare tutti i fatti delle reazioni che accaddero nel mese di settembre ed ottobre del 1860 sotto il governo della dittatura nelle province del Regno, e specialmente negli Abruzzi e nelle Puglie. In queste ultime province si levarono a tumulto contro i rivoluzionarii Montesantangelo, Mattinata, Peschici, Vico, Accadia, Montefalcone, S. Bartolomeo, Apricena, S. Giovanni Rotondo, e tanti altri paesi tanto delle Puglie che dalla Capitanata.
Il fortino di Baia, poco distante da Napoli capitolò il 14 ottobre. Quel piccolo forte era difeso da 88 invalidi e 57 artiglieri, tutti comandati dal distinto maggiore Giacomo Livrea. Vi erano pochi cannoni, e mancava di ogni provvisione: avea solamente molta polvere mal custodita, e attesi i nuovi mezzi di guerra per offendere le fortezze, potea essere fatale a' difensori, in caso di un regolare assedio. Il 17 settembre si presentò al comandante Livrea il Sottintendente di Pozzuoli, e quasi ordinò cedere il forte a' rivoluzionari; il comandante si negò recisamente; e quello diede ordine che non si facessero più entrare viveri in quel forte. Il 26 una sortita di quella guarnigione d'invalidi fugò i garibaldini che si erano accostati a quella fortezza.
Livrea mandò a Gaeta, per mare tutta la polvere che avea superflua, e domandò i viveri per la guarnigione. Però ingrossando il nemico intorno al forte, e perché mancavano i viveri, quel comandante dovè capitolare. Il primo ad entrare in quel forte fu Marino Caracciolo, disertore della marina militare borbonica, e vi trovò centosessantamila cartucce, ed altra munizione d'artiglieria. Il 5 arrivò da Gaeta una Tartana carica di viveri, e colui che la comandava vedendo la piazza in potere del nemico rifece la via e ritornò a Gaeta. I difensori di Baia per patto della capitolazione vollero tutti andare dal Re a Gaeta.
Il maresciallo Gaetano Afan de Rivera comandava nuovamente la divisione leggiera dei cacciatori, e trovavasi sulla linea destra del Volturno tra Triflisco e Pontelatone. Scrisse al generale in capo una lettera nella quale gli dicea, essere difficile mantenere quelle posizioni, perché il nemico ingrossava sulla sponda sinistra, che avrebbe potuto passare sulla destra sponda, e che la ritirata de' regï non si sarebbe potuta effettuare. Conchiudeva quella lettera con dire: non avere animo guerreggiare in quel luogo, e chiedo di essere disgravato dal comando. Ecco che cosa era quel Generale messo al comando di una delle migliori divisioni dell'esercito!
Ritucci corse a Triflisco, ove Afan de Rivera non avea animo di guerreggiare, impavido si espose al vivo fuoco delle batterie a Triflisco e l'altra sulla china del Monte Gerusalemme, comandate dal tenente colonnello Gabriele Ussani, per ribattere le batterie de' garibaldini costruite sulla via di S. Iorio e Gradillo, le quali erano desti nate a proteggere la costruzione di un Ponte. Le batterie regie smontarono quelle garibaldine, le fecero tacere, e si abbandonò il lavoro del ponte. E così il maresciallo Afan de Rivera si tranquillizzò! Intanto il generale in capo gli lasciò ancora il comando di quella divisione!
Con decreto dell'8 ottobre, il Re promosse a Tenentegenerale il maresciallo Giosuè Ritucci, a brigadieri i colonnelli Giovanni de Liguori, Gennaro Marulli, Carlo Grenet, Vincenzo Polizzy, Girolamo de Liguori, Tommaso Bertolini, Matteo Negri. Dello Stato maggiore, furono promossi a tenenti-colonnelli i maggiori Giovanni delli Franci e Giovanni Giobbe.
In que' giorni della prima quindicina di ottobre, il maggiore Guglielmo Beneventano del Bosco, il capitano Camillo Rossi, ed il tenente Enrico Sayz, abbandonarono i loro posti e l'esercito, lasciando solamente la domanda di essere sciolti da' vincoli militari. Gli uffiziali di onore e di cuore non presentano in quel modo la dimissione, ed in tempo di guerra principalmente, ciò significa disertare al nemico.Il dì 8 ottobre, mentre in Capua si trovavano i fratelli del Re, il Conte di Trani e quello di Caserta, Garibaldi fece avanzare i suoi contro gli avamposti regï, e questi ripiegarono sotto le batterie della fortezza. Appena l'oste garibaldesca fu a tiro de' cannoni, si cominciò a lanciar granate e quella fu costretta a fuggire in pieno disordine. Il generale de Liguori raccolse un buon numero di soldati di diversi corpi, inseguì i nemici, inchiodò alcuni cannoni, e giunse a S. Angelo, ove i regï si mangiarono la zuppa preparata pei garibaldini, e portarono a Capua prosciutti e formaggi che trovarono negli accampamenti del nemico. Sul tardi di quel giorno, Garibaldi assalì di nuovo i regï, e fu respinto di nuovo con altre perdite.
In quei fatti d'armi dell'8 ottobre morirono due soldati, e diciassette furono feriti. I garibaldini ebbero grandi perdite a causa della granate slanciate dalla batteria Speroni; il suolo era seminato di morti tra' quali due uffiziali superiori. Il Dittatore chiese al comandante la Piazza di Capua 24 ore di tregua per raccogliere gli estinti e seppellirli, gli fu accordato senza il permesso di Ritucci, che allora trovavasi in Triflisco tanto minacciato dal nemico.
Ne' giorni che seguirono l'8 ottobre si pugnò con accanimento tra i regï che occupavano le posizioni di Triflisco ed i garibaldini che occupavano quelle di S. Iorio: avvennero diversi fatti d'armi, ma senza alcun risultato ed interesse; quindi non giudico necessario raccontare piccole scaramucce che potrebbero stancare la pazienza de' miei lettori, e senza interesse alcuno per la storia. Que' combattimenti per lo più consistevano in un terribile duello tra l'artiglieria borbonica e la garibaldina, ove si distinsero il Tenente Colonnello Ussani, il capitano Fevôt, e molti uffiziali di artiglieria dipendenti da costoro.
Il 14 Ottobre, il Re chiamò a sè in Calvi il Generale in Capo Ritucci, e gli partecipò la notizia che l'esercito piemontese minacciava di invadere il Regno, e che in Napoli si preparavano a fare il Plebiscito. E quindi era suprema necessità tentare la sorte delle armi spingendosi all'offese contro Garibaldi per ricondurre a Napoli l'esercito vittorioso, pria che si facesse quel Plebiscito, che supponea non essere la vera volontà del suo popolo; ma un risultato di violenze e di brogli, de' quali i suoi nemici se ne avvarrebbero, per acquistare un titolo specioso e falso.
Ritucci sempre ragionando a suo modo fece osservare al Sovrano, che sarebbe stato fatale all'esercito ed alla dinastia rischiare un colpo decisivo contro i garibaldini senza la certezza di vincere;
dappoichè, dicea, che una disfatta toccata a' regï sarebbe perduta per l'avvenire ogni speranza di salvare l'indipendenza della Patria.
Il colloquio tra Francesco II e Ritucci durò circa tre ore; il Re dicea le sue ragioni politiche e militari che l'obbligavano immediatamente a prendere vitali risoluzioni contro gl'invasori ed i ribelli; e il Generale in capo opponendosi sempre, senza riflettere che era giunto il tempo di operare risolutamente. Se costui avesse conosciuto (come sarebbe stato suo dovere) lo stato in cui si trovava l'esercito garibaldino, al certo, smesse quelle sue incertezze, e gli scrupoli, che ormai cominciavano ad essere colpevoli, avrebbe secondate le mire del Re. Costui aveagli detto che l'esercito piemontese si preparava ad invadere il Regno di Napoli, perché Garibaldi non avrebbe potuto sostenere un altro serio attacco come quello del 1° ottobre. Il provvedimentissimo Iddio che tutto regge e governa, per i suoi imperscrutabili fini, permise un fedele e prode soldato, qual'era Giosuè Ritucci, senza volerlo, col suo temporeggiare fosse stato causa non ultima della caduta dell'augusto trono delle due Sicilie!
Il Re, giovanetto umile e pio, non volle imporre le sue idee ad un vecchio generale, ma prima di lasciarlo, gli disse, che ritornasse in Capua, e discutesse co' generali Won Meckel e Polizzy le ragioni da lui dette che l'obbligavano ad un colpo decisivo contro il nemico, non restando più tempo da perdere.
Ritucci, ritornato a Capua, discusse co' due suddetti generali quanto il Re aveagli detto in Calvi, e tutti e tre furono di avviso, che per allora l'esercito dovesse stare sulla difensiva!
Che questi tre generali si fossero ingannati, e che il Re avesse ben giudicato di attaccar subito il nemico, lo prova il risultato, cioè che dopo pochi giorni ci trovammo in mezzo a due fuochi: i garibaldini di fronte e l'esercito sardo alle spalle. E se tutto questo dovea succedere, atteso quanto Francesco II avea detto a Ritucci, non fu un grandissimo errore lasciar l'esercito alla sola difesa del Volturno, senza tentare un'ultima prova? Se si fosse attaccato il nemico, come il primo ottobre, e costui ci avesse respinti e sbaragliati non sarebbe accaduto di peggio di quello che avvenne, cioè di ritirarci sulla seconda linea di difesa al Garigliano. Questo mio divisamento è quello di tanti illustri uomini di guerra; ed io respingo risolutamente il solito specioso detto di taluni, i quali dicono: altro è giudicare in simili casi in una comoda cameretta, assiso avanti un tavolino, che su' campi di battaglia; io rispondo a costoro che il mio giudizio è identico a quello che trovo notato nel mio itinerario scritto quando mi trovavo avvolto in que' tristissimi avvenimenti di guerra: del resto mi appello agli uomini di buonsenso.
Ad onta che Ritucci avesse tutto disposto con segretezza, Garibaldi fu avvisato da' traditori che erano dentro Capua, che il dì 15 i regï doveano fare una sortita per distruggere alcuni casini d'onde erano molestati fin dentro la Piazza; né essendo egli forte abbastanza per opporsi, chiamò in fretta Bixio da Maddaloni, ed ottenne da Napoli due mila soldati piemontesi, cioè la brigata re, ed una compagnia di bersaglieri. Tutta questa gente, coadiuvata da' garibaldini di S. Maria doveano operare contro i regï.
Però la notte stando in sospetto di essere assalita trasse qualche fucilata; ciò fu sufficiente perché i napolitani si accorgessero dell'agguato che lor si tendea. Nonpertanto alle cinque del mattino del 15 ottobre uscì da Capua il Colonnello Vecchione alla testa di due battaglioni Cacciatori il 6° ed il 14°, con due drappelli di artiglieri comandati dal capitano Salasia, ed altri soldati del genio condotti dal capitano Catanzarini; il Vecchione era coadiuvato dal capitano del Re dello stato maggiore.
Di avanguardia marciò il 14° Cacciatori, e propriamente la 3° Compagnia comandata dal distinto capitano Sinibaldo Orlando, la quale si diresse verso due casini dal lato della Cappella de' Cappuccini, ove i garibaldini erano fortificati; il resto della colonna si avanzò lungo la consolare che mena a S. Angelo. Il capitano Orlando assalì con vero slancio ammirevole i posti avanzati, fugò il nemico snidandolo da quelle case rurali, e s'impadronì delle loro salmerie, facendo qualche prigioniero. Ma dopo poco tempo trovandosi compromesso, perché il nemico ritornò con forze maggiori, chiamò soccorso, ed ebbe un sol drappello di soldati guidati dal 2° sergente Cheli, il quale fu ucciso in quel conflitto. Il resto della colonna già avea assaltato altri casini e case rurali fortificate: ed in quel giorno tanto il 6°, che il 14° dei Cacciatori fecero prodigi di valore perché dovettero lottare contro forze quattro volte superiori, e che da un momento all'altro accrescevansi; dapoichè Garibaldi, oltre di tutte quelle forze che avea di fronte a' regï, ne chiamò altre da S. Maria e da Caserta. Quella sortita capitanata dal Colonnello Vecchione ebbe il suo pieno effetto, perché i regï si accertarono che il nemico non avea fatto lavori di approccio contro Capua, e se tutti i ricoveri de' garibaldini non furono distrutti, la maggior parte però furono adeguati al suolo, mercè l'opera de' due drappelli di artiglieri e soldati del genio.
Vecchione, ottenuto lo scopo della sua sortita, ordinò la ritirata, la quale si effettuò in modo lodevolissimo. I garibaldini, dopo che i soldati si erano ritirati pel cammino coperto della piazza, si cacciarono nel Campo di S. Lazzaro, ed al solito, furono orribilmente mitragliati lasciando morti e feriti, il resto fuggendo disordinatamente.
Questo fatto d'armi durò quattro ore; dei regï fu ucciso l'Alfiere Odorisio del 14° Cacciatori, il suddetto 2° sergente Cheli, che con tanto slancio era accorso a rinforzare il capitano Orlando compromesso in mezzo ad uno sciame di nemici. Morirono due soldati, e quaranta furono feriti. I piemontesi, ossia la truppa sarda, ebbe due uffiziali morti e sessanta soldati feriti.
Sin dal 15 ottobre Cavour cominciò a levarsi la maschera; difatti la truppa piemontese in quel giorno si mostrò sul campo di battaglia con l'uniforme sardo, e ne' sacchi di costoro presi da' Napoletani si trovarono le librette che ogni soldato regolare porta con sè.
Il 15 ottobre arrivò a Napoli la legione inglese reclutata la maggior parte ne' bassi fondi sociali di Londra. Quella legione era comandata dal colonnello Peard, chiamato il Garibaldi inglese. Si diceano mirabilia di quella massa di così detti soldati,
e fu ricevuta dai liberali napoletani con manifestazioni servili ed abbiette da stomacare anche i veri patrioti.
La legione inglese era così vantata che non servì a nulla, ed era costata mezzo milione di lire, di cui centomila furono raccolta in Inghilterra, il resto lo pagò la redenta Napoli.
(Estratto dal libro di Giuseppe
Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta).