GLI STATI GENERALI
Prima della Rivoluzione la Francia non era in alcun modo infelice, ma
diventò "uno Stato povero in un paese ricco" a causa di una crisi finanziaria.
Si è molto esagerato su questa crisi finanziaria, che, secondo quanto affermò
Mirabeau, uno dei capi della prima fase della Rivoluzione, avrebbe potuto
facilmente essere risolta in capo ad otto giorni. La situazione non era, quindi,
insostenibile. Ma una crisi intellettuale e morale aveva colpito l'anima
francese fin nelle sue profondità. Anche i più piccoli conflitti venivano
complicati fino a diventare esasperanti e, poi, disperati, mentre erano solo
situazioni difficili: i leaders rivoluzionari ne approfittavano per fare
esplodere la Rivoluzione.
Per tentare di risolvere questa crisi, nel 1787 si riunì un'assemblea di
notabili, e poi, di fronte all'insuccesso della stessa, fu lanciata l'idea della
convocazione degli Stati Generali. Gli Stati Generali erano un'assemblea di
origine medievale, costituita dai rappresentanti dei tre "stati" del regno,
cioè, il clero, la nobiltà e il popolo. Era un organo consultivo che veniva
convocato dal Re in vista di qualche questione particolarmente importante da
risolvere. Con l'avvento dell'assolutismo, i Re smisero di convocare questa
assemblea che non si riunì più per quasi 200 anni.
I rivoluzionari presentarono a Luigi XVI una falsa alternativa: o convocava
gli Stati Generali o avrebbe camminato verso la catastrofe. Il Re non percepiva
esattamente quel che succedeva. Intontito dal trambusto, crivellato di reclami,
perseguitato dai lamenti dei grandi signori liberali, disorientato dagli scritti
del Parlamento che descrivevano la Francia in fiamme, ingannato dai governatori
che dipingevano tutto a fosche tinte per liberarsi da una missione che pesava
loro, il Re di Francia immaginava di avere tutti i sudditi contro e cominciava a
desiderare una soluzione qualsiasi, un accordo, un rimedio. La convocazione
degli Stati Generali fu, nell'atmosfera di agitazione in cui si trovava la
Francia, uno dei grandi errori tattici di Luigi XVI. Era come gettare paglia sul
fuoco e incitare il paese all'agitazione, nel momento in cui era necessario
procurargli calma e tranquillità.
La sorte del paese venne compromessa in una avventura, nella quale il
Governo si era ficcato per la semplice ragione che non aveva osato né voluto
governare, quando aveva ancora la forza e i mezzi per farlo. Nelle elezioni per
la scelta dei rappresentanti del clero, della nobiltà e del "terzo stato", dei
1.165 deputati eletti quasi 900 erano simpatizzanti delle idee rivoluzionarie.
All'epoca esistevano i cosiddetti "cahiers de doléances" (che erano dei quaderni
per le lamentele degli elettori), dove i cittadini esponevano le loro
aspirazioni. Secondo questi documenti, il paese desiderava la libertà, la
scomparsa del dispotismo governativo, l'uguaglianza delle tasse, l'uguaglianza
civile. Tuttavia, un fatto molto curioso era la estrema somiglianza fra i testi
dei "cahiers de doléances" provenienti dai punti più diversi del paese. Ciò
solleva il forte sospetto che essi fossero stati preparati non solo dalla stessa
mano, ma anche dalla stessa testa...
I deputati si presentarono agli
Stati Generali divisi in due correnti; la prima, minoritaria, era formata
dai cosiddetti aristocratici e difendeva le istituzioni vigenti, la seconda
era formata dai cosiddetti
"nazionali" o "patrioti", costituiva la maggioranza, e difendeva i principi
rivoluzionari.
Era composta dai deputati del Terzo Stato, e appoggiata da importanti
elementi della nobiltà, come LaFayette, Condorcet, Mirabeau, e da elementi del
clero, come l'Abate Sieyès. Gli Stati Generali furono inaugurati il 5 maggio del
1789.
Fin dalla prima riunione sorsero attriti e l'ambiente cominciò a farsi
pesante; il primo conflitto serio
si verificò sulla forma della votazione. Secondo l'uso tradizionale, il
voto era dato per "ordine", cioè al momento di discutere un problema, il clero
aveva un voto, la nobiltà un altro e il popolo un terzo voto. I leaders
rivoluzionari proposero la sostituzione di questo sistema con quello del voto
per testa, cioè, la votazione sarebbe stata individuale e non più per classi.
Con questo sistema la maggioranza sarebbe sempre spettata al Terzo Stato, che
oltre ad un numero maggiore di deputati, contava su numerosi simpatizzanti fra
il clero e la nobiltà. Siccome non si giungeva ad un accordo, i deputati
rivoluzionari, contando sulla complicità della nobiltà e sull'appoggio decisivo
del clero, il 17 giugno si autonominarono Assemblea Costituente; Luigi XVI, al
quale ripugnava ogni metodo violento, cedette. Era l'inizio della
Rivoluzione.
L'ASSEMBLEA COSTITUENTE
Il giorno 17 giugno 1789 l'Assemblea Nazionale si trasformò in Assemblea
Costituente; il suo
obiettivo principale era di dare alla Francia una Costituzione. Con questo
lo Stato francese smetteva
di essere una monarchia assoluta per diventare una monarchia
costituzionale. Poiché l'assemblea si formò, come abbiamo visto, grazie ad un
atto di ribellione contro l'autorità regia, il suo esempio servì da stimolo
all'indisciplina: ovunque si verificarono dei moti e l'anarchia si
diffuse.
La caduta della Bastiglia
Il giorno 14 luglio, circa 600 ammutinati, dopo avere rubato fucili e
munizioni, si diressero alla
Bastiglia allo scopo di procurarsi altre armi. La guarnigione della
Bastiglia era composta da circa 60
invalidi e 30 soldati di un reggimento svizzero. Erano già tre mesi che
Parigi era infestata da individui cenciosi, riuniti non si sa come;
vagabondi dalla fisionomia selvaggia, "facce come non si ricordava di aver mai
visto in pieno giorno". Marat, insospettabile di avere tendenze reazionarie,
scrisse che la Bastiglia era stata attaccata da alcuni miserabili "forestieri o
provinciali" aiutati da soldati ammutinati, e che i parigini, attratti
dalla curiosità, avevano assistito a tutto come semplici spettatori.
Alcuni colpi furono sparati intorno a mezzogiorno, ed altri alle quattro.
Poi i manifestanti, essendo
riusciti a procurarsi un pezzo d'artiglieria, spararono un colpo di
cannone. La resistenza fu nulla. Gli
invalidi, raggruppati in un cortile del castello, non volevano lottare: si
parlamentava, scambiando
pezzi di carta per la fenditura del ponte levatoio ancora alzato.
Alcuni assedianti proposero di incendiare la Bastiglia; l'intera Parigi si
precipitò in via Saint-
Antoine. Certuni erano persino muniti di cannocchiali. Il quartiere era
ostruito da carrozze lussuose
ed eleganti. La Bastiglia capitolò alle sei. Gli attaccanti si lanciarono
contro la fortezza, invasero gli
alloggi degli ufficiali, ferendo, uccidendo, rompendo e rapinando. I
prigionieri, terrorizzati, si
tenevano trincerati nelle carceri. Furono tranquillizzati, abbracciati,
portati in trionfo: erano in tutto
sette: 4 falsari, due folli e un sadico. Sette martiri liberati erano
pochi, era deludente.
Chateaubriand, perso nella moltitudine, così descrive i vincitori della
Bastiglia: "Ubriachi e felici,
conquistatori da cabaret, a cui le prostitute e i sanculotti facevano
corteo...". I parigini "si tolsero il
cappello per rispetto alla paura, davanti a questi eroi, dei quali alcuni
morirono di fatica durante il
loro trionfo". Quanto agli ufficiali della Bastiglia, furono fatti a pezzi
sul momento, alcuni torturati fino alla morte. Il direttore de Lawnay, fu messo
in ceppi, trascinato fino allo "Hotel de Ville", e finalmente decapitato. Un
cuoco si sentì in obbligo di staccargli la testa dal tronco con l'aiuto di un
coltellaccio, perché, come disse, era abituato a tagliare carni. Poi, questa
testa insanguinata fu portata sulla punta di una lancia.
Grazie all'alone di gloria che si creò attorno alla caduta della Bastiglia,
il giorno 14 luglio 1789 fu
scelto come la data che separa l'Ancien Regime dai tempi moderni. Così, la
conquista di una vecchia prigione, quasi vuota e sorvegliata da alcuni invalidi,
fu la prima prodezza della Rivoluzione. Se il popolo in questa occasione
credette di essere salutato dall'aurora dei tempi nuovi, ed aver diminuito il
numero delle prigioni, il regno del Terrore gli avrebbe dimostrato
successivamente che nulla aveva capito dell'esercizio della libertà. Diversi
preti parteciparono all'assalto della Bastiglia, come Fauchet, che poi pronunciò
l'orazione funebre per coloro che erano morti, basandosi su un testo della
Scrittura: "Fratelli, siete chiamati alla libertà". Più di un Te Deum fu cantato
per commemorare questa prima vittoria rivoluzionaria.
La notte del 4 agosto 1789
La notte del 4 agosto, il visconte di Noailles propose dalla tribuna
dell'Assemblea Costituente
l'abolizione di tutti i diritti feudali.
Nonostante lo spavento dello stesso Terzo Stato, un altro nobile,
il ricco duca d'Aiguillon, difese calorosamente la mozione. Il vescovo di
Nancy reclamò l'estensione
della misura alle terre ecclesiastiche. L'Arcivescovo di Aix chiese che
fosse dichiarata nulla ogni
convenzione che riesumasse il regime feudale. Un deputato del clero della
Lorena, chiese la
soppressione degli "anatas", cioè, un tipo di imposta pagato alla Chiesa.
Tutti erano disposti a privarsi di privilegi secolari, che volevano deporre
sull' "altare della Patria": le città cedettero le loro immunità, i vantaggi
economici, le libertà municipali. Le province rinunciarono alle loro assemblee
locali, ai loro vantaggi finanziari e politici. Alle 4 della mattina, tutte le
vecchie istituzioni francesi erano scomparse: del glorioso passato non restava
nulla; quel che aveva costituito la gloria della patria di S. Luigi era stato
sacrificato senza rimorsi. Si svegliò un mondo nuovo, che però esigeva il
sangue di nuove vittime per vivere.
La Dichiarazione dei diritti dell'uomo
Sempre nel mese di agosto, fu approvata dalla Costituente la "Dichiarazione
dei diritti dell'uomo e
del cittadino", magna carta della Rivoluzione francese e dell'era storica
da essa inaugurata.
In questo documento la tesi egualitaria si esprimeva in tutta la sua
nudità: "Gli uomini nascono e
rimangono liberi ed uguali nei diritti". Il testo della famosa
dichiarazione era generico: affermava la
libertà e l'uguaglianza senza menzionare qualsivoglia restrizione,
favorendo così un'interpretazione
piatta e negativa di uguaglianza e libertà assolute e senza limiti.
Era questa l'interpretazione che rispondeva allo spirito rivoluzionario
nascente. Per tutto il suo
corso, la Rivoluzione andò progressivamente eliminando i suoi stessi
partigiani che non
condividevano questo spirito.
L'attacco al palazzo di Versailles
In ottobre si diresse a Versailles un'orda guidata da un gruppo di donne
della più bassa condizione,
per costringere il Re ad approvare le nuove misure rivoluzionarie. La
guardia ricevette l'ordine di
non sparare: il Re detestava le violenze. La turba invase i cortili,
abbatté le porte, penetrò nel
palazzo e giunse fino agli appartamenti della Regina. Delle guardie del Re,
alcuni caddero feriti,
altri assassinati, e i loro cadaveri squartati e trascinati nella melma,
oltre che pestati dalle donne.
Molte di esse gridavano contro la Regina: "vogliamo tagliarle la testa,
strapparle il cuore, friggerle
il fegato, toglierle le budella per ornarci con esse e, poi, tutto finirà".
Si alzò il grido di "il Re a
Parigi". Per evitare nuove disgrazie, il Re credette necessario cedere,
cosa che, purtroppo, era
sempre pronto a fare.
Si mise allora in marcia un corteo grottesco: in testa, a mò di trofeo, le
teste insanguinate delle
guardie; poi una fila di donne, di banditi, che gesticolavano nel modo più
osceno; seguivano dei
soldati in disordine disposti a caso; infine, in mezzo ad una foresta di
lance e baionette, la carrozza
reale. Il Re e l'Assemblea a Parigi erano sotto l'azione diretta dei
rivoluzionari.
Nonostante tutto, il restigio del Re era ancora considerevole; ma Luigi XVI
preferì ancora una volta collaborare, "per il bene della Patria"...
I partiti e i clubs
All'inizio, i deputati dell'Assemblea Costituente erano divisi in due
gruppi: gli "aristocratici",
contrari alle riforme rivoluzionarie, e i "patrioti", ad esse favorevoli.
Man mano che la Rivoluzione avanzava, diventava sempre più radicale. Ben presto,
cominciarono a insorgere divergenze fra "patrioti", che si divisero in tre
gruppi: i "monarchici", meno oltranzisti, che volevano fortificare l'autorità
regia; i "costituzionali", che volevano una monarchia costituzionale; ed i più
radicali, che volevano ridurre per quanto possibile il ruolo del Re.
Ma di fatto la Rivoluzione era manovrata dai "clubs": erano essi che
prendevano le grandi decisioni.
Dei clubs rivoluzionari, il più potente fu il club dei Giacobini, fondato
nel 1789, col nome di
"Società degli amici della Costituzione", che si riuniva nel convento dei
domenicani, conosciuti in
Francia col nome di Giacobini. I leaders più radicali e sanguinari
usciranno dalle file di questo club.
La Costituzione Civile del Clero
La Rivoluzione francese ebbe un carattere aggressivamente anti-cattolico.
Purtroppo, gli attentati da
essa messi in atto contro la Chiesa furono favoriti dall'appoggio o dalla
indifferenza dei cattolici
riformisti di quel tempo. La Rivoluzione però, non si lanciò subito contro
la Chiesa: finchè si
sentiva debole, mascherò i suoi disegni. Prima di decretare la Costituzione
Civile del Clero, la Rivoluzione cercò di distruggere i possibili ostacoli.
Contò sempre sull'appoggio di certi ecclesiastici che favorirono la politica di
nutrire la belva per diminuirne il vigore. Con l'instaurazione della votazione
individuale nell'Assemblea, "l'ordine ecclesiastico aveva smesso di
esistere".
Le misure rivoluzionarie si susseguirono le une alle altre. Nella notte del
4 agosto 1789, furono aboliti tutti i privilegi ecclesiastici. Dopo, venne
l'abolizione delle decime; con la Dichiarazione dei Diritti dell'uomo, fu
stabilitala libertà per tutti i culti; poco dopo i beni della Chiesa
furono "secolarizzati", cioè, espropriati. L'assemblea proibì l'emissione dei
voti religiosi, e decretò che ogni religioso era libero di ritornare allo stato
secolare quando voleva. Queste misure furono appoggiate da buona parte del
clero, difensore del principio del cedere per non perdere. Tuttavia, il vero
assalto contro la Chiesa sarebbe venuto con l'elaborazione della Costituzione
Civile del Clero.
Questa legge rappresentava l'applicazione dei
principi rivoluzionari del 1789 alla Chiesa. Lo spirito egualitario della
Rivoluzione non poteva tollerare una struttura profondamente gerarchica come
quella della Chiesa Cattolica. Era necessario distruggere la gerarchia
ecclesiastica, creare una nuova Chiesa, ugualitaria, che assomigliasse al
giansenismo e al calvinismo.
La disuguaglianza più vistosa era quella tra il Papa e i vescovi, per cui
si doveva rendere l'episcopato francese indipendente da Roma e responsabile
unico del governo della Chiesa in Francia.
Ma era necessario andare oltre e diminuire la differenza tra il vescovo e
il prete e fra questo e il laico. Perciò i riformisti da una parte volevano
eliminare titoli, privilegi, simboli e tutto quanto ricordasse ancora nella
Chiesa gerarchia e, così, si opponesse alla Rivoluzione. D'altra parte volevano
laicizzare il prete, rendendolo un funzionario dello Stato.
Una commissione dell'Assemblea, della quale facevano parte diversi
sacerdoti, era incaricata di
eliminare gli abusi che fossero presenti in materia religiosa. Questa
commissione presentò un
progetto che, secondo i rivoluzionari, aveva lo scopo di "ricondurre la
Chiesa alla sua semplicità
primitiva". A questo fine suggeriva alcune "riforme": abolire il titolo di
Arcivescovo, diminuire il
numero delle diocesi, destituire semplicemente i vescovi in eccedenza, far
eleggere dal popolo i
vescovi e i preti facendo votare anche chi non era cattolico, rendere
indipendente la Chiesa di
Francia da Roma, rendere collegiale la direzione delle diocesi.
La Costituzione Civile del Clero fu votata e approvata con degli
emendamenti che la rendevano
ancora più rivoluzionaria del progetto iniziale. Luigi XVI poteva ancora
salvare la situazione
ponendo il suo veto. Ma per far questo era necessario uno spirito
combattivo, era necessario non
essere deboli. Il Re era peraltro un uomo di religiosità sentimentale e
decise di consultare la Santa
Sede. Papa Pio VI gli inviò una lettera mettendolo seriamente in guardia
contro le misure
rivoluzionarie, e finiva raccomandando al Re di consultare gli arcivescovi
di Bordeaux e Vienne,
che però erano simpatizzanti della Rivoluzione.
Luigi XVI, con la coscienza tranquillizzata, decise di fare tutto quello
che gli arcivescovi gli
avevano raccomandato, ossia, cedere. L'applicazione di tale legge portò in
Francia la persecuzione
religiosa e la guerra civile. La Costituzione Civile del Clero stabilì in
Francia la cosiddetta Chiesa Costituzionale. Preti e vescovi furono obbligati a
fare un giuramento di fedeltà alla Costituzione: in base alla accettazione o
meno di esso, rimasero noti col nome di "preti giurati" o con quello di "preti
refrattari".
La fuga di Varennes
Lo spirito della Rivoluzione francese, nella sua prima fase, usò maschera e
linguaggio aristocratici e
persino ecclesiastici. Frequentò la corte e sedette alla tavola del
Consiglio del Re. Poi, divenne
borghese e lavorò all'estinzione incruenta della monarchia e della nobiltà,
e per una velata e pacifica soppressione della Chiesa.
La nobiltà, la cui complicità
aveva aperto la strada al trionfo dei principi rivoluzionari, vista la
direzione presa dalle cose, cominciò ad emigrare. Luigi XVI si convinse che
l'unica soluzione per
contenere il processo rivoluzionario, già molto avanzato per colpa della
sua filosofia del cedere per
non perdere, fosse abbandonare Parigi di nascosto, ritirarsi in qualche
città o provincia, riunire ivi le
truppe a lui fedeli e recuperare in questo modo il potere. Tuttavia, egli
non voleva la restaurazione
dell'Ancien Regime, ma una Rivoluzione moderata per impedire che gli
emigrati più
controrivoluzionari ristabilissero l'antico ordine di cose. La Nazione, che
percepiva perfettamente che la Rivoluzione stava fatalmente precipitando,
avrebbe risposto al suo desiderio. La città scelta per la fuga fu Metz, grande
piazzaforte militare la cui guarnigione era comandata dal marchese de Pouillé,
considerato un ardente monarchico. Tutto fu combinato e, il 17 luglio 1790,
il Re fuggì nascostamente da Parigi.
Tutto era stato preparato con cura: distaccamenti di truppe disposti nei
punti strategici del cammino
per il quale sarebbe dovuto passare il Re assicuravano il buon esito della
fuga. Ma l'enorme
carrozza che conduceva la famiglia reale procedeva con grande lentezza,
cosa che produsse uno
sfasamento di orari, pregiudicando così le operazioni. Inoltre il movimento
delle truppe attirò
l'attenzione dei contadini. A Varennes la famiglia reale fu riconosciuta e
fermata dai rivoluzionari.
Choiseul e Damas, comandanti delle truppe che avrebbero dovuto proteggere
la strada, proposero di aprirsi il cammino a colpi di sciabola, e riprendere
immediatamente il viaggio, ma Luigi XVI
rifiutò: nessuna violenza, nessuno spargimento di sangue.
Dopo alcune ore, il Re ricevette un mandato di cattura emesso
dall'Assemblea e si consegnò, come
esso imponeva, per farsi riportare a Parigi. Il generale Bouillé arrivò
poco dopo la partenza.
Il ritorno fu per i prigionieri un vero calvario: il corteo ubriaco, la
moltitudine oltraggiante,
minacce, insulti e stanchezza; giunsero persino a sputare in faccia al Re,
un uomo fu assassinato per aver riverito la Regina. Il caso di Varennes
contribuì a raffreddare i sentimenti di fedeltà e affezione al Re che la
maggioranza del popolo ancora conservava. Il monarca fu sospeso dalle sue
funzioni fino alla promulgazione della Costituzione.
L'episodio di Campo di Marte
Il processo rivoluzionario è lo sviluppo, per tappe, di alcune tendenze
disordinate dell'uomo. Man
mano che gli avvenimenti precipitavano, il partito rivoluzionario era
sempre più spinto a sinistra. I
giacobini cominciarono a far circolare una petizione in cui si chiedeva la
deposizione del Re; questo
provocò una scissione fra i rivoluzionari più moderati, il club dei
"foglianti", che difendeva la
"monarchia costituzionale". I più radicali si riunirono nel club dei
"cordiglieri", diretto da Marat,
Danton e Camille Desmoulins.
I "cordiglieri" organizzarono una grande manifestazione nel Campo di Marte,
per chiedere la deposizione del Re. Lafayette, comandante della Guardia
Nazionale e Bailly, prefetto di Parigi proibirono la manifestazione. Tuttavia,
la sfilata cominciò. Appena vide che il numero dei manifestanti aumentava,
Bailly ordinò di spiegare la bandiera vermiglia, simbolo della legge
marziale. I rivoltosi, abituati a vari anni di disordini, nei quali il
Governo rimaneva inerte, non presero la minaccia sul serio; le guardie invece
spararono e in pochi minuti il posto era vuoto. Per la prima volta dal 1788, il
governo legale resisteva ad una insurrezione; si instaurò un processo contro i
promotori dei disordini; i capi del movimento furono ricercati; Danton fuggì in
Inghilterra. Con un po’ più di vigore, la corrente rivoluzionaria sarebbe stata
soffocata. Al contrario si preferì, ancora una volta, la conciliazione: i
processi furono archiviati e i clubs rimasero aperti.
L'episodio di Campo di Marte fu considerato una vittoria dei moderati. In
seguito, il Re approvò la
Costituzione. Ciò creò un clima di distensione e di euforia. La regina fu
acclamata nell'Opera ed il
Re quasi portato in trionfo per i giardini delle Tuleries. Parigi si
abbandonava alla voglia di vivere;
la Costituzione avrebbe assicurato la felicità della Francia. La
Rivoluzione, si diceva, era finita:
purtroppo essa era solo agli inizi.
La Costituzione del 1791
La Costituzione del 1791, formata dall'insieme dei decreti approvati
dall'Assemblea Costituente,
dall'agosto del 1789 al settembre del 1791, introdusse importanti riforme:
furono stabiliti i principi
di sovranità popolare e di separazione dei poteri esecutivo, legislativo e
giudiziario. La Francia si
trasformò in una monarchia costituzionale.
continua...
Come per il cristiano non esiste una filosofia a sé
stante,
così non esiste per lui neppure una Storia puramente umana...
la Storia rappresenta il grande palcoscenico sul quale si dispiega nella sua interezza
l'importanza dell'elemento soprannaturale,
sia quando la docilità dei popoli alla fede consente a tale elemento di prevalere
sulle tendenze basse e perverse presenti nelle nazioni come negli individui,
sia quando esso si indebolisce e sembra sparire a causa del cattivo uso della libertà umana
che porterebbe al suicidio degli imperi...
così non esiste per lui neppure una Storia puramente umana...
la Storia rappresenta il grande palcoscenico sul quale si dispiega nella sua interezza
l'importanza dell'elemento soprannaturale,
sia quando la docilità dei popoli alla fede consente a tale elemento di prevalere
sulle tendenze basse e perverse presenti nelle nazioni come negli individui,
sia quando esso si indebolisce e sembra sparire a causa del cattivo uso della libertà umana
che porterebbe al suicidio degli imperi...
(Dom Prosper Gueranger O.S.B., Abate di
Solesmes)