NOTA INTRODUTTIVA: Per narrarvi le vicende che è mia intenzione
divulgare con questo scritto , e che è mia premura che voi comprendiate a
fondo, comincerò da avvenimenti che precedettero di decine di anni i nefasti
accadimenti dai quali il presente testo prende il nome.
Francesco IV di Modena e la lotta alla
Rivoluzione (1814-1846).
Da sinistra: Ferdinando d'Asburgo-Lorena e Maria Beatrice Ricciarda d'Este. |
Francesco Giuseppe Carlo Ambrogio Stanislao
d'Asburgo-Este nacque a Milano il 6 ottobre 1779 dall’Arciduca Ferdinando
Carlo Antonio Giuseppe Giovanni Stanislao d'Asburgo-Lorena , Duca di Brisgovia,
Governatore del Ducato di Milano e ultimo figlio maschio di Maria Teresa
d’Austria , e da Maria Beatrice Ricciarda d'Este, Duchessa di Massa e Principessa di
Carrara, signora di Lunigiana, ultima degli Este.
Il giovane Francesco IV di Modena. |
Francesco trascorse lunghi periodi alla Corte di Vienna ,
dove fin da bambino aveva assorbito gli ideali che da sempre sostenevano il
grande Impero Cristiano: un assoluto legittimismo , una religiosità rigidissima
e profonda , l’incondizionata fedeltà all’Imperatore. Furono questi i sacri
principi che volle portare alla Corte di Modena . Questi suoi nobili principi
erano condivisi anche dalla consorte , Maria Beatrice di Savoia (nata a Torino il 6 dicembre 1792) , figlia
del Re Vittorio Emanuele I di Sardegna e sua nipote in quanto figlia della
sorella maggiore Maria Teresa Giovanna d’Asburgo-Este , che sposò nel 1812.
Francesco IV di Modena e Maria Beatrice di Savoia al loro arrivo a Modena. |
In seguito alla sconfitta di Napoleone Bonaparte e alle
disposizioni prese al Congresso di Vienna, il 15 luglio 1814 Francesco ,
divenuto Francesco IV di Modena , e la di lui consorte Maria Beatrice di Savoia
poterono rientrare in possesso dei loro legittimi Stati dove il popolo , fin
dal momento in cui misero piede nelle terre del Ducato, gli acclamava a gran
voce. Giunti alle porte della capitale , ventiquattro giovani del popolo
vollero trasportare la carrozza dei Duchi fino alla Cattedrale, dove
all’ingresso principale era ad attendere il Vescovo Tiburzio Cortese , e dove ,
narra un contemporaneo , “tanto crebbe l’impeto degli affetti , che più volte
le acclamazioni del popolo , con dimenticanza perdonabile all’evento , si
mescolarono ai canti dell’inno ambrogiano”.
L’acclamazione e l’amore popolare per questo Sovrano e la sua consorte
furono da subito grandi , ma il Ducato di Modena venne scosso da li a poco
dalle mire espansionistiche e nazionalistiche del “re giacobino” Gioacchino
Murat intento a farsi riconoscere “Re d’Italia”. Alla testa del suo esercito ,
il Murat invase il Ducato Estense . Francesco IV si recò a pregare tra i suoi sudditi nella
Cattedrale di San Geminiano per due volte in quei nefasti giorni .
La fucilazione di Gioacchino Murat (1815). |
Presso Carpi però, le mire di Murat trovarono una battuta
d’arresto in quanto il suo esercito venne fermato dalle truppe Imperiali
austriache che , nel rispetto degli accordi presi al Congresso di Vienna ,
accorsero per mantenere l’ordine legittimo , e le quali vennero affiancate dal
neonato Esercito Estense. Murat venne sconfitto
prima ad Occhiobello, poi, dopo una ritirata attraverso Faenza, Forlì e Pesaro,
nella battaglia di Tolentino (2 maggio 1815); il successivo trattato di
Casalanza (20 maggio 1815), firmato presso Capua, sancì definitivamente la sua
caduta. Eliminato definitivamente il
pericolo francese-giacobino con Murat fucilato e Napoleone esiliato all’Elba,
l’ordine legittimo venne nuovamente ristabilito. Per alcuni anni sembrò regnare
la pace , ma il cancro rivoluzionario , che aveva messo profonde radici in
specie nella classe borghese e in alcuni ambienti della nobiltà, ben presto
innescò i focolai sovversivi dei moti liberali.
Francesco IV di Modena. |
Tra il 1820 e il 1821 si ebbe la prima ondata rivoluzionaria
che percorse la penisola italiana. A Modena rimase celebre la condanna a morte del sovversivo Don Andreoli, un
sacerdote liberale iscritto alla Carboneria; il Duca Francesco IV , di radicata fede nei
principi del legittimismo, insofferente a ipocrisie e compromessi, sapeva che i principi del Cattolicesimo e del liberalismo
erano radicalmente inconciliabili ed egli per questo vide Don Andreoli più
colpevole degli altri rivoluzionari. Molti
altri sovversivi implicati nei moti vennero graziati, ma volle esemplarmente
condannare il sacerdote , sperando anche di scoraggiare in tal modo eventuali
rivolte settarie future. Si sappia però che nessuna voce episcopale del Ducato,
fatta eccezione per il solo Vescovo di Reggio monsignor Ficarelli , si levò a
difesa del sacerdote carbonaro e che nessun prelato di rilievo prese le sue
difese. Era ancora un’epoca dove gli uomini di Chiesa sapevano riconoscere e
combattere i loro nemici. Francesco IV emanò due editti contro la setta
(Carboneria) in quello stesso periodo.
Nel 1830 la Rivoluzione tornò a sovvertire l’ordine
legittimo partendo dal Regno di Francia di Carlo X il quale , sempre a causa di
un complotto settario che si protraeva da ormai quindici anni, subì
l’usurpazione del legittimo Trono da parte dell’infido cugino Luigi Filippo III Duca d’Orleans.
Francesco IV di Modena rifiutò fermamente di riconoscere il governo rivoluzionario
francese nonostante le minacce settarie e della stessa Francia Orleanista. Gli
avvenimenti francesi ebbero ripercussioni in tutta Europa investendo anche la
penisola italiana e il Ducato di Modena, dove il Duca Francesco IV al fianco
delle fedeli truppe Estensi e del grande
legittimista Principe di Canosa si trovò a fronteggiare la rivolta settaria
capeggiata da Ciro Menotti.
Ciro Menotti. |
Fra la folla osannante che
accolse Francesco IV il 15 luglio 1814
c'era anche un ragazzo di sedici anni , già convinto Duchista e poco
dopo Tenente della Guardia Urbana Estense . Il suo nome era appunto Ciro
Menotti . Ricordava Giuseppe Bayard De Volo, direttore del quotidiano Modenese
"Il diritto Cattolico": "Al ristaurarsi della dinastia Estense
non esitò egli di aderirvi con entusiasmo , a tal chè fu notato tra quelli che
al giungere in Modena del Duca Francesco IV
ne staccarono i cavalli e trassero il cocchio alla Reggia". Ciro in
età adulta divenne imprenditore di successo e la brillante posizione economica
raggiunta gli consentì l'accesso ai più prestigiosi salotti dell'Aristocrazia e
ben presto alla stessa Corte. Continuò ad essere convinto sostenitore della
politica Ducale fino al 1821, quando, per questioni di affari , ebbe
l'occasione di entrare in contatto con Antonio Lugli , vecchio Giacobino del 96,
fanatico rivoluzionario e convinto Repubblicano. Fra i due si instaurò da
subito una cordiale amicizia, fatta soprattutto di accese discussioni
politiche. I frequenti scambi di opinioni con Antonio Lugli finirono però poi
per influenzare il giovane Ciro, che infine si ritrovò liberale convinto e
clandestino membro della Carboneria. Ciro Menotti venne arrestato già in
quel 1821 per avere divulgato, fra i
soldati Ungheresi di passaggio a Modena diretti a reprimere una rivolta
settaria scoppiata nel Regno delle Due Sicilie, il proclama Latino in cui li si
invitava ad astenersi dal portare aiuto agli "oppressori".
Negli anni successivi ebbe modo di stringere amicizia con l'avvocato Enrico
Misley, fantasioso regista della congiura Estense, e cominciò a dedicarsi con
sempre maggiore fervore a quelle attività illegali, clandestine e
rivoluzionarie che Francesco IV aveva pubblicamente e ripetutamente condannato
e per la pratica delle quali aveva con chiarezza indicato , quale unica
adeguata pena, la condanna capitale.
La rivolta che costò, in
base alle giuste leggi contro la sovversione , la vita a Ciro
Menotti, era stata organizzata a Modena per il giorno 5 Febbraio 1831. Si
pensava di irrompere a Palazzo , approfittando dell'esiguo numero di
guardie che normalmente controllavano gli ingressi, costringere il Duca a
concessioni, senza risparmiargli la vita qualora si fosse rifiutato , prendere
in ostaggio la sua famiglia , quindi allargare l'insurrezione agli altri Stati.
Ciro Menotti con una lettera informava Enrico Misley il 28
Gennaio:"...il movimento è immancabile e disposto tutto bene che
non temo ormai più dell'esito, nè qui, nè in Romagna, nè in Toscana. Parma
ci seguirà il giorno dopo. Io non dormo , non mangio. Sono in continuo moto.
Insomma, Lunedì sarà prontò...". Il 3 Febbraio il Duca , venuto a
conoscenza del piano grazie al suo fedele segretario Gaetano Gamorra che aveva
intercettato una lettera scritta con l'inchiostro simpatico dallo stesso
Menotti, fece arrestare il rivoluzionario Nicola Fabrizi, gesto che spinse i
cospiratori a decidere di anticipare l'insurrezione a quella stessa notte.
Nella sera del 3 Febbraio una cinquantina di rivoltosi si trovarono
clandestinamente riuniti nella casa di Ciro Menotti, in Corso Canalgrande.
Francesco IV decise di intervenire guidando personalmente le truppe
Estensi nella spedizione che avrebbe sgominato la rivolta.
Maria Beatrice di Savoia. |
Raggiunse Maria Beatrice nei suoi appartamenti per quello che avrebbe potuto essere un estremo saluto. Poiché il subbuglio era stato avvertito in tutto il Palazzo , Francesco IV trovò negli appartamenti della Duchessa tutti coloro che erano andati a cercarvi rassicurazioni: i figli , le dame di corte, le domestiche. Con volto sereno per quanto concesso dalle circostanze e tono mesto ma speranzoso, ella cercava di portare conforto. Porgendo al consorte una reliquia del Sacro Legno della Croce gli disse "questa ti salverà". Nel frattempo , in casa Menotti si sentiva bussare alla porta: era il Duca in persona, accompagnato da Cesare Galvani , dal Principe di Canosa, dagli ufficiali Sterpin, Coronini, Stanzani e Guicciardi, e da alcuni soldati. Fu proprio il Duca a gridare dalla strada , dopo avere ordinato ai suoi uomini di cessare il fuoco:" Sono Francesco quarto Sovrano, arrendetevi e potrete sperare. Ma se resistete sarete uccisi dai miei soldati". Seguì una pausa di silenzio che sembrava preludere alla resa, ma poi la porta di casa Menotti si aprì e l'unica risposta che i visitatori poco graditi ricevettero fu una nutrita fucileria , che costò la vita a due soldati, un Dragone e un Pioniere. Francesco IV ordinò di circondare la casa e di far avanzare un cannone che , con soli due colpi , decise le sorti del tafferugglio. Ciro Menotti cercò di fuggire dal tetto calandosi con una fune , ma venne lievemente ferito ad una spalla e catturato dal Maresciallo Pioppi. In seguito ai disordini creati e per sicurezza , Francesco IV e la sua famiglia dovettero lasciare il Ducato portando con sé il sovversivo Menotti in catene.
Scortato dalle truppe
alleate Imperiali , Il 2 Marzo dal castello del Catajo Francesco IV pubblicava
un proclama per annunciare che sarebbe rientrato nei suoi Stati
"coll'aiuto di Dio in mezzo alle fedeli sue truppe, sostenute da quelle
che S.M. l'Imperatore, augusto capo della sua famiglia, aveva mandato in suo
soccorso". Dichiarava nulli gli atti del governo usurpatore e faceva
appello all'attaccamento e alla fedeltà dei suoi amati sudditi.
Il 9 Marzo 1831 faceva il suo ingresso nella capitale Estense, accolto da universale entusiasmo. Lo accompagnava ancora il Principe di Canosa che, per la fedeltà dimostrata durante i moti e per il notevole contributo dato nello sventarli, fu nominato Consigliere privato del Duca.
Il 23 Aprile il Tenete Stanzani ricondusse a Modena Ciro Menotti che venne chiuso nelle carceri dell'Ergastolo. Quella sera stessa egli tentò il suicidio con una dose di veleno che teneva nascosta nella fodera del berretto , ma fu scoperto dal custode Bosselli e riuscì ad assumere solo una piccola quantità, quindi fu colto da accessi maniaci seguiti da assopimento, fu sottoposto a una visita medica , ma sopravvisse e dovette affrontare il processo. Il 9 Maggio 1831, il Tribunale Statario militare condannava Ciro Menotti alla morte sulla forca, con l'accusa di macchinazioni in unione con i rifugiati del comitato Italiano in Francia. Dal Catajo , il giorno 21 dello stesso mese , il Duca apponeva la sua firma di approvazione della sentenza, che venne eseguita la mattina del 26, mediante impiccagione nella fortezza della Cittadella. Insieme a Ciro Menotti moriva Vincenzo Borelli , il notaio che il 9 Febbraio 1831, dopo la partenza del Duca , ne aveva vergato l'atto di decadenza , nominando un dittatore , nella persona di Biagio Nardi.
Il 9 Marzo 1831 faceva il suo ingresso nella capitale Estense, accolto da universale entusiasmo. Lo accompagnava ancora il Principe di Canosa che, per la fedeltà dimostrata durante i moti e per il notevole contributo dato nello sventarli, fu nominato Consigliere privato del Duca.
Il 23 Aprile il Tenete Stanzani ricondusse a Modena Ciro Menotti che venne chiuso nelle carceri dell'Ergastolo. Quella sera stessa egli tentò il suicidio con una dose di veleno che teneva nascosta nella fodera del berretto , ma fu scoperto dal custode Bosselli e riuscì ad assumere solo una piccola quantità, quindi fu colto da accessi maniaci seguiti da assopimento, fu sottoposto a una visita medica , ma sopravvisse e dovette affrontare il processo. Il 9 Maggio 1831, il Tribunale Statario militare condannava Ciro Menotti alla morte sulla forca, con l'accusa di macchinazioni in unione con i rifugiati del comitato Italiano in Francia. Dal Catajo , il giorno 21 dello stesso mese , il Duca apponeva la sua firma di approvazione della sentenza, che venne eseguita la mattina del 26, mediante impiccagione nella fortezza della Cittadella. Insieme a Ciro Menotti moriva Vincenzo Borelli , il notaio che il 9 Febbraio 1831, dopo la partenza del Duca , ne aveva vergato l'atto di decadenza , nominando un dittatore , nella persona di Biagio Nardi.
Francesco IV di Modena. |
Francesco IV scrisse al presidente del Tribunale Statario Pier Ercole Zerbini una lettera contenente le istruzioni per la confisca dei beni dei condannati, prevista dalla legge, ma condotta dal sovrano con indubbia clemenza: "Considerando che l'uno(Borelli, nda) lasciò una vedova e l'altro(Menotti, nda) una vedova con figlie volendo noi provvedere al mantenimento sufficiente delle vedove ed all'educazione dei figli vogliamo che dalle sostanze confiscate venga prelevato quanto occorra a questo duplice oggetto e , ben lungi dal volere appropriarci di cosa alcuna della confisca di questi due disgraziati a pro del nostro Erari, vogliamo che, pagate passività , l'avanzo sia impegnato in primo luogo al mantenimento delle vedove e al mantenimento e buona educazione dei figli , destinando tutto il rimanente ai poveri".
Dopo i disordini del 1831 ,
il Ducato di Modena visse un lungo periodo di pace e tranquillità , tanto che,
quando Francesco IV vide avvicinarsi il termine del suo cammino terreno ,
accolse la morte con la pace nel cuore , convinto di lasciare in ereditare al
figlio maggiore Francesco un Trono solido e sicuro, un popolo devoto e fedele ,
un avvenire prospero. In effetti il popolo era sinceramente devoto e fedele al
Duca e al governo legittimo. Nei giorni della malattia di Francesco IV nelle
anticamere degli appartamenti reali affluivano continuamente persone d’ogni
ceto sociale per chiedere sue notizie. Anche nel 1840, quando morì la Duchessa
Maria Beatrice di Savoia, grande fu il cordoglio popolare.
Francesco IV spirava il 21
gennaio 1846 , lasciando il Trono Estense al figlio primogenito Francesco
Geminiano , divenuto Francesco V di Modena , il quale aveva sposato nel 1842
Adelgonda di Baviera. Mentre in governo di Francesco IV iniziò nel disordine
per terminare nell’ordine , il figlio avrebbe avuto sorte ben diversa.
Francesco V di Modena: i primi
anni di governo e i disordini del 48’ (1846-1849).
Francesco V di Modena. |
Francesco V di Modena , nato nella capitale Estense il 1°
giugno 1819, arrivò a cingere la Corona Ducale all’età di ventisette anni. Egli
però non era sorretto , nell’arduo compito di combattere il cancro
rivoluzionario, da quella forza di carattere che invece aveva sostenuto suo
padre. Egli era mite e di buon cuore , forse troppo per poter governare con
successo. Di carattere semplice , onesto e sobrio, egli agiva sempre con
giustizia . Egli era come il padre difensore dei principi del legittimismo, di
radicata Fede Cattolica, e incondizionatamente fedele all’Imperatore: egli era
un membro di una dinastia la quale fu legata all’Impero per secoli oltre ad
essere strettamente imparentato con la Casa d’Austria. Francesco V non mancò
mai di assolvere ai suoi doveri rimanendo fedele all’Impero d’Austria anche nei
periodi più difficili. Gli avversari politici liberali, i modernisti e i settari in generale
lo accusarono di non essere “uomo dei nostri tempi”. Tale considerazione nata
come una presunta offesa in realtà non lo fu alla luce della Verità . Molti
furono coloro che evidenziarono il senso positivo del non essere “dei nostri
tempi”, sottolineando appunto come in tempi di corruzione , di tradimenti , di
perdita della fede religiosa, Francesco V di Modena seppe mantenere intatta la
coerenza , ebbe il coraggio di non rinunciare mai alle proprie idee, seppe
difendere la religione Cattolica e la Monarchia legittima contro ogni
convenienza. Mentre l’Europa sprofondava nella così detta “modernità”,
Francesco V restava un uomo d’altri tempi, protettore di valori avversi alla
setta e politicamente scomodi, difensore dell’ordine legittimo.
Adelgonda di Baviera. |
I primi momenti di governo di Francesco V furono
caratterizzati da una calma apparente , da una pace che, purtroppo, sarebbe bruscamente terminata poco tempo
dopo. L'anno seguente la sua ascesa al Trono di
Modena , alla morte di sua cugina la Duchessa di Parma Maria Luigia
d'Asburgo-Lorena, il 18 dicembre 1847, Francesco V annetté ai domini
Estensi , secondo le disposizioni del Trattato di Firenze del 1844,
la Guastalla , acquisendo quindi il titolo di Duca di Guastalla. La situazione
economica del Ducato era florida , i commerci con gli altri Stati della
Penisola e con l’Impero d’Austria garantivano prosperità e il popolo si
dimostrava devoto al giovane Duca e alla Duchessa consorte. Ma nel frattempo,
uno dei complotti più vasti della storia stava avendo luogo; il Convegno
Massonico di Strasburgo del 1847 avrebbe infatti deciso il divampare
dell’incendio rivoluzionario in tutta Europa l’anno successivo.
L’ondata Rivoluzionaria ,
come da copione , investì l’Europa e la penisola italiana fin dai primi mesi
del 1848. In Italia i rivoluzionari portarono con le loro barricate e la loro
sovversione l’idea di “indipendenza” e di “unità nazionale”. Su questi temi
Francesco V aveva espresso le proprie opinioni in uno scritto giovanile , nel
quale auspicava per l’Italia la creazione di una Confederazione di Stati (in
linea con quasi tutti gli altri Sovrani d’Italia; tranne il Re di Sardegna). Egli
scrisse: “Credo fermamente e lo crederò
fino alla morte che l’idea principale , il fatto cioè di un’unione politica
degli Stati d’Italia sotto il protettorato dell’Austria è un’idea giusta ,
salutare, che ha l’Italia per salvarsi dal naufragio”. Francesco V avvertiva la
necessità di fare dell’Italia una Confederazione , capendo anche che sarebbe
stato innaturale ed errato un sistema unitario che mettesse sotto lo stesso
governo e la stessa legislazione paesi e popoli che da secoli godevano di
proprie leggi, costumi e tradizioni. Questa era una semplice valutazione
dettata dal buonsenso e da un sincero amore per l’Italia.
Quadro di Pio IX appena eletto al soglio Pontificio. |
A Modena il primo segno di
rivolta si ebbe domenica 19 marzo 1848. Alcuni giovani liberali facinorosi si
erano riuniti per manifestare sulle mura della città. Portavano , in onore del
nuovo Papa Pio IX , vittima dell’equivoco per cui tutti gridavano al “Papa
liberale” , una coccarda con i colori del Vaticano , bianca e gialla, simile ad
un fiore. La sommossa per questo fu battezzata “Rivoluzione delle Giunchiglie”
. Il Duca in seguito decise di posizionare per sicurezza dei cannoni davanti al
Palazzo Ducale, diffondendo successivamente un proclama nel quale invitava i
suoi sudditi ad evitare disordini , almeno il tempo necessario affinché egli potesse decidere attentamente il da
farsi in una situazione difficile e prendere le necessarie misure di sicurezza.
Il proclama venne ignorato dagli sgherri
della Rivoluzione che il mattino dopo si ammembrarono sfilando
provocatoriamente con le coccarde bianche e gialle , reclamando una
Costituzione liberale. Una delegazione guidata da Giuseppe Malmusi si recò a Palazzo Ducale per avanzare
richieste a Francesco V. Il comandante delle Milizie Estensi , Colonnello
Brocchi, e il Conte Giuseppe Forni
suggerirono al Duca di concedere l’istituzione della Guardia Civica ,
onde placare i rivoltosi. Il Duca , fiducioso, non solo accettò di istituire la
Guardia Civica , ma la rifornì anche di fucili.
Francesco V di Modena. |
L’istituzione della Guardia
Civica fu solennemente proclamata in Piazza Grande a Modena davanti ad una
folla di manifestanti liberali che poi si riunì sotto il Palazzo Ducale per
inneggiare al Duca per ringraziarlo. Francesco V , preoccupato per quella
concessione di cui non era affatto convinto e per le future conseguenze delle sommosse
dei sovversivi , ben lungi dall’essere lusingato da quelle acclamazioni,
commentava mestamente: “Si grida evviva perché ho concesso ; se non concedevasi
si griderebbe morte”. Egli temeva che tale concessione non sarebbe bastata a
tenere a bada i rivoluzionari , e il tempo gli avrebbe dato ragione. La Guardia
Civica placò solo temporaneamente l’ingordigia dei rivoluzionari: in città le
manifestazioni dei sovversivi continuarono , le truppe Estensi faticavano a
mantenere l’ordine , l’autorità ducale appariva non più rispettata ne temuta
dai facinorosi. Quando un telegramma del Cardinale di Bologna annunciò che una
spedizione stava per raggiungere Modena per sostenere i rivoltosi delle
giunchiglie e rovesciare con le armi il legittimo governo Austro-Estense,
Francesco V decise di lasciare la capitale , per non rischiare quegli
spargimenti di sangue che il suo mite temperamento fortemente avversava. Prima
della sua partenza venne raggiunto a palazzo da Giuseppe Malmusi che avanzava
la richiesta di altri trecento fucili . Dopo averli ottenuti , nel suo
colloquio con Francesco V , lo invitò a ricordare di essere nato a Modena. Il
Duca rispose tristemente commosso : “Ma io non farò del male a nessuno”, e lo
dimostrò con i fatti lasciando spontaneamente il Trono. Prima di uscire dal
Palazzo si soffermò a lungo nella cappella a pregare e piangere. La Reggenza
presieduta da Rinaldo Scozia nominata dal Duca fu immediatamente costretta
dalla Guardia Civica comandata dai rivoluzionari a dimettersi , per lasciare il
posto ad un Governo rivoluzionario presieduto dal doppiogiochista Malmusi. Alla
fine di giugno arrivò a Modena dal Piemonte il senatore Lodovico Sauli come
“Commissario Regio”: il Regno di Sardegna , impegnato nella sua guerra
d’espansione, era in combutta con i capi sovversivi di Modena come di Parma. Il
29 maggio il governo sovversivo aveva già proclamato l’unione agli Stati
sabaudi delle Provincie cisappenniniche del Ducato. Massa e la parte
transappenninica dello Stato Estense vennero invece incorporate al Granducato
di Toscana (all’epoca alleato del Piemonte) al quale sarebbero rimaste fino
all’aprile del 1849.
Appena Francesco V ebbe
lasciato Modena, la mattina del 21 marzo , il Generale Agostino Saccozzi , da
due anni comandante dell’Esercito Estense, venne arrestato. Altri come lui ,
tra militari rimasti e molti duchisti, subirono persecuzioni dal governo
sovversivo e diversi furono costretti a prendere la via dell’esilio.
Episodio della Battaglia di Custoza (1848). |
Dopo alcuni successi delle
truppe sardo-piemontesi , dovute più che altro all’iniziale inganno che il
governo sabaudo ebbe su altri sovrani
della penisola e sullo strascico delle rivolte settarie, la vittoria
dell’Esercito Imperiale nella battaglia di Custoza permise il ritorno a Modena
di Francesco V , al quale comunque la città era rimasta fedele anche nella
crisi. L’armata Imperiale guidata dal Generale Liechtenstein riaprì le porte al
legittimo sovrano. L’arrivo in città delle colonne dell’esercito Imperiale fu
accolta dai contadini , riuniti in piazza per il mercato settimanale , da
acclamazioni e grida di “morte alla Guardia Civica”, la quale per tutta
risposta prese il popolo a colpi di calci di fucile e di baionette disperdendo
la folla. Il Duca Francesco V rientrò il 10 agosto . Sul finire di quel nefasto
anno l’esercito Estense riconquistò le terre dell’Oltrappennino . Francesco V
affiancò l’esercito Imperiale alla liberazione di Livorno il 10 maggio 1849.
Al suo rientro a Modena
Francesco V concesse un amnistia a rivoltosi e traditori , invitando solo
alcuni promotori ad allontanarsi dalle terre del Ducato. La stessa clemenza
Francesco V la ebbe quando, in quello stesso novembre 1849, subì un attentato.
Questa eccessiva clemenza non fece altro che minare il Ducato e l’ordine legittimo…
Questa eccessiva clemenza non fece altro che minare il Ducato e l’ordine legittimo…
Le trame nell’ombra e il ritorno
della Rivoluzione (1850-1859).
Francesco V di Modena. |
Per un breve periodo di tempo sembrò tornare la pace e la
tranquillità dopo l’incendio rivoluzionario che scosse il Ducato di Modena nel
1848. Ma la setta continuava a tramare e a progettare il trionfo della
Rivoluzione. I tentativi mazziniani del 1854 provocarono tensioni nelle
province dell’Oltrappennino Estense. La situazione era preoccupante per il
governo legittimo soprattutto a Carrara, mentre Massa “era da sempre una delle città più Reazionarie
del Ducato”. A Carrara però erano numerosi gli affiliati alle sette che , al
momento dell’affiliazione giuravano di battersi “contro la monarchia e la religione, per l’esterminio
dei principi , dei preti, dei frati e di tutti quelli che sono pagati dal
governo” e i disordini si palesavano con
numerosi episodi di violenza , ferimenti e omicidi. Il 30 ottobre Giulio
Gattini di Bedizzano ricevette tredici coltellate e il 2 novembre fu tentato l’assassinio del
parroco di sorgano . Il 13 dicembre 1854 Francesco V ordinò lo stato d’assedio
di Carrara. Nella notte fra il 15 ed il 16 dicembre 1854 forti picchetti di Milizia
si appostarono sui confini di Carrara , una compagnia di Cacciatori si schierò
nella piazza della città dove, alla mattina alle nove , il Tenente Casoni
proclamò lo stato d’assedio. Nel 1856 cominciò a farsi audace la propaganda
rivoluzionaria , mentre si facevano insistenti le voci su una possibile
sollevazione. La follia sovversiva del Mazzini lo spinse a progettare un moto
insurrezionale in Lunigiana e a tale scopo aveva già lasciato Londra e il 28
giugno era giunto in gran segreto a Genova. La rivolta nei suoi piani sarebbe
dovuta partire da Carrara , nella notte tra il 25 ed il 26 luglio . Bande
sovversive provenienti dal sarzanese dovevano correre in aiuto ai ribelli ,
mentre i pochi adepti a Massa dovevano controllare che dalla città non partissero
aiuti alle forze legittimiste. L’insurrezione fallì sul nascere , ma i gruppi
filopiemontesi agli ordini del Cavour continuarono a diffondere allarme di
presunte sollevazioni tra la popolazione d’Oltrappennino .
Giunsero anche da Torino gli avvisi di una rivolta
programmata per il 24 agosto , tanto che fu dato ordine di sospendere i
preparativi per la tradizionale fiera di
San Bartolomeo. Tale avvisaglie si dimostrarono in concreto false in quanto non
accadde nulla di concreto, ma il Comandante della piazza Capitano Pullé e il Sottotenente
dei Dragoni Chiossi ricevettero lettere che li invitavano a seguire “la causa
della revoluzione , desiderata da venticinque milioni di italiani governati da cinque
dei più infami tiranni, cioè il monarca di Modena , la puttana di Parma , il
bombardatore di Napoli, la tigre toscana e il demonio di Roma”.
Ai soldati venivano rivolti incitamenti a deporre la “sozza
livrea”, mentre il Comando Superiore dell’Oltrappennino prendeva nuove misure
precauzionali . Nel dicembre del 1856
Francesco V revocò lo stato d’assedio , ma pochi giorni dopo un milite venne
assassinato. Nel 1857 nuovi fatti di sangue funestarono il Carrarese . La sera
del 9 Don Francesco Andrei , parroco di Miseglia e cappellano della Milizia ,
venne ucciso da un colpo di fucile durante le funzioni del giovedì santo.
Francesco V fu costretto a rimettere lo stato d’assedio. Tutti questi accadimenti opera di circoli
settari aveva come collegamento le direttive dell’infido governo di Torino.
Francesco V l'11
Giugno 1858 scriveva al suo ministro Teodoro Bayard De Volo, "io vedo un
temporalone formarsi lentamente. La Francia è di giorno in giorno più
insolente e provocatoria, l'Inghilterra la vedo una ben infida alleata per chiunque,
ma temo più la Francia che altri...". L'esercito del Ducato di Modena alla
metà di Gennaio del 1859, cioè alla vigilia della guerra franco-piemontese , contava nelle
terre dell'Oltrappennino quattro compagnie: la 4° Dragoni, la 3° d'Artiglieria,
e la 11° e 12° Cacciatori, per un totale di 584 uomini. Di essi circa duecento
presidiavano Massa, altrettanti Carrara, settanta i forti e le batterie del
litorale, mentre i restanti prestavano servizio di gendarmeria nelle varie
località. Il comando era tenuto dal Maggiore Messori.
Tenente Colonnello Casoni . |
Sapendo di non avere a disposizione forze bastanti ad organizzare una
difesa efficace in tutto il territorio Estense, il Duca aveva mandato al di là
dell'Appennino uomini in numero appena sufficiente a garantire l'ordine
pubblico. Le truppe estensi non erano molto numerose e, in tempi
particolarmente difficili come quelli che si stavano verificando , forse
avrebbero fatto comodo più uomini. Francesco V si era dimostrato sempre
attento a contenere gli oneri militari che andavano a gravare sulla
popolazione, e le ottime relazioni che vi erano tra il Ducato di Parma,
Granducato di Toscana , e Stato Pontificio escludevano la necessita di dover
difendere i confini con tali paesi. Il Ducato di Modena non aveva nulla da temere
nemmeno dall'Austria, per cui doveva guardare con preoccupazione solo al
confine con il Regno di Sardegna che si dipanava per un non lungo tratto tra
Aulla, Fosdinovo e Carrara. Modena era legata a Vienna da un trattato militare
perciò, in caso d'aggressione , l'esercito del Duca doveva solamente essere in
grado di resistere fino all'arrivo degli aiuti austriaci. Visto l'aggravarsi
della situazione politica il 17 Gennaio il Duca decise di
rafforzare la guarnigione dell'Oltrappennino , e mandò in Lunigiana la 1°
divisione Cacciatori guidata dal Tenente Colonnello Casoni , al quale fu
prescritto di occupare Fivizzano e Fosdinovo.
Le truppe del Duca erano continuamente prese di mira dai rivoltosi, i quali
cercavano tra l'altro di provocare la diserzione dei soldati.
"Lettere anonime, e allora e dipoi, dal Sardo, quando lusinghiere,
quando minacciose, pervenivano a diversi militari per eccitarli alla defezione
ed al tradimento", si legge nel giornale della Reale Ducale Brigata
Estense.
I disordini più preoccupanti per i soldati estensi in quel burrascoso
inizio dell'anno 1859, accaddero a Sarzana, dove correva voce che dovesse
arrivare Garibaldi con seimila uomini e quattrocento cavalli. Francesco V non
credeva che stesse veramente per scoppiare una guerra in Italia e definiva
"ciarlatanesche millanterie" le voci che ritenevano imminente
un attacco sardo. Anche Casoni , che pure guardava con maggiore
preoccupazione alla situazione in Lunigiana, giudicava in verità
Garibaldi un po' come "il Messia degli Ebrei, sempre aspettato e non
ancora arrivato".
Non mancarono comunque le misure precauzionali, come appunto l'aumento
delle truppe di guarnigione o le direttive emanate per i casi di sommossa,
anche i soldati a disposizione non erano sufficienti.
L'11 Febbraio a vari Ufficiali e sotto Ufficiali vennero fatti pervenire
stampati sediziosi, che essi prontamente consegnarono ai loro superiori, mentre
nella notte tra il 13 e il 14 Febbraio i sacerdoti Don Giacomo e Don
Giovanni Chiari ricevettero scritti e libelli con minacce di morte e
dovettero fuggire da Carrara.
Il 16 Febbraio invece un centinaio di rivoltosi armati innalzarono una
bandiera tricolore sul monte di Fontia, a pochi passi dal confine estense, in
modo che la si potesse scorgere bene da Carrara. Uno di loro varcò poi il
confine e si recò dalle truppe estensi chiedendo in tono provocatorio se
avrebbero avuto il coraggio di togliere quella bandiera. L'uomo fu
immediatamente arrestato e condotto a Carrara, mentre i suoi complici sparavano
alcuni colpi sull'esercito estense. Saputo quanto stava accadendo, il
Comandante da Carrara mandò quarantacinque uomini, che per quella volta bastarono
a mettere in fuga i rivoltosi, il 16 Febbraio 1859 a Sarzana , "ove
ormai" scriveva il Casoni, "nessuno che non sia conosciuto dagli
emigrati del loro colore, può più andarvi senza pericolo di uscirvi la
pelle..." . Vari sudditi estensi a Sarzana rimasero vittima di
pestaggi.
Francesco V auspicava un rapido intervento dell'Austria e scriveva al Conte
Bayard De Volo il 16 Aprile 1859: " Io già credo e spero che il Piemonte
se non altro non accetterà il disarmo e che quindi l'Austria si dichiarerà dégagé
dalla difensiva e, dopo un'intimazione al Piemonte , se questo è infruttuosa,
farà la guerra , cioè grazie a Dio prenderà l'iniziativa e non starà più a
disposizione del Conte Cavour. E veramente ciò è una necessità per noi. Debbo
dirle francamente che le mie truppe nell'Oltrappennino non resistono ad ogni
maniera di seduzione che s'impiega per corromperle... Ella vede che la cancrena
fa progressi, io non voglio incancrenire altri battaglioni che finora sembrano
sani , poiché da Modena a Reggio non v'è diserzione... Dunque alla lunga è
inevitabile uno scandalo se non si viene a battersi, ed io non potrei più
compromettermi, massime nell'Oltrappennino colle mie sole truppe..." .
Intanto anche nel Granducato di Toscana la situazione stava degenerando,
agenti piemontesi da tempo erano penetrati clandestinamente nello stato
lorenese preparando una serie di finte insurrezioni messe in scena con la
complicità dei liberali rivoluzionari Toscani diretti dall’agente segreto del
Conte Cavour Filippo Curletti; anche diversi Carabinieri appositamente
congedati si arruolarono nell'anonimato nelle fila del piccolo esercito
Granducale per crearvi disordini .
Fra Piemonte e Toscana , Massa e Carrara rischiavano di
diventare una vera e propria trappola per le truppe estensi che le
presidiavano. Fu dato quindi ordine di partire: le truppe stanziate a Massa e
Carrara abbandonarono quella località nel pomeriggio del 28 Aprile, dopo avere
inchiodato le artiglierie del castello e dei forti del litorale e avere
distrutto le munizioni, e il 29 giunsero a Fivizzano, dove si ricongiunsero con
gli uomini di Casoni. Lo stesso 28 Aprile arrivarono i Commissari Piemontesi:
Giusti a Massa e Brizzolari a Carrara, e assunsero illegittimamente il governo. Ad appoggiarli era giunto anche un
distaccamento di carabinieri Piemontesi. Venne subito istituita la Guardia
Civica e in entrambe le città estensi sventolò il tricolore rivoluzionario.
La notizia fu accolta con grande allarme a Modena. Francesco V non sapeva
che già un anno prima, nel luglio del 1858 , al Convegno di Plombières, Cavour
e Napoleone III avevano scelto proprio i
territori dell'Oltrappennino del Ducato Estense per provocare deliberatamente
quegli incidenti che avrebbero dovuto giustificare agli occhi dell'opinione
pubblica l'intervento del Piemonte e della Francia in territorio straniero.
Alle dieci e trenta del
30 Aprile 1859, partiva da Modena la sovrana Adelgonda. Si recava a Mantova, e
non avrebbe mai più fatto rientro nei suoi stati. " Questa partenza
consigliata dalle gravi circostanze politiche del giorno , riuscì dolorosa a
quanti conservavano un resto di sentimenti leali , e che avevano cuore e
coscienza": la popolazione "rispettosa e dolente" riempiva il
cortile del Palazzo Ducale e la piazza per l'estremo saluto." né è certo
esagerato il dire che in quel giorno ed a quella partenza la città intera fu
in duolo". Francesco V accompagnò l'amatissima consorte per un breve
tratto di strada, poi rientrò in città.
Generale Saccozzi. |
Avendo il Duca mandato rinforzi a Reggio, Modena si ritrovò sguarnita .
Francesco V risolse a chiedere aiuto all'Austria, e il 2 Maggio giunse nella
capitale estense un battaglione dell'Imperiale Reale Reggimento Fanti Conte
Giulay, accolto dal Duca in persona e dal generale Saccozi: "Colla venuta
di un battaglione Austriaco potei mettere un cerotto al mio Stato"
scriveva Francesco V.
Il 3 Maggio cominciò a spargersi la voce inquietante che le truppe Piemontesi
dalla Toscana volessero entrare in Modena attraverso l'Abetone. Il 7 Maggio il
Tenente Colonnello Casoni ricevette una lettera del Generale Sardo Ribotti che
lo invitava ad unirsi alle sue truppe , minacciando di costringerlo con la
forza a deporre le armi se avesse rifiutato. Ad arte si faceva circolare la
voce che le truppe Sarde a Massa e Carrara contassero oltre duemila uomini. I
lavori di fortificazione , diretti personalmente dall'Arciduca Ferdinando Massimiliano
D'Asburgo-Lorena, si moltiplicarono a Brescello . Erano stati demoliti gli
argini e spianato il terreno nei dintorni della piazzaforte , erano state
alzate le palizzate e costruite nuove postazioni per l'artiglieria sull'argine
del Po.
Francesco V era comunque ancora
fiducioso e cercava anzi di rassicurare il suo Ministro residente a Vienna.
Scriveva infatti l'8 Maggio al Conte Bayard De Volo: "Essa si affligge per
Massa, ma interroghi qualunque militare e gli chieda se con due compagnie , fra
paesi rivoluzionati, vi si può stare, e poi mi dica la loro risposta. Se
lasciavo che fossero ivi oppresse e tagliate fuori sacrificavo anche quelle
truppe, e Casoni con due sole compagnie non poteva stare a Fivizzano dove è
tuttavia ed in buona posizione militare...Rinforzarlo era impossibile avendo da
presidiare Modena, Reggio, Brescello. Qui ho ora quattro compagnie mie, sei
austriache , e ciò basta, per ora. Sfido a far di più , di difendere più
terreno, di agire con più vigore di quello che faccio. Le mie truppe non sono
demoralizzate da che v'è la guerra; lo sarebbero state se v'era il
Congressi. Ora sono animatissime e fraternizzano cogli Austriaci. Fuor di Massa
Carrara ovunque profonda quiete, perfino in Garfagnana, che confina con la
Toscana e nella quale vi sono circa venti Dragoni in tutto". L'ottimismo
di Francesco V era destinato ad essere presto deluso. il 10 Maggio il Generale
Ulloa, inviato dal governo Piemontese ad assumere il comando dell'esercito in
Toscana, aveva diretto le sue forze tra Perretta e l'Abetone. il 17
Maggio aveva ricevuto l'ordine di partire per Livorno il Principe Gerolamo
Napoleone , comandante del V corpo d'armata Francese, con il compito di
affrettare lo sgombero dei Ducati. A disposizione del Principe stavano la
divisione Uhrich e la brigata di cavalleria Dalmas e La Pèrouse, per un
totale di oltre diecimila uomini , che cominciarono a sbarcare a Livorno il 23
Maggio.
Alla notizia che i Francesi avevano cominciato ad invadere la Toscana ,
Francesco V , per non lasciare le sue fedeli truppe esposte al nemico, ordinò
che lasciassero immediatamente l'Oltrappennino. Il Tenente Colonnello Casoni si
ritirò sopra a Bagnolo né Monti, lasciando come avanguardia una compagnia
al Cerreto. Prima di abbandonare i due piccoli forti in Val di Magra, il
sottotenente d'artiglieria Corradini fece inchiodare i pezzi e
distruggere le munizioni. Prima di partire da Fivizzano, il Tenente Colonnello
Casoni incaricò il Potestà Barbieri di rappresentare il Governo estense e di
preoccuparsi soprattutto di curare il mantenimento dell'ordine. Subito dopo il
ritiro delle truppe tuttavia le Guardie Nazionali piemontesi si opposero alle
autorità nominate dal Duca e imposero in Lunigiana il governo rivoluzionario.
Il 22 Maggio le truppe della Garfagnana dovettero ritirarsi sopra
Pievepelago e furono mantenuti solo due posti di Dragoni, alla foce delle
Radici e a San Pellegrino.
Buona parte degli abitanti dell'Oltappennino non gradì il nuovo stato delle
cose. Raccontava Francesco Selmi il 24 Maggio:"Ho trovato il paese morto e
zeppo di Duchisti, in specie nella campagna.So che ivano ripetendo fra di loro:
Vedremo come andrà a finire! E speravano nel ritorno di Casoni. La sveltezza
del Delegato alla Questura e la fermezza di Giusti sventarono due moti
reazionari, manipolati da famiglie Duchiste, d'inteligenza coi contadini.Ora,
colla ritirata di Casoni, colle altre notizie, non ardiscono più; nondimeno la
scorsa Domenica, e non più tardi, alcuni ubriachi del contado gridarono: Viva
Francesco V° e strapparono alcuni proclami del Commisario". Scriveva
ancora il Selmi a Giuseppe La Farina "...la città di Massa conta
buon numero di Duchisti; moltissimi nel contado circostante. In alcune ville,
specialmente all'intorno di Massa , in Fosdinovo , in Tendola ed in altri
paesucoli, può dirsi che si sopporta per timore la dominazione piemontese, e
che ivi le disposizioni sarebbero a pigliare anche le armi contro di
noi..." .
Il 26 arrivarono i dispacci telegrafici che portavano la notizia che,
all'alba di quel giorno, era passato da Brescello il Duca Roberto I di Parma,
diretto in Svizzera, accompagnato dal Marchese Malaspina. La Duchessa
reggente Luisa Maria Teresa di Borbone era ancora a Parma, ma i piemontesi avevano
già occupato Pontremoli.
Il 31 Maggio il Ministro estense Conte Forni , scriveva al Ministro
residente a Vienna , Conte De Volo: "Quanto a noi ecco cosa sappiamo. In
Toscana si concentra il corpo del Principe Napoleone, che unanimemente si
dice diretto per la via dell'Abetone a Modena, per agire poi sopra
Piacenza prendendo così di fianco gli Austriaci. A Firenze deve esso Principe
Napoleone essere arrivato soltanto ieri, mentre fino dal 23 giunse a Livorno.
Il 29 poi alcuni ufficiali Francesi verso il mezzogiorno arrivarono in carrozza
all'Abetone, e fra essi vi era un Borghese, che molti pretendono potesse essere
lo stesso Principe Napoleone" .
Il 1 Giugno , alla notizia che i Francesi rinforzavano le truppe nemiche
sull'Abetone , Francesco V decise di inviare truppe da Modena, passandole in
rassegna il giorno successivo con un ordine del giorno che suscitò fra i
soldati entusiastiche acclamazioni:
Francesco V di Modena. |
"Soldati!
"Il nemico minaccia di penetrare nel Nostro Stato dal lato dell’Abetone, ove ha spinto la sua avanguardia.
"Il 1° battaglione del reggimento di linea con una sezione d’artiglieria e un distaccamento di dragoni a cavallo avrà l’onore di affrontarlo pel primo, ov’egli si avanza.
"Soldati! Voi meritate fin d’ora la mia fiducia, ed aspetto che in quest’occasione non smentirete le qualità che fanno il vero soldato, cioè valore unito alla fermezza, ed inconcussa fedeltà al giuramento e alle vostre bandiere. Voi formerete l’estrema avanguardia di un corpo che fra pochi giorni vi sosterrà efficacemente in queste pianure, e che sarebbe, se verrà il caso, testimonio della vostra bravura, della vostra fedeltà e della vostra disciplina. Io voglio che siano i soldati estensi che affrontino pei primi lo straniero invasore del Nostro territorio che è pure Nostra e vostra patria. Esso sarà forse preceduto da masnade rivoluzionarie. Se pur doveste ripiegare in buon ordine dinanzi al primo, permetterò che non si contino i secondi, dei quali vi lascerò fare buona giustizia.
"Modena, 2 giugno 1859.
"Francesco."
"Il nemico minaccia di penetrare nel Nostro Stato dal lato dell’Abetone, ove ha spinto la sua avanguardia.
"Il 1° battaglione del reggimento di linea con una sezione d’artiglieria e un distaccamento di dragoni a cavallo avrà l’onore di affrontarlo pel primo, ov’egli si avanza.
"Soldati! Voi meritate fin d’ora la mia fiducia, ed aspetto che in quest’occasione non smentirete le qualità che fanno il vero soldato, cioè valore unito alla fermezza, ed inconcussa fedeltà al giuramento e alle vostre bandiere. Voi formerete l’estrema avanguardia di un corpo che fra pochi giorni vi sosterrà efficacemente in queste pianure, e che sarebbe, se verrà il caso, testimonio della vostra bravura, della vostra fedeltà e della vostra disciplina. Io voglio che siano i soldati estensi che affrontino pei primi lo straniero invasore del Nostro territorio che è pure Nostra e vostra patria. Esso sarà forse preceduto da masnade rivoluzionarie. Se pur doveste ripiegare in buon ordine dinanzi al primo, permetterò che non si contino i secondi, dei quali vi lascerò fare buona giustizia.
"Modena, 2 giugno 1859.
"Francesco."
Guidate dal Colonnello Foghieri le truppe si misero in marcia verso la
montagna e giunsero a Pavullo a mezzogiorno del 3 Giugno.
Colonnello Foghieri . |
I rinforzi Austriaci , che erano stati richiesti dal Duca per fronteggiare
l'invasione piemontese dalla Toscana, giunsero presto, ma in quantità
sufficiente solo a ritardare l'occupazione, non a fermarla. Nella mattina del 4
Giugno arrivarono a Modena tre battaglioni Austriaci comandati dal
Generale maggiore Barone di Jblonsky, mentre un altro battaglione si era
fermato a Carpi. Compreso il reggimento Conte Giulay, che già si trovava a
Modena , si trovavano quindi nello Stato Estense cinque battaglioni Austriaci.
Il 5 Giugno il
battaglione Giulay era sulla strada del Frignano , un altro battaglione
Austriaco era diretto a Reggio e il giorno successivo una compagnia avanzava
fino a Puianello. Tutto ciò aveva trasmesso alla maggioranza fedele della
popolazione "le più lusinghiere speranze" che tuttavia vennero presto
disattese dalla tragica notizia della sanguinosa battaglia di Magenta ,
che fece mutare radicalmente la situazione nello Stato estense e non solo.
Le avverse circostanze politiche costrinsero la Duchessa Reggente di Parma Luisa
Maria Teresa di Borbone ad abbandonare
di nuovo i suoi Stati. Il 9 Giugno Luisa Maria partì da Parma alla volta di
Mantova , lasciando una Commissione di Governo che venne sovvertita dagli
agenti filo-piemontesi e nel primo pomeriggio dichiarò in un proclama , senza
alcuna legittimità, di assumere il potere in nome di Vittorio Emanuele II .
Francesco V venne informato degli avvenimenti di Parma il giorno stesso da
un telegramma del Casoni. Il giorno successivo il Duca apprese che, nella
notte, le truppe Ducali avevano abbandonato totalmente Parma, per cui il
nemico poteva transitare attraverso il Parmense senza essere intercettato:
Francesco V comprese così che gli sarebbe stato impossibile rimanere a Modena.
Alle cinque del pomeriggio riceveva inoltre dal Quartiere Generale Austriaco l'avviso
ufficiale che l'Armata Imperiale si ritirava oltre il Mincio. Le truppe
Austriache abbandonavano cioè la città di Modena e lo Stato Estense. Lo
sgombero delle Legazioni Pontificie delle Romagne, che erano state oggetto di
sovversioni organizzate del tutto simili alle finte insurrezioni prima citate,
"era sinonimo della vittoria della rivoluzione in quelle provincie",
si legge nel Giornale della Reale Ducale Brigata Estense. Il ritrovarsi privo
di supporti militari convinse infatti suo malgrado il Duca a dare ordine di
evacuare Modena e Reggio.
"Ogni ulteriore esitazione sarebbe stata inutile e forse fatale",
scriveva il Giornale della Reale Ducale Brigata Estense.
Consapevoli di governare un piccolo Stato con un piccolo esercito, da
sempre gli Estensi di fronte alla minaccia dell'invasione straniera preferivano
ritirarsi dalle loro terre, onde evitare guerre civili o inutili spargimenti di
sangue. Il mite Francesco V poi era particolarmente avverso alla guerra e alla
violenza, così lasciò spontaneamente il Trono di fronte alla minaccia
dell'invasione Piemontese. Qualcuno ritiene che, se non lo avesse
fatto , con la fedeltà del popolo, sarebbe riuscito a mantenere l’ordine
legittimo , o per lo meno cadere in battaglia cercando di difenderlo . E' di
questo parere ad esempio Filippo Curletti, l'agente segreto di Cavour che al
termine del processo risorgimentale scrisse le sue confessioni, rivelando
peraltro vari aspetti oscuri e scandalosi del cosi detto risorgimento. Come
rivela il Curletti , Francesco V , lasciando le sue terre , fece suo
malgrado il gioco del nemico. Nel mentre che si compivano le rivoluzioni di
Firenze e di Parma , Francesco V di Modena , abbandonava i suoi Stati,
lasciando così il campo libero ai Zini e ai Carbonieri; meravigliati di un
successo così inaspettato. La condotta del Duca in questa occasione è
inconcepibile, se non si suppone che egli sia stato ingannato sulla vera
situazione delle cose. Come per Firenze e parma, sarebbe bastato un colpo di
fucile per mandare a vuoto la cospirazione di Modena.
Nella sera del 10 Giugno, quella che precedeva il momento dell'esilio
definitivo, Francesco V si rivolgeva alle sue truppe con un ordine del giorno
che le riempì di fervore:
Francesco V di Modena. |
Ordine del giorno
Soldati!
"La campagna prevista da qualche tempo è incominciata. Il vostro Sovrano è colle fedeli sue truppe per dividere con esse la sorte della medesima, e per difendere i diritti suoi più sacri contro l’indegna violenza d’uno straniero conquistatore, e della rivoluzione di cui si fece capo.
"Soldati! Voi mi avete dato nei mesi
scorsi in mezzo a mille tentativi di seduzione prove della più inconcussa
fedeltà; alcuni indegni tra voi hanno mancato al loro dovere: voi avete veduto
in un paese vicino mancarne altri in maggior numero e divenire spergiuri; ciò
non ostante voi siete rimasti fedeli.
"Verrà giorno in cui il mondo vi renderà giustizia esso pure; la vostra coscienza e la parte più onorata della società ve la rendono fin d’ora.
"Soldati! Io confido dunque doppiamente in voi nei presenti giorni, che sono di prova bensì, ma che potranno essere insieme giorni di gloria.
"Cedendo al numero, ci ripiegheremo intanto sul Po, pronti a combattere l’inimico, dove le circostanze l’esigessero, a fianco della fedele e prode I. R. armata austriaca, nostra alleata.
"Accompagnati dai voti di ogni uomo onesto, potremo, a Dio piacendo, in breve riavere il perduto, e voi, dopo sostenute onorate fatiche godere in seno dei vostri della quiete e dell’ordine, al ristabilimento del quale potrete gloriarvi di aver contribuito a costo ancora del vostro sangue.
"Modena, 10 giugno 1859.
"Francesco".
"Verrà giorno in cui il mondo vi renderà giustizia esso pure; la vostra coscienza e la parte più onorata della società ve la rendono fin d’ora.
"Soldati! Io confido dunque doppiamente in voi nei presenti giorni, che sono di prova bensì, ma che potranno essere insieme giorni di gloria.
"Cedendo al numero, ci ripiegheremo intanto sul Po, pronti a combattere l’inimico, dove le circostanze l’esigessero, a fianco della fedele e prode I. R. armata austriaca, nostra alleata.
"Accompagnati dai voti di ogni uomo onesto, potremo, a Dio piacendo, in breve riavere il perduto, e voi, dopo sostenute onorate fatiche godere in seno dei vostri della quiete e dell’ordine, al ristabilimento del quale potrete gloriarvi di aver contribuito a costo ancora del vostro sangue.
"Modena, 10 giugno 1859.
"Francesco".
La Brigata Estense nel 1859: Francesco V di Modena passa in rassegna le fedeli truppe. |
Il giorno successivo , l'11 Giugno 1859 Francesco V all'alba lasciava
le terre del Ducato di Modena , quelle terre che gli appartenevano "non
tanto per avito legittimo retaggio, quanto assai più perché ne aveva
conquistato colla giustizia e coi benefizi l'amore e la gratitudine" .
Narrava il funzionario Ducale Raffaele Vaccari: " Il Duca a cavallo
vestiva l'uniforme da Generale dè suoi Cacciatori: un cappello guarnito ad
oro, ed un gran pennacchio a piume cadenti, nuda la sciabola, con cera
aggrondata , burbera, e sdegnosa, l'occhio scintillante per ira, pallido
piuttosto che no, e di atti sprezzanti". Era seguito dalle sue fedelissime
truppe, oltre tremila soldati che lasciavano a Modena quato possedevano di
più caro e prezioso: i beni e la famiglia.”
La Brigata Estense fu l'unico fra gli eserciti Italiani (fatta eccezione
per la breve parentesi dei soldati Parmensi) a seguire il Sovrano in esilio e
lo fece esclusivamente per incondizionato amore verso il Principe e per
rispetto dei giuramenti prestati, offrendo un esempio straordinario che
meravigliò anche i più accesi anti-duchisti. Chi voleva far credere che
l'allontanamento dei Sovrani dalle proprie terre avvenisse per volontà
popolare, che essi rappresentassero esempio di tirannia da sconfiggere, che i
plebisciti organizzati ad arte dai Piemontesi per usurpare i troni agli altri
Principi Italiani ritraessero l'effettiva volontà della gente, ebbe nella
vicenda delle truppe estensi, la più grande ed esemplare contestazione:
"Se ancor si rifletta che a ciò non furono nè violentate nè
costrette, ma vi si condussero con generosa e spontaneo entusiasmo; non si può
non iscorgere in questa loro abnegazione un plebiscito solenne, assai più
splendido e spontaneo di quanti ebbero in seguito a porsi in iscena con
menzognero prestigio", scriveva il ministro residente a Vienna Teodoro
Bayard De Volo per poi aggiungere: " ... una truppa la quale segue il
proprio sovrano non il giorno del trionfo ma in quello della sventura, che
rinunzia per lui alle alternative di patria , ed agli affetti di famiglia , che
rsiste alle seduzioni dell'usurpatore, che sopporta le ingiustizie dei partiti,
che stretta intorno alle sue bandiere tiensi, senza esitare un istante, pronta
a qualsiasi evento , non protesta essa forse con tutta l'energia di una
fede antica, contro alla vituperevole cedevolezza dei tempi nuovi?" .
La colonna Estense partita da Modena giunse a Carpi alle dieci del mattino.
Riportava Francesco V nel suo diario:
"L'11 Giugno lasciai Modena colle mie truppe. Erano appena le cinque del
mattino. Alle quattro e mezzo sortendo dal palazzo per la porta verso il Corso
Estense v'era poca gente: facchini o dell'infima plebe. L'attitudine era del tutto
passiva e tra il malinconico ed il cupo, l'aspetto era come di gente avente
ansietà sulla loro sorte avvenire. In campagna parevano i più non comprendere
la gravità del momento ed il passaggio, chi sa per quanto tempo, dal potere
legittimo ad un governo rivoluzionario ed estero. Però vi erano eccezioni e
vidi dei vecchi contadini al vedermi passare stender le mani al celo e piangere
dirottamente, uno fra gli altri in Villa Quartirolo, presso Carpi".
Il 12 Giugno, il giorno di Pentecoste, le truppe estensi assistettero alla
messa a Carpi, poi ripresero la marcia e sostarono a Novellara per il pasto.
All'una lasciarono Novellara e alle quattro arrivarono a Guastalla, dove
rimasero per tutto il giorno successivo.
Una colonna formata da una parte della guarnigione di Reggio l'11 Giugno
aveva invece raggiunto Brescello, dove era ad attenderla un reggimento
Austriaco. Francesco V sperava che il Comando Imperiale non avesse intenzione
di abbandonare completamente la riva destra del Po e che fosse possibile tentare
una resistenza a Brescello. L'armamento della fortezza era stato recentemente
rinforzato e Francesco V contava molto sulla possibilità di resistere nella
piazzaforte di Brescello , se non altro per dimostrare all'opinione pubblica
che non cedeva alle forze nemiche senza combattere. Il giorno 13 le truppe
Austriache vennero però ritirate da Brescello e le truppe Estensi vennero
avvisate che due giorni dopo sarebbe stato distrutto il ponte di Borgoforte.
Francesco V si vide così costretto ad evacuare Brescello .
Soldati dell'Esercito del Ducato di Parma. |
Fra Borgoforte e Guastalla la truppa Estense incontrò l'esercito Parmense
che si recava a Mantova al seguito della Duchessa Luisa Maria , dove per
l'ultima volta sarebbero stati resi gli onori militari alle insegne dei Borbone
di Parma.
La Brigata Estense seguì il Duca Francesco V in esilio fuori dalle terre
Estensi sino a Mantova.
Avevano inoltre seguito i Duca : il Generale Conte Luigi Forni,
Aiutante Generale Maggiordomo Maggiore; la Guardia Nobile d'Onore: il Conte
Giacomo Molza, il Conte Giuseppe Abbati Marescotti , il Conte Ferdinando
Galvani , il Marchese Luigi Coccapani Imperiali, il Conte Luigi Alberto
Gandini, il Cavallier Carlo Santyan y Velasco , il Conte Scipione Scapinelli ,
il Nobile Giulio Besini, il Nobile Enrico Borsari. Sulla bandiera della Guardia
Nobile d'Onore , il cui nastro era stato intessuto dalle mani della Duchessa
Maria Beatrice, campeggiava la scritta: "Onoro e fedeltà".
Anche i Cavalieri della
Guardia che scelsero di restare a Modena diedero prova di lealtà e devozione al
Duca e quando il governo Sardo costrinse la Guardia Nazionale di Modena al
giuramento di fedeltà al Re Vittorio Emanuele II , nessun cavaliere della
Guardia Nobile fu visto nelle sue file: " L'Europa accetti nella lunga e
ognor durevole esistenza del nobile corpo di cui parlammo , una prova di più
per seguire a credere che il Trono degli Estensi a Modena aveva ed avrebbe per
base l'amore e la venerazione dei sudditi".
Le conseguenze della Rivoluzione nel Ducato di
Modena.
Una volta che Francesco V di Modena partì , Zini e Carbonieri si
affrettarono a formare un governo provvisorio e chiamarono come governatore Luigi
Carlo Farini, allora medico a Torino. Il Curletti lo seguì come capo della sua
polizia politica.
Luigi Carlo Farini con la famiglia. |
Il primo ordine che Farini diede al Curletti entrando nel
palazzo d’Este, fu di impadronirsi di tutte le chiavi, comprese quelle della
cantina. “E’ inutile” disse il Farini “di fare un inventario”. All’arrivo della
signora Farini, dovette rimettere tutte
le chiavi nelle di lei mani. Tutta l’argenteria, collo stemma ducale, fu dato a
fondere. Dove finì il prodotto?… Io non
posso essere totalmente sicuro fino a questo punto, ma ciò che si sa è che non
fu versato al tesoro. Una circostanza che ci conferma una simile valutazione ,
è che a quell’epoca Farini ordinò al Curletti di comunicare ai giornali un
articolo, che tutti all’epoca lessero, e nel quale vi era scritto che il Duca partendo, aveva portata via tutta la
sua argenteria, e tutti gli oggetti di qualche valore, e non aveva, per così
dire, lasciato che le quattro mura: anche le cantine erano vuote, per quanto ne
asseriva codesto articolo comunicato. Esse lo erano anche pressoché, in quel
momento, ma da dieci giorni. Farini teneva corte bandita nel palazzo ducale,
Borromeo, Riccardi, Visoni, Carbonieri, Mayr, Chiesi e Zini erano i soliti
commensali di quei pranzi principeschi. Su questo proposito accadde un piccolo fatto che rallegrò qualche
giorno le conversazioni di Modena, e di cui si perderebbe, veramente, a non
conoscere i dettagli. La tavola del
governatore era stata fornita da un tale Ferrari, che teneva (e che tiene
tuttora) l’albergo di San Marco a Modena. Suo padre era Capo dello Stato Maggiore di Francesco V. Al
termine di otto giorni la lista del Ferrari ammontava a 7.000 franchi. Farini
trovò accordo di pagare questa somma con un brevetto di colonnello che Ferrari
accettò. Costui si trovò tutto ad un tratto posto al livello di suo padre che
contava 30 anni onorato servizio. Il
figlio arrivò così a comandare la piazza di Modena , mentre il padre era in esilio!!:
Questa metamorfosi di un cuoco in colonnello non è più sorprendente di quella
di un cocchiere in tenente colonnello di stato maggiore, trasformazione di cui
noi abbiamo un esempio in Mezzacapo, fratello del generale di questo nome. Egli
si è addormentato una sera colla frusta in mano e si è risvegliato la mattina colle
spallette di aiutante di campo di suo fratello. Tutta Torino lo conosceva , non
già, ben si intende, come tenente colonnello.
Qualche giorno dopo
l’installazione della signora Farini tutta la guardaroba della Duchessa fu data
alle sartorie, dopo che essa e sua figlia l’ebbero divisa. Ciascuna di loro fece ridurre la sua parte
alla propria misura. La corpulenza di Farini non gli permise di approfittare
della guardaroba del Duca, ma questa non sortì, per così dire, di famiglia.
Riccardi, allora segretario, e poi genero di Farini, se ne impadronì.
Il saccheggio della casa ducale cagionò nel Curletti qualche sorpresa. Contrastava infatti
passabilmente col disinteresse spartano di cui Farini voleva allora dare
spettacolo.
Firma del Trattato di Zurigo. |
Come il lettore ben saprà , l’11
luglio 1859 , dopo le sanguinose battaglie di Solferino e San Martino , venne
firmato da Napoleone III e dall’Imperatore Francesco Giuseppe I d’Austria
l’Armistizio di Villafranca. Esso pose fine alla Seconda Guerra d’espansionismo
sabaudo e alle mire che il Cavour aveva su Venezia. L’armistizio di
Villafranca, a cui anche l’ignorante e meschino Vittorio Emanuele II di
Sardegna pose la firma il 12 luglio, fu ratificato dal Trattato di
Zurigo del novembre 1859. Come il lettore ben informato sa , tale trattato non
venne rispettato dal governo di Torino il quale ignorò le disposizioni
chiaramente esposte all’Art. 18 e 19:
"Art. 18. Sua Maestà l’Imperatore dei Francesi e Sua Maestà l’Imperatore d’Austria si obbligano a favorire con tutti i loro sforzi la creazione di una Confederazione tra gli Stati Italiani, che sarà posta sotto la presidenza onoraria del S. Padre, e lo scopo della quale sarà di mantenere l’indipendenza e l’inviolabilità degli Stati confederati, di assicurare lo svolgimento de’ loro interessi morali e materiali e di garantire la sicurezza interna ed esterna dell’Italia con l’esistenza di un’armata federale.
"La Venezia, che rimane posta sotto la corona di Sua Maestà Imperiale e Reale Apostolica, formerà uno degli Stati di questa Confederazione, e parteciperà agli obblighi come ai diritti risultanti dal patto federale, le cui clausole saranno determinate da un’assemblea composta dei rappresentanti di tutti gli Stati Italiani.
"Art. 19. Le circoscrizioni territoriali degli Stati indipendenti dell’Italia, che non presero parte nell’ultima guerra, non potendo esser cambiate che col concorso delle Potenze che hanno presieduto alla loro formazione e riconosciuta la loro esistenza, i diritti del Gran Duca di Toscana, del Duca di Modena e del Duca di Parma sono espressamente riservati tra le alte parti contraenti.
Il Duca Francesco V ,
secondo il suddetto trattato , avrebbe dovuto rientrare in possesso dei suoi legittimi
Stati ed entrare a far parte della Confederazione Italiana che si era deciso di
istituire. Come purtroppo ben si sa , ai sovrani di Modena , Parma , Toscana e
Legazioni Pontificie delle Romagne venne impedito di riprendere ciò che
legittimamente gli spettava per diritto e per trattato internazionale. Le
proteste alle potenze d’Europa non sortirono l’effetto sperato dai sovrani
spodestati con l’inganno della Rivoluzione.
I plebisciti nel Ducato di Modena.
Con completa inosservanza degli accordi presi alla firma del
Trattato di Zurigo, il governo di Torino indisse i plebisciti d’annessione per
l’11-12 marzo 1860.
Luigi Carlo Farini. |
Nel frattempo Farini si mostrava molto concitato contro i
duchisti estensi e principalmente contro i preti e le monache. “Non bisogna
avere pietà con quelle canaglie” ripeteva egli sovente, leggendo i rapporti del
Curletti. Dietro simili disposizioni del governo l’agente segreto del Cavour aveva carta bianca per gli arresti e le
incarcerazioni. Curletti immagino, con Riccardi, di profittare della loro posizione.
Agenti della più infima specie reclutati da loro si introducevano presso le
persone conosciute per il loro
attaccamento alla dinastia ducale, presso i preti, nei conventi, ed all’atto di
operare gli arresti, facevano comprendere che con qualche opportuno lascito di
denaro si sarebbe potuto riconquistare la libertà, od anche evitare
l’imprigionamento. Simili argomenti mancarono ben raro di riuscita; vi si
sottometteva; ed era ciò che avevano di meglio da fare. Il prodotto di queste
estorsioni era rimesso a Riccardi, genero di Farini. Le somme erano più o meno
considerevoli, lo si comprende, secondo la fortuna delle persone arrestate.
Guastalla e Sanguinetti banchieri, non dovettero versare nelle mani del
Curletti meno di 4.000 franchi a testa.
Filippo Curletti. |
Nel frattempo si preparava tutto nell’Italia centrale per le
elezioni dei parlamenti provinciali, quando giunse a Torino la nota dal
gabinetto francese, che domandava il richiamo, prima del voto, dei commissari
piemontesi. Il Piemonte non poteva sottrarsi a questa esigenza: vi si
sottomise, anche se di mala voglia, per le Romagne, la Toscana ed il Ducato di
Parma. Là il terreno pareva abbastanza
preparato data la presenza di agenti in incognito che garantivano il risultato
delle elezioni. Ma non era così per il Ducato di Modena, di cui soprattutto le
campagne, davano molta inquietudine. I
partigiani della dinastia Estense vi erano numerosi ed influenti: in una
parola, il Piemonte temeva, lasciando questo paese a sé medesimo, di vederselo
sfuggire dalle mani con una Controrivoluzione.
Si decise quindi che Farini restasse, ma per permettere ciò era necessario
trovare un pretesto che ingannasse il governo francese o piuttosto l’opinione,
perché è difficile credere che il gabinetto francese abbia preso un solo
istante sul serio la commedia di Modena. Curletti ebbe un lungo colloquio col
governatore per programmare la commedia
che fu esattamente eseguita. Il giorno
finale per la partenza di Farini, il Curletti appartò una parte dei suoi uomini
sul piazzale del palazzo; aveva fatto venire per ingrandirne il numero tutti i
carabinieri e gli agenti di polizia che si trovavano a Reggio, a Carpi,
Mirandola e Pavullo. Al momento che il
governatore apparve, per montare in carrozza, si misero essi a gridare, in
conformità della consegna che avevano ricevuto: “viva Farini… egli non partirà,
egli è il nostro padre!!!”. Costoro seguirono la carrozza continuando le loro
acclamazioni, Curletti si era collocato, col resto dei suoi agenti fuori dalla porta a Parma. Al momento
in cui il governatore arrivò, dietro un suo segnale, gli agenti del Curletti si
misero a gridare: “viva il dittatore!!”.
Si gettarono sulla carrozza, ne distaccarono i cavalli e la
ricondussero in città alle grida di “viva il dittatore!”. Arrivando al palazzo,
dove attendevano i membri principali del governo commissariale, si stese, senza
perdita di tempo, in presenza di Farini, un processo verbale che lo nominava
cittadino di Modena e dittatore. Le prime firme che si leggono ai piedi del
processo verbale sono quelle del Conte Borromeo (segretario generale di
Farini), di Carbonieri (ministro dell’interno), di Chiesi (ministro dei culti),
di Riccardi (capo di gabinetto e genero di Farini), di Zironi (segretario
addetto), di Zini (intendente a Modena), di Mayr (intendente a Ferrara). La
sera da Farini si parlò molto della scena truffa della porta a Parma: al
momento in cui furono staccati i cavalli Curletti era a due passi dal nuovo
dittatore, e lo vide conservare a gran fatica la sua serietà. Le elezioni che si fecero qualche giorno dopo
assomigliarono moltissimo alla scena che ho raccontato pocanzi. Il Curletti e i
suoi si eravamo fatti rimettere i registri parrocchiali per stendere le liste
degli elettori. E quindi prepararono tutti i biglietti. Per le elezioni dei
parlamentari locali, come più tardi per il voto di annessione, un piccolo
numero di elettori si presentò a prendervi parte, ma al momento della chiusura
delle urne, gli sgherri sovversivi vi gettarono dentro i biglietti,
naturalmente in senso piemontese, di quelli che si erano astenuti; non tutti
peraltro, ciò si intende; ne lasciarono da parte qualche centinajo o qualche
migliaio, secondo la popolazione del collegio. Bisognava ben salvare le
apparenze, almeno in faccia all’estero, perché per l’interno sapevano a quale
espediente attenersi. Tutto ciò che sto narrando è della più scrupolosa
esattezza. Anche prima dell’apertura del
voto carabinieri ed agenti di polizia travestiti ingombravano le sale dello
scrutinio e l’ingresso alle medesime. Era sempre fra di loro che il Curletti e
i suoi sceglievano il presidente dell’ufficio e gli scrutatori. Loro non erano
quindi “molestati” da questo lato. In certi collegi questa introduzione di
massa nell’urna dei biglietti degli agenti (che chiamavano “completare il voto”)
si fece con tale sicurezza e con sì poca attenzione, che lo spoglio dello
scrutinio diede più votanti che elettori inscritti. Vi si rimediò facilmente
con una rettificazione nel processo verbale. Poi biglietti negativi o ostili al
Piemonte, necessari al fine di dare al voto un’apparenza di sincerità, ne
lasciarono il pensiero agli stessi elettori.
Per ciò che concerne Modena il Curletti ne parla scientemente, perché
tutto vi si fece sotto i suoi occhi e la sua direzione. Del resto , come il
lettore ben saprà, un metodo perfettamente uguale fu seguito a Parma ed a
Firenze. Il dittatore dal suo canto
all’epoca delle elezioni aveva preso tutte le misure per essere sicuro del
parlamento: egli obbligò i candidati a sottoscrivere prima due decreti che egli
aveva preparato. Il primo pronunciava senza alcuna legittimità la decadenza
della Casa d’Este, il secondo prorogava indefinitivamente i poteri del
dittatore.
Immagine di propaganda risorgimentalista sui plebisciti. |
Due persone sole si
rifiutarono di sottoscrivere, Amadio Levi banchiere e Paglia professore, ed esse, come è facile immaginare, non furono
nominate.
Come già menzionato per i fatti di Firenze e di Parma
riguardo ai plebisciti, il lettore mi perdonerà se ripeto un fatto
rilevante e cioè che i verbali dei risultati e le schede sparirono
subito e già nel 1903 non si trovavano più né presso le preture né presso i municipi
. Vediamoli comunque questi risultati
truccati che interessarono Modena:
Parma, Modena e Romagne (11-12 marzo 1860): SÌ 426.006. NO
756. Annessionisti: 99,82 % Contrari: 0,17 %.
La commedia organizzata dal Farini sotto la direzione del
Curletti e in linea con il governo di Torino diede i suoi frutti avvelenati. Il Ducato di Modena
venne così fuso al Regno di Sardegna , e Modena divenne una volgare provincia
lasciata ad appassire. Vi furono insurrezioni legittimiste nelle campagne e in alcune
città in favore della dinastia ducale al grido di “Viva Francesco V! Morte ai liberali!”; tali isurrezioni furono
prontamente soffocate nel sangue dall’esercito “italiano” o prevenute col
terrore delle minacce. L’economia del Ducato sprofondò e là dove abbondavano
gli impieghi vi si trovava ora disoccupazione e mal contento misto alla
nostalgia dei bei tempi passati. Molti giovani attraversavano il Po per
arruolarsi nella Brigata Estense che si trovava in esilio con il Duca,
piuttosto che militare nell’esercito degli invasori.
In codesta trista maniera si conclude la narrazione dei fatti che interessarono il Ducato di Modena in quei nefasti avvenimenti che ne decretarono l’occupazione e la fine della sua indipendenza.
In codesta trista maniera si conclude la narrazione dei fatti che interessarono il Ducato di Modena in quei nefasti avvenimenti che ne decretarono l’occupazione e la fine della sua indipendenza.
Presidente e fondatore
A.L.T.A. Amedeo Bellizzi.
Fonte:
Filippo Curletti- LA VERITÀ SUGLI UOMINI E SULLECOSE DEL REGNO D’ITALIA RIVELAZIONI DI J. A. ANTICO AGENTE SECRETO DEL CONTE CAVOUR (a cura di Elena Bianchini Braglia).
Controstoria dell’Unità d’Italia – Fatti e misfatti del Risorgimento (Di Gigi Di Fiore).
In esilio con il Duca (La storia esemplare della Brigata Estense)Elena Bianchini Braglia.
Fonte:
Filippo Curletti- LA VERITÀ SUGLI UOMINI E SULLECOSE DEL REGNO D’ITALIA RIVELAZIONI DI J. A. ANTICO AGENTE SECRETO DEL CONTE CAVOUR (a cura di Elena Bianchini Braglia).
Controstoria dell’Unità d’Italia – Fatti e misfatti del Risorgimento (Di Gigi Di Fiore).
In esilio con il Duca (La storia esemplare della Brigata Estense)Elena Bianchini Braglia.