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Approfondimenti sulla legittimità e sulle due maggiori potestà legittime (Monarchia e Chiesa).
Come detto nella precedente parte di questo lavoro , le guarigioni miracolose , delle quali abbiamo trattato in maniera approfondita, operate dai Re di Francia ed Inghilterra sono prove e conferme della verità della cattolica religione e della legittimità divina del potere. Ogni vero miracolo, lo si è visto, attesta l’origine divina della Rivelazione. Che si tratti di un vero miracolo, poi, non mette conto dilungarsi troppo. Non occorrono lunghe disquisizioni per ritrovare, infatti, anche nel miracolo reale, le note caratteristiche, in quanto fatto sensibile, straordinario e divino.
Papa Benedetto XIV. |
Per secoli ognuno poté constatare il potere e la prerogativa medicinale di uomini che non erano medici. Solo il tocco della mano era sufficiente per ottenere la guarigione delle scrofole, malattia esternamente visibile, contagiosa e incurabile. Il modo della guarigione appariva a tutti come non ordinario. Il miracolo regio, tuttavia, è troppo singolare, sia per la sua continuità nel tempo, sia soprattutto per chi ne era protagonista ed attore, per non trarne altre logiche deduzioni. Chi infatti operava tale miracolose guarigioni? Benedetto XIV sottolinea giustamente che tale facoltà non proveniva ai Re di Francia “iure hereditario aut innata virtute” [per diritto ereditario e per innata virtù]. Esclude cioè che la miracolosa operazione sia una sorta di dono familiare. È vero infatti che tutti coloro che esercitarono, almeno in Francia, il tocco guaritore, appartenevano alla medesima famiglia, quella discendente da Ugo Capeto, fondatore della dinastia reale francese.
Enrico IV di Francia. |
Tuttavia, soltanto i Re di quella famiglia toccarono i malati. I Borbone, così, discendenti da Roberto, ultimo figlio maschio di San Luigi IX , attesero poco più di tre secoli, prima di toccare le scrofole. Lo fecero soltanto quando salirono al Trono come legittimi Re di Francia con Enrico IV (1594-1610). Il caso è ancora più evidente per la monarchia inglese, ove si successero sul Trono varie dinastie, legate tra loro da vincoli di parentela più o meno stretti: Plantageneti, Tudor, Stuart. In secondo luogo, non tutti i Re di Francia e d’Inghilterra che toccarono gli ammalati erano santi, nel senso tecnico di fedeli Cattolici, che praticarono le virtù cristiane al grado eroico.
Tanquerey insegna infatti, con San Tommaso, che l’utilità morale del miracolo è duplice:
1) o per comprovare la santità, nel senso sopra indicato, di un fedele, o 2) per dimostrare la verità e l’origine soprannaturale di una dottrina. Il miracolo delle scrofole persegue proprio tale seconda finalità. Lo si ricava considerando l’attore del miracolo. Chi compiva l’opera guaritrice è il Re legittimo. Questi Principi spesso non erano santi, né possedevano un dono familiare ereditario: si deve logicamente dedurre che il potere taumaturgico era strettamente legato alla loro prerogativa di sovrani legittimi. Il miracolo reale si rivela così un miracolo ‘politico’. Non l’appartenenza familiare, né la santità individuale, è causa del miracolo, ma la potestà politica, l’autorità temporale, il fatto di essere Re cristiani legittimi.
Il miracolo reale è quindi la prova dell’origine divina dell’autorità politica. Il potere dei Re è sacro. “Ogni potere proviene da Dio”, insegna, infatti, San Paolo. Dio è la fonte e l’origine di ogni legittima autorità, quella del Capofamiglia, del Sovrano e del Sacerdote.
Il miracolo regio, tuttavia, riguarda espressamente la potestà temporale, l’autorità politica dello Stato legittimo, inteso come società perfetta, avente in sé i mezzi per conseguire il suo fine proprio, che è la felicità temporale, ossia il bene comune. Il potere dello Stato, quando è legittimo, è sacro, derivando da Dio, fonte di ogni autorità. Tale miracolo collima perfettamente con l’insegnamento costante della Chiesa Cattolica e la retta filosofia. L’autorità politica si fonda sul diritto e sulla legge di natura, il cui autore è Dio.
Papa Leone XIII. |
«È la legge di natura – insegna Leone XIII, nell’enciclica Diuturnum illud – che spinge gli uomini a vivere in società, o meglio, più esattamente è l’autore della natura, cioè Dio».
L’autorità civile, inoltre, procede da Dio immediatamente. «L’autorità procede da Dio immediatamente. Che gli uomini, infatti, non possano conferire l’autorità alla società si ricava dalle seguenti considerazioni: (1) Gli uomini, quando vivono riuniti assieme secondo la legge di natura, non possono impedire l’autorità. Volenti o nolenti, infatti, occorre che nella moltitudine sia presente un’autorità su- prema. (2) Gli uomini non possono annullare i diritti principali di quell’autorità. Possono invero dividerla, separando, ad esempio, il potere legislativo da quello giudiziario, ed assegnare le diverse prerogative dell’autorità a soggetti diversi. Se vogliono, però, vivere in società, non possono annullarla completamente, abolendo, per es., il potere giudiziario. (3) La suprema autorità possiede alcuni diritti, ammessi come legittimi senza esitazione da tutti i popoli di tutti i tempi, diritti che superano la capacità dei singoli, e che quindi non possono essere da loro conferiti alla società, ma soltanto immediatamente da Dio. Tali sono per esempio il diritto di guerra, quello di comminare pene, di coercizione ed altri simili. Dalla vera dottrina circa l’origine dell’autorità segue che colui che viene insignito del supremo potere in una società, è propriamente un ministro di Dio. Non è in verità ministro del popolo, se non nel senso che egli adempie il suo ufficio a favore del popolo. Nella dignità del superiore quale ministro di Dio si fonda ciò che si dice maestà e inviolabilità dell’autorità»215. È quindi Dio, autore dell’ordine naturale, che conferisce immediatamente e di- rettamente allo Stato l’autorità. Il dettato scritturale, sia del Vecchio che del Nuovo Testamento, è anche su questo punto assai perspicuo: «Per Me regnano i Re, per Me i Principi comandano» (Prov., XIII, 13); «Il Principe è ministro di Dio» (Rom., XIII, 2); «Chi resiste all’autorità, resiste all’ordine di Dio» (Rom., XIII, 4).
Re Enrico II di Francia che cura gli scrofolosi (miniatura del XVI secolo). |
Il tocco guaritore dei sovrani, tuttavia, consente ulteriori considerazioni. Dicevamo trattarsi di un miracolo ‘politico’, tendente a confermare l’origine divina dell’autorità temporale (legittimità). Esso pure comprova un altro punto della dottrina sociale cattolica: la monarchia è la miglior forma di governo. Sono infatti dei Re, dei Monarchi, che compiono il rito taumaturgico. La dottrina classica insegna che vi sono tre legittime forme di governo: la monarchia, governo di uno solo; l’aristocrazia, governo dei migliori; e la democrazia, governo di molti (purché non presupponga l’erronea dottrina della cd. sovranità popolare).
Tali regimi politici, se rispettano la legge di natura e la religione rivelata, sono egualmente legittimi. Presentano, tuttavia, una gradazione di perfezione, dal meno al più perfetto, in ordine al fine che lo stato legittimo persegue, che è il bene comune. La monarchia è il più perfetto, seguito dall’aristocrazia, per finire con la democrazia. San Tommaso d’Aquino nel De Regimine Principum dedica alcuni fondamentali capitoli a dimostrare l’eccellenza della monarchia da un punto di vista filosofico. Tale supremazia della forma monarchica è inoltre attestata, oltre che dalla retta ragione, anche dalla storia della civiltà cristiana e dall’esempio della Sacra Scrittura. La monarchia fu il regime politico quasi esclusivo della civiltà cristiana medioevale. Erano pure presenti le altre forme di governo. Si pensi alla democrazia dei Cantoni Svizzeri, o alla costituzione aristocratica di Stati prestigiosi e potenti come le Repubbliche di Genova e Venezia. Tuttavia il Cristianesimo non ha mai nascosto la sua predilezione per la monarchia.
L’esempio dell’Antico Testamento, ove si narrano particolareggiatamente le vicende dei Regni d’Israele e Giuda, quello del Nuovo, ove lo stesso Cristo si proclama pubblicamente discendente del Re Davide, Re egli stesso, ove continuamente s’accenna al nuovo Regno che il Messia, l’Unto per eccellenza, è venuto a fondare, furono modelli troppo evidenti e importanti per non essere tenuti in considerazione in quelle epoche di fede e di luce. Cristo istituì poi la Chiesa secondo il modello della monarchia, ponendone al vertice, quale sovrano supremo, il Vescovo di Roma.
Il Regicidio di Luigi XVI di Francia (21 gennaio 1793). |
Papa Pio VI (1775-1799) nell’Allocuzione al Sacro Collegio del 17 giugno 1793, commentando la drammatica, ma religiosa dipartita del Re Cristianissimo Luigi XVI (1775-1793), vittima della ferocia rivoluzionaria, rovescia completamente la tesi giacobina, che considera la monarchia il governo peggiore, incompatibile per essenza con gli ‘immortali princìpi’, sottolineando invece con forza, quale aggravante dell’empietà rivoluzionaria, l’abolizione della monarchia francese:
Papa Pio VI . |
«La Convenzione … dopo aver abolito la monarchia, la miglior forma di governo, aveva trasferito tutto il pubblico potere al popolo, che non si comporta né secondo ragione, né secondo consiglio, e che non si forma su nessun punto delle idee giuste, apprezza poche cose in base a verità e moltissime ne valuta secondo l’opinione; che è sempre incostante, facile da ingannare, attirato da tutti gli eccessi, ingrato, arrogante, crudele; che gioisce nella carneficina e nell’effusione di sangue umano… ».
La Chiesa, in sintonia con la sua predilezione per tale più perfetto regime politico, istituì appositamente per la monarchia il rito della consacrazione. Solo Re ed Imperatori, durante i felici secoli della civiltà cristiana, erano consacrati col rito dell’Unzione.
Insomma: (1) ragioni filosofiche; (2) esempi storici; (3) il modello della Sacra Scrittura; (4) l’esempio di N. S. Gesù Cristo; (5) la costituzione monarchica della Chiesa Cattolica; (5) il rito della Consacrazione dei Re, tutto predica a favore di tale forma di governo a preferenza delle altre. Non si può infatti dirsi cattolici, se non si è anche monarchici. Il miracolo dei Re conferma in pieno tali conclusioni.
Tornando a parlare del rito taumaturgico dei Re, gli autori che di esso trattano sottolineano spesso la sua connessione colla cerimonia dell’Unzione . «Confesso che assistere il Re equivale [per un chierico] compiere una cosa santa; perché il re è santo; egli è l’Unto del Signore; non invano ha ricevuto il sacramento dell’unzione», affermava con forza Stefano di Blois riferendosi ad Enrico II d’Inghilterra. «Il Re inoltre non solo è tenuto al culto divino come uomo e come signore, ma anche come Re, perché i Re sono unti con olio consacrato, come risulta chiaro nel caso dei Re del popolo d’Israele, che venivano unti con olio santo dalle mani dei Profeti. Perciò erano anche detti Unti del Signore, per eccellenza di virtù e di grazia in unione con Dio, delle quali dovevano essere dotati. Per quest’unzione essi ottenevano un certo ossequio e un certo conferimento d’onore», insegna a sua volta San Tommaso. E si potrebbero citare altri esempi. Il Dottore Angelico con l’espressione «per quest’unzione essi ottenevano un certo ossequio e un certo conferimento d’onore», indica con chiarezza che non è l’Unzione che costituisce il sovrano. Il monarca riceve, infatti, la sua autorità direttamente da Dio. Tale potestà preesiste all’unzione. Il potere temporale si fonda sulla legge e l’ordine di natura, il cui autore è Dio. L’ordine soprannaturale, disciplinato in terra dall’autorità ecclesiastica, presuppone l’ordine naturale, lo perfeziona anche, ma non lo costituisce. Dio avrebbe potuto elevare il potere temporale dello Stato dall’ordine naturale a quello soprannaturale, come è avvenuto per il matrimonio, ma non l’ha fatto. Il Sacramento del Matrimonio (ordine soprannaturale) infatti presuppone il contratto (ordine naturale). Nel momento in cui in una monarchia ereditaria il titolare della sovranità muore, subentra il successore che, se, da un lato, riceve mediatamente e accidentalmente il potere per il fatto di appartenere a quella famiglia, dall’altro, in sé e per sé, l’ottiene formalmente, direttamente e immediatamente da Dio, senza doverlo a nessun altri che a Dio.
L’unzione in questo senso profondo conferisce al sovrano solo “un certo ossequio e un certo conferimento d’onore”.
Sant'Ambrogio converte Teodosio il Grande, tela di Pierre Subleyras, 1745. |
In un’aristocrazia, in una democrazia, in una monarchia elettiva avviene la medesima cosa. Così il Papa, eletto dal Conclave, il Collegio che raccoglie l’aristocrazia della Chiesa, i Cardinali, una volta eletto non risponde ad altri che a Dio. Mediatamente e accidentalmente il Pontefice Romano (nella monarchia elettiva che regge la Chiesa cattolica) è designato dal Conclave, avendo tale organo collettivo un effettivo potere di ‘designazione’ del candidato al Papato, ma formalmente, direttamente e immediatamente l’autorità proviene al Papa da Dio. L’autorità del Conclave è limitata alla scelta del candidato al Sommo Pontificato. Prima del diffondersi della consuetudine della consacrazione degli Imperatori e dei Re, v’erano certamente legittimi Re ed Imperatori cristiani, ben consci della propria autorità e dell’origine divina di essa. Teodosio il Grande (379-395) che emanò l’Editto di Tessalonica (380 d.C.) con cui inizia la vicenda dell’Impero Cristiano, non venne mai unto o consacrato. Pure il pio monarca era ben consapevole della sacertà del suo mandato e della origine divina della potestà che esercitava, come attesta la sua politica a favore della religione rivelata. Si comprende come, ben presto, sulla scorta dell’esempio biblico, sia andata diffondendosi la prassi di ungere e consacrare i sovrani con un’apposita cerimonia. Essa va riguardata sotto un duplice aspetto:
a) da un punto di vista sacramentale;
b) da un punto di vista dottrinale.
Come accennato pocanzi, astrattamente parlando, NS Gesù Cristo avrebbe potuto elevare la potestà politica dall’ordine naturale, ove poggia per volontà di Dio, all’ordine sovrannaturale, istituendo un apposito sacramento che conferisse e stabilisse soprannaturalmente l’autorità temporale, come avvenne per il matrimonio, per cui non vi sono vere nozze tra battezzati senza sacramento, il contratto naturale essendo insufficiente a stabilire e costituire un vero matrimonio.
In questo caso il potere temporale dipenderebbe direttamente dall’istituzione cui Gesù Cristo commise la cura dell’ordine soprannaturale: la Chiesa Cattolica. Se così fosse stato, ne sarebbe derivata alla Chiesa un’autorità diretta non solo, come è ovvio, sulle cose sacre inerenti al fine della sua istituzione (la salus animarum), ma pure su quelle temporali (potestas directa in temporalibus).
La Chiesa tuttavia non dispone di tale potere. Essa non costituisce i sovrani e i capi di governo. Dio, tuttavia, è autore sia dell’ordine e della legge di natura, sia dell’ordine e della legge sovrannaturali. È capo sia della Chiesa sia dello Stato. È istitutore sia del Sacerdotium che dell’Imperium. Tra le supreme potestà, che reggono le sorti dell’umanità, vi è quindi relazione. La Chiesa, infatti, in ordine alla maggior perfezione del suo fine, ha una supremazia sullo Stato, quella che i teologi chiamano Potestas indirecta in temporalibus ratione peccati, potere indiretto sulle realtà terrene in ordine al peccato. I sovrani cattolici, non solo in quanto privati, ma pure come detentori della suprema autorità, necessitano, come ogni altro fedele, della Chiesa per salvarsi. Per questo devono rispettarla, amarla, e sottomettersi alla sua potestà magisteriale, sacramentale e disciplinare. Lo Stato e l’autorità suprema che lo regge, infatti, non sono stati istituiti da Dio per se stessi. Essi hanno come fine diretto la prosperità temporale, ma indirettamente concorrono con la Chiesa allo scopo ultimo dell’uomo redento, che è la salvezza ultramondondana dell’anima immortale. Per questo la relazione e il rapporto tra le due potestà non può essere, né di stretta dipendenza l’una dall’altra, né di reciproca ignoranza od ostilità, ma di casta alleanza. Tale idea è ben espressa dalla mistica cerimonia dell’unzione degli Imperatori e dei Re.
Il rito consacratorio non è dunque necessario stricto iure perché un Principe cattolico eserciti, nel rispetto della legge di natura e della Rivelazione, le sue legittime prerogative sovrane. Il suo potere, la sua persona sono sacre e legittime anche prescindendo dalla benedizione e consacrazione della Chiesa. Vi furono ottimi Re ed Imperatori cattolici, che mai ricevettero tale consacrazione, e questo nulla tolse alla legittimità della loro autorità. Non si può a meno di cogliere, tuttavia, la convenienza per cui ordinariamente un monarca cattolico si sottoponga a tale solenne cerimonia. Essa esprime in maniera assai perspicua, semplice ed armoniosa, un punto capitale della dottrina cattolica: l’alleanza tra il potere dei Principi e l’autorità dei Pontefici sotto il supremo dominio di Dio, istitutore dell’una e dell’altra autorità. Nella cerimonia della Consacrazione ed Incoronazione degli Imperatori e dei Re si coglie l’unità e indivisibilità della società cristiana, pur nella distinzione tra ordine naturale e legge soprannaturale, tra potestà temporale e potere sacerdotale. Il monarca legittimo cui Dio, autore e creatore dell’ordine di natura, conferisce immediatamente la potestà sovrana, riconosce, sottomettendosi alla cerimonia dell’unzione, che tale autorità è anche al servizio dell’ordine soprannaturale e della legge di Grazia. La Chiesa gerarchica, per parte sua, con la sua speciale impetrazione, chiede a Dio, autore della natura e istitutore dell’ordine sovrannaturale, che il Principe ottenga in modo sovraeminente e sovrabbondante le grazie che gli sono indispensabili per l’esercizio della sua prerogativa.
Il rito conferma visibilmente, tramite il conferimento dell’Olio santo, la speciale dedicazione del sovrano cattolico, non solo alla conservazione della legge di natura, ma soprattutto a difesa e salvaguardia della Religione Rivelata. Ne sottolinea la sacertà, la sacralità, il fatto che l’autorità divina di cui è investito, lo pone su di un piano che, se non è certo equiparabile a quello Sacerdotale, non è, tuttavia, neppure semplicemente e meramente profano e laico.
La Chiesa ha, così, tradotto, con una speciale cerimonia, in maniera salutare, che il potere temporale è d’istituzione divina, e che riveste una sua singolare sacralità in ordine alla conservazione della legge di natura e alla salvaguardia dell’ordine soprannaturale (religione rivelata).
Da un punto di vista giuridico, poi, la cerimonia dell’Incoronazione comportava anche l’impegno solenne assunto sotto giuramento dal Sovrano di rispettare i diritti della Chiesa e dei vassalli. Il giuramento prestato in tale fastosa occasione vincolava maggiormente il monarca alla fedeltà ai solenni impegni presi davanti a Dio, al potere sacerdotale ed ai rappresentanti del regno, o dei regni di cui era sovrano, nel caso del Sacro Imperatore, che lo assistevano durante la consacrazione. Così l’Imperatore, prima della cerimonia vera e propria, era condotto dal decano dei Cardinali diaconi nella Chiesetta di S. Maria in Turri, ove, tenendo la mano sul Vangelo sorrettogli da un suddiacono, pronunciava il seguente giuramento: «Io, N. Re dei Romani, per divina disposizione futuro Imperatore, prometto, garantisco, attesto e giuro, dinanzi a Dio e al Beato Pietro, che per il resto sarò difensore e protettore della Santa Chiesa Apostolica Romana, e tuo, N., della medesima Chiesa Sommo Pontefice, e dei tuoi successori, in tutte le vostre necessità ed interessi, custodendo e conservando i vostri possessi, dignità e diritti, in quanto, sostenuto dall’aiuto di Dio, sarò capace, come saprò e potrò, con retta e pura fedeltà. Così mi soccorrano Dio e questi suoi santi Vangeli».
Rovesciando la più volte citata espressione di Stefano di Blois: «Il Re è santo; egli è l’Unto del Signore; non invano ha ricevuto il sacramento dell’unzione», potrebbe dirsi che il Sovrano legittimo è unto proprio perché è sacro. Egli è di già sacro, prima e senza l’unzione. La Consacrazione, però, operata dalla Chiesa, che sola dispone sulla terra del potere di santificare e benedire, dichiara tale sacralità d’origine divina.
Incoronazione di Carlomagno. |
La Chiesa, istituendo la cerimonia della Consacrazione, ha tradotto col linguaggio mistico che le è proprio, la dottrina dell’origine divina della prerogativa sovrana. Nella cerimonia solenne e complessa con cui il Sacro Romano Imperatore, il principe titolare della potestà universale in temporalibus, era unto e incoronato a Roma dal Pontefice Romano, Gerarca e Pastore supremo della Chiesa Universale, s’evidenza con chiarezza tale connotazione della potestà sacra temporale.
Accanto infatti ad elementi strettamente connessi all’esercizio della sovranità temporale, come la consegna delle insegne del potere: corona, spada, scettro, pomo d’oro, ve ne sono altri nella cerimonia che sottolineano, alla maniera ecclesiastica, tale tratto distintivo:
(I) l’Imperatore si prosterna a terra e su di lui si cantano le Litanie che s’impiegano nell’ordinazione del Suddiacono;
(II) poi avviene l’Unzione vera e propria: «Procedono all’altare di San Maurizio, dove il Vescovo di Ostia unge col segno di croce con Olio dei catecumeni il suo braccio destro e le scapole…» . Si noti che dal secolo X il Pontificale Romano ha svilito la prassi dell’unzione imperiale:
(a) introducendo l’uso dell’Olio dei catecumeni al posto del Sacro Crisma, unguento più pregiato; (b) restringendo l’unzione al braccio e alle scapole, e non, come in antico, sul capo e sulla mano alla maniera episcopale. Solo nei regni più prestigiosi della Cristianità (Francia, Inghilterra e Germania) l’antica prassi rimase in vigore .
(III) Subito dopo l’unzione il sovrano riceve dal Papa il bacio della pace “sicut unum ex diaconibus”[come uno dei diaconi].
(IV) All’Incoronazione, secondo momento capitale della cerimonia, il Papa pone la corona “supra mitram imperiale”, ossia la corona s’appoggia su una mitria simile a quella dei vescovi . Al riguardo va poi menzionato il fatto che il Sacro Imperatore veste durante la cerimonia paramenti para-sacerdotali come la tunica, la stola, la dalmatica (paramento proprio del Diacono) ed il piviale, il “manto” citato nell’Ordo del Pontificale Romano.
(V) L’azione liturgica, tuttavia, davvero notevole e che vale la pena di commentare è la seguente: durante la Santa Messa pro Imperatore, all’Offertorio, l’Imperatore “more subdiaconi offert [Pontifici] calicem et ampullam” [alla maniera del suddiacono porge al Papa il calice e l’ampolla]. Dopo il conferimento dell’unzione con Olio sacro e la consegna della Corona, si ha qui il momento massimo dell’espressione ecclesiastica delle potestà sacra dell’Imperatore. Egli porge al Pontefice, il quale sta esercitando il potere sacerdotale nella consacrazione delle Sacre Specie, il Calice, il vaso sacro ove sarà raccolto il Vino trasformato in Preziosissimo Sangue di NS Gesù Cristo, e l’ampolla con l’acqua da aggiungere al vino, simbolo della natura umana di Cristo. Un semplice profano non avrebbe mai avuto accesso ai Vasi sacri, con cui si compie il rito principale della religione rivelata, il Santo Sacrificio della Messa. Così il sacro Imperatore partecipa «more subdiaconi», come un suddiacono, alla liturgia sacerdotale per eccellenza del Cattolicesimo. L’Ordo della consacrazione specifica: «stat ibi [ad altare]» fino alla Comunione. L’Imperatore rimane presso l’Altare, ove il Pontefice offre a Dio il S. Sacrificio della Messa, nel Presbiterio, il luogo sacro per eccellenza dell’edificio di culto, fino alla conclusione del rito. In questa rubrica v’è l’intenzione di sottolineare la sacertà del sovrano, che «alla maniera del suddiacono», come un chierico ordinato, rimane accanto al Pontefice Romano, presso l’Altare, il fulcro dell’azione sacrificale, fino al compimento del rito sacro. (VI) Infine il sovrano riceve la Santa Comunione, sotto le due specie, ossia be- vendo al Calice, con il bacio della pace, come un sacerdote . «La consacrazione [unzione]non era il solo atto che mettesse in luce il carattere quasi-sacerdotale dei re. Quando, verso la fine del secolo XIII, ci si abituò a riservare rigorosamente ai preti la comunione sotto le due specie, accentuando così energicamente la distinzione tra il clero e i laici, la nuova regola non venne applicata a tutti i sovrani. Nella sua consacrazione, l’imperatore continuò a comunicare sia col pane sia col vino».
Sarebbe da chiedersi se questa suggestiva cerimonia, che certo non costituisce il Sacro Romano Imperatore in quanto Imperatore, lo costituisca come vero Suddiacono. Essa, per certi versi, riveste un’importanza ancora maggiore, in ordine all’espressione della natura divina dell’autorità imperiale e della sacralità del sovrano, rispetto all’Unzione vera e propria, anche se, da un punto di vista simbolico, il rito dell’Olio, con il suo retaggio biblico, si mostra più appariscente e comprensibile.
San Gregorio VII. |
L’elemento sacro presente nella potestà temporale cristiana spiega perché storicamente i sovrani cattolici rivendicarono con forza riti e prerogative che sottolineavano e dichiaravano tale condizione non-ordinaria. Il potere sacerdotale, custode occhiuto della disciplina liturgica, sull’onda delle Riforma gregoriana del secolo XI, attenuò la portata dei riti di Consacrazione dei Sovrani.
Così per mitigare l’analogia tra la Consacrazione episcopale, dove pure era presente, seppure come rito accessorio, il Rito dell’unzione sul capo col Sacro Crisma, e le cerimonie d’Incoronazione, abolì in queste ultime l’uso del Crisma, sostituito col meno pregiato Olio dei Catecumeni, e confinò l’Unzione su parti meno nobili del candidato come le scapole, il gomito, e la mano, anziché sul capo, come era in antico e come si leggeva nella Bibbia.
Se tale cangiamento fu relativamente facile operare nella liturgia dell’Incoronazione imperiale, che dipendeva direttamente dal Papa, più difficile fu intervenire altrove. Così i Re di Francia, d’Inghilterra, e il Re di Germania (l’Imperatore Eletto) continuarono ad essere unti sul capo con il Sacro Crisma.
L’intenzione della potestà sacerdotale non era quella d’abolire l’idea della sacralità dei Re, quanto d’attenuarla. Essa, ciò nonostante, faceva capolino nei riti più insigni della Religione cattolica. Così, in uno dei momenti più solenni della liturgia del Venerdì Santo (Feria VI in Parasceve) nelle Orationes, che si recitano per tutti i generi di persone, ed in primis a vantaggio di coloro che nella Chiesa sono costituiti in dignità, si cita espressamente anche l’Imperatore Romano: “Oremus et pro Christianissimo (si non est coronatus, dicatur: electo Imperatore) Imperatore nostro N. ut Deus et Dominus noster subditas illi faciat omnes barbaras nationes, ad nostram perpetuam pacem. […] Omnipotens sempiterne Deus, in cuius manu sunt omnium potestates, et omnium iura regnorum: respice ad Romanum benignus Imperium; ut gentes quae, in sua feritate confidunt, potentiae tuae dextera comprimantur. Per Dominum. Amen. [Preghiamo anche per il nostro Cristianissimo Imperatore (se non è coronato si dica: Imperatore eletto) affinché Dio, nostro Signore, gli renda soggette tutte le nazioni barbare per la nostra perpetua pace… Dio onnipotente ed eterno, nelle cui mani stanno tutti i diritti e i poteri dei regni, guarda benignamente l’Im- pero Romano, affinché le nazioni che confidano nella forza brutale siano domate dalla potenza della tua destra].
Anche il Sabato Santo, alla Benedizione del Cero Pasquale, simbolo del Corpo di Cristo Resuscitato, si fa esplicita menzione, dopo il Sommo Pontefice, del Sacro Im- peratore. La luce del Cristo Risorto deve illuminare le due supreme potestà della Chiesa: “Precamur ergo Te, Domine: ut nos famulos tuos, omnemque clerum, et devotissi- mum popolum: una cum beatissimo Papa nostro N., et Antistite nostro N., quiete temporum concessa, in his pascalibus gaudiis, assidua protectione regere, gubernare, et conser- vare digneris. Respice etiam ad devotissimum (si non est coronatus, dicatur: electo Imperatore) Imperatorem nostrum N. cuius tu, Deus, desiderii vota praenoscens, ineffabili pietatis, et misericordiae tuae munere, tranquillum perpetuae pacis accomoda: et coelestem victoriam cum omni populo suo. Per.” [Ti preghiamo dunque, affinché noi tuoi servi, il clero tutto, il devotissimo tuo popolo, assieme al beatissimo nostro Papa N., e col vescovo nostro N., concessa la pace dei tempi, ti degni, durante questi gaudi pasquali, reggere, governare, e conservare con assidua protezione. Degnati pure di riguardare favorevolmente il nostro piissimo Imperatore N., e, conoscendo i desideri del suo cuore, accorda- gli, nella tua misericordia e nella tua bontà ineffabile, che egli goda del riposo di una pace duratura e che con tutto il suo popolo consegua quella vittoria che conduce al regno celeste]. Nell’occasione solenne del Triduo Pasquale, cuore della liturgia cattolica, pregando per la figura sacra dell’Imperatore, accanto a quella del Papa, si sottolineava ancora una volta l’unità e concordia dei due poteri ministeriali nella Chiesa, la loro origine divina, la loro sacralità. Si noti, per inciso, come la rubrica prevedesse la recita di dette orazioni anche nel caso in cui l’Imperatore non fosse stato effettivamente Unto dal Pontefice Romano, ma fosse solo Imperatore ‘eletto’.
Carlo V del Sacro Romano Impero. |
L’Imperatore – lo si è visto – partecipava alla Messa della sua Incoronazione, non come semplice fedele, bensì come un Suddiacono, offrendo al Pontefice, all’Offertorio, il Calice e l’acqua per il Sacrificio. I monarchi non pretesero certo d’essere impiegati ordinariamente quali Suddiaconi nella Messa papale, ma vollero conservare, anche in altre solenni circostanze, quel rito che, scaturendo dal loro ministero suddiaconale, li palesava sacri e legittimi , e non semplici laici: la Comunione sotto le due Specie, che comportava il contatto con il sacro Calice.
A partire dal XI secolo infatti, nella Chiesa Latina, cominciò a diffondersi il rito di comunicare i fedeli con la sola specie del Pane, riservando il Calice ai Sacerdoti. Motivi pratici e ragioni dottrinali spinsero la Gerarchia in tale direzione. La Comunione al Calice era praticamente difficoltosa, nonostante i vari accorgimenti escogitati. Inoltre, poiché chi riceveva una sola Specie, riceveva anche l’altra, il conferimento del Vino diveniva inutile.
Infine, restringendosi la Comunione sub utraque Specie ai soli Sacerdoti, a coloro che soli godevano del potere consacratorio, se ne sottolineava meglio la specificità ministeriale e la gerarchia rispetto al semplice laico. I sovrani più consapevoli, comprendendo che a mano a mano che l’antica prassi andava in desuetudine a vantaggio del Clero, essi rischiavano di veder, in un certo modo, menomata la propria aura sacrale, si rivolsero all’autorità ecclesiastica perché il rito fosse loro confermato come in antico.
Filippo VI di Francia. |
Così i Re di Francia, che, come il Sacro Imperatore, si comunicavano sotto entrambe le Specie il giorno dell’Incoronazione, ottennero nel 1344 con Filippo VI (1328-1350) da Papa Clemente VI (1342-1352) di poter comunicare al Calice senza limitazioni.
Sul finire del ‘300 tuttavia, il diffondersi dell’eresia hussita, che si proponeva, con speciose argomentazioni, la restaurazione integrale dell’antica prassi, fece sì che i Papi guardassero con diffidenza le eccezioni alla norma, che voleva riservata ai soli sacerdoti la Comunione al Calice. Gli eretici, in effetti, giustificavano il ritorno all’antico rito, in quanto rigettavano erroneamente la distinzione tra laici e sacerdoti, mettendo in discussione la natura sacramentale dell’Ordine Sacro. Tutti erano sacerdoti nella chiesa immaginata da Huss: tutti dovevano quindi comunicarsi sotto le Due Specie.
Anche i Sovrani pagarono le spese di tale torbidi religiosi. Così, l’Imperatore Federico III del Sacro Romano Impero (1440-1493), incoronato a Roma il 15 marzo 1452 da Papa Niccolò V (1447-1455) rinunciò alla Comunione al Calice.
Tuttavia il rito appariva troppo essenziale alla natura sacrale dei Principi per scomparire del tutto. Così, quando, con il Concilio di Trento (1542-1564), la reazione cattolica alla ben più grave eresia protestante confermò la prassi liturgica, che escludeva i semplici fedeli dalla Comunione al Calice per i semplici laici , i Sovrani tornarono alla carica.
Il Re di Francia vide confermato per sè e i suoi legittimi discendenti la Comunione sotto entrambe le Specie il giorno della Consacrazione ed in punto di morte.
Gli Imperatori-Suddiaconi invece, oltre che al momento della loro Consacrazione, rinnovavano il rito al Calice nella solennità del Giovedì Santo. Sicuramente Papa Pio IV (1559-1565) confermò l’usanza all’Imperatore Massimiliano II (1564-1576) usanza che rimase in vigore fino al 1918, quando la monarchia austro-ungarica erede del Sacro Romano Impero trovò la sua tragica battuta d'arresto.
Francesco Giuseppe I d'Austria esegue il rito della Lavanda dei Piedi, a dodici poveri. |
Francesco Giuseppe I d'Austria (1848-1916) e Carlo I d'Austria (1916-1918) quindi comunicarono al Calice ogni Giovedì Santo dei loro anni di regno. Non senza profondo significato, infatti, la cerimonia avveniva in quella solennità. Il Giovedì Santo è la festa ‘sacerdotale’ per eccellenza della liturgia cattolica. Nella Missa in Coena Domini si commemora fastosamente l’Istituzione da parte del Signore Gesù del Sacerdozio e del Santo Sacrificio della Messa. Il Vescovo, poi, benedice gli Olii santi: Olio degli infermi, Olio dei Catecumeni e Sacro Crisma “unde unxisti Sacerdotes, Reges, Prophetas et Martyres” [col quale ungesti sacerdoti, Re, profeti e martiri] che sarebbero impiegati nell’amministrazione dei Sacramenti, o nella consacrazione di persone o cose. In quella solennità, ove risplende nell’azione liturgica, quasi ad ogni passo, la potestà sacerdotale che s’esercita nel Sacrificio Eucaristico, proprio allora gli Imperatori si comunicavano al Calice, toccando i Vasi sacri. La natura sacrale della loro autorità era ancora riconfermata, come nel giorno dell’Incoronazione. In quella medesima solennità i legittimi Re Cristiani compivano, come i Sacerdoti e i Vescovi, il Mandatum, ossia la Lavanda dei Piedi, a dodici poveri.
San Luigi IX di Francia distribuisce elemosine ai poveri. |
La natura sacra della potestà monarchica e, in generale, del potere politico, così come la Chiesa lo tradusse in formule liturgiche prima che in enunciazioni dottrinali, spiega un fatto innegabile che caratterizzò l’intera vicenda della società cristiana fin quando vi furono Principi cattolici legittimi: l’esercizio da parte loro, nei confronti delle istituzioni gerarchiche della Chiesa cattolica, di una potestà reale, sfumata alle volte, diversamente giudicata ed interpretata; un fenomeno però troppo costante nel tempo per non essere privo di un qualche fondamento legittimo.
Gli storici della Chiesa, spesso, avendo perso il senso della concordia e dell’unità dei due poteri supremi nella Chiesa, e tendendo soprattutto a sottolineare la distinzione netta, ma astratta tra la Chiesa gerarchica e i fedeli, senza tener conto della singolare natura dell’autorità temporale, giudicarono tali fatti alla stregua di indebite ‘ingerenze’ del potere politico negli affari ecclesiastici, di intromissioni dei laici nel governo della Chiesa, non distinguendo quelle che furono vere e proprie ingerenze, come certi fenomeni prodotti dal processo rivoluzionario (gallicanesimo, giurisdizionalismo, febronianesimo, giuseppinismo ecc.) da una prassi costante, dalla Chiesa in vario modo approvata.
La mentalità e la prassi rivoluzionarie hanno disabituato il cattolico alla comprensione di quell’unità nella distinzione, in cui consisteva la sostanza della società cattolica, articolata nella duplice, ma concorde, gerarchia temporale e spirituale.
Così, un’istituzione tipica della monarchia cattolica, come i cosiddetti Concili misti (Concilia mixta) potrà apparire all’uomo contemporaneo, imbevuto di idee liberali, come una stravaganza medioevale. Siffatte assemblee, al contrario, convocate dai sovrani cristiani fin dai tempi di Costantinopoli, «a cui prendevano parte, oltre ai Vescovi, i conti, i duchi ed altri principi secolari, e nelle quali si stabilivano di comune accordo misure sia d’ordine civile, che ecclesiastico» , esprimevano bene tale unità politico-spirituale.
Sorta la monarchia sacra e pienamente legittima con la conversione dell’Imperatore Costantino, i sovrani cristiani, compresi del loro alto ufficio di custodi dell’ordine naturale ed alleati della Gerarchia ecclesiastica nella Chiesa, si interessarono, oltre che della nomina di vescovi ed abati, anche della scelta del Sommo Pontefice. Tocchiamo qui un argomento spinoso, che ha fatto versare fiumi d’inchiostro. Una concezione storiografica influenzata dal processo rivoluzionario anticristiano degli ultimi secoli, ha talvolta assuefatto anche gli ecclesiastici di buono spirito, non ultimi alcuni ‘tradizionalisti’, a giudicare, nella relazione tra Sacerdotium e Imperium dei secoli cristiani, sempre e comunque, l’azione del potere temporale, anche se consacrato e legittimo, nella sfera religiosa, come uno sconfinamento indebito, immaginando la relazione ideale della Chiesa docente con lo Stato cristiano non altrimenti che di semplice obbedienza ad nutum dei voleri pontificali.
Papa Pio IX prigioniero dello Stato Italiano (Rivoluzione). |
Molti tra i moderni storici della Chiesa, avendo perduto il senso dell’unità nella distinzione della potestà monarchica e dell’autorità pontificale nell’unica Chiesa di Cristo, influenzati dalla condotta anticattolica dei governi illegittimi degli ultimi secoli, hanno trasferito, più o meno inconsciamente, anche alle epoche in cui vigeva un regime di concordia tra lo Stato e la Chiesa, il giudizio negativo sulle relazioni tra le due supreme potestà nell’epoca rivoluzionaria.
Basterebbe leggere il lungo e, per altro, ben documentato saggio che nel 1911 il Dictionnaire de Théologie Catholique dedica a tale argomento, per toccare con mano come, ben prima dell’esplosione neo-modernista degli anni ’60 del secolo trascorso, molti autori ecclesiastici avessero completamente perduto il senso dell’unità e della concordia dei due poteri nella Chiesa. Il saggio sopracitato, infatti, trasuda di anacronistico nazionalismo anti-tedesco. Si parla continuamente di imperatore ‘tedeschi’ e si riduce la contesa tra le due potestà, spesso, a una questione nazionale!
La Rivoluzione a scavato nell'intelletto delle genti creando vuoti deleteri capaci di sovvertire ogni cosa.
Conclusioni e riflessioni.
Senza dilungarci ulteriormente , comprendiamo come l'autorità legittima sia espressamente ed intensamente legata alla Chiesa di Cristo (Cattolica) e come le due massime potestà legittime in terra siano collaborative in maniera intrinseca. Certo è che molti, anche coloro i quali vantano titoli accademici di spicco, siano estranei a codeste verità oggettive arrivando a negarle e a ragionare attraverso dettami rivoluzionari un qualcosa di diametralmente opposto. Se ci fermiamo a riflettere ed ad analizzare quanto detto fino a questo punto arriviamo a comprendere che la legittimità non è soltanto una questione di sangue. Arriviamo a comprendere che un sovrano , che egli sia il Re di Francia o il Sacro Romano Imperatore, doveva e deve rispettare la legge di Dio ed il Diritto Naturale per essere legittimato nella sua potestà. Un sovrano in seno alla Verità Rivelata non può negarla ne commettere delitti contro di essa. La pena per una tale condotta è la decadenza del sovrano.
La legittimità risiede si nel sovrano dal momento in qui , nel rispetto della morale e delle leggi divine , diviene Re o Imperatore ma la sua condotta è metro importante per valutarne il diritto a Regnare. Certo è che non tutti possono svegliarsi la mattina e dettare le regole per valutare ciò , ma è altrettanto vero che queste regole esistono già da secoli e per secoli sono state rispettate. Se un Principe dimentica i suoi doveri , negando il suo Trono , approvando leggi inique (aborto, eutanasia, matrimoni sodomiti ecc...) , e così discorrendo , decade per mano sua venendo meno ai suoi doveri , infrange la legge di Dio (Diritto Naturale).
Oggi viviamo in un sistema retto sul marciume della Rivoluzione , nulla è lontanamente paragonabile alla politica dei valori figlia della potestà legittima. Delle monarchie oggi esistenti nessuna rientra in seno alla legittimità , chi per sangue , chi per istituzione , e chi per entrambe. Questa non è una regola che ho dettato io per un mio capriccio ma è semplicemente quello che è: il legittimismo. Il legittimismo , come è ormai chiaro, non si basa sui capricci dell'uomo e dell'ora presente , non può e non deve essere contaminato dalla dottrina rivoluzionaria. Infatti, se si contamina , perde la sua essenza divenendo una moda e non un qualcosa di eterno (cosa che il legittimismo è).
In questo lavoro ho voluto spiegare attraverso le prerogative del sovrano dal Vecchio Testamento all'epoca moderna per far comprendere al lettore quali siano le caratteristiche che rendono legittima una potestà (in questo caso il sovrano). Quindi , un sovrano si dice legittimo quando:
1) Rispetta e difende la Verità Rivelata nella sua integrità.
2) Non contravviene al diritto Naturale.
3) Discende in linea di sangue , rispettando leggi e disposizioni, dal capostipite della casata regnante.
4) Rispetta i popoli messi da Dio nelle sue mani.
5) Collabora con Santa Madre Chiesa al bene del popolo e per la sua prosperità.
6) Combatte la Rivoluzione e i suoi difensori.
Questi sono i principali punti che un sovrano deve rispettare per mantenere salda la propria legittimità. Contravvenire ad un solo punto significherebbe soltanto il crollo dell'intera istituzione , così come la storia ci ha mostrato più volte. Mantenersi saldi alle fondamenta che stanno alla base della potestà legittima è il dovere primario di ogni Principe Cristiano. Tali prerogative saranno valide fino alla fine dei tempi e indifferentemente dai capricci dell'uomo.
Fine...
Fonti:
Pio VI, Allocuzione tenuta al Concistoro del 17 giugno 1793, citato in P. Corrêa De Oliveira, Nobiltà ed elites analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana, Milano, Marzorati, 1993, p. 151.
Sac. P. Albrigi, Sacra Liturgia. I Sacramenti e i Sacramentali, Vicenza, Soc. Anonima Tipografica, 1941.
M. Andrieu, Le Pontifical Romain au Moyen Âge, Città del Vaticano, Studi e Testi, 1938, vol. II.
M. Bloch, I Re taumaturghi.
Messale Romano. Testo latino completo e traduzione italiana di S. Bertola e G. Destefani, commento di D.G. Lefebvre OSB,Torino, Centro Litur- gico di Torino, 1936.
S. Tommaso d’Aquino, De Regimine Principum, (l. II, c. XVI), traduzione di R. Tamburini, introduzione e note di P. Tito S. Centi, OP, Sie- na, Cantagalli, 1981.
E. Mangenot, Dictionnaire de Théologie Catholique, Paris, Letouzey et anè, 1911, t. III.
Scritto da:
Presidente e fondatore A.L.T.A. Amedeo Bellizzi.