sabato 15 marzo 2014

L’auspicata rinascita dell’uomo d’occidente VS la Grecia perduta: sarà possibile rimboccare la via maestra?

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Come si è evoluta l’arte della politica dalla Grecia di Socrate (la culla della civiltà occidentale nostra antenata) a oggi e, soprattutto, come si è evoluta la ben più importante società civile? Analizzare una di tali macro componenti consente, di riflesso, di ottenere un feedback sull’altra. Si tratta di facce della stessa medaglia. Non è forse vero che lo screenshot (passatemi il termine) della classe di governo rifletta l’immagine della società da essi governata? Quella che per esempio acconsente, da varie legislazioni a questa parte, al dominio di fatto di un governo non eletto? L’uomo (prima che elettore) avrebbe la possibilità di riscattarsi da tutto questo per imporre di fatto la sua sovranità. Naturalmente, nonostante non sia materiale, il prezzo da pagare sarà salato. Requisiti indispensabili da possedere sono spirito, volontà e consapevolezza di sé. Il riscatto dell’uomo, dell’essere umano, passa innanzitutto per un viaggio di sola andata all’interno del proprio io. L’obiettivo è di tirar fuori la testa dalla sabbia, dalla massa, per fargli prendere una sana boccata d’ossigeno. Bisognerà fuoriuscire prima o poi da quella melma limacciosa, da quel “noi”, come molti sociologi e addetti ai lavori sogliono dispregiativamente chiamarla per imporre così, definitivamente, la propria sacra individualità.
GUARDANDO ALL’ELLADE — Non occorre operare voli pindarici per descrivere oggettivamente lo stato di salute della società di stampo occidentale. Se è pur vero il detto “ogni mondo è paese”, basta attenersi allo stato della civiltà nella propria città per tirare via qualche somma. Bypassando il concetto di decoro urbano (carte, cartacce e lattine abbruttiscono ogni angolo di nostre strade e prati), la gente è letteralmente perduta: nei cellulari, nei pensieri, nel sistema. Tutto questo non fa che alimentare lo stato di dormiveglia in cui versano inconsapevolmente. La massa è attanagliata dai debiti, dalle preoccupazioni del passato, e dall’ansia per un futuro che si fa sempre più incerto a causa della mancanza d’occupazione; ed ecco che immancabilmente si materializza la fatica di vivere il presente. Di goderlo soprattutto. Da questo punto di vista la Grecia può offrirci grandi insegnamenti; può rappresentare un’ancora di salvezza per la lungodegente civiltà occidentale, e avremmo pochi alibi per non lanciarla in mare. Platone, Socrate e Aristotele. Autori studiati e ristudiati tra i banchi di scuola, rimarrebbero altrimenti dei frammenti di erudizione destinati a tramutarsi in polvere e ragnatele. La filosofia razionale scaturita dalle menti dei filosofi greci si stagliava all’interno di un contesto che oggi definiremmo senza mezzi termini genuino ma, allo stesso tempo, alieno al nostro modo di pensare “di massa”. La forma di stato diffusa nella Grecia del V secolo a. C, nella sostanza, non si discosta da quella odierna; gli aristocratici (gli àristoi) detentori del potere erano già in lotta con il démos (popolo) che reclamava un sistema di leggi scritte che fosse rispettato dagli stessi signori della polis. Se ci si volta a guardare il passato, dunque, non si fa altro che scorgere un’immagine di se stessi, lontana mila anni, ma mai così attuale.
C’ERA UNA VOLTA LA SOLIDARIETÀ — Ebbene ciò che oggi prende nettamente le distanze rispetto la realtà ellenica riguarda piuttosto il modus vivendi della società civile. Lì neppure le differenze di “lignaggio” infatti potevano scalfire l’unità della città-stato nel momento in cui essa veniva minacciata dall’esterno. Mentre noi? Ci si limita, e a volte a denti stretti, al saluto del vicino di casa. L’uomo greco dimostrava tutta la sua naturale propensione per il sacro e lo spirito, che si tramutava così in una sorta d’amore e rispetto per il vivere in società. L’esperienza con il sacro è un aspetto caratteristico della società greca già a partire dall’età arcaica (1200 – 700 a.C) e si protrae fino alla nascita della polis (V, IV secolo) sia pure con le dovute differenze. L’eredità culturale lasciata agli abitanti delle città-stato dalla cultura unitaria dell’età arcaica consiste soprattutto nel rispetto e nella celebrazione dei legami di sangue e di parentela: ecco la radice forte del sentimento solidarietà civile. L’uomo poteva dunque fare affidamento sull’altro uomo e, volendo, si “esagerava”. La trasgressione del modello di vita virtuoso veniva espiata da tutta la collettività attraverso cerimonie di purificazione (catarsi). Molte volte era l’oracolo di Delfi, intermediario del dio Apollo, a dettare con i suoi verdetti la condotta da seguire; ci si raccoglieva attorno al protettore della casa e della città: usanze che tutti i cittadini erano tenuti a seguire. Tutto questo oggi non avrebbe forse ragion d’essere? Se le modalità con cui si esplicitava un tempo il potere politico ricalcano nella sostanza quelle odierne, perché la società civile, altresì, non può compiere il salto di qualità? Perché non migliorarci? Si vive nella società del libero mercato, dell’extra profitto e della competizione sfrenata per raggiungere un più ampio margine di “valore” (per usare un vocabolo caro alla teoria del marketing); dogmi e chimere che hanno sostituito i valori con i quali intraprendere la vita in società. Da Solone ad oggi ne è stata fatta di strada, camminando all’indietro e lasciando per strada attrezzi indispensabili per la cura dell’anima. La decadenza della civiltà come fenomeno sociale va per forza di cose analizzata a partire dal singolo individuo e dalla più piccola particella del tessuto sociale, ossia il nucleo familiare. È già dentro le mura domestiche che l’uomo massa consuma inconsapevolmente il suo eccidio; si preferiscono le frequenze televisive ad un confronto aperto e incontaminato con il proprio familiare (“deal” decisamente sconveniente visto che la televisione ha il potere di succhiar via immaginazione e creatività offrendo in cambio una conoscenza mainstream che dà per altro una visione solamente parziale dei fatti dal mondo). Bisogna cominciare ad auto osservare la propria condotta per invertire il trend e materializzare il cambiamento. Ci vuole umiltà e non occorre aver fretta di migliorare. Si può partire dalle piccole cose, e con piccoli gesti, ma è la consapevolezza di sé che fa la differenza. Essa permette di essere fautori del proprio destino offrendo la possibilità di scegliere come e quando agire. Siamo dotati ahinoi del potere di ferire le persone, ma siamo anche in grado di farle gioire. Delle volte è solamente il nostro ego sconfinato a impedire quest’ultima possibilità. Il riscatto dell’uomo passa allora per la presa di coscienza della propria sacralità e si concretizza rompendo le maglie strette in cui i rapporti sociali momentaneamente sono visti soffocare.

di Antonio Valencia (http://radiospada.org/)