martedì 11 marzo 2014

Che cos'è il legittimismo? (Parte 1°).


Introduzione

Come è corretto , inizio subito con lo specificare in modo sintetico il significato (oggettivo e Vero) del termine legittimismo:

Il termine legittimismo indica ciò che è  legittimo  e conforme alla legge di Dio (anche Diritto Naturale). Storicamente esso affonda le sue radici all'alba dei tempi , e viene riportato più volte fin dal Vecchio Testamento. L'autorità politica proviene direttamente da Dio, e non da una legge mutuabile secondo il capriccio dell'uomo e del tempo. In conformità a ciò l'autorità deve sottostare a tale legge senza contravvenirle (Legge di Dio) se vuole essere legittima e legittimata de iure e de facto dinnanzi a Dio e ai suoi popoli. Da qui il termine "Re per Grazia di Dio".


Il legittimismo: un concetto e una legge eterna.
 


Il legittimismo dal Vecchio al Nuovo Testamento:



Aronne.
Nell’Antico Testamento sono distintamente indicati i casi in cui impiegare il rito dell’unzione con Olio santo, segno distintivo dell'autorità legittima. A coloro che ricevevano l’unzione sacra era sempre associata una missione pubblica religiosa, in conformità colla concezione teocratica che era a fondamento della vita del popolo eletto. Così erano unti i Sommi Sacerdoti, i Profeti ed i Re. La legislazione mosaica, per divina disposizione, associò, infatti, la funzione del Sommo Sacerdozio ad una particolare famiglia della tribù di Levi. La discendenza  d’Aronne, fratello di Mosè, si trasmise di primogenito in primogenito la carica del Sommo Pontificato (autorità legittima al vertice) fino ai tempi di Gesù Cristo. Al Sacerdozio era affidato l’onore e l’onere del culto pubblico secondo una complessa liturgia rivelata da Dio a Mosé. Aronne, quindi, investito di tale importantissima missione, fu il primo Sommo Sacerdote ad essere unto e a ricevere con essa la legittimità:

Versando [Mosè] poi l’olio sul capo d’Aronne,
Lo unse e lo consacrò. (Lev. VIII, 12)
E gli verserai sul capo l’olio della consacrazione.
Con questo rito sarà consacrato. (Esodo, XXIX, 7)
 

Nel libro dell’Esodo (XXIX, 22-30) erano inoltre date prescrizioni minute circa la composizione dell’olio delle consacrazioni (legittimazione).
 
Profeta Elia.
Non si trattava di semplice olio d’oliva, ma una mistura di questo con balsamo aromatico. Era il crisma, ancor 'oggi impiegato nella consacrazione dei Vescovi, nell’amministrazione del sacramento della Cresima e nei riti accessori del Battesimo.  I Profeti dell’Antico Testamento erano pure unti e di conseguenza legittimati nella loro funzione. A costoro, eletti direttamente da Dio, era solitamente affidata la missione d’incarnare in tutta la sua purezza la rigorosa morale della religione monoteistica, di contro ai pericoli sempre insorgenti dell’idolatria e del politeismo. Tale eccezionale mandato li spingeva sovente ad intervenire nelle vicende politico-religiose del popolo eletto, per guidare, ammonire, richiamare, talora anche impiegando poteri taumaturgici soprannaturali e una sovrannaturale facoltà di predire gli eventi futuri della nazione ebraica. Dell’unzione dei profeti abbiamo almeno una prova nel III libro dei Re, XIX, 16. Dio, rivolgendosi ad Elia, che è ormai giunto alla conclusione del suo compito profetico, gli intima di cercarsi un successore, e così gli dice:
 
 
 
Eliseo, figlio di Safat di Abelmeula ungerai profeta in vece tua.
 
 
 
  Da ultimo, con lo stabilirsi della monarchia legittima e sacra in Israele, dopo il periodo dei Giudici, ecco infine l’unzione dei Re. Così, infatti, è narrata nel I Libro dei Re, X, 1, l’unzione e consacrazione di Saul, primo sovrano d’Israele:

Presa allora Samuele un’ampollina d’olio,
 la versò sul capo di Saul,
 poi baciatolo gli disse: Ecco il Signore
ti ha unto come principe della sua eredità e tu
 libererai il suo popolo dai nemici che gli stanno attorno.

 
In questo versetto è descritto nella sua essenzialità il rito della Consacrazione regale, della legittimazione terrena , così come poi fu restaurato in epoca cristiana. Come ricorda Mons. Antonio Martini, Arcivescovo di Firenze, nel suo celebre commento alla Sacra Scrittura, i SS. Padri ritenevano che l’olio impiegato dal profeta Samuele fosse il medesimo che per la consacrazione dei Sommi Sacerdoti d’Israele, ovvero il sacro Crisma, il più prezioso fra gli unguenti liturgici.
Come per il Sacerdote, anche per il Sovrano il sacro crisma è versato sul capo, la parte più nobile del corpo umano, per decretarne al mondo la legittimità . Il monarca riceve poi il bacio di pace del consacrante. Ancora Mons. Martini osserva che il bacio fu sempre inteso nel mondo antico come gesto di vassallaggio e deferenza. Saul tuttavia fu riprovato e Dio impose a Samuele di trovargli un sostituto. Questi fu Davide, ultimo figlio di Isai, betlemita della tribù di Giuda, da cui doveva discendere Gesù Cristo. Anche  Davide  fu unto dal Profeta e «da quel giorno lo spirito di Dio fu in lui» (I Re, XVI, 13). La Sacra Scrittura inoltre, narrando alcuni episodi della vita del Re Davide, indugia a rilevare quanto sincera e profonda dev’essere la venerazione nei confronti dell’Unto eletto dal Dio degli Eserciti, anche nel caso di un monarca che, come Saul, era stato riprovato per il suo empio comportamento. Nel I Libro dei Re, infatti, si snoda la rovinosa parabola del primo monarca israelita che, insuperbitosi per l’alto onore cui era stato elevato, commise i più nefandi misfatti. Anziché abbandonarsi totalmente e con fiducia alla potenza di Dio, in un momento di difficoltà ricorse all’espediente immorale della negromanzia per vaticinare gli avvenimenti futuri, macchiandosi di un gravissimo delitto che infrangeva il primo e più sacro dei comandamenti della Legge: «Non avrai altro Dio all’infuori di me», e rappresentava una vera e propria apostasia. Di qui la riprovazione divina e la perdita della legittimità. Nel suo tralignamento, costellato da pentimenti poco sinceri e sempre più gravi cadute, il Sovrano si diede a perseguitare il giovane figlio di Isai, di cui invidiava le belle virtù, l’ascendente sul popolo e le doti di coraggioso guerriero. Davide così abbandonò di nascosto e in tutta fretta la corte e si nascose con un pugno di fidi amici in luoghi inaccessibili, braccato da presso dal Sovrano incollerito.


 

Re Davide.
In almeno due circostanze, tuttavia, Davide si trovò nella possibilità di assassinare il rivale, spianandosi così d’un colpo la via al Trono che già Dio gli aveva assicurato.
Una prima volta, Davide, celatosi in una caverna, riuscì addirittura a tagliare con la spada un lembo del mantello del Re:
 
Davide allora si levò e tagliò un lembo
del mantello di Saul. Dopo di che Davide
 ebbe rimorso al pensiero di aver tagliato
il lembo del mantello di Saul e disse ai
suoi: Dio mi sia propizio affinché io
non abbia a fare una simile cosa al mio signore,
l’Unto del Signore, di alzar la mano contro
di lui, perché è l’Unto del Signore
(I Libro dei Re, XXIV, 5-7)
 



Una seconda volta, il giovane, accompagnato dal valente Abisai, figlio di una sua sorella, penetra nottetempo nell’accampamento di Saul e lo sorprende nel sonno. Abisai lo incita ad approfittare di quella favorevole situazione, per sbarazzarsi in modo definitivo del suo mortale nemico:

Davide però disse ad Abisai:
Non ucciderlo; infatti chi può mai stendere
la mano sull’Unto del Signore
ed essere innocente (I Libro dei Re, XXVI, 7-9).
 

L’unzione col santo crisma (espressione terrena della legittimità) , quindi, nella concezione veterotestamentaria, dà alla persona che n’è investita una distinzione particolare di sacralità, ossia indica una speciale appartenenza a Dio, in proporzione della sacra funzione che riveste.
 
L’olio d’oliva e il balsamo sono i mezzi materiali che indicano la legittimità e tale speciale dedizione al servizio divino. L’uno significa, sia la forza soprannaturale di cui si riveste il consacrato “poiché un tempo coll’olio si ungevano gli atleti”, sia lo “splendore di una buona coscienza espresso dalla limpidezza dell’olio”, sia, infine, “la pienezza di grazia, poiché l’olio, essendo pingue e fluente, esprime l’abbondanza della grazia, che ridonda da Cristo capo su tutti gli altri”. Il balsamo invece, “dal profumo graditissimo, vuole esprimere questo fatto: che i fedeli […] emanano un effluvio odoroso di virtù […] Inoltre il balsamo ha la virtù di preservare dalla putrefazione”. Tutta la storia d’Israele è allora la vicenda dell’attesa fiduciosa e incrollabile di un misterioso Unto, di cui i testi ispirati andarono via via precisando i sublimi e divini lineamenti, profezie che si compirono mirabilmente in Gesù detto il Cristo, il Messia d’Israele. Questi due vocaboli, infatti, l’uno della lingua greca, l’altro ebraico, sono sinonimi, e significano appunto l’Unto, il Consacrato con il sacro crisma. Gesù è l’Unto per eccellenza, il Re legittimo e legittimato per eccellenza, unto “dell’olio dell’allegrezza ben più che i suoi compagni”, unto di una triplice unzione, come Sommo Sacerdote, secondo l’ordine eterno di Melchisedech, Sommo Profeta e Re dei Re.



 
Cristo Re.
Se, infatti, appare scontato il riferimento al modello di Cristo per il nuovo sacerdozio da lui istituito solennemente durante l’Ultima Cena, non più legato ad una tribù e famiglia particolari, come per quello antico, ma alla maniera di Melchisedec, il misterioso re-sacerdote che benedice Abramo vittorioso dei suoi nemici, ossia per vocazione e ispirazione diretta di Dio, senza tener conto della nazione o famiglia d’appartenenza , e non va assolutamente  sottovalutato, se si vuole comprendere il legittimismo,  l’elemento regale e monarchico insito nella figura di Gesù, in cui confluiva appunto, accanto alla funzione sacerdotale, anche quella di Sovrano. Gesù è, infatti, Re, come egli stesso attesta solennemente dinanzi a Pilato che lo giudica:
 
 
“Respondit Iesus: Tu dici squia Rex sum ego ”
(S. Giovanni, 18,37).
 


 
San Giuseppe.
La sua regalità non è, però, soltanto quella che gli deriva dall’Unione Ipostatica, che implica la partecipazione della Natura umana assunta dal Verbo eterno, Figlio del Padre, delle doti della divinità. Gesù è Re anche in quanto uomo, alla maniera, si potrebbe dire, temporale. Gesù è, infatti, il legittimo discendente dei Re di Giuda. Egli è voluto nascere all’interno del matrimonio tra San Giuseppe, Principe della dinastia davidica ed erede del Trono temporale del suo celebre antenato, e Maria Santissima, quasi certamente, come attesta un’assai antica tradizione, cugina del suo casto sposo, e come lui, appartenente alla famiglia reale d’Israele.

   
 
Santa Maria Vergine.
Sia la madre verginale, che il padre legale e putativo di Cristo, erano Principi del Sangue. Gesù era nobile, Principe Reale Egli stesso. Era il legittimo Re d’Israele. Queste considerazioni erano ben presenti alle menti dei prelati e dei Principi Cattolici dell’epoca Cristiana, e sono all’origine di quel meraviglioso rito che consacrava l’autorità politico-temporale legittima secondo il modello biblico. Il rito dell’unzione dei Re dell’Antico Testamento, infine, esprimeva con l’evidenza della liturgia la dottrina dell’origine divina dell’autorità legittima .
 







 Il rito dell’Incoronazione e legittimazione nella tradizione Imperiale Romana:


Statua di Augusto detta
"Augusto di Prima Porta"
 o "Augusto loricato"
 , custodita ai Musei Vaticani.
Nel cerimoniale d’Incoronazione dell’Imperatore Romano, prima e dopo la conversione al Cristianesimo di Costantino il Grande (306-337) non v’è traccia alcuna della sopravvivenza del rito dell’unzione regale. L’Impero romano, costituitosi in principato con Augusto (29 a.C-14 d.C.) si considerò l’erede delle grandi monarchie orientali (assiro-babilonese, persiana, egiziana, ellenistica) di cui assimilò e adattò la concezione della sacralità del sovrano, nonché le forme rituali che manifestavano esternamente tali idee.
Fin dai tempi del primo Imperatore, infatti, il Monarca fu considerato quale supremo rappresentante, tanto della gerarchia temporale, quanto della sfera spirituale e religiosa. L’Imperatore deteneva il titolo di Summus Pontifex, che lo collocava al vertice dell’ordinamento cultuale dell’Impero pagano. Augusto rifiutò in vita gli onori divini, almeno in Occidente, ma alla sua morte (14 d.C.) l’Imperatore venne divinizzato e assunto nell’olimpo pagano. Qualche anno dopo, il cerimoniale di corte iniziò a risentire dei modelli orientali. In origine, infatti, l’intronizzazione dell’Imperatore consisteva nel conferimento del paludamentum, il mantello di porpora, e più raramente di una corona d’alloro.
Tuttavia, prima Caligola (37-41) e poi Domiziano (81-96) introdussero vesti di seta sempre più suntuose, adorne di pietre preziose, con calzature altrettanto preziose e ricercate (calceamenta). Fecero inoltre la loro apparizione, seppure in via semi-ufficiale, il rito dell’adorazione con la triplice proskynesis (prostrazione) come a divinità ed il titolo di Dominus et Deus [Signore e Dio] entrambi derivati dal cerimoniale di corte delle monarchie orientali:

“Infatti – scrive Aurelio Vittore – Caligola, primo fra tutti, e poi Domiziano vollero esser chiamati apertamente Signori ed essere adorati e ricevere il titolo di dei”.



Con Diocleziano (284-305) tale processo si compì, ed il rito dell’adorazione del sovrano entrò ufficialmente nel cerimoniale imperiale:

Diocleziano.
“Ordinò – scrive lo storico Eutropio – di essere adorato, mentre prima tutti semplicemente gli davano il saluto. Pretese pure che le sue vesti e i calzari fossero ornati di  preziosi monili, mentre prima l’insegna dell’Impero consisteva soltanto della clamide di porpora, il resto delle vesti essendo comune”.

Era una sorta di legittimazione pagana senza un valore effettivo data la sua essenza e natura.


 Ben presto il culto all’Imperatore divenne un elemento essenziale della religione politeista, la cui accettazione era segno di lealismo verso l’Impero. I cristiani dei primi secoli rilevavano la distinzione tra il potere temporale del sovrano, cui essi obbedivano, e le sue pretese religiose, cui si opponevano. Invano! La religio dei cristiani fu messa al bando. I suoi seguaci furono perseguiti con l’accusa di ateismo, proprio perché rigettavano tale culto.

“Non chiamo l’Imperatore col nome di Dio – spiegava inutilmente Tertulliano (145 ca-245) – sia perché non sono capace di mentire, sia perché non ho il coraggio di schernire il mio sovrano. Gli basti d’essere detto Imperatore, appellativo solenne, concesso da Dio e solo a Dio inferiore, e sappia che noi invochiamo il Dio vivo, vero ed eterno per la salute di Cesare”.

Ancora a Diocleziano (284-305) si deve l’introduzione del rito dell’Incoronazione, mutuato anch’esso dalle monarchie orientali, in particolare da quella persiana. La corona o diadema, simbolo del potere supremo del sovrano, era un nastro di stoffa ornato di due serie di perle e pietre preziose, che sostituì l’alloro della tradizione romana. In questo modo l’evoluzione in senso monarchico dell’Impero era compiuta.


San Costantino
Costantino il Grande.
Costantino il Grande, dopo aver avviato il processo di cristianizzazione dell'Impero dopo l'editto di Milano del 313,  nel  324, in occasione della fondazione della nuova capitale dell’Impero, alla quale diede il suo nome, Costantinopoli, conferì la porpora a suo figlio Costanzo II e adottò per sé e la madre, S. Elena, il diadema già reso familiare da Diocleziano.
Da all'ora l'Imperatore acquisì piena legittimità entrando in seno alla Verità Rivelata. Da quel momento la Corona divenne l’insegna per antonomasia della potestà monarchica cristiana, l’insigne regium [l’insegna regale] della legittimità. Il diadema, ben presto, fu riservato ai soli Augusti, ossia a quei Principi che, nel sistema escogitato da Diocleziano, erano al vertice della potestà monarchica.
Pare invece che si debba a Giuliano l’Apostata (360-363) l’introduzione nel rito d’intronizzazione dell’elevazione sugli scudi del nuovo Principe, cerimonia questa d’origine germanica. Ci volle del tempo, però, prima che la Chiesa intervenisse nella consegna del diadema e della legittimità palesata.

 “Diocleziano aveva introdotto numerose cerimonie orientali e reso familiare ai Romani il fregio della corona, insegna di onnipotenza. Costantino l’aveva a sua volta adottata, ma non gli venne mai il pensiero di farsi incoronare da Papa Silvestro. In origine il diadema era posto sulla fronte imperiale da mano profana. A partire dall’anno 364 (Valentiniano I) dal predecessore che eleggeva il suo collega e successore. Spesso gli Imperatori s’incoronavano da se stessi. All’inizio del V secolo non esisteva ancora alcuna tradizione, alcun cerimoniale costante”. ( H. Leclercq, Dictionnaire d’Archéologie Chrétienne et Liturgie, voce: Sacre Impérial et Royal, Paris, Libraire Letouzey et ané, 1950, t. XV, P. I, coll. 305.)

File:Solidus Marcian RIC 0509.jpg
Moneta con l'effige dell'Imperatore  Marciano.
Nel 450 tuttavia si produsse in Oriente, a Costantinopoli, presso la corte ove risedeva l’Imperatore, un fatto nuovo e saturo di conseguenze per il futuro. Dopo la morte di Teodosio II (408-450), sua sorella Pulcheria e l’ariano (eretico) Aspar, designarono come imperatore il generale Marciano (451-457). Marciano ricevette la corona dalle mani del Patriarca di Costantinopoli Anatolio.
Nel 457, alla morte di Marciano, anche il suo successore Leone I (457-474) fu incoronato dal medesimo prelato. Si era creata una tradizione che da allora non fu più abbandonata, salvo quando, secondo la tradizione romana, il predecessore ancora vivente incoronava il successore designato.
File:Leo I Louvre Ma1012.jpg
Imperatore Leone I.
All’Incoronazione di Leone II (474), il Patriarca Acacio pronunciò durante il rito delle preghiere. Così, a poco a poco l’influsso e, per così dire, l’azione della Chiesa in Oriente si fece sempre più forte.
Si fissarono pure le insegne imperiali: la tunica con il bordo dorato, il cingolo d’oro con pietre preziose, le ghette di porpora e i coturni pure di porpora con bordure d’oro e rosette, il paludamentum ossia la clamide (manto) di porpora con il rettangolo d’oro sul ventre e la fibbia d’oro sulla spalla destra, infine, la corona, che ben presto sostituì la stoffa per il metallo, prendendo quella forma che rimase anche in futuro.
L’Imperatore Giustino I (518-527) fu incoronato due volte, una prima volta dal Patriarca di Costantinopoli, e una seconda da Papa Giovanni I nel 524, quando questi fu in visita presso la capitale imperiale. La cerimonia di solito si svolgeva o all’Ippodromo, o nell’atrio del Palazzo Imperiale, il triclinium. La legittimazione Imperiale venne così ufficializzata dalle mani del Vicario di Cristo in terra.
La breve descrizione dell’intronizzazione dell’Imperatore Anastasio I (491- 518) può dare un’idea del complesso cerimoniale con cui nel V secolo un nuovo sovrano s’insediava a Costantinopoli.
La sera che seguì la morte dell’Imperatore Zenone I (474-491) il popolo e l’esercito si radunarono all’Ippodromo, elevando alte grida. I magistrati, i senatori ed il Patriarca si erano riuniti nel portico davanti al grande Triclinium nell’attesa dell’arrivo dell’Imperatrice Ariadne, sposa del defunto e figlia di Leone I (457-474). Arrivata, si ritirò col Patriarca ed alcuni cubicularii (cortigiani) nella loggia imperiale, mentre il resto della corte era rimasto da basso. Quando apparve sulla loggia, fu acclamata, e, presa la parola per mezzo di un libellensis, approvò quello che era stato fatto per mantenere l’ordine (acclamazioni) e riferì che aveva dato disposizioni per eleggere un imperatore cristiano e romano (altre acclamazioni).
Trattandosi di una questione di non piccola importanza, l’Imperatrice chiese d’attendere i funerali del marito (altre acclamazioni) e si felicitò con i convenuti d’a- ver anticipato i desideri di tutti elevando Giuliano alla carica di Prefetto della città (acclamazioni).

Imperatore Anastasio I.
 Dopo aver nuovamente raccomandato di mantenere l’ordine, l’Imperatrice si ritirò nell’Augusteum. I nobili allora si riunirono in seduta davanti al delphax per trattare della situazione. Il capo degli eunuchi (Praepositus sacri cubiculi) Urbicio raccomandò loro di lasciare all’Imperatrice la designazione del successore. I senatori invitarono il Patriarca a sollecitare un’udienza per pregare la sovrana di fare la scelta. Così l’Imperatrice designò il silenziario Anastasio, con l’approvazione dei magistrati, il quale fu fatto chiamare e alloggiato nel concistoro fino al compimento dei funerali di Zenone. Terminate le esequie, l’indomani tutti indossarono la clamide bianca per essere ricevuti da Anastasio nel concistoro. Anche il Patriarca era presente, entrando come consueto attraverso i balnearia (bagni). Dopo aver ricevuto tutti, Anastasio, secondo l’uso, si trasferì nel portico davanti al grande Triclinium. Raggiunto da magistrati e senatori, è da loro invitato a prestare giuramento di non serbare rancore contro chicchessia e di governare l’Impero secondo coscienza.
 Il Patriarca richiese pure dal nuovo monarca il giuramento sui Vangeli che egli manterrà la Fede cattolica nella sua integrità e che non introdurrà alcuna novità nella Chiesa di Dio. Il documento scritto venne poi consegnato a Macedonio, il guardiano dei sacri archivi. Qui la legittimazione diventa effettiva attraverso il giuramento dell'Imperatore sui Vangeli al cospetto di un alto Ministro di Dio.
Dopo il giuramento, l’Imperatore raggiunge l’Ippodromo, entra nel Triclinium, là dove nei giorni delle corse i senatori "adorano" l’Imperatore con la triplice proskynesis (prostrazione). Qui indossa le vesti imperiali e accede alla loggia. I soldati sono schierati nella stama, la parte dell’Ippodromo sotto la loggia imperiale. Imbracciano le armi e i vessilli. Il popolo, che riempie il rimanente della pista, lo acclama.
Anastasio si tiene ritto sullo scudo ed un campiductor (alto ufficiale dell’esercito) gli pone la propria collana sulla testa. Allora tutti i vessilli s’innalzano al cielo, i soldati e il popolo gridano acclamazioni. Anastasio scende dallo scudo, rientra al Triclinium, dove si pone sulle regalia. Il Patriarca pronuncia poi una preghiera, recita il Kyrie eleison, gli pone sul capo la corona gemmata e gli porge la clamide imperiale. L’Imperatore ritorna così alla loggia, saluta il popolo che lo acclama a  gran voce: Augusto! Augusto! Rivolto all’esercito e al popolo, dice: È evidente che la sovranità umana dipende dal beneplacito della più alta Gloria. Lo si acclama ancora: Abbondanza sul mondo! Regna come hai vissuto! Kyrie eleison, Kyrie eleison, Figlio di Dio, abbi pietà di lui! Il sovrano a questo punto promette un donativum di cinque piastre d’oro ed una libbra d’argento ciascuno. Si grida: Che Dio conservi il cristiano Imperatore. Poi il monarca va alla Chiesa di Santa Sofia ed entra nel mutatorium. Qui si toglie la corona. Il praepositus la prende per porla sull’altare. L’imperatore fa delle offerte, torna al mutatorium, riprende la corona, annuncia la sua designazione al Prefetto della città. Infine offre un banchetto a tutti i maggiorenti. ( F. Cabrol – H. Leclercq, Dictionnaire d’Archéologie Chrétienne, voce: Sacre Impérial et Royal, Paris, Libraire Letouzey et ané, 1950, t. XV, P. I, coll. 306-307.)




Statua colossale di Eraclio I.
Dal 23 novembre 602, tuttavia, quando il Patriarca Ciriaco incoronò l’Imperatore Foca (602-610) nella Chiesa di San Giovanni dell’Hebdomon, il nuovo sovrano, salvo il caso in cui era incoronato dal predecessore ancora in vita, secondo l’antica consuetudine, riceveva le insegne del potere imperiale in chiesa (dinnanzi a Dio). “Il suo successore Eraclio (610-41 )fu incoronato da Sergio a San Filippo del Palazzo il 7 ottobre 610 ed Eraclio II (613 ) a Santo Stefano di Dafne da Eraclio I il 4 luglio 638. Costante II (641-68), nel 641, fu il primo incoronato all’ambone di Santa Sofia, e da allora s’impose quell’usanza, salvo il caso degli imperatori incoronati come colleghi”. Gli Euchologia, risalenti alla fine del secolo VIII (anno 795 circa) riportano le formule in uso al momento dell’Incoronazione e legittimazione. Il sovrano, indossate le vesti imperiali, eccetto la corona, la clamide e la fibbia, si pone all’ambone, davanti al quale si colloca il Patriarca, che pronuncia quest’Orazione: 


 Domine Deus noster, Rex regum et
Dominus dominantium, qui per
Samuelem prophetam, servum tuum David
elegisti, et super populum tuum Israel in
regem unxisti : ipse tunc nostram indignorum
deprecationem exaudi, et respice de sancto
habitaculo tuo, et fidelem servum tuum,
quem super gentem sanctam tuam,
Unigeniti Filii tui sanguine acquisitam,
regem tibi constituere placuit, exultationis oleo
ungere dignare; indue illum virtute ex alto;
coronam de lapide pretioso capiti eius impone,
longitudinem dierum tribue illi, sceptrum salutis pone in
eius dextra manu, in justitiae throno colloca illum,
Sancti Tui Spiritus armatura illum circumvalla,
brachium eius conforta,
omnes illi barbaras gentes subiice, timorem tuum
 et pietatem erga subditos cordi eius insere,
in inculpata fide conserva illum,
sanctae tuae catholicae Ecclesiae
dogmatum sedulum custodem illum ostende:
ut in iustitiam populum tuum iudicet et pauperes tuos in iudicio,
 salvet etiam filios pauperum et caelesti regni tandem haeres fiat.
 Quia tua est potentia et tuum est regnum et virtus.
(In italiano)
 
Signore Dio nostro, Re dei Re e Signore dei signori,
che per mezzo del Profeta Samuele scegliesti il tuo
servo Davide e lo un- gesti Re sopra il tuo popolo Israele,
esaudiscici e riguarda dalla tua santa dimora la
 nostra indegna preghiera; e degnati ungere coll’olio dell’esultazione
questo fedele tuo servo, che ti piacque costituire
Re sopra il tuo santo popolo, redento col sangue del Tuo Figlio Unigenito;
 rivestilo dall’alto di virtù; imponi sul suo capo la corona di pietre preziose;
concedigli una lunga serie di giorni; lo scettro di salute poni nella sua destra;
collocalo sul trono di giustizia; circondalo coll’armatura del Tuo Santo Spirito;
 dà forza al suo braccio; sottomettigli tutte le barbare genti; insinua nel suo cuore
 il tuo timore e la pietà verso i sudditi; conservalo nella fede innocente;
 mostralo solerte custode dei dogmi della tua Santa Chiesa Cattolica;
così da giudicare il tuo popolo con giustizia e col giudizio i tuoi poveri;
 e salvi i figli dei poveri ed abbia infine in eredità il regno celeste.
 Poiché Tu sei la potenza, e tuo è il regno e il valore.
 


Basilica di Santa Sofia dietro le mura difensive di
Costantinopoli.

    Detto questo, il prelato prende la clamide e la fibbia, e le consegna ai vestiarii perché ne rivestano il sovrano. Pronunciata una seconda orazione, il Patriarca trae la corona dall’altare e con tutte e due le mani la pone sul capo del sovrano, dicendo: “Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”.

 La corte imperiale di Costantinopoli – come si è visto - sentì il bisogno di armonizzare in senso cristiano i riti pagani d’intronizzazione del nuovo sovrano, ma il precedente biblico dell’Unzione trovò posto assai tardi in tale contesto. L’allusione all’Unzione nella preghiera sopra citata non aveva, in quella circostanza e secondo gli usi all'ora applicati , che un valore metaforico. La consacrazione dell’Imperatore Romano coll’Olio santo, cerimonia così caratteristica della liturgia occidentale e della legittimazione attraverso l'autorità spirituale di Dio , è attestata con certezza in Oriente soltanto alla fine del secolo XII, molto tempo dopo che la Chiesa latina l’aveva introdotta. La Cristianità orientale si mostrò, infatti, assai refrattaria ad accogliere quel precedente biblico, non certamente per una concezione ‘laica’ del potere politico, come vedemmo, ma, sia perché in generale l’olio santo non era affatto impiegato nelle cerimonie d’ordinazione e consacrazione dei sacerdoti e dei vescovi secondo il rito orientale, sia perché la monarchia bizantina, sacra e legittima di suo dalle sue origini romane, appoggiata sulla sopravvivenza del culto imperiale, non sentì così per tempo il bisogno, come i regni occidentali, di santificarsi per mezzo del rito Sacro riportato nella Bibbia.


Continua...


Fonti:

 F. Cabrol – H. Leclercq, Dictionnaire d’Archéologie Chrétienne et Liturgie.

 Mons. Antonio Martini, La Bibbia. Vecchio e Nuovo Testamento secondo la volgata tradotta in lingua italiana e con annotazioni dichiarata da Mon- signore Antonio Martini Arcivescovo di Firenze, Vol. I, Milano, Società Editrice Sonzogno, 1898.

 Ad. Tanquerey, Synopsis Theologiae Dogmaticae, t. III, Desclée et soci, Parisiis-Tornaci (Belg.)-Romae, 1945.

 Catechismo Tridentino (Catechismo ad uso dei parroci pubblicato dal Papa S. Pio V per decreto del Concilio di Trento), tr. di P. Tito S. Centi O.P., Siena, Edizioni Cantagalli, 1981.

 S. Paolo, Lettera agli Ebrei, I, 9.

 Cfr. F. Fabbrini, Translatio Imperii. L’impero universale da Ciro ad Augusto, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1983.


Scritto da:

Presidente e fondatore A.L.T.A.