martedì 4 marzo 2014

L’inflazione monetaria e la caduta dell’impero romano (5° ed ultima parte)


Proponiamo la traduzione integrale in italiano della quinta ed ultima parte (qua la prima, la seconda, la terza e la quarta) dell’articolo Inflation and the Fall of the Roman Empire, tratto dal Ludwig von Mises Institute, scritto da Joseph R. Peden, saggista ed autore di varie pubblicazioni, ha insegnato storia al Baruch College of the City University of New York. Si tratta di una trascrizione della lezione da lui tenuta al Seminar on Money and Government a Houston in Texas, il 27 Ottobre 1984. La registrazione audio originale è qua reperibile. (Traduzione di Luca Fusari)
La mentalità di Diocleziano e il motivo dell’Editto sul prezzo massimo emerse nella prefazione alla legge. Mi limiterò a citare brevemente alcuni passaggi, quando li ascolterete mi piacerebbe che prestiate attenzione, perché si può avere una diversa interpretazione di quel che Diocleziano intendeva dire. «Se gli eccessi perpetrati da persone di avarizia illimitata e frenetica potrebbero essere controllati», ciò non era riferito a sé stesso, «se il benessere generale potesse sopportare senza danni questa licenza riottosa, se questi pazzi incontrollati, senza scrupoli, smodati, avari potessero essere persuasi a desistere dal saccheggio della ricchezza di tutti, allora tutto dovrebbe andare bene».
Chi erano queste persone? Erano a suo dire i commercianti, benché i tipi avidi e tirchi che provocano l’inflazione come tutti sappiamo non erano loro. Poi parla di se stesso e dei suoi tre soci. «Noi i protettori della razza umana siamo d’accordo che la legislazione è decisiva e necessaria, dato che le tanto auspicate soluzioni l’umanità stessa non è in grado di fornirle. (…) Con i rimedi forniti dalla nostra lungimiranza, queste cose possono essere sanate per il miglioramento generale di tutti». Suona familiare non è vero? Anche loro erano però parte dell’umanità, ma per costoro non si può fare nulla da soli, c’è “bisogno” del legislatore!.
In realtà leggendo il resto della proclama diventa chiaro che la ragione per cui l’Editto sui prezzi venne emesso fu che i soldati erano divenuti le principali vittime dell’inflazione, e Diocleziano temeva di perdere il controllo del suo esercito. Così le persone da proteggere furono i soldati e gli altri servitori dello Stato. Fatta eccezione per l’Editto sui prezzi (il quale non funzionò e venne  gradualmente eliminato), le riforme monetarie di Diocleziano erano timidi passi nella giusta direzione.
Ma i suoi passi non furono abbastanza radicali, la sua incapacità di creare un sufficiente approvvigionamento di monete d’oro e d’argento, combinato con il suo continuo ricorso a pagamenti in natura per le imposte e gli stipendi, e la continua emissione di moneta a corso forzoso di bronzo in quantità infinita, non riuscì a risolvere in maniera significativa il problema.
Le riforme di Costantino furono parziali, ma con sufficiente vigore e carattere radicale per fare la differenza. Attraverso la sua volontà di estrarre per costrizione le riserve auree dai contribuenti, costringendoli a rigettare i loro lingotti, diede una fornitura crescente di oro nelle mani dei funzionari del governo.
http://numismatics.org/collectionimages/19501999/1967/1967.153.53.obv.width350.jpgL’oro fu sempre usato per pagare i bonus militari, gli stipendi ai burocrati, e anche per i pagamenti di alcuni lavori pubblici. Sempre più spesso emerse un sistema monetario a due livelli, nel quale il governo, i soldati e i burocrati godettero dei benefici di un gold standard, mentre la parte non governativa dell’economia continuò a lottare con una moneta a corso forzoso in rapida svalutazione.
Il nuovo solidus d’oro, diffuso ampiamente dai suoi possessori (i dipendenti pubblici), fu venduto a vari tassi di mercato ai clienti che ne avevano un disperato bisogno per poter pagare le tasse. Così lo Stato trovò un modo per proteggere sé stesso e i propri dipendenti dagli effetti nefasti del proprio precedente ciclo inflazionistico, mentre lentamente si ritirò dal macchinoso e dispendioso sistema d’accettazione di beni in natura per le tasse e il pagamento degli stipendi. Nel frattempo, le masse soffrirono di una massiccia iniezione di denaro a corso forzoso che dovettero accettare in pagamento a seguito delle requisizioni di oro, argento, o altri beni di valore che il governo richiedeva.
Ora possiamo trarre alcune lezioni da questo racconto sulle politiche monetarie del tardo impero romano. Se come disse Randolph Bourne «la guerra è la salute dello Stato», la prima lezione è che essa è veleno per una moneta stabile e sonante. La crisi monetaria romana fu quindi strettamente connessa con il problema militare romano. Un’altra lezione è che i problemi diventano risolvibili quando un sovrano decide che qualcosa può essere fatto e deve essere fatto. Diocleziano e Costantino chiaramente erano disposti ad agire per tutelare gli interessi della classe dominante, di quella militare e del servizio civile.
Le riforme monetarie furono necessarie per conquistare l’appoggio delle truppe e dei burocrati che componevano l’unico vero costituente dello Stato romano, il sistema monetario dualistico fu dunque progettato per questo scopo. Questo portò ad uno standard monetario stabile per il gruppo dirigente il quale non esitò a fissarlo a scapito della massa della popolazione. Lo Stato romano sopravvisse, non analogamente la libertà del popolo romano. Quando nel V° secolo con le invasioni barbariche in Occidente la libertà divenne possibile le persone approfittarono della possibilità di cambiamento.
La pressione fiscale rimase gravosa anche dopo che questo gold standard fu ristabilito. I contadini furono totalmente alienati dallo Stato romano perché non erano più liberi. Allo stesso modo non fu più libera né la comunità imprenditoriale né la classe media delle città urbane. L’economia d’Occidente si era fatalmente più indebolita rispetto a quella d’Oriente, e quando leggiamo gli scritti dei primi anni del V° secolo del prete cristiano Salviano di Marsiglia sul perché lo Stato romano stesse crollando in Occidente, egli afferma che esso meritasse il collasso perché aveva negato la prima premessa del buon governo: la giustizia per il popolo.
Per giustizia intendeva un giusto sistema di tassazione. Salviano ci dice, e non credo che stesse esagerando, che uno dei motivi per cui lo Stato romano crollò nel V° secolo fu che il popolo romano, la massa della popolazione, dopo che venne catturata dai barbari ebbe un solo desiderio: non avrebbe mai più voluto ricadere sotto il dominio della burocrazia romana. In altre parole lo Stato romano era il nemico, i barbari furono i liberatori.
Questo fu senza dubbio dovuto all’inflazione del III° secolo. Mentre lo Stato risolse il problema monetario per i propri elettori clientelari, non riuscì a risolverlo per le masse, continuando ad utilizzare un sistema oppressivo di tassazione al fine di riempire le casse dei burocrati, dei dirigenti e dei militari.