Le due grandi condizioni perché sia possibile l’esistenza della scienza sono, innanzitutto, che nell’universo regni l’ordine e non il caos e che le leggi regolatrici di quest’ordine siano intelliggibili da parte dell’intelletto umano. Ma dove e quando nascono queste convinzioni sull’universo?
Introduzione
La scienza non nasce nella cultura antica
La scienza non nasce nella cultura islamica
La scienza non nasce in Oriente
La scienza nasce nell’Europa cristiana
Conclusione
La scienza non nasce nella cultura antica
La scienza non nasce nella cultura islamica
La scienza non nasce in Oriente
La scienza nasce nell’Europa cristiana
Conclusione
Melvin Calvin (1911-1997), premio Nobel per la chimica, non ha dubbi: «Nel cercare di discernere le origini della convinzione sull’ordine dell’universo, mi pare di trovarle in un concetto fondamentale scoperto duemila o tremila anni fa, ed enunciato per la prima volta nel mondo occidentale dagli antichi ebrei: ossia che l’universo è governato da un unico Dio e non è il prodotto dei capricci di molti dèi, ciascuno intento a governare il proprio settore in base alle proprie leggi. Questa visione monoteistica sembra essere il fondamento storico della scienza moderna»1. Come contribuiremo a dimostrare, Calvin aveva pienamente ragione: la visione teistica, e in particolare cristiana, è alla base della nascita del mondo scientifico. D’altraparte il più grande elogio della scienza lo si trova nella Bibbia stessa, dove gli uomini sono esortati ad accettare «la mia istruzione e non l’argento, la scienza anziché l’oro fino, perché la scienza vale più delle perle e nessuna cosa preziosa l’eguaglia» (Prv 8, 10-11), e si dice che «suo principio è il desiderio d’istruzione; la cura dell’istruzione è amore» (Sap 6, 17). Abbiamo conferme anche dai grandi storici della scienza, ma perfino dai più incalliti oppositori del cristianesimo, come il chimico dell’Università di Oxford, Peter Atkins (1940), che riconosce: «la scienza, il sistema di credenze fondato saldamente su conoscenze riproducibili e pubblicamente condivise, è emersa dalla religione»2. Addirittura nel 1967 il movimento ecologista ricevette un grande impulso da un articolo intitolato “Radici storiche della nostra crisi ecologica”, redatto da Lynn White Jr. (1907-1987), storico medievalista, dove si accusava apertamente il cristianesimo di essersi imposto sul paganesimo, considerato molto più rispettoso della natura (divinizzandola), proprio tramite l’invenzione della scienza e delle tecniche moderne: «nella misura in cui la scienza e la tecnologia -sviluppatesi in una matrice cristiana occidentale- accordarono all’umanità dei poteri che oggi sfuggono dal suo controllo, non si potrebbe non riconoscere l’enorme colpa di una tale cristianità riguardo alla crisi ecologica»3.
Chi identifica le radici della scienza moderna nell’Antica Grecia, ignora il fatto che affinché essa si sviluppasse, il pensiero doveva liberarsi dal concetto politeista e dal metodo aristotelico (dal IV secolo a.C.), fino ad allora onnipresente, consistente nel dedurre, partendo da principi fissi, come dovesse essere l’universo. Le concezioni greche delle divinità non erano adatte, nemmeno Zeus poteva essere il creatore di un universo razionale: anch’egli era soggetto agli inesorabili meccanismi ciclici naturali di ogni cosa. Aristotele stesso condannò come «impensabile» l’idea «che l’universo iniziò ad esistere da un certo punto nel tempo»4.
Come scrisse lo storico della scienza Bernard Cohen (1914-2003), «gli ellenistici erano interessati a spiegare il mondo naturale solo attraverso principi generali astratti»5. Le prime innovazioni tecniche, avvenute in epoca greco-romana, nel mondo islamico e in Cina, per non parlare di quelle ottenute nelle ere preistoriche, non costituirono, infatti, una scienza ma possono essere meglio descritte come sapere, saggezza, arti, mestieri, tecniche, tecnologie, ingegneria, apprendimento o semplicemente conoscenza. Anche senza l’utilizzo dei telescopi, gli antichi eccellevano nelle osservazioni astronomiche, ma esse rimasero dei meri fatti fino a quando non furono collegate a teorie verificabili. Le conquiste intellettuali dei greci o dei filosofi orientali, erano frutto di un empirismo a-teorico, e le loro teorizzazioni non erano empiriche. Scrive lo storico della scienza, Harold Dorn: «Il sapere greco esclusivamente ateorico fu una barriera per l’ascesa della vera scienza: non permise il progresso del mondo greco, di quello romano, nè del mondo islamico, dove si preservarono e studiarono con attenzione gli insegnamenti greci»6. Ad esempio, Aristotele insegnava che la velocità alla quale un oggetto cade a terra è proporzionale al suo peso, e quindi che una pietra che pesa il doppio di un’altra cadrà due volte più velocemente7. Bastava però che si fosse recato ad una delle vicine scogliere per constatare la falsità della sua proposizione. Mentre Socrate considerava l’empirismo e le osservazioni astronomiche una «perdita di tempo» e Platone consigliasse ai suoi studenti di «lasciar stare i cieli stellati»8, Democrito suggerì che tutta la materia fosse composta da atomi. Il suo suggerimento -casualmente corretto- era però una pura speculazione, non basata sull’osservazione e su implicazioni empiriche. Dal punto di vista del metodo scientifico, l’ipotesi di Democrito ha lo stesso valore di quella del suo contemporaneo Empedocle, il quale riteneva la materia fosse composta da fuoco, aria, acqua e terra. Un secolo dopo Aristotele affermò invece che invece doveva essere costituita da caldo, freddo, aridità, umidità e quintessenza. L’universo, per i greci, era eterno, increato ma vincolato in infiniti cicli di progresso e decadenza. E’ vero che alcuni, come Aristotele, presupponevano un «dio» di infinita portata a guardia dell’universo, ma costui era percepito come un’essenza, molto simile al Tao, che conferiva un’autorità spirituale ma non certo un creatore. Platone immaginava un «dio» molto inferiore a quello di Aristotele, denominato Demiurgo9. L’idealismo platonico, fondato su ipotesi a priori, credeva in un universo ciclico ed eterno, una sfera simmetrica circondata da corpi celesti con traiettoria di moto perfetto. Comunque, tutte queste speculazioni dei maggiori filosofi greci, come quelle di Crisippo e Parmenide, furono a lungo di notevole intralcio alla scoperta scientifica.
Un altro motivo che rendeva impossibile la nascita del metodo scientifico è che i greci insistettero nel tramutare gli oggetti inanimati in esseri viventi. Quindi se anche gli oggetti minerali sono animati, si sbaglia a tentare di spiegare i fenomeni naturali. Così sempre secondo Aristotele, i corpi celesti si muovevano circolarmente per la loro affezione nei confronti di quell’azione e gli oggetti cadevano a terra «per il loro innato amore verso il centro della terra»10. Il sapere greco, insomma, ristagnò nella propria logica interna. A parte alcuni ulteriori sviluppi della geometria (che in realtà manca di sostanza in quanto è in grado di descrivere solo alcuni aspetti della realtà, non di spiegarne qualunque parte), poco accadde dopo Platone ed Aristotele. L’impero romano assorbì anche la cultura greca, che però non fece progredire intellettualmente nessuno in modo significativo11. Nulla accadde nemmeno in Oriente, a Bisanzio, dove il sapere greco continuò a diffondersi.
Ovviamente con questo non si vuole certo minimizzare il grande valore della cultura greca e il suo grande impatto sulla teologia cristiana e sulla vita intellettuale dell’Europa. Non a caso gli scolastici e gli intellettuali cristiani del Medioevo (Sant’Agostino e San Tommaso in primis) si dissero «debitori» di Aristotele e degli altri filosofi dell’antichità. Ma, usando le parole dello storico delle religioni Rodney Stark (1934): «Lo sviluppo della scienza non risultò come il prolungamento del sapere classico. Fu la naturale conseguenza della dottrina cristiana: la natura esiste perché è stata creata da Dio e per amarLo ed onorarLo, è necessario apprezzare a fondo le meraviglie del suo operato»12.
Lo storico della scienza di Harvard, Sir Alfred North Whitehead (1861-1947), osservava come le immagini di divinità rintracciabili nelle altre religioni, in particolar modo in Asia, erano e sono troppo impersonali o irrazionali per poter incoraggiare la scienza, «mancava quella fiducia che proviene dall’idea della razionalità intellegibile di un essere personale»13. Molti studiosi confermano che non sia solo una casualità il fatto che il metodo scientifico non sia nato nella cultura islamica. Allah non viene presentato come un creatore giusto, ma è concepito come un Dio estremamente attivo che si impone nel mondo come ritiene opportuno. Questa concezione ha originato un nucleo teologico islamico che condanna come blasfemia ogni tentativo di formulare leggi naturali, perché esse negano la libertà di azione di Allah. La cultura greca è rimasta molto viva per molti secoli all’interno del sapere islamico e gli stessi islamici consideravano il sapere greco, in particolare l’opera di Aristotele, come un testo sacro a cui credere, piuttosto che da studiare14. Perfino uno dei più illustri filosofi islamici, Averroè, divenne assieme ai suoi seguaci, un aristotelico intransigente e dottrinario, proclamando l’infallibilità delle teorie greche. Addirittura, se un’osservazione fosse risultata incoerente con un delle visioni aristoteliche, allora essa doveva essere sicuramente scorretta o illusoria (insomma, proprio il contrario del metodo scientifico). Comunque, a parte scoperte in campi molto specifici, nei quali non occorreva una base teoretica generale (come alcuni aspetti dell’astronomia e della medicina), non vi è da segnalare alcun progresso scientifico degno di nota.
La altre religioni che non derivano dall’ebraismo (come l’islam), non presuppongono affatto una creazione: nella loro prospettiva, l’universo è eterno e, per quanto possa seguire dei cicli, ciò avviene senza principio o senza scopo; inoltre, la cosa più importante, non essendo mai stato creato non ha un creatore. Coloro che partono da questi presupposti religiosi, raggiungono la saggezza attraverso un percorso di meditazioni e intuizioni mistiche, senza alcuna occasione d’esercitare l’uso della ragione. Il filosofo Bertrand Russel (1872-1970) trovava piuttosto sconcertante la mancanza di scienza in Cina15, ma per gli intellettuali cinesi l’universo semplicemente è ed è sempre stato, senza alcun motivo di supporre leggi razionali. Di conseguenza, nel corso dei millenni, si è andati in cerca di «illuminazioni» e non di spiegazioni. Il biochimico e storico della scienza britannico Joseph Needham (1900-1995),, che dedicò la maggior parte della sua carriera alla storia della tecnologica cinese, riferisce che i cinesi nel XVIII secolo rigettarono l’idea di un universo governato da leggi semplici, indagabili dagli esseri umani (convinzione portata a loro dai missionari gesuiti occidentali). La loro cultura, secondo Needham, semplicemente non era ricettiva verso tali concetti. Concluse che l’ostacolo alla scienza in Cina era causato dalla loro religione non cristiana: «Non si era mai sviluppata la concezione di un legislatore celestiale e divino che impone leggi sulla Natura non umana. Era loro opinione che l’ordine in natura non fosse stabilito da un essere individuale razionale»16.
Il concetto di libera creazione da parte di Dio portato dalla visione ebraico-cristiana fu fondamentale: per scoprire come sia in realtà l’universo o come effettivamente funzioni, non vi è alternativa dall’andare a vedere direttamente ciò che Dio aveva in mente. Il cammino dalla creazione (e dalle creature) al Creatore risultò la strada più ovvia per arrivare alla comprensione e alla conoscenza di Dio. In particolare la venuta di Cristo fu decisiva poiché, come affermò il fisico britannico Peter E. Hodgson (1928-2008), «l’incarnazione di Cristo ha fornito ulteriori convinzioni per la scienza: ha spezzato l’idea che il tempo fosse ciclico, ha nobilitato la materia pensando che fosse adatta a formare il corpo e il sangue di Cristo; ha superato il panteismo, dichiarando che la materia è creata e non generata». Tutte convinzioni «necessarie per lo sviluppo della scienza»17. Una citazione di Albert Einstein (1879-1955), sintetizza perfettamente la nuova mentalità che portò il cristianesimo rispetto al modo di approcciarsi alla realtà e all’universo: «La scienza contrariamente ad un’opinione diffusa, non elimina Dio. La fisica deve addirittura perseguitare finalità teologiche, poichè deve proporsi non solo di sapere com’è la natura, ma anche di sapere perchè la natura è così e non in un’altra maniera, con l’intento di arrivare a capire se Dio avesse davanti a sè altre scelte quando creò il mondo»18. Oppure: «Voglio sapere come Dio creò questo mondo. Voglio conoscere i suoi pensieri; in quanto al resto, sono solo dettagli»19. Dopo Cristo, non si potè più dedurre -come pensavano i greci- il funzionamento dell’universo semplicemente ragionando a partire da principi filosofici a priori. Per conoscere Dio occorreva studiarne la creazione. La magia e l’astrologia, in quanto fondate sull’animismo e sul politeismo panteista, cominciarono ad essere considerate pure superstizioni irrazionali e deprecabili. Solo nell’Europa cristiana l’alchimia si evolvette in chimica e l’astrologia condusse all’astronomia. Nacque la concezione di un universo come “creatura” da studiare ed indagare, non un’insieme di divinità, o un “animale divino”. Il filosofo Nikolaj Berdiaev (1874-1948) scrisse che: «Il cristianesimo meccanizzò la natura per restituire all’uomo la libertà», cioè per liberarlo dalla sottomissione del volere degli astri, delle divinità irrazionali nascoste in ogni angolo della natura. Dalla visione teista e cristiana vennero creati quindi i presupposti per il pensiero scientifico.
Le conquiste straordinarie che si ottennero dal 1500 d.C. in poi, non vennero certo prodotte da un’esplosione di pensiero laico. Ma, come sottolinea, uno dei più importanti storici delle religioni viventi, Rodney Stark (1934) «esse furono il culmine di molti secoli di progressi sistematici portati avanti dagli scolastici medievali e sorretti da un’invenzione del XII secolo prettamente cristiana: l’università. Scienza e religione non erano solo compatibili, ma addirittura inseparabili, e la scienza nacque grazie a studiosi cristiani profondamente religiosi»20. Le prime Università nacquero nel Medioevo cristiano (che ancora viene definito da alcuni “periodo buio”), in Italia e in Europa e non nel resto del mondo. E’ in questi luoghi, spesso di origine ecclesiastica e sotto il protettorato pontificio, che studiarono Copernico, Harvey, Galilei e i padri della medicina moderna.
L’eminente storico della scienza, Sir Alfred North Whitehead (1861-1947), osservando che l’Europa medioevale nel 1500 sapeva meno di Archimede nel III secolo a.C., ma che nel 1700 Newton arrivò a scrivere il suo capolavoro, Principia Mathematica, si domandò come poteva essere avvenuta una tale esplosione di conoscenze in tempi così brevi. Si rispose dicendo: «La scienza moderna deve provenire dall’insistenza medievale sulla razionalità di Dio [...]. La mia spiegazione è che la fede nella possibilità della scienza, generata anteriormente allo sviluppo della moderna teoria scientifica, sia un derivato inconscio della teologia medievale [...]. Le ricerche sulla natura non potevano sfociare che nella giustificazione della fede nella razionalità»21. Lo scrittore C.S. Lewis (1898-1963) sintentizzò così l’opinione di Whitehead: «Gli uomini divennero scientifici perché si aspettavano una legge in natura, e si aspettavano una legge in natura perché credevano in un legislatore».
Fu questa convinzione teistica a indurre Francesco Bacone (1561-1626), considerato da molti il padre della scienza moderna, a insegnare che Dio ci ha fornito due libri (il libro della natura e la Bibbia) e che per essere istruiti in maniera davvero adeguata bisogna applicare l’intelletto allo studio di entrambi. E come lui ovviamente la pensavano i primi scienziati e i più eminenti uomini di scienza: Galilei, Keplero, Pascal, Boyle, Newton, Faraday, Babbage, Mendel, Pasteur, Kelvin, Maxwell ecc.. tutti teisti, e in gran parte cristiani. La loro fede era spesso la principale ispirazione. Ad esempio, la forza trainante alla base dell’intelletto indagatore di Galileo Galilei (1564-1642), era la sua profonda convinzione che il Creatore «che ci ha dotati di sensi, di discorso e d’intelletto, abbia voluto, posponendo l’uso di questi, darci con altro mezzo le notizie che per quelli possiamo conseguire»22. Mentre per Giovanni Keplero (1571-1630), «lo scopo principale di ogni indagine sul mondo esterno dovrebbe essere quello di scoprire l’ordine razionale che vi è stato imposto da Dio e che egli ci ha rivelato con il linguaggio della matematica»23. Nel XVI secolo, Cartesio (1596-1650), giustificò la sua ricerca delle «leggi» naturali sul fatto che tali leggi dovessero esistere perché Dio era perfetto, e agiva «nel modo più costante e immutabile possibile» – tranne che nelle rare eccezioni dei miracoli24.
Lo conferma anche il biochimico e teologo Ernest Lucas: «Gli storici della scienza hanno riconosciuto sempre più spesso questo fatto. La fiducia dei primi scienziati moderni, Keplero, Bacone, Newton, di poter indagare il mondo trovandolo ordinato ed intelleggibile, scaturiva dalla fede cristiana. In secondo luogo, essi credevano di essere fatti ad immagine di Dio, e che quindi la loro mente sarebbe stata in grado -tanto per citare le famose parole di Keplero- di “pensare i pensieri di Dio dopo di Lui”, e di scoprire quell’ordine»25. Lo storico e filosofo dell’Università di Bruxelles, Lèo Moulin (1906-1996), afferma invece: «Mi sono chiesto perché l’unica civiltà tecnologica e scientifica sia la nostra. Ho cercato di trovare le ragioni, posso garantire che ci rifletto da parecchio tempo, e l’unica spiegazione che ho trovato è la presenza del terriccio, dell’humus della cristianità. Perché? Perché Dio ha creato un mondo diverso da Lui, non si integra in esso»26.
Nel maggio 2011 sul sito web di Nature, una delle riviste scientifiche più importanti del mondo, è apparso un articolo[27] che recensisce l’ultimo lavoro di James Hannam, dottore in Storia e Filosofia della Scienza presso l’Università di Cambridge, intitolato “La genesi della scienza: come il cristianesimo medioevale ha lanciato la rivoluzione scientifica“. Il libro è stato selezionato per l’assegnazione del Royal Society Science Book Prize. Il ricercatore conferma che l’origine della scienza è da vedersi unicamente all’interno della cultura cristiana e sotto il patrocinio della Chiesa cattolica.
Nell’aprile 2012, lo storico Peter Harrison, docente e primo ricercatore presso il Centre of the History of European Discourses dell’University of Queensland, già docente presso l’Università di Edimburgo e Oxford, dove è stato anche direttore del “Ian Ramsey Centre”, membro dell’Australian Academy of the Humanities, vincitore della Centenary Medal nel 2003 per meriti accademici da parte del governo australiano, ha spiegato che «una alleanza tra scienza e ateismo è qualcosa che i fondatori della scienza moderna avrebbero trovato sconcertante. E’ noto da tempo che le figure chiave nella rivoluzione scientifica del XVII secolo hanno accarezzato sincere convinzioni religiose». Per loro, ha continuato, la religione «era parte integrante delle loro indagini scientifiche e ha fornito un fondamento metafisico fondamentale per la scienza moderna. Le vestigia delle convinzioni teologiche di questi pionieri della scienza moderna può ancora essere trovato nel comune presupposto che ci sono leggi di natura che possono essere scoperte dalla scienza».
Abbiamo dunque contribuito a dimostrare che nella nascita della scienza ha svolto un ruolo essenziale e di fondamentale importanza la concezione cristiana dell’unico Dio Creatore, responsabile dell’esistenza e dell’ordine dell’universo e, grazie alla Sua incarnazione, divenuto incontrabile e conoscibile dall’uomo. Ovviamente sarebbe falso dire che non ci fu, per questo, alcun antagonismo religioso verso la scienza. Ad esempio John H. Brooke (1944), il primo docente di Scienza e Religione ad Oxford dice: «Nel passato le credenze religiose servivano da presupposto dell’impresa scientifica fintanto che sottoscrivevano tale uniformità, anche se le particolari concezioni della scienza sostenute dai suoi pionieri erano spesso ispirate da credenze teologiche e metafisiche»27. La scienza nasce «serva» della teologia: cioè per capire l’opera di Dio, occorre fornirne una spiegazione. E’ esattamente così che percepivano se stessi coloro che presero parte alle grandi conquiste del XVI e XVII secolo: come qualcuno che persegue i segreti della creazione (un “libro” che andava letto e compreso). E molto spesso si è purtroppo preteso che le scoperte scientifiche dovessero per forza confermare le scoperte teologiche.
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Note.
1 M. Calvin, “Chemical Evolution”, Oxford 1969, pag. 258
2 P. Atkins, “The limitless power of science”, Oxford University Press 1995, pag. 125
3 White, citato in Beltrão, “Ecologia umana e valori etico-religiosi”, pag. 11
4 Lindberg, “The beginning of Western Science“, University of Chicago Press 1992, pag. 54
5 Cohen, “La rivoluzione nella scienza”, Longanesi 1988
6 H. Dorn, “The Geography of science”, Hopkins University Press 1998
7 Aristotele, “Il cielo”, Rusconi Libri 1999
8 citato in S. Mason, “Storia delle scienze della natura”, Feltrinelli 1971, pag. 104
9 anche se molti studiosi dubitano che Platone intedesse il Demiurgo come un vero creatore, si veda ad esempio D. Lindberg, “The beginning of Western Science“, University of Chicago Press 1992
10 S. Jaki, “Science and Creation”, Scottisch Academic Press 1986, pag. 105
11 D. Lindberg, “The beginning of Western Science“, University of Chicago Press 1992
12 R. Stark, “La vittoria della ragione”, Lindau 2008, pag. 46
13 A.N. Whitehead, “Science and the Modern World”, Macmillan 1925,
14 C.E. Farah, “Islam: belief and observances”, Barron’s Hauppaguge 1994, pag. 199
15 si veda B. Russel, “The problem of China”, Allen & Unwin 1922, pag. 193
16 J. Needham, “Scienza e civiltà in Cina”, Einaudi 1981, pag. 704
17 citato in “Peter Hodgson, l’uomo per cui il cristianesimo ha posto le basi “necessarie per lo sviluppo della scienza”, da Il Sussidiario 10/12/08
18 citato in Holdon, “The Advancemente of Science and Its Burdens”, Cambridge University Press 1986, pag. 91
19 Einstein, “Pensieri di un uomo curioso”, Mondadori 1997
20 R. Stark, “La vittoria della ragione”, Lindau 2008
21 A.N. Whitehead, “Science and the Modern World”, Macmillan 1925, pag. 19,31
22 citato in J. Lennox, “Fede e Scienza”, Armenia 2009, pag. 23
23 citato in M. Kline, “Mathematics: the loss of certainty”, Oxford University Press 1980, pag. 31
24 Cartesio, “Oeuvres”, libro 8, cap. 61
25 R. Stannard, “La scienza e i miracoli”, Tea 2006, pag. 221-222
26 L. Moulin, durante l’incontro pubblico “L’europa dei monasteri e delle cattedrali”, Meeting per l’amicizia fra i popoli, Rimini 27/8/87
27 J. Brooke, “Science & religion: some historical perspectives”, Cambridge University Press 1991, pag. 19
[27] http://blogs.nature.com/soapbox_science/2011/05/18/ e Ultimissima 16/6/11
Fonte: http://www.uccronline.it/