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La legittimità espressa e manifesta attraverso i miracoli dei Re di Francia .
La Consacrazione dichiara la sacralità e legittimità del Monarca cristiano, che diviene inviolabile, protetto in virtù di essa dalle offese degli uomini, più ancora che dalle leggi dello stato. In lui riposa l’autorità promanante da Dio. La sacralità della figura del Sovrano, tuttavia, per una misericordiosa disposizione del Re del Cielo, non fu soltanto affidata ai sentimenti di devozione e sottomissione dei sudditi o alla suggestione di un rito misticamente fastoso. Se la persona del Re è sacra, se a buon diritto può essere considerato un alter Christus, vicario di Gesù Cristo sulla terra in temporalibus, Dio può servirsene anche per operare azioni soprannaturali, che superano il corso ordinario delle cose di questo mondo. Quale evento dall’origine trascendente è più agevole constatare del miracolo, che per definizione consiste nella verificabile sospensione delle leggi di natura? Quale miracolo, poi, più convincente, più entusiasmante per la nostra povera umanità sofferente della guarigione miracolosa? Così, per lunghi secoli, i Re legittimi di Francia ed Inghilterra stupirono la Cristianità intera per il miracoloso potere di guarire, con il tocco della mano consacrata, i malati di scrofole. I Re inglesi inoltre si applicavano con altrettanta devozione alla guarigione dell’epilessia, o mal caduco. Erano dei Re taumaturghi, figure e tipi di Gesù Cristo, il quale nel corso della vita pubblica aveva così profondamente conquistato il cuore dei suoi contemporanei, oltre che per la divina autorevolezza della dottrina, anche per il suo sbalorditivo potere guaritore. «Tramontato il sole, tutti quelli che avevano infermi, affetti da varie malattie, li conducevano a lui, ed egli, imposte a ciascuno le mai li risanava» (S. Luca, IV, 40).
Una delle malattie che ricevevano maggiormente cura attraverso il tocco regio era la malattia delle scrofole, o scrofolosi, cioè l’adenite tubercolare. Il morbo causa l’infiammazione delle ghiandole linfatiche infettate dai bacilli della tubercolosi. L’infezione aggredisce soprattutto le ghiandole delle articolazioni e del collo, che enfiandosi suppurano e si trasformano in piaghe purulente che emanano cattivo odore. In alcune regioni la malattia in epoca medioevale e moderna era endemica, e pur essendo raramente mortale, gli infelici che ne erano affetti, trascinavano la vita in una condizione di semi-esclusione dalla società.
Le piaghe maleodoranti e nauseabonde, la difficoltà nel movimento degli arti a causa del gonfiore, spiegano a sufficienza la triste condizione in cui versavano gli scrofolosi. Questo in breve era il Mal le Roi, the King’s evil, il Mal reale.
Luigi VI di Francia. |
“Che dico? Non abbiamo visto il nostro signore, il Re Luigi, far uso di un prodigio consuetudinario? Ho veduto con i miei occhi dei malati sofferenti di scrofole nel collo o in altre parti del corpo, accorrere in gran folla per farsi toccare da lui - al quale tocco aggiungeva un segno di croce. Io ero là, vicinissimo a lui, e lo difendevo persino contro la loro importunità. Il Re mostrava verso di essi la sua generosità innata; avvicinandoli con la mano serena, faceva umilmente su di essi il segno della croce. Anche suo padre Filippo aveva esercitato con ardore questo stesso potere miracoloso e glorioso; non so quali errori, da lui commessi, glielo fecero perdere”.
Filippo I di Francia. |
“La virtù divina accordò a quest’uomo perfetto una grazia grandissima: quella di guarire i corpi; toccando le piaghe dei malati e segnandoli col segno della santa croce con la sua piissima mano; egli li liberava dal dolore e dalla malattia”.
Roberto II di Francia, detto Roberto il Pio. |
Si può benissimo affermare che l'origine della Monarchia franca fu miracolosa, e quanto riportato in seguito darà risposta a tale affermazione.
I Re di Francia erano unti e consacrati (legittimati) col miracoloso Crisma, a cui un’indiscussa ed antichissima tradizione assegnava una provenienza celeste. Clodoveo, infatti, divenuto nel 481 d.C. sovrano dei Franchi Salii, tribù germanica professante il paganesimo, che si era stabilita in una regione a cavallo tra l’attuale Francia del Nord-Est ed il Belgio, aveva preso in moglie Clotilde, una Principessa Cattolica di origine burgunda, che, assieme a San Remigio, arcivescovo di Reims, impiegava ogni sforzo per convertire il sovrano alla vera fede, senza però alcun esito. Gregorio di Tours nella sua Storia dei Franchi, così narra la conversione del Re pagano:
“Intanto la regina non smetteva di pregare perché Clodoveo arrivasse a conoscere il vero Dio e abbandonasse gli idoli. Eppure in nessun modo egli poteva essere allontanato da queste credenze, finché un giorno, durante una guerra dichiarata contro gli Alamanni, egli fu costretto per necessità a credere quello che prima aveva negato sempre ostinatamente. Accadde infatti che, venuti a combattimento i due eserciti, si profilava un massacro e l’esercito di Clodoveo cominciò a subire una grande strage. Vedendo questo, egli, levati gli occhi al cielo e con il cuore addolorato, già scosso dalle lacrime, disse: «O Gesù Cristo, che Clotilde predica come figlio del Dio vivente, tu che, dicono, presti aiuto a coloro che sono angustiati e che doni la vittoria a quelli che sperano in te, io devotamente chiedo la gloria del tuo favore, affinché, se mi concederai la vittoria sopra questi nemici e se potrò sperimentare quella grazia che dice d’aver provato il popolo dedicato al tuo nome, io possa poi credere in te ed essere così battezzato nel tuo nome. Perché ho invocato i miei dei ma, come vedo, si sono astenuti dall’aiutarmi; per questo credo che loro non posseggano alcuna capacità, perché non soccorrono quelli che credono in loro. Allora, adesso, invoco te, in te voglio credere, basta che tu mi sottragga ai miei nemici». E dopo aver pronunciato queste frasi, ecco che gli Alamanni si volsero in fuga, e cominciarono a disperdersi. Poi, quando seppero che il loro re era stato ucciso, si sottomisero alla volontà di Clodoveo dicendo: «Ti preghiamo, non uccidere più la nostra gente: ormai siamo in mano tua». Ed egli, sospese le ostilità, parlò all’esercito e, tornando in pace, raccontò alla regina in qual modo meritò d’ottenere la vittoria attraverso l’invocazione del nome di Cristo. E questo fu nel quindicesimo anno del suo regno. Allora la regina comanda di nascosto al santo Remigio, vescovo della città di Reims, di presentarsi, pregandolo d’introdurre nell’animo del re la parola della vera salute. Giunto presso di lui, il vescovo cominciò con delicatezza a chiedergli che credesse nel Dio vero, creatore del cielo e della terra, che abbandonasse gli idoli, i quali non potevano giovare né a lui né ad altri. Ma Clodoveo rispondeva: «Io ti ascoltavo volentieri, santissimo padre; ma c’è una cosa: l’esercito, che mi segue in tutto, non ammette di rinunciare ai propri dei; eppure, egualmente, io vado e parlo a loro secondo quanto m’hai detto». Trovatosi quindi con i suoi, prima ch’egli potesse parlare, poiché la potenza di Dio lo aveva preceduto, tutto l’esercito acclamò all’unisono: «Noi rifiutiamo gli dei mortali, o re pio, e siamo preparati a seguire il Dio che Remigio predica come immortale». E an- nunziano queste decisioni al vescovo, che, pieno di gioia, comandò che fosse preparato il lavacro. Le piazze sono ombreggiate di veli dipinti, le chiese sono adornate di drappi bianchi, si prepara il battistero, si spargono profumi, ceri fragranti diffondono aromi partico- lari e tutto il tempio del battistero è soffuso d’una essenza quasi divina e in quel luogo Dio offrì ai presenti la grazia di sentirsi posti fra i profumi del paradiso. Allora il re chiede d’essere battezzato per primo dal pontefice. S’avvicini “al lavacro come un nuovo Costantino, per essere liberato dalla lebbra antica, per sciogliere in un’acqua fresca macchie luride createsi lontano nel tempo”. E, quando Clodoveo fu entrato nel battesimo, il santo di Dio così disse con parole solenni: «Piega quieto il tuo capo, o Sicambro; adora quello che hai bruciato, brucia quello che hai adorato».[…] Così il re confessò Dio onnipotente nella Trinità, fu battezzato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e venne segnato con il sacro crisma del segno della croce di Cristo. Del suo esercito, poi, ne vennero battezzati più di tremila”.
Clodoveo I. |
Quello che Gregorio di Tour accenna velatamente nel racconto del battesimo di Clodoveo - il miracolo della santa ampolla - viene così menzionato con lapidaria semplicità dal Beato Iacopo da Varagine nella sua celebre Legenda aurea:
“Quando il Re s’avvicinò al fonte battesimale il vescovo s’accorse che mancava il sacro crisma, ed ecco che una colomba venne a volo portando nel becco una colomba di Crisma. Quest’ampolla è ancora conservata nella cattedrale di Reims ed è usata per la consacrazione dei Re”.
L’autore domenicano del secolo XIII non faceva che riprendere un dato a tutti noto. Questa è l’antichissima tradizione di Reims, che venne creduta senza tentennamenti per tutto il Medioevo e gran parte dell’età moderna, in Francia e fuori di Francia, divenendo quasi un indiscutibile luogo comune, finché a partire dal secolo XVIII, il secolo dei pestilenziali ‘lumi’, una critica scettica e demolitrice anticristiana giunse a dichiararla completamente infondata e menzognera. Ma perché tanto odio e tanta avversione contro uno dei numerosissimi episodi meravigliosi di cui riferivano doviziosamente le cronache dell’Occidente cristiano? Il perché è noto a coloro i quali sono a conoscenza dei piani della setta e degli empi uomini che ne facevano, e ne fanno, parte.
Almeno dall’epoca carolingia, la Santa Ampolla aveva assunto un significato politico-religioso di prim’ordine. Ancora Jacopo da Varagine non manca di sottolinearlo:
“Ques'ampolla è ancora conservata nella cattedrale di Reims ed è usata per la consacrazione dei Re”.
Filippo IV di Francia. |
“Come il nostro Salvatore, il Signor Gesù Cristo, esercitando con le sue mani la chirurgia volle onorare i chirurghi, così e nello stesso modo il nostro serenissimo sovrano il Re di Francia fa loro onore, a essi e alla loro categoria, guarendo le scrofole con il semplice tocco”.
Molto più semplicemente, in altri celebri compendi di medicina della medesima epoca, come il Lis de la medicine di Bernard di Gourdon, si può leggere, a proposito dei rimedi contro l’adenite tubercolare, questo singolare consiglio:
“In ultimo bisogna fare ricorso al chirurgo, o se no, andiamo dai Re”.
Quest’altro suggerimento, invece, si trova, nella Praxis medica di Giovanni di Geddesden:
“Se i rimedi sono inefficaci, il malato vada dal Re, e si faccia toccare e benedire…”.
La vera misura, tuttavia, dell’immenso successo del tocco sovrano, si rileva meglio dal costante e impressionante afflusso di ammalati alla corte di Francia , ed anche a quella d'Inghilterra. Ben presto, sia lungo la Senna che a Londra, invalse l’uso di accompagnare il tocco con la consegna di una simbolica somma di danaro a mo’ di elemosina . L’epoca medioevale, infatti, considerò sempre tra i compiti più nobili ed importanti del monarca quello di gran elemosiniere a vantaggio dei bisognosi. Accadde così sovente che i funzionari regi annotassero nei Libri dei Conti, indicandone con precisione le voci, i versamenti di elemosine a vantaggio degli ammalati di scrofole, molti dei quali erano povera gente. Queste importanti, anche se parziali, testimonianze, fanno fede, tanto del numero altissimo dei tocchi regi, quanto del diffondersi, ben oltre i confini di quei regni, della popolarità dei sovrani taumaturghi.
I libri contabili della corte francese non offrono alcun dato numerico sugli ammalati presentatisi al cospetto del sovrano e che ebbero ricevuta l'elemosina. Tuttavia, grazie alla meticolosa precisione di Renaud de Roye, un funzionario di corte di Filippo IV il Bello (1285-1314), che annotò le spese di palazzo tra il 18 gennaio e il 28 giugno 1307 e dal 1° luglio al 30 dicembre 1308, indicando nome e luogo di provenienza dell’infermo cui veniva elargita l’elemosina, ci si offre un vivace spaccato della varia umanità che, in quei primi anni del secolo XIV, si accalcava, speranzosa di guarigione, presso le residenze dei Principi medici. Tutte le condizioni sociali sono rappresentate. Così, il 12 maggio 1307, si presentò al Re per essere toccata la nobildonna Jeanne de la Tour (“patiens morbum regium”, affetta dal mal reale) . Anche i religiosi non disdegnavano far ricorso al potere guaritore del sovrano. Il libro mastro, infatti, segnala la presenza a corte di un frate agostiniano, di due francescani e di un cordigliero . Gli afflitti dal morbo regio sono disposti ad affrontare un lungo e pericoloso cammino, pur di potersi accostare alla mano taumaturgica dei Re. Lasciano allora le zone montane del Massiccio Centrale, o le foreste bretoni per accostarsi alla mano guaritrice del monarca. Un uomo chiamato Guilhem, originario della regione pirenaica della Bigorre, si presentò al sovrano francese mentre soggiornava a Nemours. Era il 13 dicembre 1307. Nonostante la stagione inclemente, quel pellegrino si era impegnato in un faticoso viaggio, che gli aveva fatto attraversare quasi tutta la Francia81. Non sono soltanto i francesi, come la francescana, suor Agnese, di Bordeaux (allora feudo soggetto al re d’Inghilterra), o Gilette, castellana di Montreuil, o Margherita di Hans, a voler approfittare del rimedio reale. I libri contabili infatti segnalano infermi provenienti dalla Lorena, allora terra imperiale, dalla Savoia, dalla Svizzera . Tra il 1307 e il 1308 arrivano a corte anche sedici italiani, tra i quali dei milanesi, alcuni emiliani di Parma e Piacenza, un Johannes de Verona , quattro veneziani, un toscano, degli scrofolosi romagnoli, una donna urbinate e un frate agostiniano di Perugia, frater Gregorius de Gando prope Perusium, ordinis Sancti Augustini paciens morbum regium [il frate Gregorio di Gando, nei pressi di Perugia, dell’ordine di Sant’Agostino, ammalato di scrofole] .
Nel celebre testo dell’abate di Nogent, ricordato quale documento più antico ove si menziona, in terra di Francia, la prassi taumaturgica dei Re, abbiamo ancora la più antica testimonianza della modalità cerimoniale del tocco guaritore:
“Ho veduto con i miei occhi - scriveva infatti il prelato - dei malati sofferenti di scrofole nel collo ed in altre parti del corpo, accorrere in gran folla per farsi toccare da lui, al quale tocco aggiungeva un segno di croce”.
Ed ancora:
“Avvicinandosi con la mano serena faceva umilmente su di essi il segno della croce” .
Elemento essenziale quindi del rito di guarigione è il contatto della mano destra nuda del monarca sulla piaga infetta dell’ammalato: “…poi con la mano destra tocca i malati” . Senza questo contatto o ‘tocco’ la guarigione o l’avvio alla guarigione della patologia non è possibile. La mano del Re è una delle parti del suo corpo consacrata e unta dal Sacro Crisma al momento della Consacrazione. Il monarca, infatti, ordinariamente preferisce toccare la prima volta gli scrofolosi dopo la sua solenne consacrazione, perché è soltanto per essa che un principe erede al trono prende di fatto, dopo la morte del titolare, pieno possesso della Corona. Come si è più volte ripetuto, il Principe è alter Christus, vicario di Gesù Cristo nell’esercizio dell’autorità temporale.
Non sorprende allora che i sovrani, anche nell’azione vicaria particolarmente prestigiosa di guaritori, abbiamo imitato assai da vicino nei gesti, la prassi taumaturgica del Divin Maestro, come si legge nei Vangeli:
“Entrato poi Gesù nella casa di Pietro, né trovò la suocera a letto con la febbre. Le toccò la mano e la febbre la lasciò, cosicché ella si alzò e si pose a servirlo” (S. Matteo, VIII, 14-15);
“Tramontato il sole, tutti quelli che avevano infermi, affetti da varie malattie, li conducevano a lui ed egli, imposte a ciascuno le mani, li risanava” (S. Luca, IV, 40);
“Gli si accostò un lebbroso che, prostratosi innanzi a Lui, gli disse: Signore, se vuoi, puoi mondarmi. Gesù, stesa la mano, lo toccò dicendo: Lo voglio, sii mondato. E sull’istante fu mondato dalla lebbra”.
Carlo VII di Francia. |
Goffredo di Beaulieu, narrando di S. Luigi IX di Francia (1226-1270) ricorda come, nell’atto d’eseguire la cerimonia curativa fosse solito pronunziare delle formule devozionali particolari, che lo storico francese, senza menzionarle, definisce: “adatte alla circostanza, e sanzionate dall'uso, d'altro canto perfettamente sante e cattoliche” . Quelle medesime formule, che, stando a Ivo di Saint-Denis, Filippo IV il Bello, il 26 novembre 1314, si sforzava d’insegnare sul letto di morte, al figlio primogenito e suo erede:
“Chiamato a sè segretamente il figlio primogenito, alla presenza cioè del solo confessore, lo istruì sul modo di toccare i malati, dicendogli le sante e devote preghiere che egli era solito pronunciare nel toccare gli infermi. Del pari lo ammonì che doveva esercitare il tocco degli infermi con grande reverenza, santità e purezza e con le mani monde dal peccato” .
in Francia , a partire dal XVI secolo, le preghiere che venivano pronunciate al momento del tocco, si fissarono in una formula, che rimase in vigore fino alla cessazione del rito. Il sovrano infatti prese a pronunciare al momento del contatto: ll Re ti tocca. Dio ti guarisce .
Questa breve e suggestiva preghiera ricordava tanto al beneficiato, quanto al Principe, che il miracolo non derivava da un magico potere personale del Re, ma dalla potenza di Dio, di cui il sovrano era semplice strumento. La pietà popolare, almeno in Francia, durante i secoli del Medioevo, vide la medesima facoltà terapeutica anche in un elemento del tutto marginale e accessorio del rito del tocco. L’acqua, infatti, con cui il sovrano, secondo un’elementare regola d’igiene, si detergeva la mano che aveva toccato le piaghe purulente degli scrofolosi, venne ben presto considerata come un rimedio altrettanto efficace del tocco stesso. Testimonia Stefano di Conty:
“Dopo detta santa unzione e coronazione dei Re di Francia, tutti i predetti Re durante la loro vita compirono molti miracoli, sanando completamente da una malattia velenosa, turpe e immonda, che in francese chiamiamo scrofole. Il modo di guarire è il seguente: dopo che il re ha ascoltato la messa, gli portano un vaso pieno d’acqua, poi fa la sua preghiera davanti all’altare, poi con la mano destra tocca gli infermi, e si lava con la detta acqua. I malati in vero che prendono tale acqua e la bevono per nove giorni a digiuno con devozione senza altra medicina sono sanati completamente. Così stanno le cose realmente, sicché numerosissimi ammalati di scrofole furono sanati da molti re di Francia” .
San Luigi IX di Francia. |
Se ai tempi di Luigi VI , nel secolo XII, come ricorda Gilberto di Nogent, non infrequentemente gli ammalati si accalcavano tumultuosi attorno al sovrano per esserne ‘toccati’, già S. Luigi IX , in quello successivo, sebbene gli scrofolosi potessero accedere al tocco ogni giorno, riservava alla cerimonia medicinale un momento preciso della giornata, cioè al mattino, subito dopo la prima messa. Gli scrofolosi che, per vari accidenti, non fossero riusciti a ricevere il tocco, erano ospitati, con vitto e alloggio, dal sovrano fino al mattino seguente. Tale situazione rimase stabile fino al XV secolo, quando Luigi XI (1461- 1483) decise di ricevere gli infermi un solo giorno della settimana . Inoltre i pazienti erano sottoposti ad una visita medica preventiva che accertasse la presenza della malattia .
S. Marcolfo, abate del monastero di Nant, probabilmente l’attuale cittadina di S. Marcouf, nella diocesi di Coutances, nel nord-ovest francese, visse in epoca merovingia, attorno al 540.
Il convento divenne il luogo d’irradiazione del suo culto, fin quando non vennè dato alla fiamme e distrutto nel corso di una scorreria normanna. I monaci dovettero abbandonare in tutta fretta l’abbazia trasportando con sé le reliquie, e, dopo varie traversie, grazie all’intervento di Carlo il Semplice (898-922) i religiosi trovarono rifugio a Corbeny, in una tenuta che il sovrano aveva loro donato, non distante da Reims, là dove tradizionalmente i Re di Francia venivano unti e incoronati.
Nel 906 iniziò la costruzione di un monastero, ove custodire le sante ossa di S. Marcolfo. Così il convento divenne il centro di diffusione più importante del suo culto e tale rimase anche per l’avvenire. In un sermone databile tra il XII e il XIII secolo, compare la prima testimonianza scritta che associa il pio abate merovingio alla guarigione miracolosa delle scrofole:
“Questo santo ha ricevuto dal Cielo una tale grazia per la guarigione della malat- tia che vien chiamata male reale, che si vede accorrere a lui una folla d’infermi pro- venienti tanto da paesi lontani e barbari quanto da nazioni vicine”.
Luigi X di Francia. |
Luigi XIV di Francia mentre tocca i malati per guarirli. |
Accadde così che i sovrani toccassero i loro primi malati, proprio nei chiostri dell'abbazia. Appena terminate le devozioni, infatti, il monarca era solito toccare gli infermi.
Così Carlo VIII (1483-1498) nel 1484 vide accorrere sei ammalati al suo padiglione per essere toccati . Quando vi giunse Luigi XI (1461-1483) nel 1498 erano già ventiquattro. Nel secolo successivo, quando fu la volta di Enrico II (1547-1559) vi erano presenti anche alcuni stranieri. Ben presto il numero di coloro che volevano adire al medico coronato salì a centinaia, ed anche migliaia.
Luigi XIII di Francia. |
Sul finire dell’età di mezzo, su entrambe le rive della Manica, la popolarità del miracolo regio era rimasta immensa. Per la Francia sono ancora i Libri di Conti dell’Elemosina reale, che permettono di valutare la frequenza e quindi la fama del rito di guarigione. Carlo VIII (1483-1498) in un solo giorno, il 28 marzo 1498, toccò sessanta persone126. Se Luigi XII (1498-1515) nel periodo dal 1° ottobre 1507 al 30 settembre 1508, si limitò a toccare 528 scrofolosi, il suo immediato successore Francesco I (1515-1547) ne guarisce 1326 durante il 1528, 988 nel 1529 e 1731 durante l'anno 1530. Carlo IX (1560-1574), suo nipote, pur regnando nel travagliato periodo delle guerre di religione, durante il solo 1569 vide accorrere alla sua reggia 2092 ammalati di scrofole . Tra i malati non francesi, che accedevano in gran numero presso il Re Cristianissimo, figuravano al primo posto gli spagnoli, la cui terra a quel tempo era particolarmente devastata dall’adenite tubercolare. Questi, quando le circostanze lo permettevano, formavano delle vere e proprie carovane di pazienti, guidate da un 'capitano'. A. Duchesse, scrivendo nel 1609, accenna al “grande numero di questi ammalati, che vengono tutti gli anni dalla Spagna per farsi toccare dal nostro pio e religioso Re. Il Capitano che li guidava nel 1602, riportò la testimonianza dei Prelati di Spagna, di un gran numero di guariti con il tocco di Sua Maestà”.
Luigi XII di Francia. |
“Dunque, il re accostando la sua mano guarisce le scrofole – benché prigioniero, egli è, come per il passato, gradito ai celesti” .
Francesco I di Francia. |
Il Re, però, decise di dare sistematicità alla cerimonia. Così il Servizio dell’Elemosina raggruppava i malati fino al giorno stabilito per il rito, mantenendoli a spese del Sovrano. Trattandosi, tuttavia, spesso, di una corte itinerante, quel singolare corteo d’ammalati s’accodava al monarca, in attesa del giorno favorevole. Infine prevalse la modalità di far comparire gli scrofolosi in giorni prefissati138. Le date che divennero ben presto canoniche per il rito guaritore coincidevano con le principali feste liturgiche: le Candelora, le Palme, Pasqua, o un giorno della Settimana Santa, Pentecoste, Ascensione, il Corpus Domini, l’Assunzione, la Natività della Vergine ed il S. Natale. Spesso il sovrano toccava i malati già dalla vigilia della festa . In via eccezionale Francesco I guarì gli scrofolosi l’8 luglio 1530, in occasione del suo matrimonio con Eleonora d’Austria . La concentrazione del tocco in alcune date comportò, da un lato, che vere e proprie folle, anche di parecchie centinaia d’infermi, si presentassero alla Corte, e, dall’altro, favorì lo sviluppo del rituale, che ora riveste un carattere imponente. Il sovrano francese assolve in primo luogo devotamente i più importanti doveri religiosi: si confessa e, in conformità ad un antico privilegio, si comunica, alla maniera dei sacerdoti, sotto entrambe le Specie. Il principe, poi, accompagnato dall'Elemosiniere di Corte, procede verso il luogo prescelto per il miracolo reale, dove i chirurghi regi hanno fatto accedere solo quei malati che presentano con certezza i sintomi del- l’adenite. Così attesta, nel suo Diario di viaggio, il nobile veneziano Girolamo Lippo- mano, che scrive nel 1577:
“Prima che il Re tocchi, alcuni medici e cerusichi vanno guardando minutamente le qualità del male, e se trovano alcuna persona che sia infetta d’altro male che dalle scrofole, la scacciano” . I malati attendono pazientemente in ginocchio l’arrivo del Re-medico, il quale, prima di procedere al tocco, compie una breve liturgia dedicata a San Marcolfo . Poi, accompagnato dall’Elemosiniere e da alcuni nobili del seguito, procede al tocco, fino all’esaurirsi del numero dei sofferenti. “Essendo gl’infermi accomodati per fila … il re li va toccando d’uno in uno, riferisce sempre Lippomano nella sua relazione . Anche il luogo ove compiere la cerimonia era prescelto, in modo da sottolineare la solennità dell’evento. Lippomano parla di “cortili regali, o qualche gran chiesa”.
Così, potevano essere le volte gotiche di Nôtre-Dame di Parigi ad accogliere i pazienti, come avvenne l’8 settembre 1528, festa della Natività di Maria SS., quando Francesco I toccò 205 scrofolosi ; oppure, il 15 agosto 1527, festa dell’Assunzione, quando nell chiostro del Palazzo vescovile di Amiens, il Cardinal Wolsey potè ammi- rare il medesimo sovrano segnare un numero quasi uguale di pazienti . Il rito rimase immutato rispetto a quello praticato in precedenza. Il sovrano toccava con la mano nuda le piaghe, facendo poi il segno di croce. Si venne però fis- sando in quel tempo la formula che rimase in uso fino a Luigi XIV (1643-1715), e che il Re pronunciava su ciascun ammalato: Il Re ti tocca, e Dio ti guarisce147. Nemmeno nella Francia sconvolta dalle guerre di religione, nella seconda metà del secolo XVI, gli scrofolosi rinunciarono al rimedio regale, né i monarchi francesi, seppure, forse, con minor sollecitudine, data la pericolosità dei tempi, si sottrassero al loro dovere.
Enrico III di Francia. |
Da parte del Re e del Signor Marchese di Souches, Prevostodell’Ostello della Maestà e Gran Prevosto di Francia. Si fa sapere ad ognuno che legge, che Domenica prossima giorno di Pasqua, Sua Maestà toccherà i Malati di Scrofole, nella Galleria del Louvre, alle ore dieci del mattino, in modo che nessuno possa scusarsi per non esserne a conoscenza, e che coloro che sono afflitti da detto male, se così gli aggrada, abbiano a trovarsi lì. Redatto a Parigi, alla presenza del Re, il 26 marzo 1657. Firmato, De Souches.
Il Re Sole nel Sabato Santo del 1666 tocca 800 scrofolosi156. Ammalato di gotta la Pasqua 1698, e quindi impossibilitato a compiere il rito, vede presentarsi a corte la Pentecoste successiva circa tremila infermi. Nella solennità della SS. Trinità, il 22 maggio 1710, vide presentarsi a Versailles si accalcano 2400 scrofolosi. Il sabato 8 giugno 1715, invece, vigilia di Pentecoste, tre mesi prima di morire († 1° settembre 1715), il sovrano toccò per l’ultima volta i malati. Gli scrofolosi, nonostante “il grandissimo calore” , s’ammassarono in circa millesettecento.
Come per il passato, i pazienti che accorrono a farsi benedire dal Re appartengono a svariate nazioni europee. Vediamo così “tanto Spagnoli, Portoghesi, Italiani, Tedeschi, Svizzeri, Fiamminghi, che Francesi”, i quali, durante il regno di Luigi XIII , a Saint-Germain-en-Laye, la Pentecoste del 1618, si schierano “lungo tutto il gran viale e sotto il fogliame del parco” in attesa del principe medico. Gli ecclesiastici non disdegnano la cerimonia. Tre gesuiti portoghesi sono tra i malati il 15 agosto 1620, festa dell’Assunta . Gli spagnoli, comunque, sono gli stranieri più numerosi. Per questo il cerimoniale prevedeva che fossero i primi ad essere beneficiari del tocco regale.
Tutti i sovrani legittimi di Francia, infatti, per quasi mille anni e sino alle soglie dell’età contemporanea, furono unti Re con il Crisma celeste della Santa Ampolla conservata a Reims. La Santa Ampolla era uno dei ‘dogmi’ più rilevanti, per così dire, della religio monarchica della Civiltà cristiana, fondata sulla stretta alleanza tra il Trono e l’Altare e sulla consapevolezza che l’autorità deriva da Dio, come dice il noto aforisma paolino: Omnis potestas a Deo [ogni potere viene da Dio]. Scardinare e denigrare questa tradizione storica, abbassandola a mera fantasticheria leggendaria, significava, così, non soltanto colpire il meraviglioso e il soprannaturale di cui era intessuta la storia della Francia Cattolica, ma sferrare un attacco diretto contro la Monarchia, massima istituzione di quella nazione. A questo si dedicarono, ora con paziente tenacia, ora con violenta determinazione, i rivoluzionari e settari del XVIII secolo.
Tuttavia, ancora nel ‘700, la tradizione della Santa Ampolla conservava agli occhi dei contemporanei dell'empio Voltaire tutto il suo misterioso splendore. Così alle soglie della tremenda Rivoluzione, il 7 luglio 1775, Luigi XVI di Francia si dispose a ricevere, come i suoi padri, dalle mani del successore di San Remigio, novello Clodoveo anche nel nome, la consacrazione col crisma portato dal Cielo. Poi la catastrofe dell’89, l’imprigionamento della famiglia reale, il martirio del sovrano sul palco della ghigliottina. E la Santa Ampolla di Reims? Anch’essa subì l’oltraggio dei giacobini. Per ordine della Convenzione Nazionale, infatti, Philippe Rühl, deputato del Basso Reno, il 3 ottobre di quel tragico 1793, mentre infuriava il Terrore, infranse sullo zoccolo della statua di Luigi XV nella Piazza Reale la preziosa reliquia conservata in una teca a forma di colomba.
Ma alla vigilia del giorno in cui fu ordinata la sua distruzione, Seraine ed Hourelle, come lo fa conoscere un processo verbale autentico, estrassero coll’aiuto di un ago d’oro, il più che poterono del balsamo miracoloso, lo chiusero in una carta e lo conservarono.
Così , proprio il giorno prima di quella singolare e blasfema ‘esecuzione’, però, vi fu chi riuscì ad estrarre provvidenzialmente con un ago d’oro alcune gocce del prezioso liquido . Queste vennero in parte utilizzate, per l’ultima volta, nel 1825 in occasione della consacrazione di Carlo X (1824-1836), ultimo monarca legittimo di Francia.
Luigi XV di Francia. |
“Alla consacrazione del Re a Reims - scrive nelle sue Mémories – un uomo d’Avesnes, che aveva scrofole terribili, andò a farsi toccare dal Re. Egli guarì perfettamente, intesi dir questo. Io feci fare un processo e presi informazione del suo stato precedente e susseguente, il tutto ben autenticato. Fatto ciò, inviai le prove di questo miracolo a De La Vrilliére, segretario di Stato della provincia”.
Luigi XVI di Francia. |
Come un tempo, gli scrofolosi si presentarono al sovrano per essere toccati, però egli rifiutò, limitandosi a far loro una generosa elemosina:
Molte persone erano d’avviso di sopprimere questa cerimonia per togliere un pretesto alle triste derisioni dell’incredulità, e si diede ordine di rimandare gli scrofolosi. Essi si lamentarono, il Re inviò una somma di denaro da distribuir loro. Essi dissero che non era affatto ciò che volevano. L’abate Desgenettes, allora Parroco della parrocchia delle Missioni Estere, più tardi Parroco di Nôtre-Dame de la Victoire, che era alloggiato a Saint- Marcoul, vedendo la loro desolazione, si recò a perorare la loro causa, e il Re annunziò la sua visita per il 31 maggio all’ospizio. I malati furono visitati dal sig. Noël, medico dell’ospizio, e dal sig. Dupuytren, primo chirurgo del Re, a fine di non presentare che i malati veramente colpiti da scrofole. Rimasero cento trenta. Essi furono presentati successivamente al Re dai dottori Alibert e Thévent de Saint-Blaise. Il Re li toccò pronunciando la formula tradizionale. Il primo guarito fu un fanciullo di cinque anni e mezzo, Giovanni Battista Comus; egli aveva quattro piaghe; la seconda fu una giovine sedicenne, Marie- Clarisse Fancherm; essa aveva una piaga scrofolosa alla guancia fin dall’età di cinque anni. La terza, Susanna Grévisseaux, di undici anni. Essa presentava delle piaghe e dei tumori scrofolosi. La quarta, Maria Elisabetta Colin, di nove anni, aveva molte piaghe. La quinta, Maria Anna Mathieu, d’anni cinque aveva un tumore scrofoloso e una piaga nel collo. Si stese processo verbale di queste guarigioni e si aspettò cinque mesi prima di chiuderlo e di pubblicarlo, per assicurarsi che il tempo le confermasse.
Carlo X di Francia. |
Dopo d’allora e fino ai nostri giorni, quando ormai i princìpi sovvertitori dell’89 si sono radicati nelle istituzioni e nella società civile, fu principalmente nell’ambito storico-critico ed accademico che continuò una sorda guerra contro la tradizione della Santa Ampolla, di cui I Re taumaturghi di Marc Bloch, è uno degli esempi più negativi. Un’obiezione apparentemente insormontabile era sollevata da storici ed eruditi. Tra i fatti miracolosi di Reims della fine del secolo V e la prima testimonianza scritta di essi, nel IX, intercorre un lasso di tempo di più di tre secoli e mezzo , senza che nessun documento anteriore ne faccia menzione. Colui che per primo li attesta, Incmaro, Arcivescovo di Reims dal 845, nella sua Vita Remigii, appare come il testimone più interessato, meno attendibile e degno di fiducia. Non era infatti ovvio che il successore di San Remigio creasse a bella posta, in quei secoli di facile credulità, una meravigliosa fiaba per esaltare il Santo Patrono di Reims e la sua cattedra? Il silenzio dei documenti per più di tre secoli sembrava la prova più convincente. Nel 1945, tuttavia, un erudito benedettino di Lovanio, Dom C. Lambot, scoprì, su di un manoscritto del XIII secolo, tracce di un’antica liturgia dedicata a San Remigio. Le antifone e i responsorii citano espressamente il Crisma celeste e l’apparizione dello Spirito Santo sotto forma di colomba! L’anno successivo un altro religioso belga, il canonico F. Baix, tentò una datazione della nuova scoperta, e la fissò ad almeno il secolo VIII, retrodatando di un secolo la tradizione remense della Santa Ampolla, e scagionando così il povero Incmaro. Tali scoperte, anziché suscitare un nuovo fervore di studi per calibrare meglio la datazione dell’antica liturgia, passarono del tutto sotto silenzio e furono lasciate ammuffire negli archivi. Si tratta di alcuni versetti della liturgia, poi caduta in disuso, che festeggiava il trapasso del Santo il 13 gennaio, giorno della sua morte, sostituita poi da quella del 1° ottobre tuttora in vigore. In quella più antica formulazione erano raccolti i ricordi dell’evento centrale della feconda attività apostolica del santo francese: la conversione di Clodoveo.
Così l’Antifona recitava:
“Il Beato Remigio santificò l’illustre popolo dei Franchi e il suo nobile re, con l’acqua consacrata dal crisma portato dal Cielo. Egli li arricchì grandemente col dono dello Spirito Santo”.
Il versetto a sua volta recita:
“Il quale [Spirito Santo] grazie al dono di una particolare grazia, apparve sotto forma di colomba e portò al Pontefice dal Cielo il crisma divino”
San Remigio Battezza Clodoveo I. |
Continua...
Fonti:
M. Bloch, I Re Taumaturghi. Studi sul carattere sovrannaturale attribuito alla potenza dei re particolarmente in Francia e in Inghilterra, traduzio- ne di S. Lega, Einaudi, Torino, 1989.
Gregorio di Tours, Storia dei Franchi, a cura di M. Oldoni, Fondazione Lorenzo Valla, Milano, 1981.
Iacopo da Varagine, Leggenda Aurea, traduzione di Cecilia Lisi, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, vol. I.
E. Delassus, Il problema dell’ora presente. Antagonismo tra due civiltà, vol. II, Piacenza, Cristianità, 1977.
Cfr. R. De Mattei, Introduzione, a J. De Maistre, Saggi sul principio generatore delle costituzioni politiche e delle altre umane istituzioni, traduzione dal francese di Roberto De Mattei e Agostino Sanfratello, Milano, Società Editrice Il Falco, 1982.
Citato in Fr. Augustin du Saint-Sauver, Il Santo Crisma di Reims, in “Civitas Christiana”, a. I, nn. 3-4, giugno/settembre 1996, p. 42. Cfr. an- che N.C., Monarchia di Francia. Origine miracolosa? in “Civitas Christiana”, a. I, nn. ¾, giugno/settembre 1996.
S. Tommaso d’Aquino, De Regimine Principum, (l. II, c. XVI), traduzione di R. Tamburini, introduzione e note di P. Tito S. Centi, OP, Sie- na, Cantagalli, 1981.
Scritto da:
Presidente e fondatore A.L.T.A. Amedeo Bellizzi.