martedì 18 marzo 2014

Che Cos'è il legittimismo?(Parte 3°).



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La legittimità espressa e manifesta attraverso i miracoli dei Re di Francia .




La Consacrazione dichiara  la sacralità e legittimità del Monarca cristiano, che diviene inviolabile, protetto in virtù di essa dalle offese degli uomini, più ancora che dalle leggi dello stato. In lui riposa l’autorità promanante da Dio. La sacralità della figura del Sovrano, tuttavia, per una misericordiosa disposizione del Re del Cielo, non fu soltanto affidata ai sentimenti di devozione e sottomissione dei sudditi o alla suggestione di un rito misticamente fastoso. Se la persona del Re è sacra, se a buon diritto può essere considerato un alter Christus, vicario di Gesù Cristo sulla terra in temporalibus, Dio può servirsene anche per operare azioni soprannaturali, che superano il corso ordinario delle cose di questo mondo. Quale evento dall’origine trascendente è più agevole constatare del miracolo, che per definizione consiste nella verificabile sospensione delle leggi di natura? Quale miracolo, poi, più convincente, più entusiasmante per la nostra povera umanità sofferente della guarigione miracolosa? Così, per lunghi secoli, i Re legittimi di Francia ed Inghilterra stupirono la Cristianità intera per il miracoloso potere di guarire, con il tocco della mano consacrata, i malati di scrofole. I Re inglesi inoltre si applicavano con altrettanta devozione alla guarigione dell’epilessia, o mal caduco. Erano dei Re taumaturghi, figure e tipi di Gesù Cristo, il quale nel corso della vita pubblica aveva così profondamente conquistato il cuore dei suoi contemporanei, oltre che per la divina autorevolezza della dottrina, anche per il suo sbalorditivo potere guaritore. «Tramontato il sole, tutti quelli che avevano infermi, affetti da varie malattie, li conducevano a lui, ed egli, imposte a ciascuno le mai li risanava» (S. Luca, IV, 40).

 Una delle malattie che ricevevano maggiormente cura attraverso il tocco regio era la malattia delle scrofole, o scrofolosi, cioè l’adenite tubercolare. Il morbo causa l’infiammazione delle ghiandole linfatiche infettate dai bacilli della tubercolosi. L’infezione aggredisce soprattutto le ghiandole delle articolazioni e del collo, che enfiandosi suppurano e si trasformano in piaghe purulente che emanano cattivo odore. In alcune regioni la malattia in epoca medioevale e moderna era endemica, e pur essendo raramente mortale, gli infelici che ne erano affetti, trascinavano la vita in una condizione di semi-esclusione dalla società.
Le piaghe maleodoranti e nauseabonde, la difficoltà nel movimento degli arti a causa del gonfiore, spiegano a sufficienza la triste condizione in cui versavano gli scrofolosi. Questo in breve era il Mal le Roi, the King’s evil, il Mal reale.


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Luigi VI di Francia.
Il periodo in cui  ebbero inizio in Francia le guarigioni miracolose delle scrofole operate dai Sovrani è difficile da identificare in modo esatto. L’origine del tocco regale è misteriosa. La prima notizia documentata data, infatti, attorno al 1110. Chi ne scrive è un chierico francese che viveva alla corte di Re Luigi VI (1108-1137), Gilberto, abate di Nogent-sous-Coucy. Così afferma nel trattato De Sanctorum reliquis:

“Che dico? Non abbiamo visto il nostro signore, il Re Luigi, far uso di un prodigio consuetudinario? Ho veduto con i miei occhi dei malati sofferenti di scrofole nel collo o in altre parti del corpo, accorrere in gran folla per farsi toccare da lui - al quale tocco aggiungeva un segno di croce. Io ero là, vicinissimo a lui, e lo difendevo persino contro la loro importunità. Il Re mostrava verso di essi la sua generosità innata; avvicinandoli con la mano serena, faceva umilmente su di essi il segno della croce. Anche suo padre Filippo aveva esercitato con ardore questo stesso potere miracoloso e glorioso; non so quali errori, da lui commessi, glielo fecero perdere”.


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Filippo I di Francia.
Secondo Gilberto, non solo l’allora regnante Luigi VI godeva del singolare privilegio di guarire la scrofolosi. Anche suo padre Filippo I (1060-1108) aveva impiegato “con ardore” quel “prodigio consuetudinario”. L’abate, poi, ci fa sapere che Filippo I ad un certo punto, per un’inopinata causa, aveva smesso di toccare e guarire i malati. Quel Re fu, infatti, scomunicato, e delegittimato di conseguenza,  dal Papa per l’adultera relazione con Bertrada di Monfort, e, colpito da malattie ‘ignominiose’, non seppe più avvalersi del tocco guaritore. Si può dire con certezza, quindi, che sia Filippo I (1060-1108) che suo figlio, Luigi VI (1108-1137) guarivano pubblicamente le scrofole. L’autore sottolinea come quelle guarigioni miracolose fossero un “prodigio consuetudinario” dei sovrani Capetingi. Quei Re non ne erano stati gli iniziatori, ma l’origine andava ricercata in tempi anteriori. Durante il loro Regno, tale prassi aveva già assunto la connotazione di un vero e proprio rito pubblico: il Principe toccava con la mano consacrata dall’unzione le parti doloranti del malato con un segno di croce, ad indicare la derivazione tutta religiosa e soprannaturale della cerimonia e del suo effetto taumaturgico. Un testo precedente, infatti, la biografia di Re Roberto il Pio (996-1031) secondo sovrano della dinastia Capetingia e nonno di Filippo I , scritta dal monaco Helgaud, ascrive già a quel monarca il potere di guarire le malattie:

“La virtù divina accordò a quest’uomo perfetto una grazia grandissima: quella di guarire i corpi; toccando le piaghe dei malati e segnandoli col segno della santa croce con la sua piissima mano; egli li liberava dal dolore e dalla malattia”.


Roberto II di Francia
Roberto II di Francia, detto Roberto il Pio.
È possibile così concludere che almeno a partire da Roberto il Pio (996- 1031) è storicamente attestata nei Re francesi la prodigiosa facoltà di guarire i malati con il tocco della mano regale accompagnato dal segno della croce. Suo nipote, Filippo I (1060-1108), ventinove anni dopo, infatti, testimonia come la miracolosa forza guaritrice fosse divenuta una consuetudine consolidata, con una fondamentale differenza; mentre, infatti, Roberto il Pio guariva indistintamente tutte le malattie, con il tempo la capacità medicinale dei Re francesi andò specializzandosi , come accennato in precedenza, nella cura di una malattia particolare, l’adenite tubercolare, volgarmente detta scrofolosi.

Si può benissimo affermare che l'origine della Monarchia franca fu miracolosa, e quanto riportato in seguito darà risposta a tale affermazione.
I Re di Francia erano unti e consacrati (legittimati) col miracoloso Crisma, a cui un’indiscussa ed antichissima tradizione assegnava una provenienza celeste. Clodoveo, infatti, divenuto nel 481 d.C. sovrano dei Franchi Salii, tribù germanica professante il paganesimo, che si era stabilita in una regione a cavallo tra l’attuale Francia del Nord-Est ed il Belgio, aveva preso in moglie Clotilde, una Principessa Cattolica di origine burgunda, che, assieme a San Remigio, arcivescovo di Reims, impiegava ogni sforzo per convertire il sovrano alla vera fede, senza però alcun esito. Gregorio di Tours nella sua Storia dei Franchi, così narra la conversione del Re pagano:

“Intanto la regina non smetteva di pregare perché Clodoveo arrivasse a conoscere il vero Dio e abbandonasse gli idoli. Eppure in nessun modo egli poteva essere allontanato da queste credenze, finché un giorno, durante una guerra dichiarata contro gli Alamanni, egli fu costretto per necessità a credere quello che prima aveva negato sempre ostinatamente. Accadde infatti che, venuti a combattimento i due eserciti, si profilava un massacro e l’esercito di Clodoveo cominciò a subire una grande strage. Vedendo questo, egli, levati gli occhi al cielo e con il cuore addolorato, già scosso dalle lacrime, disse: «O Gesù Cristo, che Clotilde predica come figlio del Dio vivente, tu che, dicono, presti aiuto a coloro che sono angustiati e che doni la vittoria a quelli che sperano in te, io devotamente chiedo la gloria del tuo favore, affinché, se mi concederai la vittoria sopra questi nemici e se potrò sperimentare quella grazia che dice d’aver provato il popolo dedicato al tuo nome, io possa poi credere in te ed essere così battezzato nel tuo nome. Perché ho invocato i miei dei ma, come vedo, si sono astenuti dall’aiutarmi; per questo credo che loro non posseggano alcuna capacità, perché non soccorrono quelli che credono in loro. Allora, adesso, invoco te, in te voglio credere, basta che tu mi sottragga ai miei nemici». E dopo aver pronunciato queste frasi, ecco che gli Alamanni si volsero in fuga, e cominciarono a disperdersi. Poi, quando seppero che il loro re era stato ucciso, si sottomisero alla volontà di Clodoveo dicendo: «Ti preghiamo, non uccidere più la nostra gente: ormai siamo in mano tua». Ed egli, sospese le ostilità, parlò all’esercito e, tornando in pace, raccontò alla regina in qual modo meritò d’ottenere la vittoria attraverso l’invocazione del nome di Cristo. E questo fu nel quindicesimo anno del suo regno. Allora la regina comanda di nascosto al santo Remigio, vescovo della città di Reims, di presentarsi, pregandolo d’introdurre nell’animo del re la parola della vera salute. Giunto presso di lui, il vescovo cominciò con delicatezza a chiedergli che credesse nel Dio vero, creatore del cielo e della terra, che abbandonasse gli idoli, i quali non potevano giovare né a lui né ad altri. Ma Clodoveo rispondeva: «Io ti ascoltavo volentieri, santissimo padre; ma c’è una cosa: l’esercito, che mi segue in tutto, non ammette di rinunciare ai propri dei; eppure, egualmente, io vado e parlo a loro secondo quanto m’hai detto». Trovatosi quindi con i suoi, prima ch’egli potesse parlare, poiché la potenza di Dio lo aveva preceduto, tutto l’esercito acclamò all’unisono: «Noi rifiutiamo gli dei mortali, o re pio, e siamo preparati a seguire il Dio che Remigio predica come immortale». E an- nunziano queste decisioni al vescovo, che, pieno di gioia, comandò che fosse preparato il lavacro. Le piazze sono ombreggiate di veli dipinti, le chiese sono adornate di drappi bianchi, si prepara il battistero, si spargono profumi, ceri fragranti diffondono aromi partico- lari e tutto il tempio del battistero è soffuso d’una essenza quasi divina e in quel luogo Dio offrì ai presenti la grazia di sentirsi posti fra i profumi del paradiso. Allora il re chiede d’essere battezzato per primo dal pontefice. S’avvicini “al lavacro come un nuovo Costantino, per essere liberato dalla lebbra antica, per sciogliere in un’acqua fresca macchie luride createsi lontano nel tempo”. E, quando Clodoveo fu entrato nel battesimo, il santo di Dio così disse con parole solenni: «Piega quieto il tuo capo, o Sicambro; adora quello che hai bruciato, brucia quello che hai adorato».[…] Così il re confessò Dio onnipotente nella Trinità, fu battezzato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e venne segnato con il sacro crisma del segno della croce di Cristo. Del suo esercito, poi, ne vennero battezzati più di tremila”.


Clodoveo I
Clodoveo I.
I Franchi di Clodoveo furono, così, l’unica nazione di stirpe teutonica a non cadere negl’inganni dell’eresia ariana, negatrice della divinità di Cristo, che, a partire dal secolo IV, s’era diffusa entro e fuori il limes imperiale. Dopo l’intervento miracoloso di Dio nella battaglia di Tolbiac del 496 contro gli Alemanni, seguendo l’esempio del loro Principe, questi si convertirono in massa, divenendo protettori e benefattori della Chiesa, così da proporsi ben presto come il più potente regno cattolico dell’Occidente. Clodoveo e Clodilde, principessa canonizzata dalla Chiesa, divennero i capostipiti della prima dinastia regale di Francia, quella dei Merovingi, che regnò senza discontinuità fino al 751, quando l’ultimo sovrano della casata venne deposto da Pipino il Breve, primo monarca consacrato della dinastia carolingia.

Quello che Gregorio di Tour accenna velatamente nel racconto del battesimo di Clodoveo - il miracolo della santa ampolla - viene così menzionato con lapidaria semplicità dal Beato Iacopo da Varagine nella sua celebre Legenda aurea:

“Quando il Re s’avvicinò al fonte battesimale il vescovo s’accorse che mancava il sacro crisma, ed ecco che una colomba venne a volo portando nel becco una colomba di Crisma. Quest’ampolla è ancora conservata nella cattedrale di Reims ed è usata per la consacrazione dei Re”.

L’autore domenicano del secolo XIII non faceva che riprendere un dato a tutti noto. Questa è l’antichissima tradizione di Reims, che venne creduta senza tentennamenti per tutto il Medioevo e gran parte dell’età moderna, in Francia e fuori di Francia, divenendo quasi un indiscutibile luogo comune, finché a partire dal secolo XVIII, il secolo dei pestilenziali ‘lumi’, una critica scettica e demolitrice anticristiana giunse a dichiararla completamente infondata e menzognera. Ma perché tanto odio e tanta avversione contro uno dei numerosissimi episodi meravigliosi di cui riferivano doviziosamente le cronache dell’Occidente cristiano? Il perché è noto a coloro i quali sono a conoscenza dei piani della setta e degli empi uomini che ne facevano, e ne fanno, parte.
 Almeno dall’epoca carolingia, la Santa Ampolla aveva assunto un significato politico-religioso di prim’ordine. Ancora Jacopo da Varagine non manca di sottolinearlo:

“Ques'ampolla è ancora conservata nella cattedrale di Reims ed è usata per la consacrazione dei Re”.



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Filippo IV di Francia.
In epoca medioevale il tocco guaritore dei regnanti di Francia assurse a tale notorietà che divenne un luogo comune dell’opinione pubblica europea colta e meno colta. Nessuno in quelle epoche di fede si stupiva che Dio potesse legare alla funzione sacra del Re un potere straordinario. I medici indicavano nei loro trattati il tocco reale come efficace rimedio contro quella particolare patologia. Così il Compendium medicinae, un manuale della prima metà del secolo XIII, attribuito a Gilberto Anglico, nel libro III, al capitolo dedicato alle scrofole, recita testualmente: Et vocantur scropholae … et etiam morbus regius quia reges hunc morbum curant [E si chiamano scrofole … ed anche malattia reale, in quanto i Re  curano tale morbo]. Nel secolo successivo, Enrico di Mondeville, chirurgo di corte di Filippo IV di Francia (1286-1314) scriveva:

“Come il nostro Salvatore, il Signor Gesù Cristo, esercitando con le sue mani la chirurgia volle onorare i chirurghi, così e nello stesso modo il nostro serenissimo sovrano il Re di Francia fa loro onore, a essi e alla loro categoria, guarendo le scrofole con il semplice tocco”.

Molto più semplicemente, in altri celebri compendi di medicina della medesima epoca, come il Lis de la medicine di Bernard di Gourdon, si può leggere, a proposito dei rimedi contro l’adenite tubercolare, questo singolare consiglio:

“In ultimo bisogna fare ricorso al chirurgo, o se no, andiamo dai Re”.

 Quest’altro suggerimento, invece, si trova, nella Praxis medica di Giovanni di Geddesden:

“Se i rimedi sono inefficaci, il malato vada dal Re, e si faccia toccare e benedire…”.

La vera misura, tuttavia, dell’immenso successo del tocco sovrano, si rileva meglio dal costante e impressionante afflusso di ammalati alla corte di Francia , ed anche a quella d'Inghilterra. Ben presto, sia lungo la Senna che a Londra, invalse l’uso di accompagnare il tocco con la consegna di una simbolica somma di danaro a mo’ di elemosina . L’epoca medioevale, infatti, considerò sempre tra i compiti più nobili ed importanti del monarca quello di gran elemosiniere a vantaggio dei bisognosi. Accadde così sovente che i funzionari regi annotassero nei Libri dei Conti, indicandone con precisione le voci, i versamenti di elemosine a vantaggio degli ammalati di scrofole, molti dei quali erano povera gente. Queste importanti, anche se parziali, testimonianze, fanno fede, tanto del numero altissimo dei tocchi regi, quanto del diffondersi, ben oltre i confini di quei regni, della popolarità dei sovrani taumaturghi.

I libri contabili della corte francese  non offrono alcun dato numerico sugli ammalati presentatisi al cospetto del sovrano e che ebbero ricevuta l'elemosina. Tuttavia, grazie alla meticolosa precisione di Renaud de Roye, un funzionario di corte di Filippo IV il Bello (1285-1314), che annotò le spese di palazzo tra il 18 gennaio e il 28 giugno 1307 e dal 1° luglio al 30 dicembre 1308, indicando nome e luogo di provenienza dell’infermo cui veniva elargita l’elemosina, ci si offre un vivace spaccato della varia umanità che, in quei primi anni del secolo XIV, si accalcava, speranzosa di guarigione, presso le residenze dei Principi medici. Tutte le condizioni sociali sono rappresentate. Così, il 12 maggio 1307, si presentò al Re per essere toccata la nobildonna Jeanne de la Tour (“patiens morbum regium”, affetta dal mal reale) . Anche i religiosi non disdegnavano far ricorso al potere guaritore del sovrano. Il libro mastro, infatti, segnala la presenza a corte di un frate agostiniano, di due francescani e di un cordigliero . Gli afflitti dal morbo regio sono disposti ad affrontare un lungo e pericoloso cammino, pur di potersi accostare alla mano taumaturgica dei Re. Lasciano allora le zone montane del Massiccio Centrale, o le foreste bretoni per accostarsi alla mano guaritrice del monarca. Un uomo chiamato Guilhem, originario della regione pirenaica della Bigorre, si presentò al sovrano francese mentre soggiornava a Nemours. Era il 13 dicembre 1307. Nonostante la stagione inclemente, quel pellegrino si era impegnato in un faticoso viaggio, che gli aveva fatto attraversare quasi tutta la Francia81. Non sono soltanto i francesi, come la francescana, suor Agnese, di Bordeaux (allora feudo soggetto al re d’Inghilterra), o Gilette, castellana di Montreuil, o Margherita di Hans, a voler approfittare del rimedio reale. I libri contabili infatti segnalano infermi provenienti dalla Lorena, allora terra imperiale, dalla Savoia, dalla Svizzera . Tra il 1307 e il 1308 arrivano a corte anche sedici italiani, tra i quali dei milanesi, alcuni emiliani di Parma e Piacenza, un Johannes de Verona , quattro veneziani, un toscano, degli scrofolosi romagnoli, una donna urbinate e un frate agostiniano di Perugia, frater Gregorius de Gando prope Perusium, ordinis Sancti Augustini paciens morbum regium [il frate Gregorio di Gando, nei pressi di Perugia, dell’ordine di Sant’Agostino, ammalato di scrofole] .

Nel celebre testo dell’abate di Nogent, ricordato quale documento più antico ove si menziona, in terra di Francia, la prassi taumaturgica dei Re, abbiamo ancora la più antica testimonianza della modalità cerimoniale del tocco guaritore:

“Ho veduto con i miei occhi - scriveva infatti il prelato - dei malati sofferenti di scrofole nel collo ed in altre parti del corpo, accorrere in gran folla per farsi toccare da lui, al quale tocco aggiungeva un segno di croce”.

Ed ancora:

“Avvicinandosi con la mano serena faceva umilmente su di essi il segno della croce” .

Elemento essenziale quindi del rito di guarigione è il contatto della mano destra nuda del monarca sulla piaga infetta dell’ammalato: “…poi con la mano destra tocca i malati” . Senza questo contatto o ‘tocco’ la guarigione o l’avvio alla guarigione della patologia non è possibile. La mano del Re è una delle parti del suo corpo consacrata e unta dal Sacro Crisma al momento della Consacrazione. Il monarca, infatti, ordinariamente preferisce toccare la prima volta gli scrofolosi dopo la sua solenne consacrazione, perché è soltanto per essa che un principe erede al trono prende di fatto, dopo la morte del titolare, pieno possesso della Corona. Come si è più volte ripetuto, il Principe è alter Christus, vicario di Gesù Cristo nell’esercizio dell’autorità temporale.
Non sorprende allora che i sovrani, anche nell’azione vicaria particolarmente prestigiosa di guaritori, abbiamo imitato assai da vicino nei gesti, la prassi taumaturgica del Divin Maestro, come si legge nei Vangeli:

 “Entrato poi Gesù nella casa di Pietro, né trovò la suocera a letto con la febbre. Le toccò la mano e la febbre la lasciò, cosicché ella si alzò e si pose a servirlo” (S. Matteo, VIII, 14-15);
“Tramontato il sole, tutti quelli che avevano infermi, affetti da varie malattie, li conducevano a lui ed egli, imposte a ciascuno le mani, li risanava” (S. Luca, IV, 40);
“Gli si accostò un lebbroso che, prostratosi innanzi a Lui, gli disse: Signore, se vuoi, puoi mondarmi. Gesù, stesa la mano, lo toccò dicendo: Lo voglio, sii mondato. E sull’istante fu mondato dalla lebbra”.



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Carlo VII di Francia.
La somiglianza col rito regale è evidente. Nel cerimoniale tuttavia, fin dagli inizi, si aggiunse al semplice contatto della mano, un secondo importante gesto simbolico: il segno della croce. Questo doveva essere impartito a mo’ di benedizione, tracciandolo cioè semplicemente nell’aria all’indirizzo dell’infermo poco prima toccato, oppure contemporaneamente al tocco, nel senso che il monarca toccava la piaga facendo il segno della croce. Per questo talvolta i testi medioevali che riportavano il rito di guarigione usavano designare i malati toccati dal Re col termine di ‘segnati’: XVII egrotis signatis per regem [17 ammalati segnati dal Re] , recita una nota inglese del 27 maggio 1378. Il significato del tocco col segno di croce è molto chiaro. Non è il sovrano il primo autore del miracolo, ma svolge solo un’azione vicaria, essendo il semplice canale o strumento della grazia celeste, che opera per il tramite del Principe Consacrato. Questo carattere strumentale e mediato del potere taumaturgico dei Re, è ancora evidenziato nel terzo elemento che accompagna e segue il tocco: le preghiere a Dio. Stefano di Conty, un monaco di Corbie, scrive durante il regno di Carlo VII di Francia (1380-1422) un trattatello sulla monarchia francese, ove ricorda che il Re, prima d’accostarsi ai malati, si soffermava un poco in preghiera .

Goffredo di Beaulieu, narrando di S. Luigi IX di Francia (1226-1270) ricorda come, nell’atto d’eseguire la cerimonia curativa fosse solito pronunziare delle formule devozionali particolari, che lo storico francese, senza menzionarle, definisce: “adatte alla circostanza, e sanzionate dall'uso, d'altro canto perfettamente sante e cattoliche” . Quelle medesime formule, che, stando a Ivo di Saint-Denis, Filippo IV il Bello, il 26 novembre 1314, si sforzava d’insegnare sul letto di morte, al figlio primogenito e suo erede:

“Chiamato a sè segretamente il figlio primogenito, alla presenza cioè del solo confessore, lo istruì sul modo di toccare i malati, dicendogli le sante e devote preghiere che egli era solito pronunciare nel toccare gli infermi. Del pari lo ammonì che doveva esercitare il tocco degli infermi con grande reverenza, santità e purezza e con le mani monde dal peccato” .

 in Francia , a partire dal XVI secolo, le preghiere che venivano pronunciate al momento del tocco, si fissarono in una formula, che rimase in vigore fino alla cessazione del rito. Il sovrano infatti prese a pronunciare al momento del contatto: ll Re ti tocca. Dio ti guarisce .

Questa breve e suggestiva preghiera ricordava tanto al beneficiato, quanto al Principe, che il miracolo non derivava da un magico potere personale del Re, ma dalla potenza di Dio, di cui il sovrano era semplice strumento. La pietà popolare, almeno in Francia, durante i secoli del Medioevo, vide la medesima facoltà terapeutica anche in un elemento del tutto marginale e accessorio del rito del tocco. L’acqua, infatti, con cui il sovrano, secondo un’elementare regola d’igiene, si detergeva la mano che aveva toccato le piaghe purulente degli scrofolosi, venne ben presto considerata come un rimedio altrettanto efficace del tocco stesso. Testimonia Stefano di Conty:

 “Dopo detta santa unzione e coronazione dei Re di Francia, tutti i predetti Re durante la loro vita compirono molti miracoli, sanando completamente da una malattia velenosa, turpe e immonda, che in francese chiamiamo scrofole. Il modo di guarire è il seguente: dopo che il re ha ascoltato la messa, gli portano un vaso pieno d’acqua, poi fa la sua preghiera davanti all’altare, poi con la mano destra tocca gli infermi, e si lava con la detta acqua. I malati in vero che prendono tale acqua e la bevono per nove giorni a digiuno con devozione senza altra medicina sono sanati completamente. Così stanno le cose realmente, sicché numerosissimi ammalati di scrofole furono sanati da molti re di Francia” .


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San Luigi IX di Francia.
Come si è accennato, il Sovrano non intraprendeva mai il rito di guarigione prima d’essere legittimamente e debitamente consacrato. Il giorno stesso della consacrazione e unzione del Re, infatti, o poco dopo, segnava l’inizio, anzi l’obbligo della cerimonia del tocco. Dopo allora, ogni giorno ed ogni occasione erano buoni. Soprattutto in epoca medioevale, quando i sovrani erano soliti percorrere in lungo e in largo i loro territori, accompagnati da un seguito poco numeroso, non era inusuale vedere frotte di ammalati di ogni condizione, ma più spesso poveri, accalcarsi presso le provvisorie sedi ove il monarca soggiornava, pretendendo che tenesse fede al suo dovere guaritore.
 Se ai tempi di Luigi VI , nel secolo XII, come ricorda Gilberto di Nogent, non infrequentemente gli ammalati si accalcavano tumultuosi attorno al sovrano per esserne ‘toccati’, già S. Luigi IX , in quello successivo, sebbene gli scrofolosi potessero accedere al tocco ogni giorno, riservava alla cerimonia medicinale un momento preciso della giornata, cioè al mattino, subito dopo la prima messa. Gli scrofolosi che, per vari accidenti, non fossero riusciti a ricevere il tocco, erano ospitati, con vitto e alloggio, dal sovrano fino al mattino seguente. Tale situazione rimase stabile fino al XV secolo, quando Luigi XI (1461- 1483) decise di ricevere gli infermi un solo giorno della settimana . Inoltre i pazienti erano sottoposti ad una visita medica preventiva che accertasse la presenza della malattia .
S. Marcolfo, abate del monastero di Nant, probabilmente l’attuale cittadina di S. Marcouf, nella diocesi di Coutances, nel nord-ovest francese, visse in epoca merovingia, attorno al 540.
 Il convento divenne il luogo d’irradiazione del suo culto, fin quando non vennè dato alla fiamme e distrutto nel corso di una scorreria normanna. I monaci dovettero abbandonare in tutta fretta l’abbazia trasportando con sé le reliquie, e, dopo varie traversie, grazie all’intervento di Carlo il Semplice (898-922) i religiosi trovarono rifugio a Corbeny, in una tenuta che il sovrano aveva loro donato, non distante da Reims, là dove tradizionalmente i Re di Francia venivano unti e incoronati.

Nel 906 iniziò la costruzione di un monastero, ove custodire le sante ossa di S. Marcolfo. Così il convento divenne il centro di diffusione più importante del suo culto e tale rimase anche per l’avvenire. In un sermone databile tra il XII e il XIII secolo, compare la prima testimonianza scritta che associa il pio abate merovingio alla guarigione miracolosa delle scrofole:

“Questo santo ha ricevuto dal Cielo una tale grazia per la guarigione della malat- tia che vien chiamata male reale, che si vede accorrere a lui una folla d’infermi pro- venienti tanto da paesi lontani e barbari quanto da nazioni vicine”.


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Luigi X di Francia.
Anzi S. Marcolfo divenne presto il patrono degli scrofolosi, tanto da attirare l'attenzione dei sovrani taumaturghi. Così i Re di Francia, a partire dal secolo XIV, forse anche prima, iniziarono a far visita alla tomba del Santo a Corbeny, subito dopo la consacrazione a Reims, per invocarne la potente intercessione, nel momento stesso in cui si accingevano per la prima volta al miracolo reale. Pare che già Luigi X (1314-1316) nel 1315, di ritorno da Reims a Parigi dopo la sua consacrazione, abbia sostato presso l’abbazia per onorare il santo. Certamente con Giovanni II il Buono (1350- 1364) le sporadiche iniziative dei sovrani precedenti si fissarono in una vera tradizione, che durò ininterrotta fino al tempo di Luigi XIV (1643-1715) . Il monarca, infatti, il giorno successivo all’Incoronazione di Reims, si recava in pio pellegrinaggio al monastero di Corbeny. Si formò così un vero e proprio cerimoniale. Il priore del convento, accompagnato dagli altri monaci, s’avviava in processione verso l’eccezionale visitatore, portando la reliquia della testa di S. Marcolfo. Quando i due cortei s’incontravano, l’abate la consegnava al Re, deponendola nelle “sacre mani” del sovrano, perché la portasse, e così toccasse con le mani consacrate i venerandi resti del santo guaritore, di cui, dopo poco, il sovrano avrebbe imitato la prodigiosa efficacia. Il Principe proseguiva fino alla chiesa, e sulla tomba del suo potente intercessore, s’effondeva in preghiera.
Luigi XIV di Francia mentre tocca i malati per guarirli.
 Luigi XIV , nel 1654, innovò quell’antico rituale. Il Principe, una volta incoronato, non si mosse da Reims, a causa della turbolenza situazione nel paese, ma attese che i religiosi di Corbeny vi conducessero processionalmente il reliquiario di S. Marcolfo. Il monarca poteva quindi assolvere al suo debito di riconoscenza verso il santo taumaturgo senza doversi trasferire al convento. L’esempio di Luigi XIV , fu imitato dai suoi successori Luigi XV (1715- 1774) e Luigi XVI (1774-1793), rispettivamente nel 1722 e nel 1775, quando furono incoronati. La pia pratica delle visite alla tomba di San Marcolfo, finché rimase in vigore, rivestì tale importanza che i sovrani si rifiutarono di procedere al miracolo reale, prima d’averla compiuta.
Accadde così che i sovrani toccassero i loro primi malati, proprio nei chiostri dell'abbazia. Appena terminate le devozioni, infatti, il monarca era solito toccare gli infermi.
Così Carlo VIII (1483-1498) nel 1484 vide accorrere sei ammalati al suo padiglione per essere toccati . Quando vi giunse Luigi XI (1461-1483) nel 1498 erano già ventiquattro. Nel secolo successivo, quando fu la volta di Enrico II (1547-1559) vi erano presenti anche alcuni stranieri. Ben presto il numero di coloro che volevano adire al medico coronato salì a centinaia, ed anche migliaia.


Luigi XIII di Borbone
Luigi XIII di Francia.
Nel XVII secolo Luigi XIII (1610-1643) ne trovò novecento in attesa del tocco regio . L’idea, in terra francese che il potere guaritore dei Re fosse legato all’intercessione del santo monaco merovingio, si fece strada. Spesso i risanati si conducevano a Corbeny in pio pellegrinaggio in ringraziamento per l’avvenuta guarigione. Anche quando il miracolo era ottenuto soltanto col tocco regale, i fedeli si sentivano, infatti, in dovere di ringraziare San Marcolfo, compiendo novene in suo onore, o portandovi degli ex voto. Così attesta, per esempio, un certificato di guarigione redatto il 25 marzo 1669 da due medici d’Auray per uno scrofoloso, che si era trovato risanato “al ritorno dall’essere stato toccato da Sua Maestà Cristianissima e da un pellegrinaggio a San Marcolfo”.

Sul finire dell’età di mezzo, su entrambe le rive della Manica, la popolarità del miracolo regio era rimasta immensa. Per la Francia sono ancora i Libri di Conti dell’Elemosina reale, che permettono di valutare la frequenza e quindi la fama del rito di guarigione. Carlo VIII (1483-1498) in un solo giorno, il 28 marzo 1498, toccò sessanta persone126. Se Luigi XII (1498-1515) nel periodo dal 1° ottobre 1507 al 30 settembre 1508, si limitò a toccare 528 scrofolosi, il suo immediato successore Francesco I (1515-1547) ne guarisce 1326 durante il 1528, 988 nel 1529 e 1731 durante l'anno 1530. Carlo IX (1560-1574), suo nipote, pur regnando nel travagliato periodo delle guerre di religione, durante il solo 1569 vide accorrere alla sua reggia 2092 ammalati di scrofole . Tra i malati non francesi, che accedevano in gran numero presso il Re Cristianissimo, figuravano al primo posto gli spagnoli, la cui terra a quel tempo era particolarmente devastata dall’adenite tubercolare. Questi, quando le circostanze lo permettevano, formavano delle vere e proprie carovane di pazienti, guidate da un 'capitano'. A. Duchesse, scrivendo nel 1609, accenna al “grande numero di questi ammalati, che vengono tutti gli anni dalla Spagna per farsi toccare dal nostro pio e religioso Re. Il Capitano che li guidava nel 1602, riportò la testimonianza dei Prelati di Spagna, di un gran numero di guariti con il tocco di Sua Maestà”.
Luigi XII di Francia.
I sovrani Capetingi, inoltre, esercitarono talvolta il tocco taumaturgico fuori dal Regno. Già Carlo VIII (1483-1498), durante la spedizione in Italia del 1494, aveva dato un saggio del suo potere guaritore: a Roma, il 20 gennaio 1495, presso la cappella di Santa Petronilla, mezzo migliaio di affetti da scrofole avevano beneficiato del suo tocco, suscitando l’ammirazione della città eterna. Lo stesso si era verificato a Napoli il 19 aprile 1495129. Luigi XII (1498-1515) eseguì il tocco a Pavia il 19 agosto 1502 ed a Genova il 1° settembre dello stesso anno130. Francesco I (1515-1547) a Bologna, ospite di Papa Leone X, compì la cerimonia taumaturgica il 15 dicembre 1515, dopo averne dato pubblico annuncio, in una cappella del palazzo apostolico. Tra i numerosi infermi, che accorsero a farsi toccare dal medico reale, era presente anche un vescovo polacco. L’evento fu immortalato in un affresco eseguito alla metà del XVII secolo da Carlo Cignoni ed Emilio Taruffi su commissione del Cardinal Girolamo Farnese, lega- to pontificio a Bologna, e che è tuttora visibile nella Sala Farnese del Palazzo Comunale . Su un cartiglio si legge: “Francesco I Re di Francia guarisce a Bologna numero- si ammalati di scrofole” . Ancora Francesco I , sconfitto e prigioniero dell’Imperatore Carlo V dopo la battaglia di Pavia (1525), continuò in terra spagnola, prima a Barcellona, poi a Va- lenza, ove era stato imprigionato nel giugno di quell’anno, ad esercitare la sua prerogativa taumaturgica, e, benché nemico giurato del signore di quel regno, vide accorre- re a sé numerosissimi spagnoli, “un così gran numero di malati di scrofole – riferiva De Selve, Presidente del Parlamento di Parigi – con grande speranza di guarigione quale, in Francia, non vi fu mai in sì grande calca” . Situazione immortalata da un celebre distico del poeta Lascaris:

“Dunque, il re accostando la sua mano guarisce le scrofole – benché prigioniero, egli è, come per il passato, gradito ai celesti” .


Francesco I di Francia
Francesco I di Francia.
In questi primi decenni del ‘500, s’assiste al passaggio dall’amministrazione del tocco a cadenze irregolari all’introduzione, sotto Francesco I , di giorni determinati in cui il sovrano s’esercita nella sua prerogativa medicinale, secondo un cerimoniale più fastoso e regolare. Può tuttavia ancora accadere, come per l’addietro (ma si tratta ormai di casi isolati) che il sovrano usi del miracoloso potere occasionalmente. Così Francesco I nel gennaio 1530, mentre attraversa la Champagne, permette che ad ogni tappa del viaggio gli scrofolosi si presentino al suo cospetto . Un’altra volta, commosso dal pianto di un infermo che lo importuna, il sovrano lo tocca sul posto (aprile 1529).

Il Re, però, decise di dare sistematicità alla cerimonia. Così il Servizio dell’Elemosina raggruppava i malati fino al giorno stabilito per il rito, mantenendoli a spese del Sovrano. Trattandosi, tuttavia, spesso, di una corte itinerante, quel singolare corteo d’ammalati s’accodava al monarca, in attesa del giorno favorevole. Infine prevalse la modalità di far comparire gli scrofolosi in giorni prefissati138. Le date che divennero ben presto canoniche per il rito guaritore coincidevano con le principali feste liturgiche: le Candelora, le Palme, Pasqua, o un giorno della Settimana Santa, Pentecoste, Ascensione, il Corpus Domini, l’Assunzione, la Natività della Vergine ed il S. Natale. Spesso il sovrano toccava i malati già dalla vigilia della festa . In via eccezionale Francesco I guarì gli scrofolosi l’8 luglio 1530, in occasione del suo matrimonio con Eleonora d’Austria . La concentrazione del tocco in alcune date comportò, da un lato, che vere e proprie folle, anche di parecchie centinaia d’infermi, si presentassero alla Corte, e, dall’altro, favorì lo sviluppo del rituale, che ora riveste un carattere imponente. Il sovrano francese assolve in primo luogo devotamente i più importanti doveri religiosi: si confessa e, in conformità ad un antico privilegio, si comunica, alla maniera dei sacerdoti, sotto entrambe le Specie. Il principe, poi, accompagnato dall'Elemosiniere di Corte, procede verso il luogo prescelto per il miracolo reale, dove i chirurghi regi hanno fatto accedere solo quei malati che presentano con certezza i sintomi del- l’adenite. Così attesta, nel suo Diario di viaggio, il nobile veneziano Girolamo Lippo- mano, che scrive nel 1577:

“Prima che il Re tocchi, alcuni medici e cerusichi vanno guardando  minutamente le qualità del male, e se trovano alcuna persona che sia infetta d’altro male che dalle scrofole, la scacciano” . I malati attendono pazientemente in ginocchio l’arrivo del Re-medico, il quale, prima di procedere al tocco, compie una breve liturgia dedicata a San Marcolfo . Poi, accompagnato dall’Elemosiniere e da alcuni nobili del seguito, procede al tocco, fino all’esaurirsi del numero dei sofferenti. “Essendo gl’infermi accomodati per fila … il re li va toccando d’uno in uno, riferisce sempre Lippomano nella sua relazione . Anche il luogo ove compiere la cerimonia era prescelto, in modo da sottolineare la solennità dell’evento. Lippomano parla di “cortili regali, o qualche gran chiesa”.

Così, potevano essere le volte gotiche di Nôtre-Dame di Parigi ad accogliere i pazienti, come avvenne l’8 settembre 1528, festa della Natività di Maria SS., quando Francesco I toccò 205 scrofolosi ; oppure, il 15 agosto 1527, festa dell’Assunzione, quando nell chiostro del Palazzo vescovile di Amiens, il Cardinal Wolsey potè ammi- rare il medesimo sovrano segnare un numero quasi uguale di pazienti . Il rito rimase immutato rispetto a quello praticato in precedenza. Il sovrano toccava con la mano nuda le piaghe, facendo poi il segno di croce. Si venne però fis- sando in quel tempo la formula che rimase in uso fino a Luigi XIV (1643-1715), e che il Re pronunciava su ciascun ammalato: Il Re ti tocca, e Dio ti guarisce147. Nemmeno nella Francia sconvolta dalle guerre di religione, nella seconda metà del secolo XVI, gli scrofolosi rinunciarono al rimedio regale, né i monarchi francesi, seppure, forse, con minor sollecitudine, data la pericolosità dei tempi, si sottrassero al loro dovere.
Enrico III di Francia.
Enrico III (1574-1589) ultimo sovrano del ramo Valois-Angouleme, pur nell’infuriare della guerra civile tra la Lega cattolica dei Duchi di Guisa e i protestan- ti calvinisti, guidati da suo cugino Enrico di Borbone, trovò modo di toccare gli scrofolosi in varie circostanze: a Poitiers il 15 agosto 1577, festa dell’Assunzione, a Chartres almeno nel 1581, 1582 e nel 1586 . Con la conversione al cattolicesimo e l’ascesa al trono, del calvinista Enrico IV di Borbone (1594-1610), appartenente ad un ramo collaterale della dinastia capetingia, continuò la tradizione del tocco regio. La domenica di Pasqua del 10 aprile 1594, poco più di un mese dopo la sua consacrazione (27 febbraio 1594) che avvenne a Chartres, anziché a Reims, e senza l’impiego del crisma della Santa Ampolla, toccò i malati per la prima volta a Parigi. Se ne presentarono circa 900, e così fino alla morte (1610) non rifiutò mai il rito, non solo nei giorni più solenni fissati dalla tradizione, ma anche in molte altre occasioni meno importanti. Come per i suoi predecessori, gli infermi erano migliaia: nella Pasqua del 1608, per esempio, Enrico IV toccò 1250 scrofolosi. In altra occasione salirono addirittura a 1500! Il grand siécle non fu avaro d’altrettanto strepitoso favore che i precedenti seco- li  alla fama guaritrice dei principi francesi. Anzi, nell’epoca della Controriforma, il tocco reale riconfermò il proprio prestigio. Le cifre sono più eloquenti delle parole: Luigi XIII (1610-1643) tocca nel 1611 2210 scrofolosi, 3125 nel 1620. Nella Pasqua del 1613 sono ben 1070 gli ammala- ti che si presentano al Louvre per il miracolo regio150. Il sovrano compie regolarmente la funzione nelle grandi solennità, Pasqua, Pentecoste, Natale, o Capo d’Anno, talvolta, come per il passato, alla Candelora, la Trinità, l’Assunta, Ognissanti . La cerimonia si svolge in luoghi diversi. A Parigi, di solito, nella grande galleria del Louvre, o in una sala bassa della reggia. Poiché la folla degli infermi è numerosa, il rito è faticoso per il Re fanciullo, sa- lito al trono ancora adolescente, soprattutto a causa del gran caldo: “Egli si sentiva un po’ affaticato, ma non voleva farlo apparire… Egli si sente debole”, riporta Héroard, medico personale del monarca . Ma il sovrano, a meno che non sia serimente indisposto, non si sottrare mai alla cerimonia. Anche quando la peste sconsiglia gli assembramenti per non diffondere il contagio, gli scrofolosi si presentano ugualmente a centinaia per accedere al medico rega- le: “Essi mi perseguitano molto – si lamenta il Re con un certo sarcasmo – Dicono che i Re non possono morire di peste…Pensano che io sia un Re di Carte” . Con Luigi XIV (1643-1715), suo figlio, nulla cambia nella sostanza, a parte l’atto di venerazione alle reliquie di San Marcolfo che - come si disse più sopra - ora erano condotte presso il Re a Reims, prima dell’inizio del tocco, senza che il principe si recasse fino al monastero che le custodiva. Il sovrano, ricorda Saint-Simon, “si comunicava sempre col collare dell’Ordine, facciole e mantello, cinque volte l’anno, il Sabato Santo nella Parrocchia, gli altri giorni nella Cappella: la vigilia di Pentecoste, il giorno dell’Assunzione, seguita da una gran messa, la vigilia di Ognissanti e la vigilia di Natale… e ogni volta toccava gli ammalati” . Se il rito si svolge nella capitale è cura del Gran Prevosto far affiggere dei mani- festi che annunziano l’evento. Uno di essi recita così:

Da parte del Re e del Signor Marchese di Souches, Prevostodell’Ostello della Maestà e Gran Prevosto di Francia. Si fa sapere ad ognuno che legge, che Domenica prossima giorno di Pasqua, Sua Maestà toccherà i Malati di Scrofole, nella Galleria del Louvre, alle ore dieci del mattino, in modo che nessuno possa scusarsi per non esserne a conoscenza, e che coloro che sono afflitti da detto male, se così gli aggrada, abbiano a trovarsi lì. Redatto a Parigi, alla presenza del Re, il 26 marzo 1657. Firmato, De Souches.

Il Re Sole nel Sabato Santo del 1666 tocca 800 scrofolosi156. Ammalato di gotta la Pasqua 1698, e quindi impossibilitato a compiere il rito, vede presentarsi a corte la Pentecoste successiva circa tremila infermi. Nella solennità della SS. Trinità, il 22 maggio 1710, vide presentarsi a Versailles si accalcano 2400 scrofolosi. Il sabato 8 giugno 1715, invece, vigilia di Pentecoste, tre mesi prima di morire († 1° settembre 1715), il sovrano toccò per l’ultima volta i malati. Gli scrofolosi, nonostante “il grandissimo calore” , s’ammassarono in circa millesettecento.

Come per il passato, i pazienti che accorrono a farsi benedire dal Re appartengono a svariate nazioni europee. Vediamo così “tanto Spagnoli, Portoghesi, Italiani, Tedeschi, Svizzeri, Fiamminghi, che Francesi”, i quali, durante il regno di Luigi XIII , a Saint-Germain-en-Laye, la Pentecoste del 1618, si schierano “lungo tutto il gran viale e sotto il fogliame del parco” in attesa del principe medico. Gli ecclesiastici non disdegnano la cerimonia. Tre gesuiti portoghesi sono tra i malati il 15 agosto 1620, festa dell’Assunta . Gli spagnoli, comunque, sono gli stranieri più numerosi. Per questo il cerimoniale prevedeva che fossero i primi ad essere beneficiari del tocco regale.

Tutti i sovrani legittimi di Francia, infatti, per quasi mille anni e sino alle soglie dell’età contemporanea, furono unti Re con il Crisma celeste della Santa Ampolla conservata a Reims. La Santa Ampolla era uno dei ‘dogmi’ più rilevanti, per così dire, della religio monarchica della Civiltà cristiana, fondata sulla stretta alleanza tra il Trono e l’Altare e sulla consapevolezza  che l’autorità deriva da Dio, come dice il noto aforisma paolino: Omnis potestas a Deo [ogni potere viene da Dio]. Scardinare e denigrare questa tradizione storica, abbassandola a mera fantasticheria leggendaria, significava, così, non soltanto colpire il meraviglioso e il soprannaturale di cui era intessuta la storia della Francia Cattolica, ma sferrare un attacco diretto contro la Monarchia, massima istituzione di quella nazione. A questo si dedicarono, ora con paziente tenacia, ora con violenta determinazione, i rivoluzionari e settari del XVIII secolo.

Tuttavia, ancora nel ‘700, la tradizione della Santa Ampolla conservava agli occhi dei contemporanei dell'empio Voltaire tutto il suo misterioso splendore. Così alle soglie della tremenda Rivoluzione, il 7 luglio 1775, Luigi XVI di Francia si dispose a ricevere, come i suoi padri, dalle mani del successore di San Remigio, novello Clodoveo anche nel nome, la consacrazione col crisma portato dal Cielo. Poi la catastrofe dell’89, l’imprigionamento della famiglia reale, il martirio del sovrano sul palco della ghigliottina. E la Santa Ampolla di Reims? Anch’essa subì l’oltraggio dei giacobini. Per ordine della Convenzione Nazionale, infatti, Philippe Rühl, deputato del Basso Reno, il 3 ottobre di quel tragico 1793, mentre infuriava il Terrore, infranse sullo zoccolo della statua di Luigi XV nella Piazza Reale la preziosa reliquia conservata in una teca a forma di colomba.

Ma alla vigilia del giorno in cui fu ordinata la sua distruzione, Seraine ed Hourelle, come lo fa conoscere un processo verbale autentico, estrassero coll’aiuto di un ago d’oro, il più che poterono del balsamo miracoloso, lo chiusero in una carta e lo conservarono.
Così , proprio il giorno prima di quella singolare e blasfema ‘esecuzione’, però, vi fu chi riuscì ad estrarre provvidenzialmente con un ago d’oro alcune gocce del prezioso liquido . Queste vennero in parte utilizzate, per l’ultima volta, nel 1825 in occasione della consacrazione di Carlo X (1824-1836), ultimo monarca legittimo di Francia.

Luigi XV di Francia.
Nel corso del secolo dei pestilenziali ‘lumi’ la cerimonia del tocco regio non perse nulla della propria notorietà. Luigi XV (1715-1774) il 29 ottobre 1722, giorno della sua consacrazione, trovò una folla di duemila scrofolosi ad attenderlo nel parco di Saint-Rémi a Reims . Almeno in tre occasioni il sovrano, a causa della sua cattiva condotta, si vide rifiutare dal confessore l’accesso alla Comunione (Pasqua 1739, Pasqua 1740 e Natale 1744) di modo che non esercitò il tocco. Luigi inoltre modificò leggermente, probabilmente senza alcuna intenzione recondita, la formula tradizionale che accompagnava il venerando rito. Anziché, come per il passato, dire: Il Re ti tocca, e Dio ti guarisce (con il modo indicativo) egli pronunciò: Il Re ti tocca, Dio ti guarisca (al condizionale), espressione che rimase in uso anche presso i successori. Dinanzi al progredire dell’incredulità insufflata dall’empio Enciclopedismo scettico ed anti-cristiano dei seguaci di Voltaire, i fedeli monarchici inviavano spesso a Corte i certificati di guarigione. Così, poco dopo l’incoronazione di Luigi XV (ottobre 1722) il Marchese d’Argenson, amico di Voltaire e intendente reale nell’Hainaut, venne a conoscenza di una guarigione miracolosa:

“Alla consacrazione del Re a Reims - scrive nelle sue Mémories – un uomo d’Avesnes, che aveva scrofole terribili, andò a farsi toccare dal Re. Egli guarì perfettamente, intesi dir questo. Io feci fare un processo e presi informazione del suo stato precedente e susseguente, il tutto ben autenticato. Fatto ciò, inviai le prove di questo miracolo a De La Vrilliére, segretario di Stato della provincia”.

Luigi XVI di Francia.
Luigi XVI (1775-1793), incoronato il 7 luglio 1775, non fu da meno. Dovette toccare 2400 ammalati! Anche per lui abbiamo dei certificati di guarigione che attestano la permanenza del miracolo reale. Un tal Rémy Rivière, parrocchiano di Matougues, fu toccato dal sovrano a Reims in quell’occasione. Riacquistò la salute. L’intendente della provincia, Roullé d’Orfeuil, il 17 novembre 1775 fece stendere un certificato sottoscritto dal risanato, dal medico locale e dal parroco. Tra il novembre e il dicembre del medesimo anno vennero stilati altri quattro certificati di guarigione riguardanti quattro ragazzi guariti dopo la cerimonia reale. Il monarca continuò certamente, come i suoi avi, a toccare i malati nelle grandi solennità. Poi venne il terribile 1789 e la prigionia. Infine, nel gennaio 1793, la ghigliottina pose fine alla sua pia vita. Il tocco però non morì con lui, ma sopravvisse all’uragano rivoluzionario, e rifece capolino nel nuovo secolo. Nel 1825, a differenza del volteriano fratello Luigi XVIII (1814-1824), che non volle essere consacrato a Reims, Carlo X (1824-1836) fedele ai propri doveri , decise di rinnovare l’antica liturgia. Così venne unto e incoronato more antiquo con il Crisma della Santa Ampolla.
Come un tempo, gli scrofolosi si presentarono al sovrano per essere toccati, però egli rifiutò, limitandosi a far loro una generosa elemosina:

Molte persone erano d’avviso di sopprimere questa cerimonia per togliere un pretesto alle triste derisioni dell’incredulità, e si diede ordine di rimandare gli scrofolosi. Essi si lamentarono, il Re inviò una somma di denaro da distribuir loro. Essi dissero che non era affatto ciò che volevano. L’abate Desgenettes, allora Parroco della parrocchia delle Missioni Estere, più tardi Parroco di Nôtre-Dame de la Victoire, che era alloggiato a Saint- Marcoul, vedendo la loro desolazione, si recò a perorare la loro causa, e il Re annunziò la sua visita per il 31 maggio all’ospizio. I malati furono visitati dal sig. Noël, medico dell’ospizio, e dal sig. Dupuytren, primo chirurgo del Re, a fine di non presentare che i malati veramente colpiti da scrofole. Rimasero cento trenta. Essi furono presentati successivamente al Re dai dottori Alibert e Thévent de Saint-Blaise. Il Re li toccò pronunciando la formula tradizionale. Il primo guarito fu un fanciullo di cinque anni e mezzo, Giovanni Battista Comus; egli aveva quattro piaghe; la seconda fu una giovine sedicenne, Marie- Clarisse Fancherm; essa aveva una piaga scrofolosa alla guancia fin dall’età di cinque anni. La terza, Susanna Grévisseaux, di undici anni. Essa presentava delle piaghe e dei tumori scrofolosi. La quarta, Maria Elisabetta Colin, di nove anni, aveva molte piaghe. La quinta, Maria Anna Mathieu, d’anni cinque aveva un tumore scrofoloso e una piaga nel collo. Si stese processo verbale di queste guarigioni e si aspettò cinque mesi prima di chiuderlo e di pubblicarlo, per assicurarsi che il tempo le confermasse.

Carlo X di Francia.
Nonostante il felice esito della mano sovrana, lo spirito incredulo del tempo prevalse. Carlo X non rinnovò più il rito venerando. Pochi anni dopo, nel luglio 1830, la pestilenza rivoluzionaria rinascente lo travolgeva. Cessava così con l’antica cerimonia delle scrofole, anche la monarchia legittima di Francia.

Dopo d’allora e fino ai nostri giorni, quando ormai i princìpi sovvertitori dell’89 si sono radicati nelle istituzioni e nella società civile, fu principalmente nell’ambito storico-critico ed accademico che continuò una sorda guerra contro la tradizione della Santa Ampolla, di cui I Re taumaturghi di Marc Bloch, è uno degli esempi più negativi. Un’obiezione apparentemente insormontabile era sollevata da storici ed eruditi. Tra i fatti miracolosi di Reims della fine del secolo V e la prima testimonianza scritta di essi, nel IX, intercorre un lasso di tempo di più di tre secoli e mezzo , senza che nessun documento anteriore ne faccia menzione. Colui che per primo li attesta, Incmaro, Arcivescovo di Reims dal 845, nella sua Vita Remigii, appare come il testimone più interessato, meno attendibile e degno di fiducia. Non era infatti ovvio che il successore di San Remigio creasse a bella posta, in quei secoli di facile credulità, una meravigliosa fiaba per esaltare il Santo Patrono di Reims e la sua cattedra? Il silenzio dei documenti per più di tre secoli sembrava la prova più convincente. Nel 1945, tuttavia, un erudito benedettino di Lovanio, Dom C. Lambot, scoprì, su di un manoscritto del XIII secolo, tracce di un’antica liturgia dedicata a San Remigio. Le antifone e i responsorii citano espressamente il Crisma celeste e l’apparizione dello Spirito Santo sotto forma di colomba! L’anno successivo un altro religioso belga, il canonico F. Baix, tentò una datazione della nuova scoperta, e la fissò ad almeno il secolo VIII, retrodatando di un secolo la tradizione remense della Santa Ampolla, e scagionando così il povero Incmaro. Tali scoperte, anziché suscitare un nuovo fervore di studi per calibrare meglio la datazione dell’antica liturgia, passarono del tutto sotto silenzio e furono lasciate ammuffire negli archivi. Si tratta di alcuni versetti della liturgia, poi caduta in disuso, che festeggiava il trapasso del Santo il 13 gennaio, giorno della sua morte, sostituita poi da quella del 1° ottobre tuttora in vigore. In quella più antica formulazione erano raccolti i ricordi dell’evento centrale della feconda attività apostolica del santo francese: la conversione di Clodoveo.
Così l’Antifona recitava:

“Il Beato Remigio santificò l’illustre popolo dei Franchi e il suo nobile re, con l’acqua consacrata dal crisma portato dal Cielo. Egli li arricchì grandemente col dono dello Spirito Santo”.

Il versetto a sua volta recita:

“Il quale [Spirito Santo] grazie al dono di una particolare grazia, apparve sotto forma di colomba e portò al Pontefice dal Cielo il crisma divino”


San Remigio battezza Clodoveo I
San Remigio Battezza Clodoveo I.
L’olio sacro, tuttavia, che S. Remigio aveva ottenuto colle sue preci dal Cielo al momento di battezzare il sovrano Franco, non servì al prelato per amministrare a Clodoveo l’unzione reale. Il celeste unguento infatti fu impiegato per conferire il sacramento del battesimo al Re franco e alla sua corte. La miracolosa ampolla fu quindi gelosamente conservata tra le reliquie più preziose dell’abbazia di Reims. Con il diffondersi in Occidente della consuetudine di ungere e consacrare i Principi Cristiani, sul modello veterotestamentario, questa venne introdotta anche nel Regno di Francia. Il primo Re franco unto con l’olio santo fu Pipino il Breve nel 751, che volle così legittimare la deposizione dell’ultimo Re della dinastia merovingia, deposto e confinato in un convento. Più di un secolo dopo, l’Arcivescovo Incmaro di Reims in- novò l’uso liturgico di benedire con l’olio santo i sovrani carolingi, aggiungendo al crisma che serviva per l’unzione, una goccia del balsamo miracoloso, conservato nella Santa Ampolla di Reims. Quando la goccia del balsamo celeste cadeva nell’olio consacrato, tutt’intorno, raccontano unanimi le cronache, si spargeva un intenso profumo di paradiso. Così i Re di Francia, come gli altri sovrani d’Europa, erano unti sul capo con il sacro crisma, alla stessa stregua dei vescovi, detentori della pienezza del sacerdozio. La grande prerogativa della monarchia franca consisteva nell’origine sopranna- turale del sacro crisma impiegato nel rito della consacrazione del sovrano. La gerarchia ecclesiastica in seguito alla controversia delle investiture del seco- lo XI-XII cercò di sottolineare anche nella liturgia la diversità e subordinazione tra l’ordine sacerdotale e la condizione di sovrano. Così l’impiego del sacro crisma, come il più prezioso e sacro degli oli liturgici, venne riservato alla sola consacrazione episcopale, mentre nelle cerimonie di unzione dei Re si volle introdurre l’uso del semplice olio dei catecumeni; ed anziché sul capo, come per i vescovi, l’unzione, con il meno prezioso olio dei catecumeni, era applicata sul braccio destro, sul gomito e tra le scapole. La nuova prassi, tuttavia, non fu universalmente accolta e il Papato dovette tollerare alcune notevoli eccezioni, che si fondavano su antiche consuetudini liturgiche. Nei Regni più antichi e prestigiosi l’antica prassi rimase ininterrotta fino all’epoca contemporanea. I Sovrani di Francia, quelli d’Inghilterra, e il Re di Germania, eletto al soglio imperiale, continuarono per lunghi secoli ad essere unti con il sacro crisma sul capo, come i designati all’episcopato. L’importanza di cui era investito il rito consacratorio dell’unzione non riguardava solo l’essenziale aspetto della legittimità del monarca nella esecuzione delle sue ordinarie funzioni, ma, almeno nel caso dei sovrani guaritori di Francia e d’Inghilterra, era strettamente connessa alla facoltà medicinale sulle scrofole. Questo spiega perché i sovrani preferissero ‘toccare’ i malati soltanto dopo la consacrazione, vale a dire, quando, col solenne e pubblico rito dell’Incoronazione, la loro legittima ascesa al trono era sanzionata, si può benissimo dire, anche dal Cielo.

Continua...

Fonti:
 

 M. Bloch, I Re Taumaturghi. Studi sul carattere sovrannaturale attribuito alla potenza dei re particolarmente in Francia e in Inghilterra, traduzio- ne di S. Lega, Einaudi, Torino, 1989.

 Gregorio di Tours, Storia dei Franchi, a cura di M. Oldoni, Fondazione Lorenzo Valla, Milano, 1981.

 Iacopo da Varagine, Leggenda Aurea, traduzione di Cecilia Lisi, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, vol. I.

E. Delassus, Il problema dell’ora presente. Antagonismo tra due civiltà, vol. II, Piacenza, Cristianità, 1977.

 Cfr. R. De Mattei, Introduzione, a J. De Maistre, Saggi sul principio generatore delle costituzioni politiche e delle altre umane istituzioni, traduzione dal francese di Roberto De Mattei e Agostino Sanfratello, Milano, Società Editrice Il Falco, 1982.

Citato in Fr. Augustin du Saint-Sauver, Il Santo Crisma di Reims, in “Civitas Christiana”, a. I, nn. 3-4, giugno/settembre 1996, p. 42. Cfr. an- che N.C., Monarchia di Francia. Origine miracolosa? in “Civitas Christiana”, a. I, nn. ¾, giugno/settembre 1996.

 S. Tommaso d’Aquino, De Regimine Principum, (l. II, c. XVI),  traduzione di R. Tamburini, introduzione e note di P. Tito S. Centi, OP, Sie- na, Cantagalli, 1981.



Scritto da:
 
Presidente e fondatore A.L.T.A. Amedeo Bellizzi.