martedì 4 marzo 2014

Il declino dell’antica Roma, un precedente storico a quello contemporaneo


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Proponiamo la traduzione integrale in italiano del paper Are We Rome? scritto da Lawrence W. Reed, saggista, opinionista e storico dell’economia, presidente della Foundation for Economic Education. (Traduzione di Luca Fusari)
Monumentali somme per i salvataggi, aumenti sconcertanti del debito pubblico, concentrazione di potere nel governo centrale, un pazzo rimescolare di gruppi di interesse con richieste infinite sulla tesoreria, regolamenti sulle imprese che crescono come funghi, demagogici ricorsi alla demagogica guerra, tasse più alte sui produttivi, declino delle virtù una volta ampiamente ritenute essenziali per un forte carattere. Queste cose suonano familiari nel XXI° secolo in America ma erano altrettanto vere due millenni fa sotto l’egemonico welfare romano.
Sia Roma che l’America sono nate da una rivolta contro la monarchia, gli americani contro gli inglesi, i romani contro gli etruschi. Diffidando delle autorità concentrate, entrambe stabilirono repubbliche con pesi e contrappesi, la separazione dei poteri e la tutela di alcuni diritti di almeno alcune persone, se non tutte. Nonostante le carenze, la Costituzione della Repubblica romana del VI° secolo a.C. e la Repubblica americana del XVIII° secolo d.C. rappresentavano i più grandi progressi della libertà dei singoli nella storia del mondo.
La storia dell’antica Roma si estende su mille anni, cinquecento come una repubblica e circa cinquecento come una autocrazia imperiale, al momento della nascita di Cristo si verificò in quegli anni la transizione tra i due sistemi. Come dimostrato dallo storico Thomas Madden nel suo libro del 2008, Empires of Trust, uno stretto parallelismo tra la civiltà romana e quella americana può essere trovato nel primo mezzo millennio di repubblica di Roma.
Ai nostri giorni possiamo ricavare le lezioni più istruttive dagli avvertimenti di quel periodo. La tirannia dell’Impero arrivò dopo il crollo della Repubblica (le veramente terribili conseguenze della decadenza, che l’America può ancora evitare). La lezione fondamentale da trarre dall’esperienza romana non è in realtà peculiare a Roma. Essa può essere considerata la lezione più universale di tutta la storia: nessun popolo che abbia perso il suo carattere ha mantenuto la sua libertà.
La società romana al tempo della fondazione della Repubblica era fondamentalmente agricola, costituita da piccoli contadini e da pastori. Dal II° secolo a.C., le imprese di grandi dimensioni hanno fatto la loro comparsa. L’Italia si urbanizzò, l’immigrazione fu accelerata da persone provenienti da molte terre attratte dalla vivace crescita e dalle opportunità offerte dalla vivace economia romana. La crescente prosperità fu resa possibile da un clima generale di libera impresa, limitato governo, e dal rispetto per la proprietà privata. Commercianti e uomini d’affari erano ammirati ed emulati.
http://www.spartacusquirinus.it/imago/schiavi.jpgNessuno dovrebbe affermare che i Romani prediligessero una società libertaria; portarono la libertà a nuove altezze in molti modi, limitando il potere dello Stato ma le carenze erano comunque abbondanti. Per essere molto più chiari: le libertà che raggiunsero furono sostenute e rese possibili per secoli dai tratti del carattere dipendenti sempre dalla libertà: coraggio, duro lavoro, l’indipendenza personale, e fiducia in se stessi.
Notevoli successi di Roma furono i leggendari servizi igienico-sanitari, l’istruzione, le banche, l’architettura e il commercio. La città aveva anche un mercato azionario con tasse e tariffe basse, il libero scambio e una notevole proprietà privata; Roma divenne il centro della ricchezza del mondo. Tutto questo è però scomparso dal V° secolo d.C., quando se andò il mondo fu immerso nelle tenebre e nella disperazione, nella schiavitù e nella povertà.
Perché Roma è declinata e poi caduta? Roma è crollata a causa di un cambiamento fondamentale nelle idee da parte del popolo romano, idee che si riferiscono principalmente alla responsabilità e alla fonte del reddito personale. Nei primi giorni di grandezza, i Romani consideravano sé stessi la loro principale fonte di reddito; con questo intendo dire che ogni individuo badava a sé stesso e a quello che poteva acquisire volontariamente sul mercato come fonte di suo sostentamento.
Il declino di Roma iniziò quando la gente scoprì un’altra fonte di reddito: il processo politico dello Stato. In breve, si trattava di una questione di carattere. Roma ascese alla grandezza sulla base di un forte carattere personale. E’ naufragata quando il suo popolo sacrificò il suo carattere per cose meno nobili, come il potere e la falsa “sicurezza” temporanea di una dispensa.
Quando i Romani abbandonarono il senso di responsabilità e la fiducia in sé stessi, e cominciarono a votare benefici per sé medesimi usando il governo per rubare a Pietro al fine di pagare Paolo, mettendo le mani nelle tasche altrui, invidiando e desiderando la produttività e la ricchezza altrui, si rivolsero verso il basso in un fatale percorso distruttivo. Come il compianto dottor Howard E. Kershner disse, «quando l’autogoverno delle persone conferisce al loro governo il potere di prendere e dare un po’ agli altri, il processo non si fermerà fino a quando l’ultimo osso dell’ultimo contribuente non sarà messo a nudo».
Il saccheggio legalizzato da parte del Welfare State romano fu senza dubbio sancito da persone che volevano fare del bene, ma come scrisse Henry David Thoreau: «se fossi certo che un uomo sta venendo a casa mia per farmi del bene, me la darei a gambe levate». Un’altra persona ha coniato la frase, «la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni».
Nient’altro che male può venire da una società piegata sulla coercizione, sulla confisca dei beni e sulla degradazione della produttività. Negli anni del declino della Repubblica romana, un lestofante di nome Publio Clodio Pulcro corse per la carica di tribuno. Corruppe l’elettorato e vinse con promesse di grano gratuito a spese del contribuente. Successivamente, i Romani in numero crescente abbracciarono l’idea che votare per guadagnarsi da vivere potesse essere più redditizio che lavorare.
I candidati per gli uffici romani spesero ingenti somme per vincere il favore del pubblico, saccheggiando poi la popolazione al fine di saldare le loro promesse nei confronti di chi li aveva eletti. Quando la Repubblica lasciò il posto alla dittatura, una successione di imperatori costruirono il loro potere sulle enormi dispense che controllavano. Quasi un terzo della città di Roma ricevette pagamenti e sussidi pubblici a partire dalla nascita di Cristo.
Lo storico H. J. Haskell descrive questo tragico cambiamento di idee negli eventi: «meno di un secolo dopo che la Repubblica era sbiadita nell’autocrazia dell’Impero, il popolo aveva perso ogni gusto per le istituzioni democratiche. Alla morte di un imperatore, il Senato dibatteva la questione del ripristino della Repubblica ma preferì la regola di un despota stravagante che avrebbe continuato il dolo e fornito a loro degli spettacoli gratuiti. La folla fuori reclamava un “regolatore” del mondo». 
E’ spaventoso considerare con quanta facilità un così robusto popolo abbia abbassato la guardia e il suo carattere, venendo acquistati e pagati dal Welfare State. Una volta che ci si vende per un piatto di lenticchie ai politici, non è facile tornare indietro. Parlando dell’imperatore Augusto che regnò dal 27 a.C. al 14 d.C. il quale cercò di ridurre il programma di frumento gratuito introdotto come strumento di prova, Haskell cita il biografo dell’imperatore suo contemporaneo: «tentò di abolire per sempre la pubblica distribuzione di grano alle persone che erano giunte a fare affidamento su di esso e che avevano cessato di coltivare i campi, ma non aveva proceduto ulteriormente nel tentativo perché era sicuro che per desiderio di piacere al popolo sarebbe stato ripreso in un secondo momento».
In risposta ad una grave crisi monetaria e del credito, nel 33 d.C. il governo centrale estese il credito a tasso zero su scala massiccia. La spesa pubblica in seguito alla crisi salì. Nel 91 d.C., il governo fu assai coinvolto in agricoltura; Domiziano, al fine di ridurre la produzione ed aumentare il prezzo del vino, ordinò la distruzione della metà dei vigneti delle province.
http://www.history.com/news/wp-content/uploads/2012/10/hl-roman-welfare.jpgSeguendo l’esempio di Roma, molte città all’interno dell’impero spesero e si indebitarono. A partire dall’imperatore Adriano, all’inizio del II° secolo, le municipalità in difficoltà finanziarie ricevettero aiuti da Roma e persero sostanzialmente la loro indipendenza politica in giunta. Il governo centrale assunse anche la responsabilità di fornire al popolo intrattenimenti. Circhi elaborati e duelli di gladiatori furono organizzati per mantenere le persone felici. Uno storico moderno ritiene che Roma abbia speso annualmente l’equivalente di 100 milioni di dollari in giochi.
Sotto l’imperatore Antonino Pio, che governò tra il 138 e il 161 d.C., la burocrazia romana raggiunse proporzioni gigantesche. Alla fine, secondo lo storico Albert Trever, «il sistema implacabile di tassazione, requisizione, e lavoro obbligatorio fu amministrato da un esercito di burocrati militari. (…) Ovunque vi erano onnipresenti agenti personali dell’imperatore» impiegati a schiacciare gli evasori fiscali.
C’erano un sacco di tasse da eludere. Lo storico romano Gaio Svetonio in De Vitae Caesarum racconta che Nerone una volta strofinò le mani e dichiarò: «cerchiamo di tassare e di tassare nuovamente! Vediamo un modo affinché nessuno possieda nulla!». La fiscalità infine distrusse la ricchezza della prima, della media e delle classi inferiori. Secondo lo storico W. G. Hardy, «quello che i soldati o i barbari risparmiarono, lo presero gli imperatori in tasse».
Verso la fine del III° secolo, l’imperatore Aureliano dichiarò che i pagamenti di rilievo verso il governo erano un dovere ereditario. Fornì ai destinatari del pane del governo già cotto (al posto della vecchia pratica di dare loro del grano lasciandoli cuocere da sé il proprio pane) e vi aggiunse (senza sale) carne di maiale e olio d’oliva.
Roma ha sofferto la rovina di tutti i sistemi di welfare statali: l’inflazione. Le massicce richieste di spesa e sovvenzioni del governo crearono pressioni per la moltiplicazione del denaro. La monetazione romana fu svilita con un imperatore dopo l’altro per pagare costosi programmi. Il denario, una volta d’argento quasi puro, entro l’anno 300 era poco più di un pezzo di spazzatura contenente meno del 5% d’argento.
I prezzi salirono alle stelle e il risparmio svanì. Gli uomini d’affari furono diffamati, benché il governo proseguisse i suoi modi spendaccioni. Il controllo dei prezzi devastò ulteriormente la malconcia economia privata riducendola. Quando nel 476 d.C., i barbari spazzarono via l’impero dalla mappa, Roma aveva già commesso un suicidio morale ed economico.
I Romani persero prima il loro carattere, poi, di conseguenza, persero la loro libertà e infine la loro civiltà. Chiudo con una vecchia storia la cui rilevanza con quella romana sarà subito chiara. Si tratta di un gruppo di cinghiali selvatici che vivevano lungo un fiume in una zona appartata della Georgia. Questi cinghiali erano testardi, scontrosi ed indipendenti. Erano sopravvissuti ad inondazioni, incendi, al gelo, alla siccità, ai cacciatori, ai cani e a tutto il resto. Nessuno pensava che potessero essere mai catturati.
Un giorno uno straniero arrivò nella cittadina non lontana da dove i cinghiali vivevano e andò nel negozio principale. Chiese al gestore, ‘dove posso trovare i cinghiali? Voglio catturarli’. Il gestore a tale affermazione rise, indicando una generica direzione. Lo sconosciuto ripartì con il suo carro a un cavallo, con la sua ascia e con alcuni sacchi di mais. Due mesi più tardi ritornò al negozio e chiese aiuto per portar fuori i cinghiali, disse che li aveva rinchiusi nei boschi.
La gente ne fu stupita e venne da lontano per ascoltare da lui la storia di come fece. ‘La prima cosa che feci fu cancellare una piccola area dei boschi con la mia ascia. Poi misi un po’ di mais al centro della radura. In un primo momento nessuno dei cinghiali prese il mais. Dopo pochi giorni, alcuni tra i più giovani vennero fuori ad assaggiare un po’ di mais per poi di nuovo scorrazzare nel sottobosco. In seguito anche quelli più anziani cominciarono a prendere il grano, probabilmente immaginando che se ne non lo avessero fatto alcuni degli altri lo avrebbe fatto al posto loro. Presto tutti erano a mangiare il grano finendo per non procurarsi da sé le radici e le ghiande’, disse lo sconosciuto.
‘In quel periodo ho iniziato a costruire un recinto intorno alla radura, un po’ più esteso ogni giorno. Al momento giusto ho costruito una saracinesca. Naturalmente, strillavano e urlavano quando intuirono che li avevo presi, ma posso prendere qualsiasi animale sulla faccia della Terra se lo posso corrompere in maniera sufficiente da farlo dipendere da me per un comodo pasto!’, ha continuato lo straniero. Lo dico ancora una volta con enfasi: nessun popolo che abbia perso il suo carattere ha mantenuto la sua libertà.