Don Carlo di Borbone (1745). |
Il nuovo sovrano [Carlo VII di Napoli e Sicilia per investitura Papale; però non usò mai tale numerazione ] ebbe un ruolo di primo piano nello sviluppo economico, sociale e anche artistico del Regno ma, irretito dalle idee «illuminate» che si diffondevano in Europa, diede inizio a una politica di accentramento e di secolarizzazione, da un lato provocando il graduale dissolvimento della fitta rete di corpi intermedi posti da secoli a garanzia delle concrete libertà dei singoli , dall’altro favorendo la indebita ingerenza dello Stato nei poteri e nei beni ecclesiastici: fino ad allora «lo Stato, ripartendo il suo imperium in autorità molteplici, proprie a gruppi sufficientemente autonomi, feudali, comunali, corporativi, accademici, ecclesiastici, aveva ben fornito all’individuo possibilità di espressione concreta e diretta» (SILVIO VITALE , Il Principe di Canosa e l’epistola contro Pietro Colletta, Berisio, Napoli 1969, p. 16). L’anima di questa politica fu il ministro Bernardo Tanucci, che si adoperò per l’adozione di provvedimenti quali la limitazione del numero degli ecclesiastici, lo scioglimento e le conversioni: delle manomorte, l’istituzione del matrimonio civile e, successivamente, l’espulsione dei Gesuiti.
Bernardo Tanucci. |
Lazzari che giocano a carte, litografia del 1824. |
Ferdinando I delle Due Sicilie. |
Ferdinando II delle Due Sicilie. |
II giovane Re aspirava a ricostituire un tessuto sociale profondamente lacerato e a ravvicinare le antiche classi politiche tra loro, ma non nutriva alcuna fiducia in una classe dirigente ideologicamente preparata e in un popolo messo in guardia dalla penetrazione settaria. Se nel 1848 egli fu in grado di domare con le sole sue forze la Rivoluzione scoppiata in Europa secondo un piano preordinato (Congresso massonico di Strasburgo del 1847) , successivamente non saprà difendersi dalla propaganda delle sette, che lentamente inquinava la corte e la Nazione. Il centralismo, inoltre, assunse con lui forme patologiche, provocando l’isterilimento della classe dirigente napoletana, l’invecchiamento dei quadri della burocrazia e dell’esercito, la fine di ogni spirito di iniziativa, con conseguenze che si avvertiranno nella loro gravità solo in seguito: «Nel Regno molto si fece per restaurare le cose, poco per le idee [...] . Ferdinando credé bastargli il fatto; poco lavorò alla vittoria della reazione morale, quella che non con arme di ferro ma con la face della verità si consegue [...] . Pago d’aver vinto, godente incontrastata potestà, plaudito da’ sudditi, suppose quello stato non poter mancare, non pensò all’avvenire [...] . Temuti gli uomini di testa, s’andò cercando la mediocrità perché più mogia; non si volle e non si seppe cercare i migliori e porli ai primi seggi [...] ; e per non fidarsi in nessuno, e non aver bisogno d’intelletti, fu ridotta a macchina l’amministrazione e il governo [...] . La nave dello Stato non provveduta di piloti andò in tempo di calma più anni barcollando; poi al primo buffo, non trovandosi mano esperta al timone, senza guida affondò» (ibid., vol. I, p. 375).
Attentato di Agesilao Milano. |
Francesco II delle Due Sicilie. |
L’aggressione franco-sarda all’Impero asburgico, meticolosamente pianificata da Cavour, portò, in quello stesso anno [1859], all’assorbimento, nel Regno sardo, degli antiche Stati di Parma, Modena e Toscana , nonché all’annessione della Lombardia austriaca e delle Romagne pontificie. Umiliata l’Austria, guadagnate alla propria causa la Francia e l’Inghilterra, la setta si sentì abbastanza forte per agire contro quel Reame e quella Monarchia che avevano saputo fiaccarne le forze nel 1848.
Giuseppe Garibaldi (Palermo , 1860). |
Giuseppe Garibaldi, l’ex avventuriero ora Generale dell’esercito sardo, la cui fama era stata accuratamente fabbricata nel corso degli anni , il repubblicano convertitosi alla necessità di una guerra regia , apparve come l’uomo adatto per guidare una spedizione che offrisse al Regno sardo l’occasione e l’alibi per intervenire nelle Due Sicilie. La Sicilia, per certi aspetti considerabile il punto debole del Regno , venne scelta come obiettivo della progettata spedizione. Alle secolari velleità autonomistiche dell’isola, infatti, si aggiunsero l’orientamento liberaleggiante dell’aristocrazia, che ne aveva attenuato la fedeltà verso la Monarchia, e la endemica turbolenza dei contadini i quali, influenzati da questo atteggiamento e interessati alla risoluzione del problema delle terre, respingevano in parte le sollecitazioni religiose e legittimistiche cui si mostravano invece sensibili i ceti rurali delle altre zone della Penisola: non erano estranei a questa particolare situazione «gli scandalosi intrighi degli inglesi, che fomentavano [...] i disordini ed il malcontento [...] per promuovervi un’esplosione, come quella del 1848, tendente alla separazione dell’isola dal Reame di Napoli, nel che riuscendo manovrerebbero in modo da farla cadere sotto il protettorato o almeno sotto l’esclusiva loro influenza» (lettera di G. Filangieri a Francesco II, dell’1 ottobre 1859, in RUGGERO MOSCATI , La fine del Regno di Napoli, Napoli 1960, p. 121).
Garibaldini "bresciani". |
I preparativi dell’operazione militare sovversiva erano a cura della Società Nazionale, emanazione del governo sardo, costituita anni addietro per il coordinamento di azioni di tale genere. Essa mise a disposizione armi e denaro, facilitando anche il reclutamento dei "volontari"; gli arsenali Ansaldo fornirono le munizioni; Nino Bixio si accordò con la società Rubattino per il noleggio di due bastimenti; Rosolino Pilo partì alla volta della Sicilia per aprire la strada alle orde garibaldine. La flotta sarda, guidata dall’ammiraglio Persano ( dalla lettura del diario dell’ammiraglio (CARLO PELLION DI PERSANO Diario privato, politico, militare, Torino 1889) traspare, nonostante il riserbo dell’autore, l’eventualità di un intervento attivo della sua squadra nella campagna di Sicilia in caso di pericolo per i garibaldini.) , protesse con discrezione il viaggio dei "volontari", così come farà con le successive spedizioni, che nei tre mesi seguenti portano in Sicilia circa ventiduemila uomini, in buona parte soldati dell’esercito sardo congedati apposta o fatti disertare: questi ultimi vennero naturalmente amnistiati da Vittorio Emanuele II il 29 settembre di quell’anno. «Più che dai contingenti isolani — ammette Garibaldi — i Mille furono aumentati da varie spedizioni posteriori, partite dal continente» (G. GARIBALDI , I Mille, Camilla e Bertolero, Torino 1874, p. 107). I viaggi erano spesso compiuti sotto la bandiera americana, procurata con abili trucchi legali. Ciò rese assai difficili le intercettazioni sotto il profilo del diritto internazionale, che il Regno delle Due Sicilie continuava a rispettare.
Lo sbarco dei "Mille" a Marsala da un disegno di un ufficiale osservatore, a bordo di una nave inglese. |
Lo stesso sbarco dei Mille a Marsala, l’11 maggio 1860, venne facilitato dalla presenza nel porto di navi da guerra britanniche, il cui comandante, ammiraglio Mundy, ingiunse alle unità napoletane prontamente accorse di non aprire il fuoco fino all’avvenuto reimbarco dei suoi marinai, provocando un irreparabile ritardo nella entrata in azione della Regia marina: «La presenza dei due legni da guerra inglesi influì alquanto sulla determinazione dei comandanti de’ legni nemici, naturalmente impazienti di fulminarci, e ciò diede tempo ad ultimare lo sbarco nostro; [...] io fui per la centesima volta il loro protetto» (G. GARIBALDI , Memorie, Rizzoli, Milano 1982, pp. 252-253).
Appena sbarcato, Garibaldi assunse la dittatura dell’isola «in nome di Vittorio Emanuele II», e marciò verso l’interno, protetto dalla generale «omertà», in quel caso celebrata e glorificata come virtù.
Immagine di propaganda risorgimentale raffigurante la Battaglia di Calatafimi. |
Ferdinando Beneventano del Bosco. |
La resa di Palermo, frutto del tradimento, seguita logicamente a quell’episodio, destò stupore e sensazione nel mondo intero, e generò un ondata di sfiducia che si aggiunse al tradimento, accrescendo la fama d’invincibilità di cui godeva Garibaldi, disarmò la volontà di resistenza della sgomenta corte napoletana. Anche a Milazzo, il 20 luglio, l’impetuoso e coraggioso beneventano Del Bosco si trovò davanti a superiori troppo remissivi, nel caso concreto il generale Clary, che preferì non muoversi dalla sicura posizione di Messina; Bosco, divenuto colonnello, impegnò severamente il nemico , ma dovette poi ripiegare, cannoneggiato per giunta da una nave Napoletana passata nel campo avverso . La Sicilia era persa; ne venne concordata la evacuazione, salvo alcuni forti, uno dei quali, la cittadella di Messina, il quale resisterà per quasi otto mesi.
II 17 giugno [1860], in omaggio al carattere rivoluzionario della sua impresa, Garibaldi emanò i primi decreti contro gli ordini religiosi, disponendo in particolare l’incameramento dei beni dei Gesuiti e dei Redentoristi, considerati «gagliardi sostegni del dispotismo, durante lo sventurato periodo della borbonica occupazione» e, quindi, la loro espulsione: Giacinto De Sivo si meravigliò non poco nel sentire parlare di «occupazione» a proposito di un Regno durato ben 126 anni.
Alle perquisizioni, ai maltrattamenti, alle carcerazioni nei confronti degli ecclesiastici che non plaudevano ai «liberatori», seguì una massiccia diffusione della corruzione e dell’empietà: « I Garibaldeschi versavano a piene mani la miscredenza e la depravazione nel popolo. Giornalucci da un soldo movean le passioni, schizzavano idee sovversive, celebravano l’anarchia e la scostumatezza [...] . Vedevi preti in grottesco, papi e cardinali, re e regine in isconci atti, i misteri, i dogmi, significati con emblemi oltraggiosi [...]. Stillavano veleno nei cuori, sofismi nei pensieri, voluttà nei sensi; ma l’appellavano rigenerazione» (G. De Sivo) . Il 10 agosto [1860] viene ricostituito il Grande Oriente di Palermo e Garibaldi, iniziato alla massoneria sin dal 1844, venne elevato a «maestro»; meno di due anni dopo sarà eletto alla guida del Supremo Consiglio scozzesista palermitano .
Quanto alla questione demaniale, il dittatore ordinò la distribuzione delle terre ai contadini, particolarmente a chi aveva appoggiato la sua impresa . Il provvedimento ebbe carattere esclusivamente tattico, avendo egli bisogno dell’aiuto della popolazione; quando la questione sociale si sovrappose a quella politica e i contadini cominciarono ad attaccare la borghesia agraria nei suoi organismi di potere locali, le municipalità, i garibaldini dovettero reprimere quei moti, perché la loro rivoluzione era politica e non contempla rivolgimenti d’altro genere: il problema dei demani si trascinava dal 1806, quando Giuseppe Bonaparte aveva emanato le leggi eversive della feudalità, sottraendo ingenti quantità di terre a quegli usi civici che da tempo immemorabile soddisfacevano ai bisogni delle popolazioni rurali. Con il passare degli anni, la piccola borghesia agraria, detentrice delle cariche comunali, si era impadronita delle terre indivise, frammentandole e usurpandone la proprietà. Ferdinando II, che aveva cercato di reintegrare quei terreni nei demani statali, ottenne unicamente di fare passare alla opposizione un rilevante gruppo di famiglie della borghesia terriera, soprattutto in Calabria. Per un approfondimento, cfr. R. MASCIA , op. cit.
L’assenza nell’isola di un «partito» borbonico che potesse sfruttare la delusione dei siciliani e organizzare a fini positivi la loro reazione, fece sì che essi piombassero presto in una cupa rassegnazione, con un fondo di ostilità che si tradusse nel fallimento della coscrizione obbligatoria introdotta da Garibaldi. Ciò tuttavia avvenne quando l’isola era stata praticamente conquistata e non causò eccessive preoccupazioni al dittatore. Con la caduta di Palermo cominciò a profilarsi il crollo della Monarchia Napoletana ; gli stessi cortigiani del Re, ritenuti fino ad allora i più fedeli all’Ancien Régime, chiesero una costituzione, nell’illusione che essa fosse rimedio a mali maggiori. Francesco II, pressato dagli «inviti» di Napoleone III in tale senso, cedette con riluttanza e richiamò in vigore, con l’Atto Sovrano del 25 giugno, lo statuto del 1848, sospeso e mai abrogato, facendolo seguire dalla concessione di un’amnistia per tutti i reati politici:
Bandiera del Regno delle Due Sicilie
adottata dopo l'Atto Sovrano del 25 giugno
1860.
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Aprire le finestre a correnti d’aria rivoluzionarie mentre la Sicilia era in fiamme, richiamare gli oppositori dall’esilio, permettere la costituzione di una Guardia Nazionale in antitesi alla polizia e all’esercito, significava affrettare lo sfacelo. Confinati per tanti anni in un ruolo passivo, gli uomini della vecchia generazione non trovarono stimoli per fronteggiare gli avvenimenti: i diplomatici, privi di una precisa direttiva, si agitavano confusamente; gli alti ufficiali si scaricavano vicendevolmente le responsabilità; i funzionari si trinceravano dietro la scossa data all’impalcatura statale dall’Atto Sovrano di giugno per giustificare la loro inettitudine; il ministero costituzionale non poté fare altro che sfaldare l’antico regime, senza sostituire a esso qualcosa di più efficiente. I vecchi borbonici, ormai indifesi ed esposti alla vendetta degli avversari, cominciarono a lasciare il Paese.
Liborio Romano. |
Ai primi di agosto, il Regno delle Due Sicilie appariva perduto. La diplomazia europea, corrotta o timorosa, non mosse un dito in sua difesa; comitati insurrezionali si formarono nelle province continentali; il panico invase coloro che apparivano maggiormente legati alla Monarchia.
L'ingresso di Garibaldi a Napoli in un immagine di propaganda risorgimentalista. |
Al favore di quella classe, all’inerzia dei dirigenti, al disfacimento dell’apparato statale, si aggiunse in alcune zone, nei ceti contadini, la diffusa aspettativa, manifestamente infondata, di un rivolgimento sociale.
Gli ufficiali borbonici corrotti a suon di ducati e future promozioni capitolarono senza opporre resistenza. I soldati, dispersi dalla viltà dei comandanti , rifiutarono di aderire alla causa garibaldina e, sbandati o a gruppi, marciarono prima su Napoli e poi su Gaeta, per rispondere all’appello del Re. Francesco II aveva inizialmente maturato l’idea di porsi alla testa dell’esercito e affrontare gl’invasori in una battaglia decisiva nella piana del Sele. Successivamente, su pressione dei suoi infidi consiglieri, si rassegnò ad abbandonare la capitale, per evitare a essa gli orrori della guerra, e a ritirarsi oltre il Volturno, dove le popolazioni gli erano ostinatamente fedeli e dove poté appoggiarsi alle piazzeforti di Capua e di Gaeta, con le spalle protette dalla frontiera pontificia.
Battaglia del Volturno. |
Francesco II e la Regina Maria Sofia. |
Il 7 settembre [1860], Giuseppe Garibaldi entrò in Napoli, dove «don» Liborio aveva mobilitato i suoi uomini, cioè i capicamorra, per rendere «oceanica» l’adunata di popolo alla stazione e lungo il tragitto . Il dittatore, diplomaticamente e falsamente , andò a rendere omaggio alle reliquie di San Gennaro ; rifiutandosi i sacerdoti di dire Messa, fu il garibaldino eretico fra’ Pantaleo a celebrare nel duomo un Te Deum non molto ortodosso, concludendo con uno sconclusionato discorso sul ruolo del «novello Cristo», cioè di Garibaldi: Anni dopo il nizzardo , libero di esprimersi con minore tatto, definirà «umiliante composizione chimica» quello che «gli impostori vi spacciano come sangue di San Gennaro», e inviterà a «frangere per sempre quell’ampolla contenente il veleno!» (G. GARIBALDI , Messaggio all’anticoncilio di Napoli, dell’11 ottobre 1896, in IDEM , Memorie, cit., p. 368).
Garibaldi prese alloggio a palazzo d’Angri, da dove emanò i primi decreti, che sanciscono l’annessione della flotta napoletana a quella sarda e la confisca dei beni della famiglia reale: Francesco II aveva portato con sé solo una esigua parte delle sue proprietà: la ricca collezione di vasellame, i quadri e i mobili rimasero a Napoli, né verranno ritirati gli undici milioni di ducati depositati nelle banche (cfr. HAROLD ACTON , Gli ultimi Borboni di Napoli, Martello, Milano 1973, p. 556).
Espulsione dei Gesuiti. Dal volume El centenario del siglo XIX. 1789 - 1889 , Mariano Solá-Salagés Editor. Barcellona, 1888. |
La brigata garibaldina inglese entra in Napoli:
così i conquistati acclamano gl’invasori.
Stampa britannica di propaganda,
di Frank Vizetelly.
Illustrated London news ,
10 novembre 1860.
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Il 15 settembre [1860], i gendarmi, i soldati sbandati, le bande di pastori e di contadini vennero inquadrati in una brigata di volontari, al comando del Barone tedesco Teodoro Klitsche de La Grange, nominato colonnello il giorno prima, affiancata da reparti regolari del generale Scotti Douglas . Le due colonne penetrarono nella Marsica e nel Molise, appoggiando la sollevazione popolare verso Rieti e minacciando L’Aquila. Una colonna borbonica raggiunse Isernia, importante nodo stradale, in appoggio al «movimento fatto da quella popolazione per rimettere il legale e legittimo governo» . Un battaglione di «volontari» guidato dal Governatore di Campobasso, che aveva rioccupato Isernia, venne costretto a ritirarsi di fronte ai regolari fiancheggiati da migliaia di contadini armati. Una colonna garibaldina agli ordini di Francesco Nullo tentò la riconquista della città, ma venne annientata da reparti borbonici affiancati da grandi masse d’insorti . Nelle settimane successive si susseguirono rivolte e repressioni, in una spietata guerra che insanguinerà per anni le Due Sicilie .
Papa Pio IX. |
Le ardite ed eterogenee unità papaline del generale Lamoricière, costituite da migliaia di giovani accorsi dall’Europa cattolica in difesa del Papa, vennero sopraffatte a Castelfidardo dalle preponderanti forze del generale macellaio Cialdini . Ancona capitolò il giorno 29, dopo un violento bombardamento navale, proseguito anche dopo la resa: Cialdini si era presentato con il seguente proclama: « Vi conduco contro una masnada di briachi [ubriachi] stranieri, che sete di oro e vaghezza di saccheggio trasse nei nostri paesi. Combattenti, disperdete inesorabilmente quei compri sicari, e per vostra mano sentano l’ira di un popolo che vuole la sua nazionalità e la sua indipendenza» (P. G. JAEGER , op. cit., p. 102). « I pontifìci — dipinti così cupamente — opposero una resistenza che non si credeva [...] . Parecchi di quei crociati, di nobili famiglie legittimiste, seppero combattere e morire con coraggio» (R AFFAELE DE CESARE , Roma e lo Stato del Papa, dal ritorno di Pio IX al XX settembre, Forzani e C., Roma 1907, vol. II, pp. 74-85).
Battaglia di Castelfidardo. |
Proclamazione dei risultati del plebiscito farsa di unificazione al Regno d’Italia in Reggio Calabria. |
Il giorno 26, Garibaldi «cedette» le Due Sicilie a Vittorio Emanuele II e si ritirò a Caprera, pago di avere compiuto nel "migliore dei modi" la sua parte nella Rivoluzione italiana.
Ingresso in Napoli dell'usurpatore Vittorio Emanuele II di Sardegna. |
L’introduzione della tariffa doganale sarda tolse ogni protezione alle industrie Napoletane , che persero anche l’ausilio degli appalti statali, assegnati ora nella lontana Torino.
Francesco II, da Gaeta dov’era assediato, l’8 dicembre 1860, in occasione della festa della Immacolata Concezione, indirizzò un nobile proclama ai suoi sudditi «in preda a tutti i mali della dominazione straniera, [...] portanti il loro sangue e le loro sostanze ad altri paesi, calpestati dal piede di straniero padrone». «Erede di un’antica dinastia che ha regnato in queste belle contrade per lunghi anni ricostituendone l’indipendenza e l’autonomia, non vengo dopo avere spogliato del loro patrimonio gli orfani, dei suoi beni la Chiesa ad impadronirmi con forza straniera della più deliziosa parte d’Italia [...] . Vedete lo stato che presenta il paese. Le Finanze un tempo così floride sono completamente rovinate; l’Amministrazione è un caos; la sicurezza individuale non esiste. Le prigioni son piene di sospetti: invece della libertà lo stato d’assedio regna nelle province, ed un Generale straniero pubblica la legge marziale, decreta la fucilazione istantanea per tutti quelli dei miei sudditi, che non s’inchinano alla bandiera di Sardegna. L’assassinio è ricompensato; il regicidio merita un’apoteosi; il rispetto al culto santo dei nostri Padri è chiamato fanatismo; i promotori della guerra civile, i traditori del proprio paese ricevono pensioni, che paga il pacifico contribuente. [...] Le Due Sicilie sono state dichiarate province d’un Regno lontano». Francesco II, tuttavia, non chiede vendetta, ma il pietoso oblio che risparmi la memoria di chi tradì, e la concordia necessaria per ricostruire: « Vi è un rimedio per questi mali, per le calamità più grandi che prevedo. La concordia, la risoluzione, la fede nell’avvenire. Unitevi intorno al trono dei vostri padri. Che l’oblio copra per sempre gli errori di tutti; che il passato non sia pretesto di vendetta, ma pel futuro lezione salutare» .
Il proclama destò grande sensazione nel Paese e la sollevazione popolare venne ad assumere proporzioni sempre più vaste.
Nonostante le dure repressioni , la guerriglia continuò per tutto l’inverno lungo la frontiera pontificia, mentre nelle altre regioni le rivolte si fecero sempre più frequenti e violente. Ancora qualche mese, poi, nella primavera-estate 1861 scoppiò l’insurrezione generale e migliaia di uomini si scateneranno contro gli oppressori, in una lunga, furiosa e disperata lotta .
Anche la lotta alla Chiesa s’intensificò. In novembre il sabaudo luogotenente Farini, decretò che si aggiudicassero al fisco i residui beni di quei Vescovi assenti dalle loro diocesi «senza motivo canonico»; gl’interessati furono 37, costretti alla fuga dai garibaldini. La Santa Sede reagì con disposizioni che vietavano il canto del Te Deum, la celebrazione della festa dello Statuto, l’appartenenza alla Guardia Nazionale, l’amministrazione dei sacramenti e la sepoltura ecclesiastica a chi avesse aderito e attivamente cooperato allo stabilimento del nuovo governo.
Il 17 febbraio 1861 furono estesi alle Due Sicilie il codice penale e l’ordinamento giudiziario del Regno sardo; si dichiarò cessata l’efficacia del Concordato del 1818 e della convenzione del 1836 tra le Due Sicilie e la Santa Sede; venne introdotta la legge sarda del 1855 che sopprimeva gli ordini religiosi, tranne alcune eccezioni. Questi provvedimenti causarono altri turbamenti: alle proteste del foro napoletano, che vide cancellate d’un colpo le sue gloriose tradizioni, si aggiunsero i tumulti del popolino, che, specie nei piccoli centri, perse le principali fonti di beneficienza, di assistenza e d’istruzione. Il Cardinale Sforza, da poco rientrato dall’esilio decretatogli dai garibaldini, protestò con molta energia e venne nuovamente cacciato. Garibaldi, da Caprera, scrisse all'eretico fra’ Pantaleo: «Noi siamo della religione di Cristo, e non della religione del Papa e dei cardinali [...] . Combatteteli a tutto potere [...] dovete attaccare il mostro che divora la nostra disgraziata madre»: con un messaggio dell’1 ottobre 1861, Garibaldi raccomandava alla Guardia Nazionale di fare scomparire da quelle contrade le vesti ecclesiastiche, «simbolo per l’Italia delle miserie e delle vergogne di diciotto secoli» (P. BALAN , Storia d’Italia, Paolo Toschi, Modena 1898, vol. X, p. 347).
Francesco II firma la resa nella Fortezza di Gaeta. |
La guarnigione borbonica, colpita da un’epidemia di tifo e sottoposta a un micidiale e continuo bombardamento, non vacillò, incoraggiata anche dall’eroico comportamento della Regina Maria Sofia, che si prestò fino al limite delle forze, animando i combattenti sugli spalti, sprezzante del pericolo, attivissima e pietosa nei servizi di infermiera. Il 19 gennaio 1861, Napoleone III, che aveva già cercato di indurre il Re di Napoli a deporre le armi , richiamò la flotta, che proteggeva Gaeta dal mare. Con il sopraggiungere del blocco navale ogni resistenza diventò impossibile e il Sovrano accettò l’ennesima offerta di capitolazione, che venne firmata il 13 febbraio; quindi s’imbarcò per l’esilio definitivo, non senza rivolgere commosse parole di addio ai suoi soldati : «Grazie a voi è salvo l’onore dell’Armata delle Due Sicilie; grazie a voi può alzare la testa con orgoglio il vostro Sovrano; e sulla terra d’esilio, in che aspetterà la giustizia del Cielo, la memoria dell’eroica lotta dei suoi Soldati, sarà la più dolce consolazione delle sue sventure [...] . Non vi dico addio, ma a rivederci. Conservatemi intatta la vostra lealtà, come vi conserverà eternamente la sua gratitudine e la sua affezione il vostro Re Francesco».
La cittadella di Messina si arrese il 12 marzo [1861]; otto giorni dopo fu la volta di Civitella del Tronto, ultima roccaforte del governo legittimo. Il 17 marzo, venne proclamato a Torino l'infausto e decadente "Regno d’Italia".
Partigiani delle Due Sicilie messi in mostra dopo la loro morte dalla soldataglia sabauda-unitarista. |
Fonti:
P. BALAN , Storia d’Italia, Paolo Toschi, Modena 1898, vol. X.
CARLO ALIANELLO , La conquista del Sud. Il Risorgimento nell’Italia meridionale, Rusconi, Milano 1972.
G. RÜSTOW , La guerra d’Italia del 1860 descritta politicamente e militarmente, Ve- nezia 1861, vol. II.
GIORGIO CUCENTRENTOLI DI MONTELORO , La difesa della Fedelissima Civitella del Tronto. 1860-1861. 2a ed., Pucci Cipriani, Firenze 1978.
AFFAELE DE CESARE , Roma e lo Stato del Papa, dal ritorno di Pio IX al XX settembre, Forzani e C., Roma 1907, vol. II.
GEORGE RODNEY MUNDY , La fine delle Due Sicilie e la Marina britannica, Berisio, Napoli 1966.
ALESSANDRO Luzio, La Massoneria e il Risorgimento italiano, Forni, Bologna 1925, vol. II.
RAFFAELE DE CESARE , La fine di un Regno, Newton Compton, Roma 1975, vol. II.
ALDO ALESSANDRO MOLA , Garibaldi vivo. Antologia critica degli scritti con documenti inediti, Mazzotta, Milano 1982.
LAMBERTO RADOGNA , Storia della Marina Militare delle Due Sicilie (1734-1860), Mursia, Milano 1978.
PIER GIUSTO JAEGER , Francesco II di Borbone. L’ultimo Re di Napoli, Mondadori, Milano 1982.
G. GARIBALDI , Memorie, Rizzoli, Milano 1982.
G. GARIBALDI , I Mille, Camilla e Bertolero, Torino 1874.
CARLO PELLION DI PERSANO Diario privato, politico, militare, Torino 1889.
OBERTO MASCIA , Ferdinando II e la crisi socio-economica della Calabria nel 1848, Regina, Napoli 1973.
IACINTO DE Sivo, Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, Berisio, Napoli 1964, vol. II.
GIOVANNI CANTONI , L’Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, saggio introduttivo a PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA , Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3a ed. it. accresciuta, Cristianità, Piacenza 1977.
SILVIO VITALE , Il Principe di Canosa e l’epistola contro Pietro Colletta, Berisio, Napoli 1969.
ARCO TANGHERONI , prefazione a FRANCESCO MARIO AGNOLI , Andreas Hofer, eroe cristiano, Res, Milano 1979.
Giuseppe Garibaldi: una spada contro la Chiesa e la Civiltà Cristiana, in Cristianità, anno XI, n. 93, gennaio 1983.
Scritto da:
Presidente e fondatore A.L.T.A. Amedeo Bellizzi.